Grazie a Franca Giansoldati per questa analisi sulle dinamiche del Conclave.
QUI Il Fatto Quotidiano: "La solitudine del Papa del popolo: il cordone di sicurezza al Gemelli, le analisi “senza nome”, i vescovi respinti".
Luigi C.
Franca Giansoldati, Il Messaggero, 5-3-25
Quell’attitudine radicata che da secoli induce i cardinali a guardarsi attorno pensando al bene della Chiesa per il futuro è già stata avviata. E in modo trasversale. Sono le fisiologiche “primarie” per il Conclave. Un po’ come fanno i giocatori di scacchi che analizzano tutti gli scenari possibili per la prossima mossa. «Quel che vedo è un normale dibattito e, francamente, non vi è nulla di irrispettoso nei confronti del Pontefice regnante. È sempre accaduto. Ed è indice di grande responsabilità che abbiano iniziato a ragionarne ora». Gian Maria Vian, storico e filologo, docente per trent’anni alla Sapienza e per 11 direttore dell’Osservatore Romano, scansiona questo tempo sospeso, segnato dal ricovero prolungato del Papa, benché stia pienamente governando dall’ospedale. Ma in dodici anni di regno il Collegio cardinalizio è radicalmente cambiato, è stato mondializzato all’estremo tanto che Bergoglio stesso un giorno, parlando coi giornalisti, ci scherzò su chiedendosi cosa potrebbe un giorno uscire con un corpo elettorale così tanto anomalo rispetto al passato. I membri votanti non sono mai stati tanto numerosi – 137 – e tra loro nemmeno si conoscono bene. «Con Giovanni Paolo II, per esempio, si ebbero consultazioni almeno dieci anni prima la sua morte. Non c’è nulla di scandaloso. Anzi, i cardinali sono tenuti a farlo, poiché il loro compito principale è di dare un vescovo a Roma e dunque un Papa alla Chiesa». L’ultimo libro pubblicato da Vian con un titolo curioso, quasi provocatorio (“L’ultimo Papa”, Marcianum Press), si rifà a un’intervista di Benedetto XVI e a una profezia, quella attribuita a san Malachia, monaco amico di San Bernardo, secondo la quale Ratzinger sarebbe stato l’ultimo dei Pontefici. Siamo attorno alla metà del ‘200. «In quella conversazione Benedetto XVI smontò la profezia che era un falso fabbricato nel 1590 per sostenere un candidato riformatore da parte dei circoli di San Filippo Neri (anche se poi quel candidato non venne eletto). Gli fu poi chiesto: “ma lei si sente l’ultimo Papa?” E lui: “io non appartengo più al vecchio mondo ma il nuovo non è iniziato”. E questo naturalmente significava che anche Francesco, secondo Ratzinger, non appartiene al nuovo mondo».Da qui l’istanza che si impone ora ai cardinali su chi potrà mai essere il nuovo Papa in futuro. Da tempo i conservatori temono che Francesco voglia riformare la Costituzione apostolica “Universi dominici gregis” per abbassare il quorum e favorire, con questo escamotage, un pontefice “bergogliano” che porti avanti la sua eredità (attualmente servirebbero 91 o 92 voti, numero altissimo, due terzi dei votanti). Vian è piuttosto scettico. «La voce è circolata con insistenza anche ultimamente ma non credo lo farà. Negli ultimi nove secoli non si è mai derogato alla maggioranza dei due terzi, che oggettivamente è una norma di buon senso per non spaccare la Chiesa. L’ultima volta che accadde ebbe conseguenze nefaste». Il professore ricorda quando nel 1378 Gregorio XI, il settimo papa francese di Avignone, volle la maggioranza semplice. In parallelo riportò a Roma il papato e, «subito dopo, guarda caso, iniziò lo Scisma di Occidente. Naturalmente si intrecciarono anche altre dinamiche ma la storia insegna che non è mai saggio accontentarsi di una maggioranza semplice. Significa avere una Chiesa spaccata».
IL FUTURO
L’eredità di Francesco è complessa, fatta di tante riforme, persino criticate e di processi aperti. In futuro sarà il successore a farvi fronte. «Di irreversibile non c’è mai nulla, diverse acquisizioni verranno continuate e altre dovranno essere corrette, ma ovviamente dipenderà molto da chi sarà eletto. Al momento non vedo candidati che si impongono anche se vi è una sorta di agenda messa a fuoco dal cardinale Müller nel libro intitolato “In buona fede” (Solferino), che mi sembra la potenziale agenda del Conclave futuro». Vian non crede nemmeno vi siano dei “delfini” scontati, come il cardinale filippino Tagle o l’italiano Zuppi. «Esistono poi, a mio parere, figure più coperte, per esempio l’ungherese Erdő, l’italiano Filoni, lo svedese Arborelius, lo statunitense Prevost, e anche un secondo italiano, ma probabilmente ritenuto troppo giovane, Pizzaballa». Giovane, cioè con un lungo pontificato davanti . Che i Papi designino i propri “delfini” è fisiologico: riuscirono Pio XI con Pacelli e Giovanni XXIII con Montini. La cosa divertente è che Papa Bergoglio avrebbe già individuato il nome del suo successore. «Lo disse lui stesso in due occasioni quando gli fu chiesto se sarebbe andato a Ragusa nel 2025, e poi in Vietnam, e lui rispose: non sarò io, ma Giovanni XXIV».
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