Riceviamo e pubblichiamo.
Grazie a Gaetano Masciullo per questa utile analisi sugli Ordini Minori.
QUI il video.
Luigi C.
23-1-25
Questa è la traduzione italiana dell’articolo pubblicato su The Remnant Newspaper, 21 gennaio 2025.
Stiamo raggiungendo la fine di un clero tutto maschile nella Chiesa cattolica? Papa Francesco ha mascherato la fase 1 di questo cambiamento, rompendo con 2000 anni di precedenti della Chiesa. Papa Francesco, alla fine del recente Sinodo sulla Sinodalità, ha dichiarato che “i tempi non sono ancora maturi” per il diaconato femminile. Questa dichiarazione, lungi dall’essere una chiusura definitiva, sembra piuttosto indicare un percorso da sviluppare gradualmente: spostare il dibattito pubblico verso posizioni inizialmente impensabili fino a renderle accettabili.
Il motu proprio Spiritus Domini di Papa Francesco, promulgato quattro anni fa circa, il 10 gennaio 2021, aveva introdotto una piccola ma significativa modifica al Codice di Diritto Canonico, estendendo i ministeri del lettorato e dell’accolitato anche alle donne. Questa decisione, che riforma una tradizione bimillenaria, non ha ricevuto molta eco né suscitato reazioni o analisi significative da parte del mondo cattolico tradizionale. Ritengo però che sia utile ritornarvi oggi, all’indomani della chiusura dell’ultima sessione del Sinodo sulla sinodalità (27 ottobre 2024), per provare a comprenderne appieno la sua portata e le sue implicazioni, forse persino le sue intenzioni recondite, e per far ciò occorre analizzarne il contenuto, il contesto storico e teologico, infine le sue possibili conseguenze per la vita della Chiesa.
Il documento si fonda su un ragionamento ben preciso. Si parte dal considerare l’azione dello Spirito Santo, il quale dona a tutti i fedeli, uomini e donne, i carismi necessari per contribuire alla crescita della Chiesa e alla diffusione del Vangelo. Mentre i ministeri ordinati (vescovi, presbiteri, diaconi) sono detti tali perché si fondano sul sacramento dell’Ordine e ne esercitano gli uffici, i ministeri minori, che ora vengono significativamente chiamati “ministeri laicali”, si fonderebbero non sul sacramento dell’Ordine, ma sul Battesimo. Papa Francesco sostiene che, negli anni precedenti alla promulgazione del motu proprio, sarebbe stata sviluppata una dottrina (sarebbe interessante comprendere da parte di chi) che distinguerebbe in maniera netta e definitiva la causa efficiente dei ministeri laicali da quella dei ministeri ordinati. Nei primi, la causa efficiente sarebbe appunto il Battesimo; nei secondi, l’Ordine. Questa distinta causalità sacramentale renderebbe i ministeri ordinati e i ministeri laicali non solo distinti, ma persino indipendenti l’uno dall’altro quanto alla loro natura, anche se connessi dal punto di vista della funzionalità, nel senso che i secondi rimangono funzionali ai primi. I ministeri laicali sono “al servizio” dei diaconi, dei sacerdoti e dei vescovi. Coerentemente, questa distinzione, se accolta, non può che aprire la strada alla conferibilità dei ministeri minori anche alle donne, come Francesco ha effettivamente fatto con la pubblicazione di questo motu proprio. Cosa abbastanza interessante, secondo quanto scritto da Francesco, questa differenza della causa efficiente dei ministeri sarebbe “implicitamente” presente nel can. 230 § 2, ma evidentemente solo perché non si specifica l’esclusività maschile: “I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche; così pure tutti i laici possono esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre ancora a norma del diritto”. Ciononostante, questo canone si riferisce agli incarichi a tempo e a quelli che da sempre esulano dai ministeri minori. Non è chiaro dove sarebbe, dunque, il collegamento implicito.
Seguendo questo ragionamento, Francesco ha ritenuto opportuno approvare la nuova versione del can. 230 § 1. Nella sua vecchia versione, così si leggeva: “I laici di sesso maschile, che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti”. La versione aggiornata di questo canone rimuove la specifica “di sesso maschile” (la cui presenza dimostra però che il Diritto non intendeva fare alcuna allusione implicita contro l’esclusività maschile, almeno circa questo canone). Naturalmente, il Papa conclude il documento citando la propria autorità, affermando: “ordino che [quanto qui decretato] abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di speciale menzione”.
Dal punto di vista teologico, tuttavia, il ragionamento di Francesco (che, in realtà, come vedremo, era stato già preparato nelle sue premesse dalla riforma degli ordini minori di Paolo VI) presenta delle criticità. La Tradizione della Chiesa, confermata dal magistero perenne (come vedremo in analisi tra poco, anche se sinteticamente), ha per secoli insegnato che i ministeri minori hanno sì la propria causa efficiente nel Battesimo, ma allo stesso tempo avevano come propria causa finale proprio il sacramento dell’Ordine. In altre parole, da sempre i ministeri minori (oggi chiamati “laicali”) erano considerati tappe preparatorie verso il sacramento dell’Ordine, ma non conferivano il sacramento dell’Ordine in senso stretto, e in questo senso analogico tali ministeri sono sempre stati chiamati “ordini minori”. Secondo Francesco e altri teologi neomodernisti, invece, il fine di questi ministeri è soltanto l’assistenza ai ministri ordinati.
Sappiamo che la gerarchia ecclesiastica, di diritto divino, ha carattere sacerdotale e per questo motivo si fonda sull’Ordine sacro, che è costituito di tre gradi principali: episcopato (che ne rappresenta la pienezza), presbiterato e diaconato. Questi tre gradi sono pertanto irreformabili. Nel corso dei secoli, questi tre gradi sono stati accompagnati da altri uffici, fino ad arrivare a un totale di otto ministeri, distinti così in ordini maggiori e ordini minori. Gli ordini maggiori erano quattro e, oltre ai tre di diritto divino già citati, era stato aggiunto il suddiaconato sin dal III secolo almeno. Gli ordini minori sono stati per secoli, dal più alto al più basso, i seguenti: accolitato, esorcistato, lettorato e ostiariato.
Il Concilio di Trento, nella sua XXIII Sessione (15 luglio 1563), aveva promulgato, impegnando l’infallibilità, il documento sulla Dottrina e sui Canoni riguardante il sacramento dell’Ordine. In esso si intendeva affermare la “vera dottrina cattolica sul sacramento dell’ordine” (Denz. 1763) e si insegnava che “nel sacramento dell’Ordine […] viene impresso il carattere” e che “se qualcuno afferma che tutti i cristiani, senza distinzione, sono sacerdoti del Nuovo Testamento, (…) allora costui non sembra far altro che sconvolgere la gerarchia ecclesiastica, che è come ‘schiere a vessilli spiegati’ (cfr. Ct 6,3.9); proprio come se, contrariamente a quanto insegna il beato Paolo, tutti fossero apostoli, tutti profeti, tutti evangelisti, tutti pastori, tutti dottori (cfr. 1Cor 12, 29; Ef 4, 11)” (Denz. 1767).
E ancora, Trento spiegava così il rapporto tra ordini minori e ordini maggiori: “Poiché il ministero annesso a un sacerdozio così santo è cosa divina, ne è conseguito che, per esercitarlo più degnamente e con maggiore venerazione, nell’ordinata articolazione della Chiesa vi fossero più ordini di ministri e diversi tra loro, connessi per il loro ufficio al sacerdozio, e distribuiti in modo che coloro che avessero già ricevuto la tonsura clericale arrivassero agli ordini maggiori attraverso quelli minori. […] Si sa che fin dall’inizio della Chiesa erano in uso i nomi degli ordini sottoindicati e i ministeri propri a ciascuno, e cioé: suddiacono, accolito, esorcista, lettore, ostiario, quantunque non con pari grado” (Denz. 1765). Dunque, è sempre stata dottrina ufficiale della Chiesa che gli ordini minori, pur trovando la propria causa efficiente nel sacramento del Battesimo, vedono come proprio fine e ragione d’essere il sacramento dell’Ordine, non la semplice “ancillarità” del sacerdozio.
Paolo VI, rinnovando questa secolare disciplina con il motu proprio Ministeria quaedam (1 gennaio 1973), aveva di fatto posto le premesse della riforma di Francesco, le cui implicazioni, come vedremo a breve, non sono così minime. Diceva san Tommaso d’Aquino: un piccolo errore al principio, porta a un grave errore alla fine. Nel suo documento, infatti, Paolo VI aveva, tra le altre cose, ufficialmente rinominato gli “ordini minori” in “ministeri” (p. II), così da enfatizzare anche a livello terminologico come essi “possono essere affidati anche ai laici, di modo che non siano più considerati come riservati ai candidati al sacramento dell’Ordine” (p. III). Egli aveva anche abolito il quarto ordine maggiore del suddiaconato, demandando e distribuendo quelli che erano i suoi compiti agli ordini minori (ora detti ministeri) del lettorato e dell’accolitato. Gli ordini minori dell’esorcistato e dell’ostiariato furono abrogati anch’essi, riducendo il primo a ufficio particolare per soli sacerdoti, da esercitare dietro nomina dell’ordinario e riguardante l’amministrazione di un sacramentale (l’esorcismo, appunto); e il secondo ad un ufficio generico di sorveglianza del luogo sacro, da affidare a un laico qualunque, e che non richiede necessarie competenze.
Circa il suddiacono (che un tempo rientrava tra gli ordini maggiori), questi aveva il compito di preparare l’altare e i vasi sacri, di assistere il diacono e il sacerdote durante la liturgia (ufficio che oggi si suole indicare anche con il termine di “ministrante”), portare il libro dei Vangeli durante le processioni, sorvegliare la disciplina del clero minore e dei fedeli durante le celebrazioni e aveva l’obbligo di recitare alcune parti della Liturgia delle Ore. Esso era considerato un ordine maggiore proprio perché era l’anello di congiunzione tra quelli minori e quelli maggiori propriamente detti, questi ultimi irreformabili perché di diritto divino, cioé diaconato, presbiterato ed episcopato. Era l’anello di congiunzione che portava gli aspiranti al sacerdozio verso la ricezione dell’Ordine vero e proprio, che avveniva con il conferimento del diaconato.
Pertanto, affermare che tali ministeri procedano dal Battesimo è certamente corretto dal punto di vista teologico, ma non è sufficiente per renderli indipendenti dagli ordini maggiori, dal momento che la causa finale che Francesco, e Paolo VI prima di lui, vedono per i ministeri minori è parziale rispetto a quella che la Chiesa ha da sempre indicato. A riprova di ciò, si consideri il fatto che, per secoli, con il termine ‘clero’ non si indicava soltanto l’insieme di diaconi, sacerdoti e vescovi, ma anche tutti i candidati che erano stati “approvati” dal vescovo ordinario per ricevere l’ordinazione sacerdotale, e che avevano quindi intrapreso la scalata degli ordini minori. Significativamente, questa scalata iniziava con il rito della Prima Tonsura (significativamente abolita da Paolo VI con lo stesso motu proprio), che consisteva nel taglio di cinque ciocche di capelli da parte del vescovo, simboleggiando così la rinuncia al mondo da parte dell’aspirante sacerdote. Tale “morte al mondo” è proprio una delle peculiari vocazioni del sacerdote, eminentemente rappresentata dall’uso della talare nera (anch’essa, non a caso, caduta oggi in disuso). E ancora, si consideri il fatto che, ancora oggi, nel linguaggio comune, l’accolito è spesso indicato con il termine “chierichetto”, cioé “piccolo chierico”.
La decisione di estendere i ministeri del lettorato e dell’accolitato alle donne non è un atto isolato, ma si inserisce in una strategia più ampia di progressiva normalizzazione dell’introduzione delle donne nell’ambito liturgico. A conferma di ciò, Papa Francesco, al termine del recente sinodo sulla sinodalità, aveva dichiarato che “i tempi non sono ancora maturi” per il diaconato femminile. Come a dire: la maggioranza dei fedeli ancora non è pronta ad accettarlo. Questa affermazione, lungi dall’essere una chiusura definitiva (al contrario, per esempio, di quanto aveva affermato Giovanni Paolo II), sembra piuttosto indicare un percorso da sviluppare gradualmente, secondo la tecnica della finestra di Overton: spostare il dibattito pubblico verso posizioni inizialmente impensabili fino a renderle accettabili. L’introduzione ufficiale delle donne sul presbiterio contribuisce a questa strategia. Le donne accolite e lettrici sull’altare, infatti, stanno abituando la maggioranza dei fedeli cattolici – in realtà, già da molto tempo prima della promulgazione del motu proprio di Francesco – a una presenza femminile in ruoli liturgici formali, rendendo meno impensabile il passo successivo, che vorrà essere appunto l’ammissione al diaconato (se poi questo obiettivo si raggiungerà davvero è un altro paio di maniche: personalmente lo ritengo molto improbabile).
Al di là dell’assai probabile intenzione “sinodalista” e rivoluzionaria poc’anzi espressa, c’è da considerare l’aspetto più problematico di questa decisione, ossia il suo impatto negativo sulle vocazioni sacerdotali. Il servizio all’altare, infatti, è il luogo privilegiato per il discernimento vocazionale. Non il seminario, non gli esercizi spirituali, non le direzioni, non le sedute dagli psicologi, ma l’Altare è il luogo della chiamata. Come ci insegna la Sacra Scrittura, il giovane Samuele comprese di essere chiamato dal Signore durante il servizio nel Tempio, sotto la guida del sacerdote Eli. Dopo tre chiamate, Eli capisce che è Dio a chiamare Samuele, e gli comanda di rispondere: “Parla, Signore, perché il tuo servo ascolta” (1Samuele 3, 10). Molti sacerdoti hanno scoperto la propria chiamata servendo come chierichetti, sperimentando la bellezza della liturgia e la vicinanza al Cristo Eucaristico. Tuttavia, l’introduzione delle ragazze in questo ruolo ha generato un effetto dissuasivo sui ragazzi adolescenti. Chi ha esperienza educativa sa che i giovani, in questa fase della crescita, tendono a evitare ambienti misti, e in particolare quelli in cui la presenza femminile è predominante. L’introduzione delle ragazze al servizio liturgico, infatti, e non a caso, ha portato a una diminuzione dei ragazzi coinvolti nello stesso, riducendo così ulteriormente le occasioni di discernimento vocazionale.
La modifica introdotta da Spiritus Domini non è pertanto priva di conseguenze per la vita ecclesiale. Estendendo i cosiddetti ministeri laicali (ordini minori) alle donne, si rompe con una tradizione bimillenaria che rifletteva la natura gerarchica, sacerdotale e sacramentale della Chiesa. Questo cambiamento potrebbe sembrare di poco conto, ma in realtà ha una portata simbolica e pratica significativa. La Tradizione non è una mera questione di costume, bensì l’espressione di una verità teologica: i ministeri liturgici trovano la propria ragion d’essere nell’Ordine sacro, anche quando si tratta di ordini minori. La loro separazione dall’Ordine è un passo verso una visione più funzionalista e meno sacramentale del ministero nella Chiesa. Inoltre, normalizzando la presenza femminile sull’altare, si rischia di confondere ulteriormente il ruolo specifico del sacerdozio, contribuendo a una crisi d’identità che già affligge molti fedeli. Sulle ragioni teologiche e psicologiche del motivo per cui Cristo – non la Chiesa – abbia voluto istituire un sacerdozio esclusivamente maschile, non è questa la sede adatta per approfondire. Si rimanda, per una parziale ma autorevole risposta, alla lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II (22 maggio 1994).
È fondamentale che i genitori, i sacerdoti e i vescovi riprendano piena consapevolezza della dimensione pedagogica e vocazionale dell’accolitato. Ai genitori spetta il compito di promuovere nei propri figli maschi un autentico amore per il servizio all’Altare, spiegando il significato profondo di questo ministero. I sacerdoti, quali guide spirituali, hanno il dovere di trasmettere questa consapevolezza con il loro esempio e la loro parola, educando i giovani alla sacralità del servizio liturgico. I vescovi, infine, come pastori delle diocesi, devono custodire e tutelare il rispetto per questo Santo Vivaio della vigna di Dio che è l’Altare, incoraggiando un’adeguata formazione e sensibilità. Tutti insieme, con rinnovato zelo, possono contribuire a preservare la dignità e la funzione dell’accolitato, nonostante queste direttive, forse lecite, ma certo non altrettanto convenienti, affinché l’accolitato continui a essere la testimonianza della bellezza della liturgia divina e il terreno fertile delle vocazioni.
Gaetano Masciullo