DA ROMA GIANNI CARDINALE
«Sono onorato che papa Benedetto mi abbia scelto come nuovo arcivescovo di Colombo, la capitale della mia patria, in questo momento particolare della sua storia. Così come fui onorato quando tre anni e mezzo fa mi chiamò di nuovo qui a Roma per essere suo collaboratore nella Curia romana nel campo – che gli sta così tanto a cuore – della liturgia».
L’arcivescovo Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don ha accolto con grande serenità la nomina, pubblicata il 16 giugno, ad arcivescovo di Colombo, nello Sri Lanka. Per Ranjith infatti si tratta di un ritorno alle origini. Il 10 luglio Benedetto XVI lo ha ricevuto in udienza. Oggi prenderà possesso della diocesi: Avvenire lo ha intervistato alla vigilia della partenza per Colombo.
- Eccellenza, la nomina ad arcivescovo di Colombo avviene in un momento delicato della storia del Paese...
In effetti si è appena concluso il conflitto che per circa trent’anni ha travagliato il Paese. A causa dell’intransigenza mostrata dai ribelli e della difficoltà di trovare una soluzione accettabile da tutte e due le parti, il governo ha preso la decisione di farla finita una volta per sempre liberando i territori occupati dagli stessi ribelli tamil dal loro controllo. Il Paese era stufo di questa situazione e non poteva permettere un tipo di 'governo' parallelo illegittimo in una parte di esso. Capisco quindi l’euforia e l’orgoglio che il governo, il presidente e il Paese stesso hanno manifestato. Si è avuto la sensazione che un’epoca tragica è finita. Ma allo stesso tempo tutti capiscono che ciò non significa necessariamente una pace vera e duratura. Un conto è vincere una guerra, un altro guadagnare la vittoria dei cuori. È qui che sarà necessario un processo per ricostruire l’armonia tra le due etnie, i cingalesi e i tamil.
- Lei conosce da tempo il presidente srilankese, con cui ha un rapporto di stima reciproca...
Questo è vero, e credo che lui proprio ha bisogno dell’appoggio e della guida spirituale dei rappresentanti delle varie religioni per effettuare questo cambio culturale in modo che le varie etnie e religioni possano convivere pacificamente in una nuova società. Ci sono diversi gruppi di integralisti che non vogliono vedere nel paese una società pluriculturale. Sono abbastanza potenti ed anche bene organizzati.
- Che ruolo potrà avere la Chiesa cattolica dello Sri Lanka nel processo di pacificazione che lei auspica?
La Chiesa ha già un ruolo importante, perché è presente sia tra la maggioranza cingalese della popolazione – che è in modo predominante di religione buddista – che nella minoranza tamil – che è piuttosto di religione induista. Con questo non voglio dire che quello tra cingalesi e tamil sia un conflitto di natura religiosa, ma è indubbio che l’elemento religioso vi gioca un ruolo importante. Questa divisione costituisce una nuova sfida per le stesse religioni: la sfida di dover superare le barriere etniche. La Chiesa ci è riuscita meglio e perciò potrà essere di aiuto, forse come un ponte interetnico.
- Questo ruolo di mediazione della Chiesa cattolica è apprezzato dalle autorità civili?
Sì, il potere politico ha sempre apprezzato questo ruolo pacificatore della Chiesa cattolica.
- E da quelle religiose?
Normalmente anche i capi religiosi indù e buddisti sembrano apprezzare il nostro lavoro di pacificazione e di mediazione. Non nascondo però il fatto che esistono alcuni settori dell’intellighenzia buddista che ci guardano con sospetto. Sono gli stessi settori che da tempo propugnano la promulgazione di una legge contro le conversioni. Loro vedrebbero come fumo negli occhi un aumento di prestigio della Chiesa cattolica legato ad un nostro ruolo di mediazione tra le due etnie.
- Eccellenza, dopo tre anni e mezzo lascia l’incarico di segretario della Congregazione per il culto divino...
Rimango profondamente grato al Papa per avermi chiamato a Roma per collaborare con lui in un campo decisivo come quello della liturgia. In questi anni ho avuto la gioia di poter vivere da vicino l’azione del Papa e la sua insistenza sul rinnovamento della Chiesa intimamente connesso al rinnovamento della vita liturgica.
- Come si è trovato nel suo lavoro nella Congregazione?
Ho avuto modo di lavorare con due porporati – Francis Arinze prima e Antonio Canizares Llovera da alcuni mesi – veramente all’altezza della situazione. Ho cercato in questi pochi anni di assicurare che ci sia più dibattito e riflessione su quegli aspetti della liturgia che sfortunatamente sono stati messi ai margini ma che di fatto appartengono all’essenziale, come anche indicato nei vari scritti in materia del Papa. Per quanto riguarda il futuro poi sono certo che con il cardinale Canizares la liturgia della Chiesa è veramente in buone mani.
- E nella Curia romana?
Come è noto in tutto ho passato otto anni nel servizio della Santa Sede. Questa esperienza mi ha arricchito tanto, allargando gli orizzonti e facendomi gustare il mistero di quel legame intimo tra la Chiesa ed il Signore e la Sua azione santificatrice per mezzo di essa, spesso nel silenzio, con pazienza e nonostante le difficoltà, ostacoli e diversità di vedute umane che travolgono anche i suoi discepoli.
- Non si è pentito di alcune dichiarazioni rilasciate in passato e che sono sembrate troppo critiche nei confronti della situazione attuale della vita liturgica della Chiesa e troppo positive riguardo al mondo tradizionalista legato ai cosiddetti riti preconciliari?
Forse a volte ho usato toni un po’ forti, ma sinceramente non mi pento di quanto ho detto. La storia e il Signore mi giudicheranno.
- Dopo l’esperienza romana con quale spirito torna nel suo Paese?
Con grande speranza, perché credo che la Chiesa cattolica ha una grande missione per il futuro del mondo e dell’Asia in particolare. E in questa missione affidata a noi come Chiesa, il ruolo del Papa è fondamentale. Lui è Pietro e per noi cattolici è il vicario di Cristo. Egli rappresenta per noi il ruolo guida di Cristo stesso nella storia , la sua sollecitudine per la salvezza del mondo. È proprio per questo che i fedeli, soprattutto i più semplici vogliono tanto bene al Papa. È con questa umile certezza che torno con letizia nel mio Paese dove i cattolici amano e pregano sempre per il Papa. Sperando di poterlo accogliere se – come si sente dire – davvero deciderà di fare un viaggio pastorale in Asia.
© Copyright Avvenire, 5 agosto 2009, via Papa Ratzinger blog
«Sono onorato che papa Benedetto mi abbia scelto come nuovo arcivescovo di Colombo, la capitale della mia patria, in questo momento particolare della sua storia. Così come fui onorato quando tre anni e mezzo fa mi chiamò di nuovo qui a Roma per essere suo collaboratore nella Curia romana nel campo – che gli sta così tanto a cuore – della liturgia».
L’arcivescovo Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don ha accolto con grande serenità la nomina, pubblicata il 16 giugno, ad arcivescovo di Colombo, nello Sri Lanka. Per Ranjith infatti si tratta di un ritorno alle origini. Il 10 luglio Benedetto XVI lo ha ricevuto in udienza. Oggi prenderà possesso della diocesi: Avvenire lo ha intervistato alla vigilia della partenza per Colombo.
- Eccellenza, la nomina ad arcivescovo di Colombo avviene in un momento delicato della storia del Paese...
In effetti si è appena concluso il conflitto che per circa trent’anni ha travagliato il Paese. A causa dell’intransigenza mostrata dai ribelli e della difficoltà di trovare una soluzione accettabile da tutte e due le parti, il governo ha preso la decisione di farla finita una volta per sempre liberando i territori occupati dagli stessi ribelli tamil dal loro controllo. Il Paese era stufo di questa situazione e non poteva permettere un tipo di 'governo' parallelo illegittimo in una parte di esso. Capisco quindi l’euforia e l’orgoglio che il governo, il presidente e il Paese stesso hanno manifestato. Si è avuto la sensazione che un’epoca tragica è finita. Ma allo stesso tempo tutti capiscono che ciò non significa necessariamente una pace vera e duratura. Un conto è vincere una guerra, un altro guadagnare la vittoria dei cuori. È qui che sarà necessario un processo per ricostruire l’armonia tra le due etnie, i cingalesi e i tamil.
- Lei conosce da tempo il presidente srilankese, con cui ha un rapporto di stima reciproca...
Questo è vero, e credo che lui proprio ha bisogno dell’appoggio e della guida spirituale dei rappresentanti delle varie religioni per effettuare questo cambio culturale in modo che le varie etnie e religioni possano convivere pacificamente in una nuova società. Ci sono diversi gruppi di integralisti che non vogliono vedere nel paese una società pluriculturale. Sono abbastanza potenti ed anche bene organizzati.
- Che ruolo potrà avere la Chiesa cattolica dello Sri Lanka nel processo di pacificazione che lei auspica?
La Chiesa ha già un ruolo importante, perché è presente sia tra la maggioranza cingalese della popolazione – che è in modo predominante di religione buddista – che nella minoranza tamil – che è piuttosto di religione induista. Con questo non voglio dire che quello tra cingalesi e tamil sia un conflitto di natura religiosa, ma è indubbio che l’elemento religioso vi gioca un ruolo importante. Questa divisione costituisce una nuova sfida per le stesse religioni: la sfida di dover superare le barriere etniche. La Chiesa ci è riuscita meglio e perciò potrà essere di aiuto, forse come un ponte interetnico.
- Questo ruolo di mediazione della Chiesa cattolica è apprezzato dalle autorità civili?
Sì, il potere politico ha sempre apprezzato questo ruolo pacificatore della Chiesa cattolica.
- E da quelle religiose?
Normalmente anche i capi religiosi indù e buddisti sembrano apprezzare il nostro lavoro di pacificazione e di mediazione. Non nascondo però il fatto che esistono alcuni settori dell’intellighenzia buddista che ci guardano con sospetto. Sono gli stessi settori che da tempo propugnano la promulgazione di una legge contro le conversioni. Loro vedrebbero come fumo negli occhi un aumento di prestigio della Chiesa cattolica legato ad un nostro ruolo di mediazione tra le due etnie.
- Eccellenza, dopo tre anni e mezzo lascia l’incarico di segretario della Congregazione per il culto divino...
Rimango profondamente grato al Papa per avermi chiamato a Roma per collaborare con lui in un campo decisivo come quello della liturgia. In questi anni ho avuto la gioia di poter vivere da vicino l’azione del Papa e la sua insistenza sul rinnovamento della Chiesa intimamente connesso al rinnovamento della vita liturgica.
- Come si è trovato nel suo lavoro nella Congregazione?
Ho avuto modo di lavorare con due porporati – Francis Arinze prima e Antonio Canizares Llovera da alcuni mesi – veramente all’altezza della situazione. Ho cercato in questi pochi anni di assicurare che ci sia più dibattito e riflessione su quegli aspetti della liturgia che sfortunatamente sono stati messi ai margini ma che di fatto appartengono all’essenziale, come anche indicato nei vari scritti in materia del Papa. Per quanto riguarda il futuro poi sono certo che con il cardinale Canizares la liturgia della Chiesa è veramente in buone mani.
- E nella Curia romana?
Come è noto in tutto ho passato otto anni nel servizio della Santa Sede. Questa esperienza mi ha arricchito tanto, allargando gli orizzonti e facendomi gustare il mistero di quel legame intimo tra la Chiesa ed il Signore e la Sua azione santificatrice per mezzo di essa, spesso nel silenzio, con pazienza e nonostante le difficoltà, ostacoli e diversità di vedute umane che travolgono anche i suoi discepoli.
- Non si è pentito di alcune dichiarazioni rilasciate in passato e che sono sembrate troppo critiche nei confronti della situazione attuale della vita liturgica della Chiesa e troppo positive riguardo al mondo tradizionalista legato ai cosiddetti riti preconciliari?
Forse a volte ho usato toni un po’ forti, ma sinceramente non mi pento di quanto ho detto. La storia e il Signore mi giudicheranno.
- Dopo l’esperienza romana con quale spirito torna nel suo Paese?
Con grande speranza, perché credo che la Chiesa cattolica ha una grande missione per il futuro del mondo e dell’Asia in particolare. E in questa missione affidata a noi come Chiesa, il ruolo del Papa è fondamentale. Lui è Pietro e per noi cattolici è il vicario di Cristo. Egli rappresenta per noi il ruolo guida di Cristo stesso nella storia , la sua sollecitudine per la salvezza del mondo. È proprio per questo che i fedeli, soprattutto i più semplici vogliono tanto bene al Papa. È con questa umile certezza che torno con letizia nel mio Paese dove i cattolici amano e pregano sempre per il Papa. Sperando di poterlo accogliere se – come si sente dire – davvero deciderà di fare un viaggio pastorale in Asia.
© Copyright Avvenire, 5 agosto 2009, via Papa Ratzinger blog
Un prelato che non nego essere tra i miei preferiti.
RispondiEliminaMeriterebbe di diventare cardinale....
e poi...chissà...
Si è espresso in modo grossolano verso la benemerita riforma liturgica di papa Paolo VI°. Questa è una retrocessione, meritata.
RispondiEliminaNon direi che si è espresso in modo grossolano verso la riforma liturgica. La giudico una persona per bene, ma con scarsa conoscenza della liturgia.
RispondiEliminaNon si è espresso in modo grossolano, ma evangelico: Sì, sì, no, no. La riforma liturgica di Paolo VI possiamo dire che è stata grossolana, perché attuata con superficialità e incompetenza da liturgisti e non da teologi, cosicché non si è badato a sufficienza a ciò che sta dietro ogni particolare gesto, ma si è creduto che fosse solo un lavoro di ricerca storica.
RispondiEliminaLa conferma è venuta da Bugnini stesso che ha rivelato che uno scopo della riforma sarebbe stato quello di togliere di mezzo gli ostacoli che nel rito tradizionale creavano problema ai protestanti.
Bravo Ranjit, torna presto!
E di che cosa dovrebbe pentirsi Monsignor Ranjith?
RispondiEliminaChe cosa avrebbe fatto di male?
Ha non solo detto ad alta e udibile voce ciò che sempre più persone pensano ma ha dato voce e espresso l`opinione zittita di chi da anni subisce gli abusi liturgici, ha ricordato a chi l`avesse dimenticato "che cosa" è l`Eucaristia, e "che cosa" non è.
Che cosa non avrebbe dovuto dire?
Che è necessario “rinnovare una viva fede nella presenza reale di Cristo” ?
Che bisogna riflettere sulla “grave perdita di fede”, ma anche “sugli oltraggi e offese al Signore che si degna di venirci incontro volendo renderci simili a lui, affinché rispecchi in noi la santità di Dio”?
Che bisogna accogliere l`Eucaristia:
“con stupore, massima riverenza e in atteggiamento di umile adorazione”, e “assumere gesti e atteggiamenti del corpo e dello spirito che facilitano il silenzio, il raccoglimento, l'umile accettazione della nostra povertà davanti all'infinita grandezza e santità di Colui che ci viene incontro nelle specie eucaristiche diventava coerente e indispensabile”. ?
Non avrebbe dovuto dire che:
“tale prassi viene sempre meno e i responsabili non solo impongono ai fedeli di ricevere la Santissima Eucaristia in piedi, ma hanno persino eliminati tutti gli inginocchiatoi costringendo i loro fedeli a stare seduti, o in piedi, anche durante l'elevazione delle specie Eucaristiche presentate per l'adorazione”.
Non avrebbe dovuto rammentare che la prassi di ricevere la Santa Comunione in mano è stata:
RispondiElimina“introdotta abusivamente e in fretta in alcuni ambienti della Chiesa subito dopo il Concilio”, divenendo poi “regolare per tutta la Chiesa”.
Anche se è vero che “se si riceve sulla lingua, si può ricevere anche sulla mano, essendo questo organo del corpo d'uguale dignità”, non si può ignorare ciò che succede a livello mondiale riguardo a questa prassi.
E che :
“Questo gesto contribuisce ad un graduale e crescente indebolimento dell'atteggiamento di riverenza verso le sacre specie Eucaristiche” .
Non avrebbe dovuto dire che sono subentrati :
“una allarmante mancanza di raccoglimento e uno spirito di generale disattenzione”.
Che :
“Si vedono ora dei comunicandi che spesso tornano ai loro posti come se nulla di straordinario fosse accaduto. Maggiormente distratti sono i bambini e gli adolescenti. In molti casi non si nota quel senso di serietà e silenzio interiore che devono segnalare la presenza di Dio nell'anima”.
È forse colpevole di aver osato dire:
“Credo che sia arrivato il momento di valutare bene la suddetta prassi, e di rivedere e se, necessario, abbandonare quella attuale che difatti non fu indicata né nella stessa Sacrosanctum Concilium né dai Padri Conciliari, ma fu accettata dopo una introduzione abusiva in alcuni Paesi”.
“Ora, più che mai, è necessario aiutare i fedeli a rinnovare una viva fede nella presenza reale di Cristo nelle specie Eucaristiche allo scopo di rafforzare la vita stessa della Chiesa e di difenderla in mezzo alle pericolose distorsioni della fede che tale situazione continua a causare”.
Sì di che cosa deve pentirsi Monsignor Ranjith...di aver detto la verità, di aver descritto ciò che abbiamo sotto gli occhi?
Di non aver taciuto?
PS parole estratte dalla prefazione al Libro Dominus est di Monsignor Athanasius Schneider
Temo purtroppo che lo abbiano trasferito forzatamente.
RispondiEliminaTuttavia anche Mons. Canizares è un ottimo prelato
Mons. Ranjith è un grande vescovo cattolico.
RispondiEliminaNoi siamo ancora... Lungo i fiumi laggiù in Babilonia sulle rive seduti in pianto al ricordo struggente di Sion...
Gli adepti di Bugnini,novello Elagabalo,che han contribuito a demolire le mura sono ancora ai loro posti e non se ne andranno tanto presto!
Luisa ha ricordato alcune espresioni di mons. Ranjith che ritraggono il degrado della sacralità del Santo Sacrificio.
RispondiEliminaEgli ha visto, ha sofferto ed ha parlato per tutti i cattolici che ancora credono nella Messa, nella Presenza Reale, nel sacerdozio, e nello stretto legame tra Fede e Liturgia.
Dobbiamo essergli grati per il suo generoso impegno ed il paterno sostegno alle nostre istanze.
Nessuna grossolanità di giudizio, nessuna ignoranza della liturgia.
Il giudizio di pavidi anonimi e mercenari lascia il tempo che trova. Le sue esternazioni rispecchiano il pensiero e gli scritti del Pontefice.
Per quanto riguarda la Comunione sulla mano ricordiamoci che Giov. Paolo II resistette un po' ma poi cedette al fatto compiuto.
La mia impresssione è che di questo grande arcivescovo risentiremo parlare.
In tanto potrà svolgere la sua missione evangelizzatrice in Oriente, dove c'è bisogno di animi intrepidi.
non capisco il perchè , di come persone di fede ,
RispondiEliminaoneste , che pensano solo al bene delle anime , capaci
, debbano essere sbattute ai quattro venti ........
ma , C' E' una logica dietro tutto questo , se ne potrà mai avere una spiegazione , ..... ????
cose da Bisanzio !!!!!!!!!
Laicismo, secolarismo, sono irreversibili, perché vi contribuisce in primo luogo l’istituzione ecclesiastica e i fedeli stessi, sollevando muri di divisione.
RispondiEliminaCi vuole la vera povertà di spirito e non lo spirito di mormorazione o le faccende umane.
Pace e bene.
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
RispondiEliminaI commenti sui fatti di Sardegna, che sotto questo post erano off topic, sono stati spostati in sede materiae.
bravo Inopportuno, vedo che tela cavi bene con il curialese. Adesso la secolarizzazione è colpa della chiesa perché chiama le profanazioni, l'irreligione e l'apostasia con il proprio nome?
RispondiEliminaSaremmo forse noi,legati alla Tradizione, ad alzare muri di divisione o non piuttosto coloro che, anche nella chiesa, non sono più al servizio di Dio, ma di un'ideologia scientista o liberista o razionalista o liturgica? Tanto che conculcano la libertà di pregare e di conoscere ciò che il papa propone come una ricchezza. Sei anche tu uno di questi che parlano di libertà religiosa per tutte le false religioni, tranne che per i cattolici?
Caro don Gianluigi, nulla di personale, ma mi sembri un po' distratto. Se mi leggi senze nepure tanta attenzione, scoprirai che non sono tradizionalista, ma nemmeno clericale. Il clericalismo è stupido; al posto di tante autorità, io ve li avrei fatti fare tutti i vostri conciliaboli autoreferenziali ... Tanto il vero Concilio è un'altra cosa.
RispondiEliminaGrande uomo di Chiesa,fedele al Papa (somma virtù, visto l'andazzo attuale!), futuro cardinale nel prossimo Concistoro e poi chissà...
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