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sabato 28 gennaio 2023

Padre Uwe Lang: " L'eredità liturgica di papa Benedetto XVI" #benedettoxvi

Riprendiamo La Nuova Bussola Quotidiana,  che ha curato la traduzione e la pubblicazione di questo splendido saggio del padre oratoriano Uwe Lang sulla liturgia in Benedetto XVI.
QUI e QUI alcuni post di MiL di Padre Lang, noto per il suo volume, prefato da Joseph Ratzinger, "Rivolti al Signore. L'orientamento nella preghiera liturgica" che ha segnato una svolta nelle diatribe sull'orientamento dell'altare.
"sono convinto che le sue [di Benedetto XVI] fatiche epocali per riportare la sacra liturgia nel cuore della Chiesa, con coraggio intellettuale, profondità spirituale e con grande costo personale, hanno appena iniziato a dare frutti e dimostreranno alla cristianità la sua eredità duratura".
Luigi

18-01-2023

"Non anteporre nulla all'opera di Dio": un passo della Regola benedettina che sintetizza efficacemente l'opera teologica e liturgica di Joseph Ratzinger. In quest'ottica si colloca anche il suo impegno per superare quella "rottura" postconciliare, manifestatasi soprattutto dopo il Vaticano II, riconciliando antico e nuovo in vista dell'eterno, e ispirando un autentico nuovo movimento liturgico. Pubblichiamo uno studio di padre Uwe Michael Lang apparso originariamente in inglese su Adoremus.

Non è facile rendere giustizia all'eredità liturgica di Benedetto XVI, il cui pontificato emerge in tanti modi; e ho accolto la richiesta di Adoremus con sentimenti di gratitudine e di trepidazione. In primo luogo, sono veramente grato per gli importanti contributi di Benedetto alla vita liturgica della Chiesa, come studioso e teologo, oltre che come papa e pastore di anime. Allo stesso tempo, non posso negare un senso di apprensione, mentre mi accingevo a considerare l'impatto durevole di un Papa che ha dovuto combattere tante dolorose battaglie all'interno della Chiesa e la cui rinuncia all'ufficio petrino, nel 2013, sembra aver messo in discussione così tanto della sua realizzazione. Avendo avuto la grazia e l'onore di conoscere personalmente il compianto Joseph Ratzinger, trovo incomprensibile come un uomo di tale dolcezza, umiltà e apertura nell'ascoltare gli altri sia stato spesso accolto con anticipata ostilità dall'esterno, e con un ostruzionismo sottilmente velato dall'interno Chiesa cattolica. Eppure, sono convinto che le sue fatiche epocali per riportare la sacra liturgia nel cuore della Chiesa, con coraggio intellettuale, profondità spirituale e con grande costo personale, hanno appena iniziato a dare frutti e dimostreranno alla cristianità la sua eredità duratura.

"Dio prima di tutto"
Come ha notato Joseph Ratzinger nella sua autobiografia, il culto della Chiesa aveva plasmato la sua fede e la sua vita fin dall'infanzia (1). Sebbene la sua carriera accademica fosse incentrata sulla teologia dogmatica e fondamentale, Ratzinger considerava la teologia della liturgia centrale nella sua opera di sacerdote e studioso. Nella prefazione a Teologia della liturgia, undicesimo volume della sua raccolta di scritti (il primo ad essere pubblicato, per sua espressa volontà, nel 2008), Benedetto XVI ha richiamato l'attenzione sul fatto che il primo documento del Concilio è stata la Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium. A suo avviso, non si trattava solo di una decisione pragmatica, che sembrava opportuna nelle circostanze date; piuttosto, rifletteva il giusto ordinamento della vita e della missione della Chiesa: «L’aver cominciato dalla liturgia ci dice: “Dio prima di tutto”. Quando l'attenzione su Dio non è risoluta, tutto il resto perde il suo orientamento. Il detto della Regola di san Benedetto: “Nulla è da preferire alla liturgia” (43,3) vale in modo specifico per il monachesimo, ma come ordine di priorità vale anche per la vita della Chiesa e di ogni singolo , ciascuno nel modo che gli è proprio» (2).
Papa Benedetto ha poi ricordato un tema che ha ampiamente esplorato nei suoi scritti e nella sua predicazione: la pienezza del significato di “ortodossia”: «Può essere utile qui ricordare che nella parola “ortodossia”, la seconda metà, -doxa, non significa “idea”, ma piuttosto “gloria” (Herrlichkeit): non si tratta della giusta “idea” di Dio; si tratta piuttosto del modo giusto di glorificarlo, di rispondergli. Perché questa è la domanda fondamentale dell'uomo che comincia a comprendere correttamente se stesso: come devo incontrare Dio? Imparare così il giusto modo di adorare – l'ortodossia – è il dono per eccellenza che ci viene dato dalla fede» (3). Ecco una penetrante rielaborazione dell'antico detto, risalente al V secolo: ut legem credendi lex statuat supplicandi - la legge della preghiera stabilisca la legge della fede. In altre parole, il culto pubblico della Chiesa è espressione e testimonianza della sua fede infallibile, e deve aiutarci a comprendere in modo profondo, più che verbale, che tutte le nostre aspirazioni al bene, alla verità, alla bellezza e all'amore sono radicati e trovano il loro compimento nella realtà di Dio che tutto supera.

Punto di svolta
Come teologo, Joseph Ratzinger è rimasto fedele a questa intuizione fondamentale per tutta la sua lunga e illustre carriera. Sebbene non fosse un liturgista di formazione (un punto spesso notato dai suoi critici), ha toccato argomenti relativi al culto divino in varie pubblicazioni. Ratzinger era profondamente debitore verso i principi del Movimento Liturgico del Novecento, plasmato da figure come Romano Guardini e Joseph Pascher. Allo stesso tempo, è stata la sua preoccupazione per un autentico rinnovamento liturgico a fargli mettere in discussione aspetti della riforma postconciliare già nei suoi primi, entusiastici anni. L'acuta analisi di Ratzinger metteva in luce l'ambivalenza di un purismo liturgico che oscillava tra il revival di una presunta “età dell'oro” (sia essa precarolingia, o prenicena) e una sfrenata spinta verso la novità (4). A cadere nel dimenticatoio sono stati la crescita e lo sviluppo della liturgia nel Medioevo e nel Barocco, che ha portato una profondità e una maturità difficilmente eliminabili. È la liturgia cattolica nella sua storia organica (e talvolta tortuosa) che ha nutrito molte generazioni di cristiani, compresi i suoi più grandi santi. In particolare, Ratzinger è stato una delle poche ma rilevanti voci (insieme a Louis Bouyer, Josef Andreas Jungmann e Klaus Gamber) ad aver messo in discussione l'ampia introduzione della Messa "verso il popolo", con il conseguente riordinamento delle chiese in tutto il mondo.
Una pietra miliare nel lavoro teologico di Ratzinger sulla liturgia è stata la raccolta di saggi La festa della fede, pubblicata per la prima volta in tedesco nel 1981 (5). Tra i contributi significativi di questo libro, c'è l'argomentazione di Ratzinger secondo cui l'Ultima Cena ha sì stabilito il contenuto dogmatico dell'Eucaristia, ma non la sua forma liturgica, che doveva ancora svilupparsi. In altre parole, la Messa non è semplicemente una rievocazione dell'Ultima Cena, ma l'Ultima Cena stessa deve essere intesa come l'anticipazione, sotto il velo dei segni sacramentali, del sacrificio della Croce. Questa intuizione ha portato Ratzinger a proporre una robusta riaffermazione del carattere sacrificale della Messa: l'Eucaristia come “banchetto dei riconciliati” si integra nell'offerta di sé di Cristo, resa presente sull'altare sotto forma di rito liturgico, debitore alla sinagoga e al Tempio. In questo contesto, Ratzinger ha ribadito la sua preferenza per la celebrazione della Messa “rivolta ad oriente”, come espressione più idonea, visibile e rituale del sacrificio eucaristico.
Come Cardinale e Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (1981-2005), Ratzinger ha continuato a occuparsi di teologia della liturgia (6). L'ampia portata e il pesante fardello del suo ufficio affidatogli da Papa Giovanni Paolo II gli hanno permesso di scrivere una sola monografia: Lo spirito della liturgia, pubblicata nel 2000 (7). Questo libro è stato a dir poco rivoluzionario, e sono convinto che a tempo debito sarà visto come uno spartiacque nello studio e nella pratica della liturgia cattolica. Lo spirito della liturgia ha ispirato una nuova generazione di studiosi a guardare oltre la grande narrativa della riforma postconciliare e a riconsiderare la pienezza della tradizione liturgica. Il libro ha anche incoraggiato il clero e i fedeli ad esprimere il proprio disagio sullo stato attuale del culto cattolico, dove non tutto va bene. Per molti versi, Lo spirito della liturgia è stata una sintesi del lavoro e del pensiero di Joseph Ratzinger sull'argomento, anche se non ha aperto nuovi orizzonti quanto La festa della fede. Il contributo principale del libro potrebbe essere considerato il suo sforzo per approfondire e ampliare la nostra comprensione della "partecipazione attiva", principio che era al centro dell'appello del Concilio Vaticano II per il rinnovamento liturgico. La necessità di andare oltre l'interpretazione esteriore e superficiale di questo principio nelle riforme postconciliari è oggi ampiamente riconosciuta. Ratzinger diede a questa convinzione un solido fondamento teologico, quando scrisse in una successiva pubblicazione: «La liturgia trae la sua grandezza da ciò che è, non da ciò che noi ne facciamo…. La liturgia non è espressione della coscienza della comunità, che comunque è diffusa e mutevole. È rivelazione ricevuta nella fede e nella preghiera» (8).

Un Nuovo Movimento Liturgico
Joseph Ratzinger è vissuto e ha operato in un'epoca in cui proprio la forma e l'espressione di questa rivelazione ricevuta nella fede e nella preghiera erano diventate un argomento molto controverso nella Chiesa cattolica. Come teologo e cardinale, non si è tirato indietro dall'entrare con coraggio e lucidità in questa contesa arena. Con la sua elezione alla Sede di Pietro, il 19 aprile 2005, Benedetto XVI si è trovato nella posizione di plasmare il futuro della liturgia cattolica, una posizione che poteva affrontare solo con qualche timore, perché era fermamente convinto che un autentico rinnovamento liturgico non può avvenire semplicemente con decreti e istruzioni.
Per questo Benedetto XVI ha iniziato cautamente a trasmettere nelle sue omelie e discorsi, e in modo speciale nelle proprie celebrazioni liturgiche, l'ordine delle priorità del Concilio Vaticano II, come sua prima preoccupazione: cioè che la sacra liturgia dev’essere un riflesso della gloria di Dio – a cui siamo chiamati a partecipare soprattutto attraverso l'offerta di Cristo all'altare, quando siamo immersi nel mistero pasquale della sua passione, morte e risurrezione. Questa comunione sacramentale non è solo qualcosa che noi (la comunità riunita in un determinato luogo e tempo) facciamo, ma il dono di una realtà più grande che Cristo ha affidato a tutta la Chiesa. Poco prima della sua elezione al soglio pontificio, Ratzinger auspicava una rinnovata consapevolezza del rito liturgico come «forma condensata della tradizione vivente» (9). Ciò significava, in concreto, riconsiderare il processo di rinnovamento liturgico secondo l'ermeneutica della riforma continuità nell'interpretazione del Concilio Vaticano II, che Benedetto XVI ha proposto nel suo epocale discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 (10).
Già nelle sue Memorie del 1997, l'allora cardinale Ratzinger invocava un «nuovo movimento liturgico» che «richiamasse in vita la vera eredità del Concilio Vaticano II», un'affermazione che poi riprese in Lo spirito della liturgia. Era convinto che, nell'effettiva attuazione dei sani principi della Costituzione sulla Sacra Liturgia, erano state fatte scelte infelici. Non è stata prestata sufficiente attenzione all'articolo 23 del documento: «non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti».
In una conferenza tenuta in occasione del 40° anniversario della Sacrosanctum Concilium nel 2003, Ratzinger sostenne che era giunto il momento di una relecture – una rilettura – della costituzione conciliare. Allo scopo di superare letture semplicistiche del “concilio”, Ratzinger aveva proposto una distinzione tra due diversi livelli che attraversano ogni capitolo del documento. In primo luogo, la Sacrosanctum Concilium «sviluppa principi che riguardano in modo del tutto sostanziale e generale la natura della liturgia e della sua celebrazione» ed esprimono la massima autorità. In secondo luogo, e sulla base di questi principi, la costituzione «dà indicazioni normative per il rinnovamento pratico della liturgia romana». Per Ratzinger queste vigenti istruzioni «sono più prodotti del loro tempo che affermazioni di principio». Viene aggiunto un terzo livello con la concreta attuazione della riforma liturgica da parte del Consilium, soprattutto il rinnovato Messale Romano attuato nel 1969-1970. Sebbene queste «forme di rinnovamento liturgico stabilite dall'autorità ecclesiastica» siano vincolanti, esse «non sono semplicemente identiche al Concilio». Il quadro fissato dalle direttive generali della Sacrosanctum Concilium consente «diverse realizzazioni». Ratzinger aveva avvertito: «Quanti non ritengono che tutto in questa riforma sia andato bene e considerano molte cose riformabili o addirittura bisognose di revisione non è per questo un oppositore del “Concilio”». A distanza di quarant'anni, ha affermato che il testo della Sacrosanctum Concilium dovrebbe essere «nuovamente “contestualizzato”, cioè letto alla luce del suo influsso sulla storia recente e sulla nostra situazione attuale»(11).

“Due forme…stesso rito”
Come papa, Benedetto ha offerto un esempio fondamentale di tale rilettura, guidata dall’ermeneutica della continuità nel suo motu proprio Summorum Pontificum del 2007, eliminando le precedenti restrizioni all'uso dei libri liturgici preconciliari, che ha chiamato “Forma Straordinaria” o usus antiquior dell'unico Rito Romano. Questa ideazione non è priva di difficoltà, perché c'è un'evidente discontinuità tra le forme liturgiche preconciliari e quelle postconciliari. Tali differenze sono meno marcate quando, ad esempio, l'attuale Messale è celebrato in latino e su un altare con il sacerdote rivolto a est (ad orientem), invece che rivolto al popolo; ma le differenze permangono ancora: nelle preghiere e letture della Messa, in molti elementi rituali, e nella struttura dell'anno liturgico. Secondo la mia interpretazione, con la sua affermazione di «due forme dello stesso rito», Benedetto ha indicato il suo obiettivo di un processo lento e graduale, che doveva iniziare con il Summorum Pontificum e avrebbe potuto infine sfociare in un «arricchimento reciproco» delle due forme. Papa Francesco ha rifiutato questa visione nel suo motu proprio Traditionis Custodes del 2021, e lo status dei libri liturgici preconciliari, pur essendo ancora utilizzati con notevoli restrizioni, è tutt'altro che chiaro. Vale la pena a questo punto ricordare che lo stesso mistero pasquale si esprime in modi diversi, ma per nulla contrari o contraddittori, nel rito romano, negli altri riti occidentali e nei tanti riti orientali - eppure tutti hanno il loro posto nella Chiesa Cattolica.
Invitando ad un reciproco arricchimento, Benedetto XVI ha compiuto un passo coraggioso per superare la tendenza a “congelare” lo stato attuale della riforma postconciliare in un modo che non rende giustizia dello sviluppo organico della liturgia, e per riprendere il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio in chiave diversa (12). In un momento in cui molte questioni, un tempo ritenute risolte, vengono riaperte al dibattito, è difficile capire perché non si debbano discutere apertamente pregi e difetti della riforma liturgica postconciliare. Il rinnovamento liturgico si realizza con decisioni pratiche e prudenziali che non impegnano l'infallibilità della Chiesa in materia di fede e di morale. Il progetto del Summorum Pontificum è offerto nelle riflessioni conclusive di Ratzinger in un convegno liturgico tenutosi nell'abbazia benedettina di Fontgombault, nel 2001. In quell'occasione il cardinale aveva parlato di una “riforma della riforma”, per la quale aveva individuato tre ambiti. In primo luogo, vedeva la necessità di superare «la falsa creatività, che non è una categoria della liturgia»(13); con ciò si riferiva agli elementi ambigui dei libri liturgici postconciliari che contribuivano all'instabilità rituale – tra cui, soprattutto, le opzioni per adattare i riti a determinate circostanze, e i frequenti ad libitum (“con queste o simili parole”). Il problema fondamentale che Ratzinger aveva individuato in tali indicazioni arbitrarie non è solo di natura liturgica (interrompendo, ad esempio, il flusso da cui dipende un rituale “riuscito”), ma è problematico anche in ambito ecclesiologico: «con questa falsa creatività, che trasforma la liturgia in un esercizio di catechesi per questa specifica congregazione, vengono distrutte l'unità liturgica e l'ecclesialità della liturgia»(14). In secondo luogo, Ratzinger aveva affrontato la questione delle traduzioni liturgiche postconciliari. La questione è stata ampiamente trattata, soprattutto nel mondo anglofono, e con il pontificato di Giovanni Paolo II è iniziato un vero e proprio processo di rinnovamento. In terzo luogo, Ratzinger aveva sollevato di nuovo la questione della Messa “verso il popolo”. La sua modesta proposta era almeno quella di collocare una croce ben visibile sull'altare in modo che sia il sacerdote che il popolo avessero un comune orientamento (15).

Pastore Gentile
Benedetto XVI era profondamente consapevole che la manifesta discontinuità nella pratica rituale della Chiesa ha creato una situazione tale per cui una mera imposizione di forme liturgiche tradizionali verrebbe ampiamente percepita come un'ennesima rottura. Aprendo nuove possibilità, intendeva creare le condizioni favorevoli per uno sviluppo “organico” del rito romano, che evitasse quella discontinuità che tanto ha danneggiato il rito cattolico nel periodo postconciliare. La disposizione liturgica degli Ordinariati personali per gli ex anglicani, creata dopo la costituzione apostolica del 2009, Anglicanorum Coetibus, segue questa traiettoria. I libri rituali sotto la voce Culto Divino, in particolare il messale (2015), si conformano allo schema base del Rito Romano, ma allo stesso tempo lo arricchiscono di un “patrimonio” che in parte deriva dalla più ampia tradizione medievale (ad esempio, nei riti introduttivi e nell'offertorio), e in parte deriva da uno stile di preghiera tipicamente anglicano, opportunamente armonizzato con la dottrina cattolica. Sembra essere stata un'idea di Benedetto XVI che lo sviluppo organico debba avvenire come per osmosi, cioè per un'assimilazione costante e quasi inconsapevole della tradizione liturgica. Un elemento importante in questo processo è stato quello di dare l'esempio di pontefice nelle sue stesse celebrazioni. Elementi rituali come la collocazione di un crocifisso prominente al centro dell'altare, la distribuzione della Santa Comunione ai fedeli in ginocchio e direttamente sulla lingua, e l'uso esteso della lingua latina avevano lo scopo di stabilire un modello da imitare. Benedetto era convinto che l'autentico rinnovamento liturgico non passa attraverso istruzioni e regolamenti. La sua reticenza come legislatore – ad esempio, durante il suo pontificato non ci fu una nuova editio typica di alcun libro liturgico – potrebbe essere interpretata come un'occasione persa. Dall'altra parte, la fragilità delle decisioni legislative è stata dimostrata quando il suo immediato successore, papa Francesco, ha annullato le disposizioni del Summorum Pontificum.
Contro ogni previsione, papa Benedetto ha aperto prospettive per un rinnovamento nella continuità con la tradizione liturgica, e questi impulsi sono stati accolti soprattutto dalle giovani generazioni nella Chiesa di tutto il mondo. Questo “Nuovo Movimento Liturgico”, voluto da Joseph Ratzinger, ha il potenziale per ricucire i fili strappati del rito cattolico. La migliore testimonianza della sua eredità liturgica sarà continuare il suo lavoro con pazienza, perseveranza, gioia e gratitudine per la sua mente teologica luminosa e il suo servizio paziente al popolo di Dio.


(1) Joseph Ratzinger, Milestones: Memoirs 1927–1977, trans. Erasmo Leiva-Merikakis (San Francisco: Ignatius, 1998), 18-20.
(2) Benedict XVI, “On the Inaugural Volume of My Collected Works,” in Joseph Ratzinger, Theology of the Liturgy: The Sacramental Foundation of Christian Existence, Joseph Ratzinger Collected Works 11, ed. Michael J. Miller (San Francisco: Ignatius Press, 2014), xv-xviii, at xv.
(3) Benedict XVI, “On the Inaugural Volume of My Collected Works,” xv.
(4) Joseph Ratzinger, “Catholicism after the Council”, in The Furrow 18 (1967), 3–23, at 10.
(5) Joseph Ratzinger, The Feast of Faith: Approaches to a Theology of the Liturgy, translated by Graham Harrison (San Francisco: Ignatius Press, 1986).
(6) Joseph Ratzinger, A New Song for the Lord: Faith in Christ and Liturgy Today (New York: Crossroad, 1996).
(7) Joseph Ratzinger, The Spirit of the Liturgy, translated by John Saward (San Francisco: Ignatius Press, 2000). [Il titolo italiano è: Introduzione allo spirito della liturgia]
(8) Joseph Ratzinger, “The Theology of the Liturgy,” in Theology of the Liturgy, 541–557, at 557 (originally published in 2001). (9) Joseph Ratzinger, “The Organic Development of the Liturgy,” in Theology of the Liturgy, 589–594, at 591 (originally published in 2004).
(10) Benedict XVI, Address to the Roman Curia Offering Them His Christmas Greetings (22 December 2005); si veda anche Post-Synodal Apostolic Exhortation on the Eucharist as the Source and Summit of the Church’s Life and Mission Sacramentum Caritatis (22 February 2007), no. 3.
(11) Joseph Ratzinger, “Fortieth Anniversary of the Constitution on the Sacred Liturgy: A Look Back and a Look Forward,” in Theology of the Liturgy, 574–588, at 576 (originally published in 2003).
(12) Cf. Benedict XVI, Video Message for the Closing of the 50th International Eucharistic Congress in Dublin (17 June 2012).
(13) Joseph Ratzinger, “Assessment and Future Prospects,” in Theology of the Liturgy, 558–568, at 565 (originally published in 2003). (14) Joseph Ratzinger, “Assessment and Future Prospects,” 565.
(15) Cf. Joseph Ratzinger, “Assessment and Future Prospects,” 565–566.