Grazie a Roberto de Mattei per questa analisi sulla elezione del presidente Donald Trump.
Catholic World Report – George Weigel: Sul cattolicesimo di Joe Biden: “…Tuttavia, questo presidente accidentale, che ha raggiunto la carica che desiderava molto tempo dopo che la sua capacità di soddisfare le richieste si era dissipata, ha arrecato gravi danni alla testimonianza pubblica cattolica negli Stati Uniti. L'ha fatto in un momento in cui il wokismo dei protestanti liberali, la bramosia di accedere al potere degli evangelici e le aggressioni secolariste si combinavano per mettere in ridicolo una seria riflessione morale nella piazza pubblica americana e le intuizioni della dottrina sociale cattolica erano estremamente necessarie”.
QUI Lorenzo Bertocchi su Il Timone.
QUI Aldo Maria Valli.
QUI Franca Giansoldati sul giudizio su Trump da parte di Mons. Schneider: «Da Trump lezione di buon senso cancellare il gender» il vescovo Schneider rompe il silenzio, «ideologia pericolosa»
Luigi C.
22-1-25
Il tono del discorso di insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca il 20 gennaio 2025 è quello di una rivincita e di una sfida. Rivincita nei confronti di quegli oppositori, anche interni al suo partito, che lo avevano dichiarato finito dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 febbraio 2020. Non a caso uno dei primi atti di governo da lui firmato è stato la grazia per i rivoltosi di quattro anni fa. Ma il suo discorso è anche una sfida verso tutti coloro, a Occidente e ad Oriente, che hanno annunciato il «declino dell’Impero americano». In Italia, ad esempio, la crisi epocale degli Stati Uniti è stata recentemente descritta dal sociologo francese Emmanuel Todd nel suo libro La sconfitta dell’Occidente (Fazi Editore, 2024) e dal giornalista americano Alan Friedmann in La fine dell’Impero americano (La Nave di Teseo, 2024), un cui capitolo è dedicato a “Trump e altre canaglie” (pp. 169-194); ma la convinzione dell’irreversibile declino americano costituisce soprattutto la base delle ambizioni geopolitiche di Vladimir Putin e di Xi Jinping, che il 21 gennaio si sono mostrati al mondo in video-collegamento per confermare la loro alleanza anti-americana.
Il filo conduttore del discorso del neo-presidente è stato quello della golden age, “l’età d’oro” che si apre per gli Stati Uniti a partire dal 20 gennaio. Il suo intervento inaugurale si è aperto con questa affermazione: «L’età dell’oro dell’America inizia proprio adesso. Da oggi in poi il nostro Paese rifiorirà e sarà nuovamente rispettato in tutto il mondo».Parole analoghe hanno chiuso, dopo venti minuti, il suo discorso:«Il futuro è nostro e la nostra età dell’oro è appena iniziata. Dio benedica l’America».
«Sono stato salvato da Dio per rendere l’America di nuovo grande»,ha esclamato anche il presidente Trump, rinnovando la fiducia nella sua missione e nel«destino manifesto dell’America». Il termine «destino manifesto» usato da Trump fu coniato nel 1845 dal giornalista John L. O’ Sullivan per giustificare l’annessione della Repubblica del Texas, sostenendo che era «destino manifesto dell’America di diffondersi sul continente». Con questo i sostenitori della democrazia jacksoniana motivarono, a metà Ottocento, l’espansione degli Stati Uniti verso le Grandi Pianure e la West Coast.
Trump ha ripreso l’idea di una “missione” americana. «Gli americani – ha detto – si sono spinti per migliaia di chilometri attraverso una terra aspra e selvaggia. Hanno attraversato deserti, scalato montagne, sfidato pericoli indicibili, conquistato il selvaggio West, messo fine alla schiavitù, salvato milioni di persone dalla tirannia, sollevato miliardi di persone dalla povertà, imbrigliato l’elettricità, diviso l’atomo, lanciato l’umanità nei cieli e messo l’universo della conoscenza umana nel palmo della mano umana. Se lavoriamo insieme, non c’è nulla che non possiamo fare e nessun sogno che non possiamo realizzare. Molti pensavano che fosse impossibile per me mettere in scena un ritorno politico così storico. Ma come vedete oggi, eccomi qui, il popolo americano ha parlato. La mia presenza davanti a voi è la prova che non bisogna mai credere che qualcosa sia impossibile da fare. In America, l’impossibile è ciò che sappiamo fare meglio». E ha aggiunto: «Perseguiremo il nostro destino manifesto verso le stelle lanciando astronauti americani per piantare le stelle e le strisce sul pianeta Marte».
Quando Trump ha pronunciato queste parole, Elon Musk non ha trattenuto il suo giubilo vedendo proclamato davanti a tutto il mondo il suo progetto visionario di popolare le stelle dell’universo. Pochi avvertono i pericoli insiti nell’utopia transumanista di Musk, a cui Trump ha affidato il dipartimento per l’efficienza del governo. La stampa progressista di tutto il mondo si è accanita invece nelle critiche alle parole e ai primi gesti di assoluto buon senso di Trump: la lotta all’immigrazione selvaggia, il rifiuto del Green New Deal e dell’ideologia woke. In una parola quella che Trump ha definito «la rivoluzione del buon senso».L’apice del buon senso di Trump è risuonato con limpida chiarezza quando ha affermato: «A partire da oggi, la politica ufficiale del governo degli Stati Uniti prevede che ci siano solo due generi, maschile e femminile».
Per quanto riguarda la politica interna, Trump ha presentato un programma dettagliato, seguito il giorno successivo da una raffica di ordini esecutivi. Per quanto riguarda invece la politica estera, il neo-presidente non ha nominato amici o nemici del suo paese, ma si è limitato ad affermare che «durante ogni singolo giorno della sua amministrazione», metterà «semplicemente l’America al primo posto». «L’America – ha affermato Trump – sarà presto più grande, più forte e molto più eccezionale che mai». Questa strategia non è stravagante, ma situa Trump all’interno di una tradizione politica e culturale, definita “eccezionalismo”, basata sulla visione idealizzata dell’America come un paese “eccezionale”, grazie alla sua evoluzione storica e alle sue particolari istituzioni politiche e religiose (Seymour Martin Lipset. American Exceptionalism: The Double-Edged Sword, W.W. Norton & Co., Inc. 1996). Tra i precursori dichiarati della posizione trumpiana, che intreccia “eccezionalismo” e “destino manifesto”, sono Andrew Jackson il settimo presidente americano (1729-1837) e William McKinley (1843–1901), il 25esimo presidente, in carica dal 4 marzo 1897 fino al suo assassinio il 14 settembre 1901. Trump ha, non a caso, annunziato che riassegnerà il nome di McKinley alla montagna più alta dell’America del Nord, ribattezzata nel 2015 da Barack Obama con il nome indigeno di Denali.
McKinley diede il colpo di grazia a ciò che restava del vecchio impero spagnolo conquistando Cuba e le Filippine. Il suo successore repubblicano Theodore Roosevelt (1901-1909) si mosse sulla stessa scia intervenendo a Porto Rico e a Panama dove rivendicò la sovranità sul canale che Jimmy Carter cedette alla Repubblica di Panama e ora è gestito in gran parte da società cinesi. Trump lo rivendica come americano, senza che questo significhi l’uso della forza militare. «Come nel 2017 – ha spiegato – costruiremo di nuovo l’esercito più forte che il mondo abbia mai visto. Misureremo il nostro successo non solo in base alle battaglie che vinceremo, ma anche in base alle guerre che concluderemo e, cosa forse più importante, alle guerre in cui non entreremo mai. La mia eredità più orgogliosa sarà quella di un pacificatore e unificatore, ecco cosa voglio essere, un pacificatore e un unificatore».
Il discorso di Trump esprime lo stesso sentimento di vigore, di rabbia e di fierezza con cui l’allora candidato alla presidenza si rialzò da terra, dopo essere stato ferito di striscio il 14 luglio 2024, ma soprattutto intercetta il desiderio di ritorno all’ordine e al buon senso della maggior parte degli americani. Oggi l’euforia di coloro che hanno votato Trump è comprensibile dopo la sua vittoria. Però esiste un’altra America che detesta i valori proposti dal nuovo presidente. Sotto questo aspetto una nuova guerra interna agli Stati Uniti è iniziata e potrebbe esplodere anche violentemente. D’altra parte “l’asse del male” composto da Cina, Russia ed Iran non è sciolto: ha trovato solo, di fronte a sé, un nemico più temibile. Cosa farà di fronte a un inevitabile duello la debole Europa, rappresentata a Washington solo da Giorgia Meloni?
Gli Stati Uniti forse non hanno bisogno dell’Europa, ma certamente l’Europa ha bisogno dell’America, assieme alla quale forma il tanto detestato Occidente, che oggi affronta un incerto e non “manifesto” destino. I quattro anni che abbiamo davanti saranno accompagnati dalla dolce e rassicurante melodia di America the Beautiful o dalle cupe note de La forza del destino? Non sbaglieremo nell’affidarci a quella “Vergine degli Angeli “che nella celebre opera di Verdi è invocata come l’infallibile protettrice degli uomini, l’unica che può mutare il loro destino.