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sabato 21 gennaio 2023

Un pontefice riluttante: la fine dell’era Ratzinger/Benedetto XVI (di P. Lawler per Catholic Culture)

Vi proponiamo (tradotto da Sabino Paciolla) l’interessante punto di vista di Phil Lawler, saggista e giornalista, esperto di cose vaticane, sulla morte del papa emerito Benedetto XVI. L’articolo è apparso su Catholic Culture


Un pontefice riluttante: la fine dell’era Ratzinger/Benedetto XVI
di Phil Lawler, Catholic Culture del 31.1.2022)

Non voleva essere il Papa. Non voleva nemmeno essere il capo dell’ufficio dottrinale del Vaticano. Padre Joseph Ratzinger era felice di essere un teologo: leggere e pensare e pregare e scrivere sulla bellezza della fede, guidando altri a fare lo stesso.

Per almeno due volte il cardinale Ratzinger chiese a Papa Giovanni Paolo II di essere esonerato dall’incarico di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in modo da poter riprendere il suo amato lavoro di studioso e insegnante. Ma quando il santo Pontefice polacco disse che aveva bisogno di lui, come collega e alleato, il cardinale tedesco sentì il richiamo del dovere e si adeguò.

Quando Giovanni Paolo II morì e il conclave elesse il cardinale Ratzinger per sostituirlo, fui felicissimo per me e per la Chiesa in generale, ma preoccupato per lui personalmente. Il nuovo Papa sarebbe stato appesantito da questo nuovo incarico? Si sarebbe pentito di essersi visto negare, ancora una volta, l’opportunità di tornare al lavoro accademico? Poi è apparso sulla loggia di San Pietro, avvolto in un sorriso, e ho capito che non solo aveva accettato il suo nuovo ruolo; lo aveva abbracciato, aveva scelto di accoglierlo, di gioirne, perché lo considerava la volontà di Dio.

Questa è stata la storia della vita di Ratzinger/Benedetto come figura chiave del Vaticano per decenni. Lasciato a se stesso sarebbe rimasto una figura accademica. Ma la Provvidenza non lo ha abbandonato a se stesso. Ha scelto di accettare la sua vocazione piuttosto che la sua predilezione.

Mai l’immagine pubblica di un uomo importante è stata così radicalmente in contrasto con la sua reale personalità. L’uomo che è stato messo alla gogna dai media come il Panzerkardinal e il “Rottweiller di Dio” era in realtà un uomo tranquillo, mite e ritirato: di bassa statura, immancabilmente educato e deferente nel comportamento. I vecchi studenti ricordano che nei suoi seminari, quando uno studente presentava un punto di vista con cui non era d’accordo, il professor Ratzinger riassumeva l’argomentazione dello studente, di solito esprimendola in modo più convincente di quanto lo studente stesso fosse riuscito a fare, e solo allora – con gentilezza e rispetto – ne sottolineava le debolezze. Incoraggiava attivamente le opinioni diverse, per affinare le capacità critiche dei suoi studenti. L’unica cosa formidabile di lui era il suo intelletto.

Ed era formidabile. Dopo la sua morte, avvenuta questa mattina presto (il 31 dicembre, ndr), ho letto decine di articoli che descrivono Ratzinger/Benedetto come “uno dei principali teologi cattolici del suo tempo”. Questa caratterizzazione è certamente vera, nella misura in cui lo è, ma è viziata da un’insufficienza. Se è “uno dei” principali teologi cattolici del nostro tempo, chi sono gli altri della sua classe?

Prima della sua elezione a Romano Pontefice, il cardinale Ratzinger aveva prodotto un’enorme mole di lavori importanti. Profondo e prolifico, scriveva con uno stile lucido, facendo apparire semplici concetti difficili. Indossava la sua erudizione con facilità, cospargendo le sue argomentazioni di citazioni appropriate dall’Antico e dal Nuovo Testamento, da pensatori antichi e moderni, da fonti religiose e secolari, persino da opere di narrativa, di musica e di arte. Ma ancor più della sua erudizione, la sua opera era segnata dai segni di una fede profonda. Non solo conosceva la sua materia, ma era profondamente innamorato del suo soggetto, che era, invariabilmente, Dio Uno e Trino.

Leggere Lo spirito della liturgia significa sapere che l’autore non vedeva nulla di più importante nella vita dell’adorazione dell’Onnipotente. Nella sua mente (e quindi nella sua opera), la vera adorazione era la risposta naturale della fede, e la fede, a sua volta, era il partner naturale della ragione, i due lavorando insieme per illuminare la comprensione umana.

Ha spiegato magnificamente questa alleanza in un discorso tenuto alla conferenza di Comunione e Liberazione a Rimini, in Italia, nel 2002. Troppo spesso, ha osservato, il mondo secolare vede la fede religiosa come irrazionale o emotiva, come un nemico della pura ragione. “Piuttosto”, ha ribattuto, “è vero il contrario: è proprio questo il modo in cui la ragione viene liberata dall’ottusità e resa pronta ad agire”.

La ragione è resa pronta ad agire, ha spiegato il cardinale Ratzinger, quando è legata alla fede per produrre l’amore, il più bel compimento della vita umana. Vedendo la perfetta espressione dell’amore nel sacrificio di Cristo sulla Croce e riconoscendo la sua agonia, il cardinale ha continuato:


Tuttavia, nel suo Volto così sfigurato, appare la genuina, estrema bellezza: la bellezza dell’amore che va “fino in fondo”; per questo si rivela più grande della falsità e della violenza.

Era un teologo di cuore, dedito alla ricerca di quella verità e di quella bellezza che lo ispiravano. Ma anche lui fu chiamato all’azione, a rimandare (e infine ad abbandonare) il suo desiderio di una tranquilla pensione da studioso, per andare “fino in fondo”.

Spinto a ricoprire il ruolo di massimo funzionario dottrinale del Vaticano, il cardinale Ratzinger è diventato un analista incisivo dei problemi che affliggono la Chiesa nel nostro tempo. La pubblicazione del Rapporto Ratzinger fu un evento senza precedenti: la valutazione sincera degli attuali affari ecclesiastici da parte di un alto funzionario vaticano, che guardava alle difficoltà senza battere ciglio e diceva la verità senza scusarsi.

Mentre era in carica presso la Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger continuò a scrivere e a parlare frequentemente, esortando ad apprezzare meglio le profondità della fede cattolica. La sua preferenza era quella di proporre piuttosto che imporre l’ortodossia. Ma non si sottrasse al confronto con le ortodossie secolari, e così divenne – e rimane tuttora – la bete noire (la bestia nera, ndr) dell’ideologia liberale, l’incarnazione della rigida tradizione cattolica, il temibile Panzerkardinale.

La tensione tra il cardinale tedesco e i media laici non è mai stata così evidente come nei giorni successivi alla morte di Giovanni Paolo II, quando Ratzinger, ora indiscutibilmente la figura più imponente di Roma, denunciò la “dittatura del relativismo”. Mi chiedo ora, ripensando a quei giorni, se si sentisse libero di parlare con tale franchezza perché si aspettava di essere presto liberato dai suoi indesiderati doveri di polemista. Secondo la maggioranza degli osservatori del Vaticano, era troppo vecchio per essere eletto e la sua salute non era buona. Ma il conclave la pensava diversamente; i cardinali lo scelsero perché, di nuovo, chi altro avrebbero potuto scegliere?

Come Sovrano Pontefice, Benedetto XVI ha continuato a parlare, ma ha ridotto drasticamente i suoi scritti, consapevole che ora qualsiasi cosa scrivesse avrebbe potuto essere scambiata come un pronunciamento definitivo, e quindi causare confusione. (Nel sua bellissima opera in tre volumi Gesù di Nazareth ha cercato di presentare l’essenza della fede, ma si è anche premurato di scrivere che quest’opera non era un lavoro del magistero papale.

Purtroppo, governare non era il forte di Papa Benedetto. La sua più grande debolezza come manager era la tendenza a dare per scontata la buona volontà degli altri: a dare per scontato che i prelati che lo circondavano fossero onestamente dediti ai loro compiti, eseguendo volentieri le sue politiche. Aveva denunciato la “sporcizia” che corrompeva il sacerdozio, ma non vedeva – o non sapeva come sradicare – la corruzione all’interno della Curia romana. Gli scandali finanziari scuotevano il Vaticano, i promemoria trapelati mettevano in imbarazzo il papato, i subordinati si opponevano alle sue politiche. Alla fine, Papa Benedetto ha concluso che gli mancavano la forza, la resistenza e forse la risolutezza necessarie per raddrizzare la barca di Pietro. Così si è dimesso, in quello che considero l’unico grave errore del suo pontificato. La sua frustrazione era comprensibile, ma quando il pastore se ne va, i lupi cominciano a girare intorno.

Alcuni cattolici attenti alla tradizione hanno sperato, negli ultimi anni, che il Papa emerito parlasse per dissipare la confusione che il suo successore ha causato. In realtà, ho sostenuto, il Pontefice uscente era l’ultima persona che poteva intervenire nelle controversie attuali. Nell’annuncio delle sue dimissioni, aveva già promesso il suo incrollabile sostegno al suo successore, chiunque esso fosse. Scriveva occasionalmente per chiarire i propri pensieri, ma mai per sfidare quelli di Papa Francesco; era perfettamente consapevole della necessità di preservare l’unità della Chiesa.

Ma, cosa ancora più importante, Papa Benedetto aveva scelto consapevolmente, prima di lasciare il suo incarico, di mettere da parte il tipo di lavoro che lo aveva preoccupato per tanto tempo. Invece di gestire e dirigere, insegnare e guidare, ha scelto di servire la Chiesa attraverso la preghiera, lasciando tutti i problemi pratici nelle mani di Dio. Avendo rinunciato al governo della Chiesa universale, dedicò le energie che gli rimanevano a invocare l’aiuto soprannaturale. Così ha vissuto i suoi giorni non come avrebbe potuto scegliere un tempo, in una tranquilla biblioteca di Regensberg, ma come una sorta di monaco, nella residenza Mater Ecclesiae, ancora oggi racchiusa tra le mura del Vaticano.

Per decenni ha offerto il suo enorme talento al servizio della Chiesa che amava, non nel modo che avrebbe scelto lui, ma in un modo che era stato scelto per lui. Dopo quasi otto anni di potere che non ha mai voluto, ha scelto di ritirarsi, lasciando tutti i problemi terreni nelle mani di Dio. E ora, libero dai problemi terreni, è lui stesso nelle mani di Dio, per contemplare la Bellezza e la Verità che ha amato per tanto tempo. Che possa riposare in pace.

1 commento:

  1. In realtà questo è il contenuto delle prime decine di pagine del libro di Mons. Gänswein, che finora posso consigliare già solo per questo ritratto che emerge di Benedetto XVI, al di là delle rivelazioni che ci si aspettavano e sono state anticipate - ma ancora devo terminarlo.

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La Redazione