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mercoledì 5 febbraio 2025

Più grave della crisi vocazionale è la scomparsa del sacerdozio cattolico in Francia?

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1158 pubblicata da Paix Liturgique il 4 febbraio, in cui, prendendo spunto da uno studio scientifico sui notevoli sconvolgimenti avvenuti in Francia nell’ultimo mezzo secolo, si analizza la grave crisi vocazionale francese e, con lucidità, se ne cercano le cause nello stravolgimento dell’identità stessa del mondo ecclesiastico seguita al Concilio Vaticano II.

L.V.


L’analista Jérôme Fourquet, con il suo consueto talento nel sezionare la società francese, ha recentemente pubblicato uno studio dettagliato e quantificato dei notevoli sconvolgimenti avvenuti in Francia nell’ultimo mezzo secolo. Per capire meglio questo Paese che perde colpi, questo esagono che sembra un tavolo rovesciato, il direttore del dipartimento Opinioni dell’Institut français d’opinion publique individua quattro grandi sconvolgimenti: americanizzazione, immigrazione, deindustrializzazione e… scristianizzazione (Métamorphoses françaises, Seuil, 29,90 euro) (QUI).

«La Francia, che un tempo era la “figlia primogenita della Chiesa”, è diventata in gran parte un Paese scristianizzato o nuovamente “acristiano”», scrive. Sulla rivista Le Figaro Histoire, Vincent Trémolet de Villers commenta: «Il mondo occidentale, che ha spento le stelle del cielo, bandito le ideologie, sostituito la metafisica con lo sviluppo personale, sta negando a se stesso qualsiasi destino collettivo» [QUI: N.d.T.]. Le stelle del cielo, quelle che ci fanno sperare in un futuro oltre la morte e che danno un senso alla vita, si sono spente per sempre? Scristianizzata, la Francia sta vivendo una dolorosa perdita di senso che non ha precedenti nella sua portata. Senza un faro, navigare nel buio non è solo pericoloso, è un suicidio.

Ed è proprio qui che si colloca il dramma. Secondo l’autore di L’archipel français, il mondo di Don Camillo è crollato per far posto alla «idroponica», che consiste nel far crescere le piante su un substrato neutro e inerte. È un’espressione interessante che coglie la portata del malessere missionario che grava sulle spalle del clero di oggi. «Neutro e inerte» o «sale della terra e luce del mondo» [Mt. 5, 13-14: N.d.T.]? «Per il culto dell’umanità e il futuro del pianeta» o «per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime» [SantIgnazio di Loyola: N.d.T.]? Questi due percorsi, riassunti a grandi linee, non sono così caricaturali come sembrano. Dalla grave crisi dottrinale e clericale seguita al Concilio Vaticano II, l’identità stessa del mondo ecclesiastico è stata stravolta. Senza alcuna provocazione fuori luogo, potremmo quasi essere tentati di dire che l’identità sacerdotale sta affrontando un dilemma di genere.

Pietrificati dalla crisi degli abusi, emarginati nella società, diluiti dalla sinodalità, spesso abbandonati dai loro Vescovi alla prima difficoltà (il principio di precauzione obbliga): i sacerdoti, ad intra, si chiedono o subiscono. Il dubbio e la fatalità diventano i loro compagni quotidiani. Ad extra, l’epitome del sacerdote viene gravemente intaccata. Il sacerdozio non fa più appello all’immaginazione. La letteratura e il cinema, attingendo alla realtà esemplare di una parte significativa del clero, hanno potuto offrire mons. Charles-François-Bienvenu Myriel nel libro Les Misérables di Victor-Marie Hugo, il curato Chélan nel libro Le Rouge et le Noir di Stendhal e gli instancabili Gesuiti nel film The Mission di Roland Joffé. Oggi, quando la figura del sacerdote non è ridicolmente effeminata, come nel film Qu’est-ce qu’on a fait au Bon Dieu? [in italiano, Non sposate le mie figlie!: N.d.T.] di Philippe de Chauveron, viene ufficialmente sfatata come don Henri Antoine Grouès, l’Abbé Pierre, i cui scandali sono stati pateticamente gestiti dall’organo episcopale durante la vita del fondatore.

Cosa significa essere un sacerdote nel 2025? Ha un ruolo diverso dal sacerdote del 1925, quando l’Assemblée des cardinaux et archevêques de France approvò il magistero della lettera enciclica Vehementer nos di San Pio X che condannava la secolarizzazione della società francese? O il sacerdote del 1625, anno in cui San Vincent de Paul fondò la Congregazione della missione (i Lazzaristi), nel cuore del regno di Luigi XIII? Allora come oggi, i fedeli hanno il diritto di aspettarsi dai loro sacerdoti qualcosa di più di infinite domande sulla Chiesa o sul mondo. I sacerdoti hanno innanzitutto il compito di mostrare la luce, di incendiare la terra, come il lampionaio di Le Petit Prince, di cui Antoine de Saint-Exupéry scrisse: «Questo lampionaio, diceva il Piccolo Principe a se stesso mentre continuava il suo viaggio, sarebbe disprezzato da tutti gli altri, dal re, dall’uomo vanitoso, dal bevitore, dall’uomo d’affari. Eppure è l’unico che non mi sembra ridicolo. Forse perché si preoccupa di qualcosa di diverso da sé».

Questa è certamente la vita del sacerdote: prendersi cura di qualcosa di diverso da sé. Lo stato sacerdotale si può riassumere nell’attenzione alla maggior gloria di Dio e alla salvezza delle anime. Purtroppo, la stessa autorità ecclesiastica è spesso troppo lassista – nel senso di una corda troppo allentata – per ribadire che la Chiesa, attraverso i suoi sacerdoti, è lì per offrire certezze agli uomini di questo mondo. Certezze che sono pegno di vita eterna.

A Radio Notre-Dame e al microfono di Louis d’Aufresne, per promuovere il suo ultimo libro scritto in collaborazione con padre Christian Venard (Libres propos sur l’Église, Artège, 19,90 euro) (QUI), mons. David Thomas Daniel Macaire O.P., Arcivescovo metropolita di Saint-Pierre e Fort-de-France, ha parlato «dell’isolamento, della solitudine del clero a volte…» [QUI: N.d.T.]. Se questo è purtroppo vero in molti luoghi, non è l’unica ragione della crisi del clero. C’è un problema di fondo che è più profondo, più antico e allo stesso tempo più drammatico, perché ha ripercussioni incalcolabili. L’attuale solitudine del clero non è principalmente fisica. È intellettuale, spirituale e morale. Si spiega soprattutto con la misconosciuta mancanza di comprensione da parte della maggior parte dei sacerdoti della missione che devono svolgere. Come si può affermare la santa dottrina se tutte le religioni sono uguali? Come si può praticare la carità se si accetta la carità a condizione che non si annunci Cristo? Come parlare con convinzione della vita eterna se tutti andremo in paradiso? Come articolare la nostra autorità curiale se questa è contestata da una sinodalità confusa? E, infine, come rimanere se stessi quando il discorso interno dominante ci costringe ad allinearci?

«Tutti nascono come originali ma molti muoiono come fotocopie», ha detto il Beato Carlo Acutis. Non c’è dubbio che il rinnovamento della Chiesa in Francia richiederà, da un lato, la serena ma coraggiosa fedeltà di ogni sacerdote al proprio carisma, nonostante gli ukase episcopali, le intimidazioni e persino gli abusi di potere. E, in secondo luogo, da una rinnovata consapevolezza della propria insostituibile missione: dare Dio alle anime e le anime a Dio, lontano, lontanissimo dalle irrilevanze pastorali a cui i fedeli hanno troppo spesso diritto.

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