Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1168 pubblicata da Paix Liturgique il 28 febbraio, in cui si torna ad esaminare la figura del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato, quale potenziale «papabile» nel prossimo conclave (ne abbiamo già scritto QUI, QUI, QUI, QUI, QUI e QUI).
Emerge un prelato che saprebbe coniugare la «meticolosa professionalità» e la «perfetta continuità» con il pontificato di papa Francesco: in altre parole, «il massimo rischio per la Chiesa».
L.V.
Molto ostile alla Santa Messa tradizionale è il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato (giocando con la denominazione di «Messa di sempre», avrebbe detto: «Dobbiamo porre fine a questa Messa per sempre!»). In questo periodo in cui Roma si prepara a un conclave più o meno a breve termine, i suoi amici fanno di tutto per vendere, come dicono i comunicatori, un’immagine del card. Parolin «moderato», «consensuale». Non è così: il card. Parolin, che si dice prenderà il nome di Giovanni XXIV evocato da papa Francesco, sarebbe in perfetta continuità con quest’ultimo, ma in uno stile meno disordinato, più amministrativo. Il card. Parolin sarebbe un papa Francesco più efficace.
Nella nostra Lettre del 5 dicembre 2023 [QUI; QUI su MiL: N.d.T.] avevamo riprodotto un articolo che don Claude Barthe aveva pubblicato sul sito Res Novæ, con la sua gentile autorizzazione (Il cardinale Parolin in agguato; QUI). Considerate le esigenze dell’attualità, ne riportiamo qui l’essenziale aggiungendo alcuni sviluppi che ci sono sembrati indispensabili.
L’erede del card. Achille Silvestrini
Ordinato nel 1980 per la Diocesi di Vicenza, in Veneto, entrò nel 1986 nei servizi diplomatici della Santa Sede quando il card. Agostino Casaroli era Segretario di Stato, il card. Achille Silvestrini Segretario del Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa (l’equivalente di un Ministro degli affari esteri) e leader, per decenni, della Roma liberale. Grande lavoratore, il card. Pietro Parolin acquisì fin dall’inizio, sotto la guida del suo mentore card. Silvestrini, una grande conoscenza della Curia Romana ai massimi livelli, così come delle Cancellerie di tutto il mondo. Ha servito in varie Nunziature Apostoliche, per poi tornare a Roma nel 1992, quando il card. Angelo Sodano divenne Segretario di Stato. Fu nominato Sottosegretario per i rapporti con gli Stati sotto il card. Jean-Louis Pierre Tauran, che era succeduto al suo capo card. Silvestrini, e si distinse per la sua abilità in trattative delicate (Messico, Vietnam). Ma il card. Tarcisio Pietro Bertone S.D.B., diventato Segretario di Stato di Papa Benedetto XVI, lo disonorò e lo sostituì con uno dei suoi fedeli, mons. Ettore Balestero. Fu spedito nella più difficile delle Nunziature Apostoliche, quella del Venezuela del Presidente Hugo Rafael Chávez Frías. È un prelato venezuelano molto discusso, mons. Edgar Peña Parra, che è diventato molto vicino a papa Francesco, che diventerà il suo primo collaboratore come Sostituto per gli affari generali, nel 2018, in sostituzione di mons. Giovanni Angelo Becciu, diventato Cardinale e Prefetto della Congregazione per le cause dei santi.
Si dice che l’atteggiamento abile del card. Pietro Parolin a Caracas, di fronte a al Presidente Hugo Rafael Chávez Frías, sia stato molto apprezzato dal card. Jorge Mario Bergoglio, Arcivescovo metropolita di Buenos Aires. Divenuto Papa, si lasciò facilmente convincere dal card. Achille Silvestrini e dal card. Jean-Louis Pierre Tauran a chiamare, nell’agosto 2013, questo diplomatico esperto e di sensibilità liberale, per sostituire colui che lo aveva esiliato, il card. Tarcisio Pietro Bertone S.D.B. L’esperienza del card. Parolin in America Latina sembrava preziosa a papa Francesco, il cui incubo – per via del Peronismo – erano gli Stati Uniti d’America e la loro Chiesa ampiamente conservatrice. Crudele fu per papa Francesco e il suo Segretario di Stato l’elezione di Donald John Trump nel 2016, e ancora più crudele la recente elezione del Trump argentino, Javier Gerardo Milei, che ha definito papa Francesco un «demone».
Perché se l’elezione del card. Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio sembrava aprire una nuova era, in realtà rappresentava il ritorno di un mondo antico dopo un lungo periodo di «restaurazione» wojtyło-ratzingeriana. Il card. Pietro Parolin, figlio spirituale del card. Achille Silvestrini, ammiratore dell’Ostpolitik del card. Agostino Casaroli, era l’uomo di questo ritorno al passato.
La spina nel fianco del card. Pietro Parolin: lo scandaloso accordo con la Cina
Il grosso handicap del card. Pietro Parolin è proprio il disastroso accordo tra la Santa Sede e la Cina. Ben più professionale del suo predecessore card. Tarcisio Pietro Bertone S.D.B., il card. Parolin ha tuttavia sbalordito il mondo per l’irenismo dell’accordo che ha stipulato con la Repubblica Popolare Cinese il 22 settembre 2018, i cui termini sono segreti.
Va detto che la situazione del Cattolicesimo cinese è estremamente complessa: c’è la feroce opposizione della eroica Chiesa clandestina nei confronti della Chiesa controllata dal potere; ma all’interno di quest’ultima, le linee sono spesso confuse. Già sotto San Giovanni Paolo II, nonostante fossero stati nominati dall’Associazione patriottica cattolica cinese, un certo numero di Vescovi chiedeva segretamente a Roma il riconoscimento da parte di Roma.
Papa Francesco e il card. Pietro Parolin hanno quindi organizzato trattative dirette con Pechino, condotte da mons. Claudio Maria Celli, Presidente emerito del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, per conto di Roma. Inoltre, sono stati riutilizzati i servizi del card. Theodore Edgar McCarrick, ex Arcivescovo metropolita di Washington, che Papa Benedetto XVI aveva messo in penitenza per i suoi crimini di molestatore sessuale. Il card. McCarrick si era già recato più volte in Cina e aveva ricevuto l’incarico di riprendere i suoi viaggi tra i Cattolici «ufficiali». Tutto ciò non ha impedito in alcun modo le persecuzioni contro i Cristiani cattolici e protestanti, in particolare attraverso la distruzione su larga scala delle chiese.
L’accordo del card. Pietro Parolin del 2018, firmato per due anni e prorogato nel 2020, nel 2022 ecc., concedeva alle autorità cinesi la «presentazione» dei Vescovi da investire da parte di Roma. In virtù di questo accordo, gli ultimi sette Vescovi «ufficiali» nominati sono stati reintegrati nella comunione romana, due dei quali si sono rivelati sposati. Inoltre, i Vescovi clandestini, non approvati dalle autorità comuniste, furono esclusi dal governo delle Diocesi. Ciò provocò critiche scandalizzate, in particolare quella del card. Joseph Zen Ze-kiun S.D.B., Vescovo emerito di Hong Kong, che accusò il card. Parolin, «uomo di poca fede», di «vendere la Chiesa cattolica al governo comunista», ma anche, recentemente, quella del card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede: «Non si può fare un patto con il diavolo». Perché bisogna insistere, il patto in questione concede ai comunisti, che continuano a perseguitare la Chiesa, la nomina dei Vescovi.
Il card. Pietro Parolin ha inoltre ammesso nel luglio 2023 che questa politica ha portato la Santa Sede a ingoiare enormi rospi: «per il bene della Diocesi e del dialogo» Roma aveva riconosciuto la nomina unilaterale da parte dell’Associazione patriottica cattolica cinese, contrariamente agli accordi passati, di mons. Giuseppe Shen Bin a capo della Diocesi di Shanghai. In realtà, questo modo di procedere – l’annuncio da parte delle autorità ecclesiastiche cinesi di una nomina e consacrazione episcopale, poi approvata da Roma e pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede – è il processo abituale.
Il Cardinale mondialista
All’epoca si era parlato molto della partecipazione della seconda personalità più importante della Chiesa alla riunione di un club i cui obiettivi sono completamente estranei alla sua dottrina sociale: si trattava della conferenza annuale a porte chiuse del Gruppo Bilderberg, che si è tenuta a Torino dal 7 al 10 giugno 2018, il cui ordine del giorno prevedeva l’analisi dell’aumento «preoccupante» del populismo. Questo gruppo è stato fondato nel 1954 dal banchiere David Rockefeller e oggi si propone come un efficace tramite delle ideologie mondialiste. I suoi membri e invitati, un centinaio di persone, sono cooptati tra le personalità influenti della diplomazia, degli affari, della politica e dei media, molti dei quali non nascondono la loro appartenenza «umanista». La totale segretezza delle discussioni – i partecipanti sono rinchiusi per due giorni come in un conclave – alimenta ogni tipo di fantasia. Ma secondo la Sala Stampa della Santa Sede, il Segretario di Stato del Vaticano era stato presente «solo per un breve periodo, circa un’ora e tre quarti», durante il quale aveva pronunciato un discorso «sulla dottrina sociale della Chiesa».
Sempre in linea con l’apertura ai temi cari ai mondialisti, ma sempre con la stessa cautela, il 5 aprile 2019 il card. Pietro Parolin aveva ricevuto per più di un’ora militanti LGBT di alto livello, ovvero una cinquantina tra avvocati, magistrati, politici, tutti militanti per la depenalizzazione dell’omosessualità. La figura chiave di questa delegazione era il prof. Eugenio Raúl Zaffaroni, professore emerito di criminologia alla Universidad de Buenos Aires, amico di lunga data di papa Francesco, noto per le sue posizioni molto liberali, il suo impegno per il riconoscimento legale delle «unioni» omosessuali e per la depenalizzazione dell’aborto. Il Segretario di Stato aveva affermato che la Chiesa condannava «ogni violenza contro le persone», il che era poco impegnativo, ma con questo ricevimento ha fatto un gesto di grande potenza simbolica. È meno volgare del ricevimento a pranzo di un gruppo di donne transgender da parte di papa Francesco, ma è altrettanto significativo di «apertura». C’è tutto il card. Parolin.
Un rapporto complesso con papa Francesco
Il card. Pietro Parolin è stato membro del Consiglio di Cardinali che ha lavorato alla riforma della Curia Romana, che avrebbe dovuto ridurre l’importanza della Segreteria di Stato. Tutto si è giocato sul lato delle finanze. Il card. Parolin ha abilmente manovrato per contrastare l’efficace riordino, iniziato dal card. George Pell, Prefetto della Segreteria per l’economia, degli organi finanziari della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. In teoria, la riforma del card. Pell ha tolto una parte importante del controllo esercitato dal Segretario di Stato. In realtà, il card. Parolin ha fatto escludere la Segreteria di Stato dall’audit organizzato per tutte le entità finanziarie del Vaticano, il che ha vanificato la revisione organizzata dal card. Pell.
Di conseguenza, il card. Pietro Parolin si è trovato direttamente preoccupato dalla luce gettata nel 2019 su una transazione sospetta condotta dalla Segreteria di Stato nel 2012: l’investimento di quasi 200 milioni di euro in un lussuoso edificio londinese gravato da un’ipoteca. Era stato acquistato a un prezzo molto sopravvalutato con i fondi raccolti dall’Obolo di San Pietro, per poi essere rivenduto con una grossa perdita. Una situazione relativamente classica in cui gli ecclesiastici, che si credono esperti finanziari, si rivelano estremamente ingenui. La responsabilità maggiore ricadeva sul primo collaboratore del card. Parolin, il card. Giovanni Angelo Becciu, divenuto nel frattempo Prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Il card. Becciu ha dovuto dimettersi dalla sua carica, ha perso tutti i diritti legati al Cardinalato ed è stato deferito alla giustizia vaticana insieme ad altri alti funzionari romani, lo svizzero René Brülhart, ex presidente dell’Autorità di informazione finanziaria, il finanziere del Vaticano, mons. Mauro Carlino, a lungo segretario particolare del card. Becciu, ed Enrico Crasso, ex gestore del patrimonio riservato della Segreteria di Stato. I loro avvocati non si sono fatti scrupolo di sostenere che il card. Parolin fosse a conoscenza delle loro attività.
Il card. Pietro Parolin è quindi caduto in una semi-disgrazia? Queste accuse di malversazione o di grave imprudenza hanno fatto sì che, alla fine del 2020, lo Stato Maggiore della Segreteria di Stato sia stato spogliato dei suoi beni e del suo enorme portafoglio di investimenti. Tuttavia, indipendentemente dal coinvolgimento del card. Parolin, questo caso è talmente complesso, di per sé e per il modo completamente atipico – bergogliano – in cui è stato perseguito da papa Francesco in persona, che non rappresenta una vera minaccia per le possibilità del Cardinale Segretario di Stato quando si aprirà il conclave.
Inoltre, nonostante la partecipazione del personale diplomatico del card. Pietro Parolin alle discussioni internazionali sulle questioni climatiche, è stato escluso dal processo di redazione dell’esortazione apostolica Laudate Deum sulla crisi climatica. Inoltre, è stato il card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna, appoggiato dalla potente Comunità di Sant’Egidio, Presidente della Conferenza episcopale italiana, ad essere incaricato di mettere in atto gli sforzi compiuti da papa Francesco per ottenere un accordo di pace tra Ucraina e Russia. Il Cardinale di Bologna, che in passato ha già ricoperto importanti incarichi diplomatici, è quindi considerato una sorta di secondo Segretario di Stato.
Ma essere meno vicino al Papa può diventare un vantaggio per il card. Pietro Parolin quando si tratta della sua successione di papa Francesco e si prepara una reazione contro il dispotismo sotto il quale gemono Curia Romana e Cardinali.
In questo tipo di speculazioni, il suo stato di salute incerto – il card. Pietro Parolin è stato curato per un cancro – compenserebbe la sua «giovane» età (settant’anni) per gli elettori che, dopo l’interminabile pontificato di San Giovanni Paolo II, vogliono limitare i rischi cercando papabili per regni brevi (il card. Jean-Pierre Bernard Ricard, allora Arcivescovo metropolita di Bordeaux, aveva rivelato che l’età del card. Jorge Mario Bergoglio era uno degli argomenti avanzati dai suoi sostenitori durante il conclave del 2013).
Un ritorno al Concilio Vaticano II «puro»: Amoris laetitia e Traditionis custodes
Ciò che ci insegna di più sull’ecclesiologia di Papa Benedetto XVI è il discorso che ha tenuto il 14 novembre 2017 a Washington, a The Catholic University of America, dove ha ricevuto un dottorato honoris causa in teologia. In quella sede tenne una lunga lezione magistrale di 55 minuti in italiano in onore del Concilio Vaticano II, che aveva tutte le sembianze di un manifesto, e in cui si collocava con insistenza sulla scia di papa Francesco, che realizzava pienamente le intenzioni del Concilio Vaticano II (questa conferenza non è più disponibile online).
Per il card. Pietro Parolin, il Concilio Vaticano II è fons et origo, fonte e origine, della Chiesa di oggi e di quella del futuro. I Padri hanno adottato un nuovo paradigma, quello di una Chiesa che è certamente sempre stata cattolica, ma che è diventata mondiale, svincolata dalla sua coincidenza con l’Europa. Da ciò derivano varie conseguenze, come l’introduzione delle lingue locali nella liturgia e la legittimazione delle teologie locali. L’aggettivo mondiale accostato alla Chiesa, essendo usato con un’ambiguità simile a quella dell’aggettivo ecumenico per qualificare il Concilio Vaticano II, concilio ecumenico perché generale e/o perché ha fatto trionfare il riavvicinamento con i separati.
Il card. Pietro Parolin ha citato mons. Joseph Doré P.S.S.; Arcivescovo emerito di Strasburgo, secondo il quale, dopo il Concilio Vaticano II, nulla sarà più come prima. Così come la Chiesa era passata in origine, secondo lui, dal giudeocristianesimo al pagano-cristianesimo, durante il Concilio Vaticano II ha subito una trasformazione altrettanto radicale. Un processo «irreversibile», ha ribadito il card. Parolin, sottolineando che tra le profonde novità del Concilio Vaticano II messe in luce da papa Francesco c’è l’introduzione della sinodalità che «riequilibra» l’organizzazione monarchica preconciliare.
Ma oltre all’aspetto «comunicativo» della sinodalità, per lui l’essenza dell’attuale pontificato risiede nell’armonizzazione realizzata dall’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia sull’amore nella famiglia. C’era un contrasto: il Concilio Vaticano II aveva adottato una ecclesiologia liberale (ecumenismo, libertà religiosa), ma San Paolo VI, con la lettera enciclica Humane vitae, aveva mantenuto una morale coniugale all’antica. L’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia ha cancellato questo divario, aprendo anche la morale a una visione liberale. Si noti che il card. Pietro Parolin ha santificato questa apertura facendo iscrivere, il 7 giugno 2017, negli Acta Apostolicae Sedis, come «magistero autentico», l’elogio rivolto dal Papa ai vescovi argentini per la loro interpretazione ultraliberale dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia.
Questa difesa della nuova lex credendi nella sua pienezza si manifesta, come è giusto che sia, attraverso una difesa della nuova lex orandi, la liturgia riformata in seguito al Concilio Vaticano II. Il card. Pietro Parolin ha svolto un ruolo chiave, in qualità di Segretario di Stato, nell’elaborazione della lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. Si ricorda che il primo atto era stato l’indagine organizzata dalla Congregazione per la dottrina della fede, in data 7 marzo 2020, presso i Vescovi di tutto il mondo, volta a fare il punto sull’applicazione della lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum. I risultati potevano certamente essere interpretati come un’approvazione della lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum, ma era prevista la sua abrogazione. Durante le assemblee della Congregazione per la dottrina della fede che ne discussero, intervennero personaggi molto ostili all’usus antiquior, come il card. Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il clero, il molto virulento card. Marc Armand Ouellet P.S.S., Prefetto della Congregazione per i vescovi, il card. Giuseppe Versaldi, Prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica (degli istituti di studi), e il card. Parolin, che avrebbe detto in una di queste sessioni, giocando sul nome di «Messa di sempre» che a volte viene dato alla Santa Messa tradizionale: «Dobbiamo porre fine a questa Messa per sempre!».
Un’opportuna rifocalizzazione
Ai membri della prima sessione della 16ª assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi (il cosiddetto «Sinodo sulla sinodalità») di ottobre 2023 era stata imposta una grande discrezione. Ma si sa che il card. Pietro Parolin aveva fatto un intervento descritto come «molto forte» e «molto franco», che aveva colpito molto i presenti, ma senza che il suo contenuto fosse divulgato. Avrebbe «difeso la dottrina» che deve essere posta al centro della sinodalità. Il giornalista Andrea Gagliarducci ironizzava sul quotidiano Il Foglio del 20 ottobre 2023: «È tuttavia improbabile che il card. Parolin abbia parlato come un guerriero». Sembra plausibile che abbia tenuto un discorso di riorientamento, in armonia con il pensiero di papa Francesco, che vuole marcare la sua distanza dal Synodale Weg [Cammino sinodale tedesco: N.d.T.]. Si può anche intendere la pesante macchina sinodale romana come un processo di transazione tra Roma e la Chiesa di Germania, o meglio tra i bergogliani «esagerati» (card. Jean-Claude Hollerich S.I.) vicini alla Germania, e i bergogliani «realisti» (card. Pietro Parolin), questi ultimi che esprimono il pensiero del Sommo Pontefice.
Inoltre, questo discorso si è rivelato essere una preparazione delle menti alla pubblicazione di una lettera indirizzata il 23 ottobre 2023 dal Segretario di Stato alla signorina Beate Gilles, Segretaria generale della Deutsche Bischofskonferenz [Conferenza episcopale tedesca: N.d.T.], in cui ricordava che la dottrina della Chiesa riserva la ordinazione sacerdotale agli uomini e che, senza giudicare la responsabilità soggettiva degli interessati, la moralità oggettiva dei rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso è stata «valutata […] in modo preciso e certo».
In sostanza, il card. Pietro Parolin offre la versione istituzionale del bergoglismo, quella di un’apertura il più ampia possibile senza mettere troppo a rischio l’istituzione. Il giornalista Iacopo Scaramuzzi sul quotidiano La Repubblica del 25 ottobre 2023 ha classificato i Cardinali importanti, tra cui i papabili, in cinque gruppi. Se si lasciano da parte gli outsider, provenienti da paesi lontani e spesso indefinibili, rimangono quattro gruppi ben caratterizzati:
- i bergogliani di ferro, i bergogliani più «avanzati» (card. Luis Antonio Gokim Tagle, card. Jean-Claude Hollerich S.I.);
- i bergogliani dell’«asse istituzionale», più realisti, tra cui il card. Pietro Parolin (con card. Marc Armand Ouellet P.S.S., card. Arthur Roche). A nostro avviso, bisognerebbe aggiungere il card. Giovanni Angelo Becciu, la cui clientela rimane importante e che è né più né meno «a sinistra» del card. Parolin;
- i Cardinali che si potrebbero definire liberali di centro-sinistra (il giornalista Iacopo Scaramuzzi li definisce «mediterranei»), come il card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna, il card. Jean-Marc Noël Aveline, Arcivescovo metropolita di Marsiglia;
- i conservatori (card. Péter Erdő, Arcivescovo metropolita di Esztergom-Budapest, card. Robert Sarah, card. Gerhard Ludwig Müller, card. Raymond Leo Burke, l’olandese card. Willem Jacobus Eijk, l’americano card. Timothy Michael Dolan).
Se oggi si procedesse alla pesatura delle voci, dove si fermerebbe la lancetta della bilancia? Nessuno potrebbe dirlo. Ma dopo l’autoritarismo bulldozer dell’attuale pontificato, la meticolosa professionalità del card. Pietro Parolin potrebbe essere considerata accettabile da coorti di Cardinali alla ricerca di un papabile aperto, ma che presenti, a loro avviso, il minimo rischio. In altre parole, presentando il massimo rischio per la Chiesa.
Fate davvero ridere. Tra le altre cose, l'aggettivo ecumenico non è una novità introdotta dal nulla per qualificare il Concilio Vaticano II, anche se la vostra ossessione vi porta sempre lì: ad esempio, fu qualificato ecumenico il Vaticano I da Pio IX nella bolla d'indizione, e si auto-qualificò ecumenico il Concilio di Trento, nel Decretum de symbolo fidei del 4 febbraio 1546. Ma voi dovete per forza vedere del marchio in qualunque cosa che riguardi il Vaticano II, per cui se lo hanno chiamato ecumenico ci dev'essere sotto qualche losco motivo: fate davvero pena, poi fingete di stupirvi che le autorità vogliano giustamente spazzarvi via.
RispondiEliminaMa scusi: mica lo abbiamo scritto noi l'articolo... Si calmi che cmq meglio far ridere che pena...
EliminaGli italiani non saranno mai eletti, la neochiesa lo vede come un tornare indietro!!
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