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venerdì 7 febbraio 2025

Conservare i sacramenti tradizionali

Vi proponiamo – nella traduzione curata dall’autore (con nostra revisione) – l’articolo di don Claude Barthe, liturgista e cappellano del Pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum, pubblicato il 28 gennaio sul sito Res Novae, in cui si esamina ed approfondisce autorevolmente l’inscindibile rapporto tra la celebrazione della Santa Messa secondo il Missale Romanum del 1962 e tutti i sacramenti celebrati con i libri liturgici in vigore nel 1962.

L.V.


I difensori della liturgia tradizionale sono oggi nella Chiesa in posizione di minoranza. Per usare il linguaggio degli strateghi, stanno combattendo la battaglia del debole contro il forte. Ma, con l’aiuto di Dio, i «deboli» beneficiano di una forza suprema, quella della causa giusta: al metro del senso della fede, voler privare il popolo cristiano della liturgia immemoriale della Chiesa romana è gravemente iniquo, dato che la liturgia tridentina appare come un vettore privilegiato del deposito della fede.

Di conseguenza – è ciò che sosterremo in questo articolo – la trasmissione di tale tesoro dottrinale e spirituale, per la sua stessa natura di partecipazione alla traditio del Buon Deposito, deve essere integrale. Oggi, invece, con la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditiones custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 assistiamo precisamente ad un’offensiva, che possiamo definire «di erosione»: la Santa Messa tradizionale viene concessa, ma sotto forma di una tolleranza che va riducendosi sempre più (vedi i divieti e le voci di divieto che colpiscono le Sante Messe tradizionali dei pellegrinaggi); ed i sacramenti tradizionali vengono rigorosamente banditi.

La relatività delle nuove leggi liturgiche nell’attuale situazione della Chiesa

Stiamo vivendo una crisi della Chiesa eccezionale, totalmente atipica ed è importante non normalizzare ciò che è anomalo. L’atto di non accogliere la Santa Messa e la liturgia che l’autorità della Chiesa ci offre come cattoliche è di per sé inconcepibile, poiché, nel fare ciò, la Chiesa agisce nel suo ambito specifico di competenza, quello dell’insegnamento e della santificazione. A meno che, nella situazione eccezionale in cui ci troviamo, coloro che detengono l’autorità promulghino leggi che non sono davvero leggi.

Infatti, i pastori della Chiesa, così come hanno emanato un insegnamento «semplicemente pastorale» al Concilio Vaticano II, hanno anche voluto un nuovo modo, più o meno informale, di intendere il culto divino: regola liturgica variabile con pochi vincoli, numerose opzioni costantemente proposte da nuovi libri, ampio spazio lasciato all’interpretazione – interpretazione di senso e interpretazione «teatrale» – da parte dei celebranti. E questo culto meno «rigido» permette anche di ammorbidire il messaggio che veicola: Messa meno chiaramente sacrificale, adorazione dell’Eucaristia meno evidente, sacerdozio ministeriale meno marcato ecc. Per dare un messaggio dottrinale debole, è stato composto un rito evanescente, che non impegna davvero. Questa misteriosa astensione da parte di coloro che possiedono l’autorità di «dire la fede» e che non la utilizzano, è il nucleo dell’oscura crisi della Chiesa nell’ultimo mezzo secolo. Tuttavia, sebbene la nuova liturgia non sia strutturata come una vera e propria legge, essa è comunque molto stringente. La nuova liturgia si impone come un’ideologia.

Tuttavia essa si è scontrata con il senso della fede. Come riporta in Histoire de la Messe interdite [La storia della Messa proibita: N.d.T.]¹ (cioè proibita nel 1969 dalla gerarchia ecclesiastica), Jean Madiran spiega come, nonostante questo divieto formale di conservare la vecchia liturgia², l’istinto della fede abbia spinto un numero crescente di preti a continuare a celebrarla per un numero crescente di fedeli. Questa non-obbedienza circa la preghiera ufficiale della Chiesa romana ed il modo di celebrare la santa Eucaristia poteva esser giustificata solo per il fatto che l’obbligo non fosse legge. Forse in quanto nocivo? Questa è la domanda posta alla Chiesa docente, che un giorno prenderà una decisione in merito. Ma ad oggi, a causa dell’attuale dimissione dell’autorità e come misura cautelare, come dicono i giuristi, è necessario agire come se questo obbligo/proibizione, obbligo del nuovo/proibizione del vecchio, non abbia vigore di legge.

Alla fine, questo è ciò che ha deciso – oseremmo dire: ha confessato – l’autorità romana responsabile di questo obbligo/proibizione. Come si sa, il «gran rifiuto» della nuova liturgia da parte di un numero considerevole di preti e di fedeli è stato legittimato da due testi successivi ispirati dal card. Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede, cui questo dossier era stato affidato da San Giovanni Paolo II, la lettera circolare Quattuor abhinc annos del 3 ottobre 1984 e la lettera apostolica in forma di motu proprio Ecclesia Dei del 2 luglio 1988, ed infine da un terzo documento promulgato dallo stesso Joseph Ratzinger divenuto Papa Benedetto XVI, la lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum del 7 luglio 2007.

«Il nuovo Ordo è stato promulgato per esser sostituito a quello vecchio», aveva detto San Paolo VI il 24 maggio 1976 nella costituzione apostolica Missale Romanum. Nonostante ciò, il card. Joseph Ratzinger/Papa Benedetto XVI non ha mai smesso di sostenere e di far sostenere l’interpretazione, secondo cui una proibizione assoluta del vecchio messale «non poteva essere giustificata né dal punto di vista giuridico, né dal punto di vista teologico»³. Di conseguenza, la lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum all’articolo 1 enunciava come evidente il fatto che il Messale tridentino non fosse mai stato abrogato. Tuttavia non forniva alcuna spiegazione a riguardo.

Questa legittimazione giuridica da parte di Papa Benedetto XVI del non-utilizzo della riforma da parte di un certo numero di Cattolici non poteva che basarsi su di una legittimazione di fondo delle ragioni del loro rifiuto. Il card. Joseph Ratzinger / Papa Benedetto XVI aveva, in effetti, sempre ammesso, anche se in minima parte, ma molto chiaramente, che la riforma liturgica non era una buona riforma. Nel 1966, in una conferenza a Münster, ove all’epoca era professore, seguita da un’altra a Bamberga, in occasione del Katholikentag (il raduno dei Cattolici tedeschi organizzato ogni due anni), aveva attaccato il «nuovo ritualismo» degli esperti di liturgia, che rimpiazzavano gli antichi usi con la fabbricazione di «forme» e di «strutture» sospette, la messa rivolta al popolo per esempio. Lo spiegò ulteriormente in La mia vita⁴, sottolineando la radicalità della decostruzione/ricostruzione: «Si è demolito il vecchio edificio per costruirne un altro».

In questo si è ricongiunto al sentimento generale dei cattolici che constatavano come tutto fosse stato stravolto, sia che fossero favorevoli sia che fossero contrari alla riforma. E, se erano contrari, lo facevano parlando di protestantizzazione: mons. Marcel Lefebvre aveva sferrato l’attacco in La messa di Lutero⁵; Julien Gracq, che proveniva da un ambiente laico, era andato in qualche modo persino oltre, constatando come il protestantesimo «sembrasse improvvisamente – accanto a questa agape spoglia e intimistica – pastoso, orchestrato, ricco»⁶.

Poi giunse il ribaltamento di linea giurisprudenziale ad opera di papa Francesco: a suo avviso, San Paolo VI aveva voluto espressamente obbligare/proibire. Ci si trova ormai di fronte a due interpretazioni opposte circa la forza vincolante della nuova liturgia da parte dei papi preposti alla sua applicazione: quella di papa Francesco nella lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditiones custodes, articolo 1: «I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II […] sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano» contro quella di Papa Benedetto XVI nella lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum, articolo 1: «il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi”». Un cardinale, di cui non faremo il nome, si è cimentato in una sintesi 50/50: «Papa Benedetto XVI ha permesso troppo; papa Francesco ha troppo proibito».

L’oscurità giuridica aumenta:
  • la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditiones custodes fa ai Vescovi una concessione eventuale e alquanto circoscritta di utilizzo del Messale Romano del 1962 e lascia intendere che vi sia l’obbligo di ricorrere ai sacramenti nuovi ed alle altre cerimonie del rito e del pontificale;
  • i responsa ad dubia su alcune disposizioni della lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditiones custodes della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti del 4 dicembre 2021 precisano che, di fatto, non è più possibile celebrare col Rituale Romano e col Pontificale Romano anteriori alla riforma del Concilio Vaticano II (cioè l’edizione tipica del Rituale Romano del 1952 e l’edizione tipica del Pontificale Romano del 1961 e 1962⁷). Non è dunque permesso conferire battesimi, cresime, ordinazioni, i sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione, benedire matrimoni, recitare l’Ufficio divino, almeno in pubblico, celebrare funerali, preparare l’acqua benedetta, benedire le case, le medaglie ecc. secondo la forma antica. Anche se, curiosamente, il Vescovo può accordare la licenza di utilizzare il rito proibito alle parrocchie personali erette per celebrare la liturgia tradizionale, ma non il Pontificale Romano⁸;
  • inoltre, un decreto pubblicato l’11 febbraio 2022 consente ai membri della Fraternità sacerdotale di San Pietro «di amministrare i sacramenti e gli altri riti sacri e di compiere l’Ufficio Divino, secondo le edizioni tipiche dei libri liturgici in vigore nell’anno 1962, vale a dire il Messale Romano, il Rituale Romano, il Pontificale Romano ed il Breviario Romano». Il decreto precisa che essi possono avvalersi di questa facoltà «nelle chiese e negli oratori propri; al di fuori, vi ricorreranno solo previo consenso dell’Ordinario del luogo».

Finché non arriverà un altro ribaltone giurisprudenziale a spiegarci che il Rituale Romano ed il Pontificale Romano tradizionali non sono mai stati abrogati.

Ragioni per le quali bisogna attenerci ai sacramenti tradizionali

1 – La nuova liturgia non è divisibile: o la si prende o la si rifiuta nella sua interezza

La riforma liturgica è un blocco, per usare le parole di Gerorges Clémenceau a proposito di un’altra rivoluzione, e si concepisce come tale. Dal loro stesso punto di vista, quel che propongono le disposizioni attuali, che distinguono Messa e Sacramenti, è inconcepibile. È certo che la riforma del Messale Romano rappresenta l’atto più importante della riforma liturgica, ma l’intento di quest’ultima è globale. Tutti i libri sono stati modificati, e sempre in profondità. Il carattere totalizzante della riforma liturgica postconciliare è chiaro nella volontà di mostrare attraverso di essa un nuovo volto della Chiesa, trasformando l’intero culto romano per offrire una lex orandi più accessibile agli uomini del nostro tempo (specialmente smussando l’espressione dei dogmi duri, tanto nella Messa come sacrificio propiziatorio quanto nel battesimo come lotta contro il demonio ed il peccato originale, ecc.).

Poiché le celebrazioni degli altri sacramenti sono atti meno importanti della celebrazione dell’Eucaristia, non vi si fa caso nella stessa misura. Resta il fatto che è l’insieme del mondo della liturgia tridentina ad esser stato liquidato. In realtà, la nuova liturgia costituisce un mondo altro. Anche se la lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum parla di «forme» diverse del rito romano, si tratta in effetti di due riti distinti, ma non nel modo in cui i riti orientali sono distinti dal rito romano: il nuovo rito intende sostituire il vecchio come un tutto soppianta un altro tutto. Infatti, nella liturgia tutte le parti si tengono insieme e si rispondono a vicenda attorno al centro, l’Eucaristia, e tutti gli altri sacramenti vi sono ordinati. Il Messale antico o il Messale riformato sono così i rispettivi cuori dell’antica e della nuova liturgia. Chi si rifiuta di celebrare la nuova Eucaristia sarebbe incoerente se accettasse i nuovi sacramenti.

È proprio questa unità intrinseca ad esser evidenziata dal primo testo che riconosce la legittimità delle antiche celebrazioni, la lettera circolare Quattuor abhinc annos, la quale vietava di mescolare le due liturgie: «deve essere evitata ogni mescolanza tra i testi ed i riti dei due Messali». Certo, nel 2007, nella lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, Papa Benedetto XVI diceva, al contrario, che «le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda». Ma questo «arricchimento», questa mescolanza, che si riduceva, per il vecchio Messale, all’eventuale inserimento di nuovi santi e di nuovi prefazi, presentava un carattere sovversivo per il nuovo. Per il Messale di San Paolo VI, le possibilità di arricchimento erano tanto ampie quanto vaghe e «potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso».

2 – La liturgia antica forma un insieme coerente: se si usa il Messale antico, bisogna utilizzare anche gli altri libri

Se la nuova liturgia rappresenta un blocco, la liturgia antica è un insieme coerente che a sua volta non patisce alcuna dissociazione.

Storicamente, mons. Marcel François Lefebvre, dopo qualche esitazione, aveva scelto per il suo Séminaire international Saint-Pie X di Écône di adottare le ultime edizioni tipiche del Messale tridentino, del Breviario tridentino e del Pontificale tridentino, del 1961 e 1962, sia per ragioni di convenienza (si potevano trovare numerosi libri invenduti) che di logica: questi libri contenevano la liturgia romana nello stato immediatamente precedente la riforma, iniziata nel 1964.

A questo proposito, si parla a torto del «Messale del 1962». È più corretto parlare dell’ultima edizione tipica del Messale tridentino. Inoltre, il Messale successivo, il primo della riforma, quello pubblicato dalla Congregazione dei Riti il 27 gennaio 1965, pur contenendo ancora l’Offertorio ed il Canone romano e molti altri testi antichi, cessa di contenere nelle sue prime pagine la costituzione apostolica Quo primum tempore di promulgazione del Messale tridentino.

Va notato in merito un dettaglio curioso: alle edizioni tipiche seguono le edizioni juxta typicam. L’ultima juxta typicam dell’edizione del 1962 (che comprende l’aggiunta della menzione di san Giuseppe al Canone della Messa) è del primo gennaio 1964, tre settimane prima della lettera apostolica motu proprio Sacram liturgiam del 25 gennaio 1964 con cui San Paolo VI avviò la riforma, istituendo una commissione ad hoc, il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia. Il primo Messale di San Paolo VI è quindi un Messale tridentino…

In linea con questa decisione di mons. Marcel François Lefebvre, la liturgia celebrata dai sacerdoti tradizionali si basava generalmente sulle principali edizioni tipiche in vigore nel 1962 ossia:
  • quella del Messale Romano del 23 giugno 1962;
  • quella del Pontificale Romano del 13 aprile 1961 per la seconda parte e del 28 febbraio 1962 per la prima parte, la terza parte e l’appendice;
  • quella del Breviario Romano del 4 febbraio 1961;
  • quella del Rituale Romano del 25 gennaio 1952;
  • quella del Martirologio Romano del 1914 (con le ultime variationes del 26 luglio 1960);
  • quella del Cerimoniale dei Vescovi del 1886.

Naturalmente, a partire dal 1984, le decisioni ispirate dal card. Joseph Aloisisus Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede, avallarono tale regola informale, che era la più diffusa tra coloro che utilizzavano la liturgia antica: la lettera circolare Quattuor abhinc annos dava ai Vescovi la facoltà «di poter celebrare la Santa Messa utilizzando il Messale Romano secondo l’edizione del 1962». Per gli altri libri, ci si attenne a questa regola dello «stato 1962», antecedente la riforma, che venne definitivamente ratificata dalla lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum (articolo 9) e dall’istruzione Universæ Ecclesiæ sulla sua applicazione (articolo 28).

3 – In situazione di minoranza, coloro che ricorrono al rito tradizionale non possono permettersi di scendere a compromessi

Abbiamo accennato all’inizio a questa situazione di minoranza, che riesce a far valere le sue ragioni tanto più in quanto la sua causa fa il paio con l’essenza della trasmissione del deposito della fede, riassunta nel concetto di tradizione. Infatti, in questa battaglia teoricamente impari, gli «antichi» beneficiano della cattiva coscienza dei «moderni» e del loro diffuso sentimento d’illegittimità.

Ma gli «antichi» non detengono in alcun modo le redini del potere. E tale stato di cose comporta degli oneri: qualsiasi negoziazione delle loro posizioni, qualsiasi concessione è per loro, nelle attuali condizioni, estremamente pericoloso. E pericoloso per tutti coloro che utilizzano la liturgia tradizionale, come sottolineeremo a proposito delle esigenze del bene comune.

D’altra parte, quando questa liturgia avrà riconquistato il suo posto, sia nella Chiesa intera sia in alcune delle sue parti, sarà certamente opportuna una certa tolleranza che disponga coloro che utilizzano la nuova liturgia ad un processo di transizione perché essi possano far propria più facilmente, per gradi, la liturgia antica – processo che viene definito come «riforma della riforma».

4 – La proposta di celebrare i nuovi riti in latino è un depistaggio

Ai preti ed ai fedeli legati al rito tradizionale vengono spesso proposti i nuovi sacramenti, ma celebrati in latino, a mo’ di consolazione.

Certo, la lingua latina, alquanto insolita nella nuova liturgia, garantisce di per sé una certa dignità nello svolgimento del rito. Senza avere l’intensità propria del rovesciamento dell’altare verso il Signore, possiamo ammettere che essa comporti una certa tradizionalizzazione del nuovo rito sacramentale.

Tuttavia, questo uso del latino resta un depistaggio, poiché è evidentemente il nuovo contenuto a fare difficoltà. Rappresenta addirittura un tranello nella misura in cui accredita il fatto che la richiesta di una liturgia antica sia prima di tutto una questione di sensibilità estetica, in cui il latino gioca un ruolo importante.

Padre Jean-Paul Maisonneuve in un articolo di Catholica intitolato La messe de l’avenir riporta una proposta spesso avanzata, ai tempi dell’imposizione del Novus Ordo, dai difensori del Vetus Ordo, Jean Madiran, Louis Salleron e lo stesso mons. Marcel François Lefebvre: «Preferiremmo la Santa Messa tradizionale in francese piuttosto di quella nuova in latino». Padre Maisonneuve commenta: «Ci viene proposta, in effetti, oggi come allora, le celebrazione del Novus Ordo Missae in latino, ma questo non ci interessa, poiché è il contenuto del Novus Ordo Missae che rifiutiamo; d’altro canto, accetteremmo che ci venisse permesso il Vetus Ordo Missae con ampie parti in vernacolo, a condizione che questo non fosse un pretesto per sradicare in definitiva il latino, come il canto gregoriano». Del resto, osserva Jean-Paul Maisonneuve, «il latino non è mai stato una lingua morta, oggi meno che mai, e spesso non lo è in seno a spazi culturali indipendenti della Chiesa».

Ciò è tanto più vero per i sacramenti in quanto la lingua volgare è stata introdotta da molto tempo nella loro celebrazione tradizionale. Così testimonia il Rituale latino-francese autorizzato dalla Congregazione dei riti il 28 novembre 1947.

5 – Il servizio al bene comune della Chiesa esige che ciascuno compia il proprio dovere liturgico, che attiene in ultima analisi alla professione della fede

La Chiesa è un Corpo, il Corpo mistico, all’interno del quale, in più, si trova quel corpo clericale e sacerdotale, che partecipa delle sacre funzioni del Sommo Sacerdote. Affermazione che non basta professare, ma che bisogna vivere.

In questo Corpo mistico, ma anche e soprattutto nei membri che afferiscono al Capo del Corpo per la loro condizione sacerdotale, l’agire virtuoso di ciascun componente e di ciascun chierico va a beneficio di tutti gli altri. E, inversamente, ogni debolezza individuale indebolisce il Corpo tutto intero. Se è dunque vero che la liturgia tradizionale nel suo insieme ed in ogni sua parte apporta in maniera eminente frutti di salvezza per le anime, è un grave dovere morale, che attiene in ultima analisi alla professione della fede, farla vivere nella sua totalità, sia per i fedeli mediante la sua richiesta, sia per i sacerdoti ed i Vescovi mediante la sua celebrazione.

Questo dovere grava in modo particolare sui sacerdoti che, per la loro storia personale o per la loro appartenenza a comunità, sono «specializzati» nella liturgia tradizionale. Essi devono opporsi a qualsiasi ingerenza su ciò che è tradizionale. Così facendo, aiutano con vigore i preti di parrocchia, che celebrano, talvolta con grandi difficoltà, Messa e sacramenti tradizionali.

Note:

¹ Jean Madiran, Histoire de la Messe interdite, Via Romana, 2 fascicoli, 2007, 2009.

² La costituzione apostolica Missale Romanum prevedeva che il nuovo Messale divenisse obbligatorio a partire dal 30 novembre 1969 dopo l’approvazione delle traduzioni. Una nota del 14 giugno 1971 della Congregazione per il culto divino lo confermava e specificava che solo i sacerdoti anziani o malati potevano ottenere dal loro Ordinario il permesso di utilizzare il vecchio Messale.

³ Lettera del Segretario di Stato, cardinale Casaroli, del 18 marzo 1984. Si veda don Claude Barthe, Le moment Ratzinger et l’officialisation de la contestation [Il momento Ratzinger e la formalizzazione del dissenso: N.d.T.] in La Messe de Vatican II. Dossier historique [La Messa del Concilio Vaticano II. Dossier storico: N.d.T.], Via Romana, 2018, pp. 269-272.

⁴ Edizioni San Paolo, 1997.

⁵ ACCR, 2019.

⁶ Proseguiva: «Per scoprire l’attuale mutazione patita dal cattolicesimo, Huysmans rappresenta un buon banco di prova. Ciò a cui lui si è convertito è tutto ciò che la Chiesa ha appena scartato e nient’altro che questo. Si può del resto pensare che le conversioni di scrittori ed artisti stiano per farsi molto rare» (Julien Gracq, «Œuvres complètes» [«Opere complete»-NdT], Gallimard, Pléiade, II, p. 290-92).

⁷ Si definiscono edizioni tipiche quelle di riferimento edite dalla Congregazione romana per la Liturgia (già Congregazione dei riti, oggi Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti) e pubblicate come tali per decreto. Dopo le prime edizioni dei libri liturgici tridentini, sono state pubblicate anche successive edizioni tipiche, che tenevano conto di chiarimenti e modifiche (in particolare a causa dell’aggiunta di feste di nuovi santi nel breviario e nel messale).

⁸ I sacramenti, di cui tratta il Rituale Romano tradizionale, sono, oltre alla comunione eucaristica, il battesimo, la cresima quando amministrata da un sacerdote, la confessione, l’estrema unzione ed il matrimonio. I sacramenti di cui tratta il Pontificale Romano sono (oltre al battesimo ed al matrimonio conferiti da un Vescovo) le cresime e le ordinazioni.

⁹ Catholica, estate-autunno 2023, pp. 81-84.

1 commento:

  1. Mi interrogo se sia corretto, senza avvisarne esplicitamente il lettore, aggiungere "san" davanti ai Papi Paolo VI, Giovanni Paolo II, ecc. Questa non è una modifica della traduzione, è proprio una modifica dell'intentio auctoris, dato che nel testo francese e nella traduzione italiana originale non c'è il "san", e non è ovviamente una dimenticanza dell'abbé Barthe. Spero vogliate pubblicare questo commento.

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