
"La Bellezza salverà il mondo".
Luigi C.
Il Cammino dei Tre Sentieri, 9 Gennaio 2025
La Bellezza fa capire che non si è soli, ma che tutto è ordinato in un Progetto. Scrive il filosofo inglese Roger Scruton (1944-2020): “Possiamo vagare per questo mondo, alienati, risentiti, pieni di sospetto e di sfiducia. Oppure possiamo trovare la nostra casa qui, riposando in armonia con gli altri e con noi stessi (…). L’esperienza della bellezza ci guida lungo questa seconda strada: ci dice che noi siamo a casa in questo mondo, che il mondo è già ordinato nelle nostre percezioni come un luogo adatto alle nostre esistenze di esseri fatti così come noi siamo fatti”.
C’è un dato importante per capire il rapporto tra Bellezza e Progetto: è la proporzione. Non potendo fare a meno dell’elemento della proporzione, la bellezza non può essere frutto del caso, ma è sempre frutto di un pensiero ben preciso, appunto di un progetto. San Tommaso indica nella proporzione uno degli attributi della vera bellezza. E così il progetto della singola bellezza richiama il più grande Progetto che ingloba tutto.
Leggiamo da un articolo di Marina Corradi, Un orto e la sua bellezza sapiente, pubblicato sulla rivista Tempi, del luglio del 2012: “Luglio. Val Pusteria. Verrei fino a quassù soltanto per vedere gli orti. Gli orti dei piccoli paesi dell’Alto Adige, come questo, attaccato alle mura candide di una vecchia canonica di paese. Un bell’orto largo, con le fila di verdura diritte e ordinate; già, nel loro disciplinato schierarsi, germaniche. Ma splendidamente mediterraneo il rosso delle rose che si arrampicano sulla staccionata di legno; e che profumo hanno. Si sporgono tra le sbarre del recinto come collegiali dalle finestre di un convento, ansiose di sole. Verrei fino a quassù soltanto per fermarmi una volta ancora davanti a un orto come questo; e appoggiare i gomiti alla ringhiera di legno ruvido, e affondare lo sguardo in questo grembo fecondo di terra nera. Con il cuore in bilico fra l’invidia per il parroco che al mattino, dalla finestra, si affaccia su una tale meraviglia, e una femminile ammirazione per la sua perpetua, che è capace di far germogliare la terra così. Dev’essere, la perpetua una donna saggia; un’anima concreta che prima di tutto sa che occorre mangiare. E quindi la gran parte dell’orto è una geometria attenta di insalate, radicchi e lattughe; in un angolo i gonfi, generosi cavolfiori – di quelli in cui un tempo si trovavano i bambini; e bietole, e erba cipollina, e zucchine, in una generosa abbandona. Poi, io che vengo da Milano non so il nome di quelle grosse foglie turgide che si allargano al sole, né dei fiori alti – gladioli, forse? – di un profondo blu pervinca, appena ai margini della foresta di insalata. Perché la signora della canonica sa, certo, che la concretezza più grande è la bellezza; è la meraviglia di un blu sgargiante che cattura chi, distratto, passa di qui, e lo costringe a fermarsi. Sfiorato da una domanda sottovoce: ma davvero questa meraviglia può venire da un primordiale casuale incrociarsi di geni? L’architettura dei gladioli, a ben guardare in un orto di montagna, intimorisce. Così come mi rende assorta questa infinita gamma di verdi, da quello chiaro della lattuga neonata al cupo smeraldo del cespuglio di cui, naturalmente, non so il nome. (Che strana cosa però sarebbe stata la sinfonia di verdi, se non fossero nati degli uomini, a guardarli). Le rose, poi; le rose sono le più misteriose, con quel loro velluto che sembra chiuso a nascondere, in fondo, un tesoro. Queste, di un rosso arancio, ebbre di sole, somigliano a labbra carnose di giovani donne. Quelle chiare, quasi bianche, invece sono ancora chiuse, in un pudore monacale. Come rapiti ronzano attorno i calabroni, poi se ne vanno, arresi: quelle bianche, sono rose da altare. E l’alacre andirivieni di api, veloci, frenetiche, come sapessero quanto breve è, quassù, l’estate. La silenziosa fatica, sulla terra nera, di colonne di piccolissime formiche, che solo al tramonto si fermeranno – per quale antico ordine? Quante domande pone sommessamente, a bassa voce, un orto di montagna. Verrei fino a quassù solo per appoggiarmi alla staccionata; zitta, attenta a guardare”. E’ proprio vero. Non ci si pensa, ma è così. Perché esisterebbe la Bellezza se non vi fosse qualcuno che la potesse ammirare e quindi riconoscere come tale?
Dunque, l’esistenza della Bellezza presuppone un senso. La Bellezza invoca il Logos e scaturisce dal Logos. Non c’è Bellezza senza il Significato perché è il Significato che rende appagante tanto l’accaduto quanto il reale che si pone dinanzi allo sguardo e che interpella ognuno.