Grazie a Investigatore Biblico per questa analisi sulle nuove traduzioni bibliche.
Luigi C.
26-3-25
Nel silenzio che accompagna la lettura orante delle Scritture, ci lasciamo condurre dallo Spirito di verità, che ci guida a discernere tra le molte voci che risuonano nella storia dell’uomo. Il testo di Isaia 8,19 si presenta a noi come un monito ancora attuale, una parola profetica che attraversa i secoli e ci interroga sulla sorgente a cui attingiamo la nostra conoscenza e il nostro consiglio.
Nella traduzione CEI del 2008, il versetto viene così reso: “Quando vi diranno: Consultate i negromanti e gli indovini…”. Il termine “negromanti”, sebbene comprensibile nel linguaggio moderno, rischia però di limitare la portata del messaggio originario della Scrittura. Il testo ebraico utilizza la parola הָאֹבוֹת (ha-ovot), che letteralmente significa “gli spiriti”. Non si tratta, dunque, di una semplice categoria di persone che praticano l’evocazione dei defunti, ma di una realtà più profonda e inquietante: il riferimento è agli stessi spiriti che vengono invocati, ai “morti” ai quali si cerca consiglio, con la convinzione illusoria che possano donare risposta e vita.
Questa scelta lessicale non è priva di conseguenze teologiche. La CEI del 1974 aveva reso con maggiore fedeltà questo significato, traducendo: “Quando vi diranno: Consultate gli spiriti e gli indovini…”. In tal modo, veniva mantenuta la tensione teologica del testo originario, che non si limita a mettere in guardia da una pratica esterna, ma invita a un discernimento interiore profondo: a chi prestiamo ascolto? Quale voce lasciamo entrare nel nostro cuore?
San Girolamo, nella sua Vulgata, traduce con pythones, termine che richiama lo spirito di Delfi, figura conosciuta nel mondo greco-romano come mediatore di messaggi dall’aldilà, ma che nella prospettiva biblica assume il significato di una potenza oscura, di uno spirito ingannatore. La Bibbia dei Settanta conferma questa lettura, scegliendo il termine ἐγγαστρίμυθοι, coloro che parlano “dal ventre”, da una fonte interiore che non è lo Spirito di Dio, ma un principio che inganna, una voce che seduce.
I Padri della Chiesa, meditando su questi testi, hanno sempre interpretato gli ovot, questi “spiriti”, come realtà demoniache. Non si tratta di anime dei defunti, bensì di potenze che si mascherano per ingannare. Sant’Agostino lo ricorda nelle sue Confessioni e nel De Civitate Dei: i demoni si travestono da anime degli uomini per trarre in inganno coloro che li interrogano, ma la loro natura è menzognera, poiché “non esiste verità in loro” (cfr. Gv 8,44). Anche San Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae (II-II, q. 95), ribadisce che tali pratiche sono vietate dalla Legge divina perché mettono l’uomo in contatto con i demoni, i quali si presentano sotto mentite spoglie.
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