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mercoledì 11 gennaio 2023

Genova. Alcuni chiarimenti da parte dell'Associazione Alberto Magno.

Pubblichiamo, come promesso, alcune spiegazioni da parte della "Associazione Alberto Magno" di Genova (gruppo stabile per la Messa tradizionale del capoluogo ligure), ai nostri chiarimenti che avevamo svolto nel nostro post.  
La foto (da qui) è quella dell'oratorio di S. Antonio abate alla marina, dove si celebra ora la S. Messa tradizionale ogni domenica e feste di precetto alle ore 9:45.

Roberto

Spett. Redazione,

ringrazio in primo luogo per la pubblicazione dell'articolo sulle vicissitudini, antiche e recenti, della S. Messa tradizionale a Genova, nonostante la sua lunghezza e tanto più ora che, dal commento introduttivo, apprendo delle Vs. forti riserve di opportunità su alcuni contenuti. Mi spiace che non mi siano state manifestate nei giorni scorsi: sarei stato ben lieto di spiegarmi meglio o di modificare il testo, così evitando oltretutto al lettore il disagio di saltare da una

pagina all'altra in cerca delle rispettive precisazioni (lo dico anche per le obiezioni su numero di protocollo e modifica al n. 2 del decreto, anticipatemi con una cortesia molto apprezzata, ma quando – mi è stato detto – l'articolo non era più modificabile).

Comincio dal secondo dei punti critici: il numero di protocollo che, osserva il commento introduttivo, in realtà era presente nel testo del decreto come da Voi pubblicato il 2 dicembre. Giusto, mi scuso per l'errore.

Perché mi sono soffermato sul numero di protocollo? Perché dovevo pur spiegare al lettore la stranezza, obiettiva, di un testo già firmato eppure ancora aperto a modifiche. In diritto italiano, questo non sarebbe possibile; lo è in diritto canonico, perché la firma non è il momento terminale della formazione dell'atto, lo è la sua promulgazione o comunicazione ufficiale. Ciò vale per la legge, tant'è vero che proprio il “Summorum Pontificum è uscito sugli “Acta Apostolicae Sedis” in una versione ritoccata rispetto a quella inizialmente diffusa dalla Sala Stampa vaticana, e vale per i decreti singolari, che acquistano efficacia giuridica solo nel momento in cui vengono “intimati” ai destinatari (cfr. can. 54). La forma normale di intimazione è la consegna del documento scritto (can. 55) o, più spesso, la sua trasmissione per posta; di qui l'importanza del protocollo, da intendersi come protocollo in uscita, che quindi dovrebbe dare atto che il documento, essendo stato avviato alla spedizione, si considera ormai definitivo.

Come giustamente mi avete fatto notare, però, il numero di protocollo era presente già nel primo testo, sicché ci troviamo di fronte a qualcosa che normalmente non sarebbe possibile: due versioni diverse di uno stesso decreto, entrambe firmate, con lo stesso numero di protocollo. Potrebbe, a questo punto, essere il protocollo della pratica (anche se non credo); ma c'è un'altra spiegazione. Nel nostro caso, come spesso avviene con i gruppi numerosi, il contenuto essenziale del provvedimento arcivescovile - nuova sede, frequenza delle celebrazioni, nome del delegato – è stato annunciato pubblicamente, a voce, da S.E. il Vescovo Ausiliare, Mons. Anselmi. Una forma simile di intimazione è prevista dal can. 55,[1] sicché la protocollazione potrebbe a buon diritto essersi riferita alla data dell'annuncio e ad un sunto del suo contenuto, p.es. quello diffuso sulla pagina web della Cancelleria il 30 novembre. Il tutto in attesa che terminasse il processo di elaborazione del testo complessivo (decreto + regolamento)... e fermo che le decisioni ulteriori avrebbero richiesto un'intimazione a sé stante, sempre ai sensi del can. 54.

Non è comunque per via del numero di protocollo che ho affermato – e confermo – che quello pubblicato non era “il testo definitivo e ufficiale”, ma per il semplice motivo che all'incontro ci è stato presentato come aperto a modifiche, che infatti sono state suggerite e concordate in quella sede.[2] Né il mio rilievo voleva essere un appunto alla Redazione, che non poteva certo saperlo alle 20:00 del 2; semmai, questo sì, un rimprovero alla fonte, cui invece doveva essere nota, o lo sarebbe stata facilmente, almeno la convocazione dell'incontro. Infatti, nel tentativo di tenere informati i fedeli sugli sviluppi della situazione, è stata creata una chat WhatsApp dedicata che, in quei giorni, contava venticinque membri: lì ho dato notizia dell'incontro – arrivata con poco preavviso – alle 14:59 dell'1. Le reazioni sono state tranquille, ma non dubito che la notizia abbia girato anche fuori della chat: a quel punto, il semplice buon senso avrebbe dovuto suggerir di attenderne l'esito. A maggior ragione visto che già due volte erano state diffuse informazioni non veritiere e distorte, riguardanti l'Oratorio prescelto come nuova sede delle celebrazioni.

Mi spiego meglio: da qualche tempo, sul blog di Aldo Maria Valli, un tal “Romano Curiale” ha intrapreso una sorta di campagna di stampa assai critica nei confronti dell'Arcivescovo di Genova e del suo Ausiliare, soprattutto per asserita cattiva gestione dei beni ecclesiastici; e fin qui, pace. Senonché, il 18 novembre egli ha concluso l'ormai consueto articolo con un'ultima frecciata “che tanto si è adoperato a relegare i fedeli della Messa tradizionale in un oratorio in disuso e pericolante, insufficiente per il loro numero”; ha poi rincarato parecchio la dose proprio l'1, arrivando a parlare di “un oratorio sbrecciato, pericolante, orari d’accesso limitati e sotto custodia di un secondino che apre e chiude la porta”. Sono il primo a dire che eravamo un po' tutti preoccupati che l'Oratorio di S. Antonio Abate potesse rivelarsi troppo piccolo; quanto però alle sue condizioni strutturali, se in effetti era corsa qualche voce allarmata nei primi giorni dopo l'annuncio di Mons. Anselmi, dal 16 novembre in poi abbiamo potuto vederlo, appurare che le cose stavano ben altrimenti e rassicurare i fedeli. Invito il lettore a confrontare l'immagine mentale che le frasi citate evocano con le illustrazioni di Wikipedia o, se preferisce, le recensioni di TripAdvisor: al massimo, si può dire che all'esterno servirebbe qualche ritocco a intonaco e vernice... ma ciascuno può valutare da sé il grado di accuratezza e di attendibilità dell'articolo al riguardo.

L'incontro si è regolarmente svolto nel pomeriggio del 2, presenti, oltre al sottoscritto e al Segretario Dott. Andrea Gaggioli per il coetus, Mons. Anselmi, il Cancelliere Mons. De Santi, il Parroco del luogo Ab. don Carlo Parodi, con due collaboratori, e il Priore della Confraternita... che, sia detto per inciso, non era per nulla contento di come l'articolo, di cui ovviamente ci considerava gli ispiratori, dipingeva sia l'Oratorio sia lui e i suoi. A riunione terminata, ci siamo trattenuti a parlare con lui nel tentativo di ricucire, poi c'è stato uno scambio di messaggi WhatsApp con Mons. Anselmi su cui tornerò tra poco; alle 18:59, dunque un'ora prima che apparisse l'articolo di MiL, ho riferito in chat di gruppo, scrivendo in particolare che, “per come siamo rimasti, dovrebbe sparire il riferimento ad un contributo pecuniario fisso alle spese – che saranno sostenute, in linea di principio, dalla Confraternita – perché ci siamo accordati per un 'contribuire in modo congruo', definito di comune accordo con la Confraternita stessa, formula che ci consentirà anche l'apporto in natura, per così dire (secondo i casi, collaborare alle pulizie, fornire ostie e vino...).”. Che è poi quanto ritroviamo nel testo modificato e quanto, da allora, abbiamo regolarmente fatto, senza problemi.

Per quanto riguarda, invece, la modifica in peius notata dalla Redazione, debbo osservare che non si tratta di una novità: il divieto delle funzioni parrocchiali recensite al can. 530 corrisponde, infatti, a quello di Battesimi, Cresime, Matrimoni e funerali che, nella versione anteriore, compariva al punto 2 del regolamento. La modifica è frutto del già accennato scambio di messaggi tra me e Mons. Anselmi, intercorso tra le 17:12 e le 17:22; credo che abbia, se non altro, il pregio di evitare l'impressione che il compimento di tali atti di culto secondo l'usus antiquior sia vietato di per sé.

Con questo, penso di aver anche già spiegato il perché della nostra reazione alla comparsa, per noi del tutto inattesa, dell'articolo delle 20:00 su MiL (come pure alle polemiche sui social che ne sono scaturite nei giorni seguenti, cui ovviamente il blog in quanto tale è del tutto estraneo). La Redazione, o almeno le sue fonti, sembrano convinte che esso sia stato determinante per far cambiare il testo del regolamento sull'entità del contributo economico; ora, può darsi che le fonti abbiano captato qualcosa di discussioni successive, in Curia, e che in esse si sia parlato anche dell'articolo.. ma tenderei ad escludere un suo particolare impatto, per il semplice motivo che, quando il Dott. Gaggioli, preoccupato per più ragioni, ha menzionato gli articoli di Valli, la reazione è stata quasi divertita, con una nota di compatimento all'indirizzo dell'articolista.

In ogni caso, la modifica in merito al contributo economico era già decisa... e qui mi permettano le signore fonti: o hanno motivo di pensare che la disponibilità manifestataci fosse simulata oppure mi stanno dando del bugiardo sulla ricostruzione dei fatti. La prima, transeat; la seconda no.

Un'ultima osservazione, in replica al rilievo secondo cui la previsione di un contributo del genere sarebbe discriminatoria rispetto ai fedeli della forma ordinaria. Si tratta di un punto di vista che capisco, ma che non ritengo condivisibile: la discriminazione consiste nel trattare in modo diverso situazioni eguali; e queste non lo sono. Il fedele che frequenta una parrocchia, o un luogo di culto regolarmente officiato secondo il Novus Ordo, senza dubbio non si vede chiedere nulla a parte l'offerta della questua, che resta libero di non dare; e già qui potrei osservare che ciò resta vero anche per noi, nessuno si trova un esattore alle costole se non versa nulla all'Offertorio e non c'è neanche un sistema di tassazione individuale extra Missam. Ma soprattutto, il fedele Novus prende il prodotto che gli offrono, si trova in una posizione che definirei da “consumatore di servizi religiosi”; invece, sebbene la maggior parte dei frequentanti le celebrazioni tradizionali si comporti in modo analogo, i coetus nel loro complesso – e dunque almeno alcuni dei loro componenti – debbono fungere innanzitutto da “organizzatori di servizi religiosi”. Ciò innanzitutto perché le chiese sono, entro certi limiti, officiate a prescindere dalla frequenza, ma il servizio liturgico per i coetus deve essere organizzato ad hoc... e, quasi sempre, solo chi ne vuole usufruire sa qualcosa di come organizzarlo. La Liturgia tradizionale è sopravvissuta anche e soprattutto perché tanti fedeli che l'amavano si sono fatti carico delle incombenze anche più umili, dal pulire i pavimenti al comprare i fiori; altri hanno salvato (quando hanno potuto...) paramenti, suppellettili, Messali e quel che si è potuto racimolare; talvolta qualcuno ha messo a disposizione una cappella, talaltra uno spazio che è stato attrezzato per quell'uso. E se il “Summorum Pontificum” ci ha insegnato qualcosa, io credo che sia proprio l'insostituibilità del ruolo dei laici: la Messa ha attecchito e dato frutti dove c'era un gruppo di laici motivato ed organizzato, anche in termini logistici. A mio avviso sarebbe scorretto vedere tutto questo come un ripiego, una forma di supplenza alla pur dolorosa indisponibilità del clero: se amiamo la Liturgia, se la Liturgia riguarda tutti noi, allora organizzarla non può essere affare del solo prete e nemmeno della parrocchia considerata solo come ente, bisogna semmai recuperare lo spirito di quando i fedeli portavano all'altare, in dono, la materia stessa del Sacramento.

Del resto, se parliamo di offerte, vorrei notare che vi è un'altra differenza rispetto al fedele Novus: i soldi della questua lì vanno, per l'appunto, alla parrocchia o alla chiesa dove si officia, ma nel nostro caso sono autogestiti. E ciò proprio in riconoscimento della specifica destinazione d'uso a quelle celebrazioni, quelle necessità, che si può ben presumere nell'animo degli offerenti. Nello stesso tempo, però, se dall'uso di un bene altrui – in sé concesso a titolo gratuito, come ben specifica il regolamento – si ritrae un vantaggio, evitare che il proprietario ne patisca danno costituisce dovere di stretta giustizia, anche in ambito canonico; donde una previsione che, a ben vedere, ha carattere indennitario. Il paragone migliore, a questo proposito, andrebbe casomai istituito non con i semplici frequentatori di una parrocchia, ma con i molti gruppi particolari che usano la sacrestia o la stessa chiesa per l'attività loro propria: è perfettamente normale ed usuale che passino alla parrocchia un tot per avere, se non altro, tenuto le luci accese.  

Non c'è dubbio che, rispetto alla precedente, felice integrazione nella vita parrocchiale, questa svolta sia triste per molti versi. Ma il problema sta semmai a monte, nel m.p. “Traditionis custodes”... per non parlare della morte di don Romeo, che senza dubbio ha cambiato in peggio situazione e prospettive per il coetus genovese.

Genova, li 24 dicembre 2022

 

Guido Ferro Canale

Associazione “S. Alberto Magno O.P.



[1]    Se si vuol essere precisi, il decreto non è stato “letto”, come vorrebbe il can. 55, ma ci è stato soltanto spiegato il contenuto essenziale; ma, per quanto sia obbligatorio l'impiego della forma scritta (cfr. cann. 37 e 51), di per sé l'atto amministrativo orale è perfettamente valido, perfino quando si tratti di una nomina. A fortiori, dunque, un annuncio a voce di qualcosa che in sostanza corrisponde al contenuto del documento.

[2]    Per chiarire: il testo presentato – comunque diverso dalla bozza poi pubblicata su MiL, perché era stato già cambiato il punto 9 del regolamento, eliminando la possibilità di disdetta ivi prevista – era ovviamente “ufficiale” nel senso che proveniva dall'autorità, ma altrettanto ovviamente non “definitivo”, appunto perché aperto a modifiche, e in questo senso non poteva ancora considerarsi un provvedimento, pur avendone l'aspetto.

1 commento:

  1. Senza entrare nel merito ammiro la signorilità è la moderazione nei toni. Si possono avere idee ed esprimere valutazioni divergenti senza astio e senza offese.

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