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sabato 31 dicembre 2022

Traditionis custodes: alcuni esempi dei molti modi di resistere, resistere, resistere

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 9010 pubblicata da Paix Liturgique il 29 dicembre 2022, in cui si raccontano le esperienze di fedeli e sacerdoti che – dopo la promulgazione del motu proprio Traditionis custodes – resistono nella Tradizione, con esiti molto positivi (e per noi certamente non inaspettati).
Non è fuori luogo il paragone con il clima della Vandea militare: oggi come allora, la resistenza cattolica si dimostra feconda e si rafforza.

L.V.


Dalla promulgazione del motu proprio Traditionis custodes nel 2021, diversi vescovi francesi – nonostante la realtà della decristianizzazione e la carenza di fedeli, oltre che di servi e mezzi – hanno iniziato a dare la caccia agli ultimi fedeli, piuttosto giovani, e ai loro parroci.

L’applicazione frammentaria del motu proprio disegna una mappa della Francia di divieti ufficiali, non ufficiali e impliciti, tra i quali si muovono i fedeli e i parroci. Come durante il confino, di fronte alla scelta se essere fedeli ai governanti o al Signore, preferiscono rimanere fedeli alla Messa di un tempo. Quanto ai custodes Traditionis, che dovrebbero essere tradotti come «i carcerieri della Tradizione», dice don Guillaume de Tanoüarn I.B.P., finiranno per cadere nella polvere. «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24-35).

Adattarsi a una situazione di crisi

È primavera ai confini della Bretagna, della Vandea e dell’Angiò. Nel cielo, teatro di una battaglia navale che si rinnova continuamente, ogni mezz’ora le nuvole si radunano in fila e fanno parlare la polvere da sparo, l’orizzonte si appanna di nuvole, poi il vento le scaccia e lascia spazio a quelle successive.

In abito talare, con i lembi che sbattono al vento, tra due onde, un sacerdote esce dalla casa per battezzare un bambino, seguendo il rito straordinario – come si fa da secoli, del resto, con gli esorcismi. La cerimonia si svolge nella cappella privata, un vecchio fienile discreto, davanti a poche persone. Qualche settimana dopo, il suddetto parroco fece scivolare il nome del battezzato tra gli altri della sua parrocchia, distante diverse decine di chilometri. Non è stato visto né conosciuto nulla.

I sacramenti tridentini sono vietati nella diocesi – ma lo erano già dal 1793 al 1800, quando questo fienile era già utilizzato come cappella – e la giovane Repubblica uccideva qui un abitante su cinque, rinchiudendo interi villaggi nelle loro chiese prima di incendiarle. Sulle pareti della cappella-fienile, segni neri ricordano questi tempi terribili: il vescovo di allora abiurò davanti al rappresentante in missione che annegò i «sospetti» a decine, poi presiedette la sua amministrazione dipartimentale prima di finire sposato e droghiere a Parigi. I sacerdoti battezzavano, sposavano e seppellivano in clandestinità, dai fienili alle foreste, ombre oscure che galvanizzavano un popolo sofferente e combattivo. Quasi 229 anni dopo, al loro posto, attraverso le generazioni e il tempo, la resistenza continua.

«Da quando sono stati vietati i sacramenti, abbiamo ricevuto più richieste di matrimonio da persone che prima non sarebbero venute da noi», dice un sacerdote della FSSPX di una di queste diocesi, «e cerchiamo di soddisfarle nel miglior modo possibile – naturalmente, facciamo anche dei preparativi, costruiamo sulla solidità». E continua: «Infatti, mentre le diocesi – quasi tutte – abbandonavano i loro fedeli, noi abbiamo recuperato già un terzo di fedeli in più durante il confino. Poi alcuni dei nostri fedeli hanno lasciato la città dopo il confino, o tra un confino e l’altro, a volte per andare in periferia pur continuando a venire da noi, a volte per andare molto più lontano – nell’entroterra della Bretagna, su altre coste, anche all’estero. Ma la chiesa è ancora piena come sempre – le feste sono state sostituite, e la parrocchia è più diversificata, ci sono più persone di città rispetto a prima e provenienze più diverse».

Essere inventivi

Questo sacerdote dell’Île-de-France percorre centinaia di chilometri per celebrare matrimoni, battesimi e sepolture. In entrambi i riti. «In genere, va tutto bene».

Più che il rito, il sacerdote parigino nota durante questi viaggi «la crescente rottura tra alcuni sacerdoti e i loro fedeli. Alcuni dei miei confratelli girano all’infinito, invano, da soli o con un confratello per 60-100 parrocchie, sono sull’orlo del burnout permanente, altri, invece, trovano sempre un buon pretesto per rifiutarsi di andare a celebrare un sacramento, anche in Novus Ordo, in una chiesa a due o cinque chilometri dal loro capoluogo – conosco un confratello tradizionale che ha fatto seicento chilometri andata e ritorno per un funerale, con in macchina quanto bastava per attrezzare una chiesa – compresi tabernacolo e pietra d’altare, dato che la chiesa dove si svolgeva la cerimonia era abbandonata da vent’anni – e nel Rito tridentino servono molte più cose che nel Nuovo Rito».

In alcune diocesi ci sono «comitati di azione locale [a Reims-Ardennes in particolare] nelle parrocchie servite a malapena una volta al mese, o addirittura due o tre volte all’anno. Tre pensionati che non ne sanno nulla e pretendono di comandare tutti – compreso il prete locale che va in giro e non controlla più nulla, quindi lascia che chiunque faccia qualsiasi cosa durante la messa. È il sale della brughiera».

Questa impressione è condivisa da Michel, che di recente si è rivolto a un sacerdote bi-ritualista di una diocesi vicina per il suo matrimonio. «Il nostro vescovo ha proibito i sacramenti, abbiamo ricevuto due rifiuti educati e uno no – ci hanno quasi dato dei fascisti, e gli abbiamo detto – la mia famiglia è qui dal XVII secolo – che nel 1960 la chiesa era piena, mentre l’ultima volta che l’ho vista piena è stato alla fine del 2010 per il funerale di un personaggio politico di alto profilo. Sono appena quaranta nelle occasioni speciali, spesso meno di dieci, c’è solo una Messa al mese, e fondamentalmente siamo noi i colpevoli di non seguirli nella loro stupidità».

Piuttosto arrabbiato, Michel trova «poco sorprendente che i fedeli rimasti – i più giovani in particolare, e quelli che hanno perseverato contro ogni probabilità durante il covid – preferiscano sacramenti che reggano. La nostra chiesa è stata costruita nel XVII secolo per la Messa in latino. Con la loro nuova Messa, hanno costruito alcune sale polivalenti in città, che possono vendere alla Lidl o ai Testimoni di Geova; per le persone che vivono intorno a queste non-chiese, non farà alcuna differenza.

Il nostro vescovo ha dichiarato guerra a quelli come noi – anzi, a quelli che non vivono in città, che guidano auto che presto saranno vietate e che fumano sigarette – questi vescovi hanno dimenticato che sono vecchi, soli, e che non rappresentano più nessuno. In ogni caso, non ci rappresenta più – sono un consigliere comunale, spenderò quattro anni del bilancio comunale per ricostruire la chiesa, ma è il nostro patrimonio, lo è da secoli, tocca a noi mantenerla – e invece di dare alla diocesi perché mi sputi addosso, aiuto i preti meritevoli. Quelli che si fanno in quattro per farci sposare come hanno fatto i miei genitori e i loro genitori prima di loro».

Attraversamento di confini nazionali o dipartimentali

Anche in Mosella i sacramenti tradizionali sono stati vietati dal nuovo vescovo, mons. Philippe Ballot [Arcivescovo di Metz: N.d.T.], durante una riunione di sacerdoti il 15 novembre. «Nessun problema, andiamo in Germania. Non avrei mai pensato di dirlo, ma viva l’Europa!». A Saarbrücken, il priorato della FSSPX si trova a cinque chilometri dal confine. In treno, dista un quarto d’ora da Forbach. In tram, venticinque minuti da Sarreguemines – e un po’ a piedi. Altri vanno in Lussemburgo, a un’ora da Metz e a cinquanta minuti di treno.

Altrove è scontato: gli abitanti di Cambrai, quando non hanno la loro messa tradizionale – è mensile – vanno, come gli abitanti di Douai e Valenciennes, i più vicini, in Belgio. Il Carmelo di Quiévrain confina con il confine, a venti chilometri da Valenciennes, sulla vecchia strada nazionale punteggiata dai campanili di Saint-Michel, Onnaing e Quiévrain. Durante il confino, avvenne il contrario: essendo le messe belghe limitate a quindici fedeli, fu l’abate della FSSPX di Quiévrain a varcare la frontiera; il vescovado di Cambrai gli lasciò la chiesa di Blanc Misseron, a pochi passi dal confine, sul versante francese, poco utilizzata.

Gli abitanti dell’Ardèche viaggiano anche per assistere alla Messa, quella vera. Il Vescovo di Viviers non è mai riuscito ad applicare il Summorum Pontificum nella sua zona e per molto tempo, da Puy a Nîmes, non c’è stata una Messa regolare. Da qualche anno c’è una Messa regolare ad Alès, in una casa data alla FSSPX, ma ancora niente nell’Ardèche.

Le rare Messe, i sacramenti, tutto qui è per natura clandestino, e fa parte della lunga linea della resistenza delle Cévennes, ma questa volta una resistenza cattolica, dove questa volta i tradizionali sono i Camisardi, e i preti ufficiali sono i draghi che li inseguono, ma il loro esercito è colpito dal declino. I fedeli, invece, fanno il viaggio, decine di chilometri su passi innevati per arrivare a Le Puy, o giù nella Drôme, e a sud delle Cévennes – o anche della Linguadoca per alcuni – Montpellier e Lattes sono più vicine al nord del Gard dell’unica Messa diocesana autorizzata a Nîmes (ICRSS), Pont-Saint-Esprit, nella parte orientale del Gard, al confine con l’Ardèche, è molto più vicina al priorato FSSPX di Sorgues o alla cappella di Montélimar (FSSP) che al suo capoluogo.

Vista dalla pianura del Rodano, sul versante della Drôme, o dalla pianura della Bollène, la linea blu delle colline dell’Ardèche è l’ultima grande frontiera della Tradizione in Francia, emblematica di queste Cévennes che, come si dimentica troppo spesso quando si parla dei protestanti, hanno dato migliaia di sacerdoti e di vocazioni religiose – nel 1901 la Semaine religieuse de Mende indicava che la sola Lozère aveva dato più di 1.700 religiosi, tra cui 1.000 Fratelli delle Scuole Cristiane, e più di 5.000 suore in 25 congregazioni dal Concordato. Dal 1915 al 1940, la diocesi di Mende ha dato 140 sacerdoti a diocesi con meno sacerdoti, tra cui 20 a Parigi. Dal 1860 al 1940, Lozère ha dato origine a 5.000 vocazioni religiose, di cui 836 nella sola congregazione di Picpus.

Queste Cévennes, così prolifiche, sono state trasformate in un deserto dagli zelatori della «primavera della Chiesa» e del Concilio Vaticano II.

Per i Camisardi protestanti, la parola deserto significava i rifugi dove celebravano il loro culto proibito. È il culto cattolico che oggi è ridotto a un deserto. I fedeli tradizionali, cattolici questa volta, sanno che la Tradizione riseminerà il deserto.

3 commenti:

  1. nel 1960 la chiesa era piena

    In quegli anni molti dei fedeli delle campagne francesi credevano in una specie di pantheon in cui Dio è i santi erano sullo stesso piano, o in una specie di 'magia cristiana'
    E già allora si parlava di 'Francia terra di missione'

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  2. Queste accuse sono infondate ed alimentate dai nemici della fede. Stessi ragionamenti li ho sentiti per le zone rurali in Italia.
    In realtà si tratta del giusto culto verso i santi quali esempi di vita e potenti intercessori verso Dio. Se questo non fosse giusto, tutto il culto mariano sarebbe superstizione (e purtroppo per molti modernisti lo è)

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  3. Immagino che la frase "Non è stato visto né conosciuto nulla" traduca "ni vu, ni connu" espressione francese che significa "senza che si sappia", intraducibile letteralmente.

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