Post in evidenza

Elenchi dei Vescovi (e non solo) pro e contro Fiducia Supplicans #fiduciasupplicans #fernández

Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

sabato 3 dicembre 2022

Ma quante interviste fa il Papa?

Ma non aveva detto, all'inizio del suo pontificato che odiava fare interviste?
Tanti copia\incolla, ormai da anni: stesse parole, stessi equivoci, stessi aneddoti.
E, spesso, parole in libertà o, peggio, eresie sottintese.
Quanto inutilità e dolore per noi poveri fedeli.
Sotto l'ultima ed ennesima intervista pubblicata da Silere non possum,  QUI un intervento di Stefano Fontana su un equivoca risposta di Francesco in tema di aborto e QUI un approfondimento magisteriale di Tommaso Scandroglio sullo stessa risposta..
Luigi


REPETITA IUVANT. LE INTERVISTE DEL PAPA SONO UN COPIA E INCOLLA

Le interviste al Sommo Pontefice, ormai, sono diventate un must have, e, come abbiamo spiegato, i vaticanisti non fanno altro che ambire ad un accesso privilegiato a Santa Marta con pacchetto incluso per spopolare sul web.
“Sic transit gloria mundi!” Oggi, più che mai, è confermata l’affermazione di Tommaso da Kempis. Nell’era di Twitter, la gloria è veramente effimera e passeggera. Bastano pochi cinguettii. per far dimenticare le parole del Papa. Si passa ad un’altra notizia.
Negli ultimi mesi, Papa Francesco ha concesso talmente tante interviste che ormai non ne teniamo più il conto. Anche perchè queste esclusivissime conversazioni vengono sempre concesse a chi porta avanti una determinata narrazione di questo Pontificato. “Tutto va bene, non vi è alcun problema”. Le domande, quindi, sono sempre le medesime e al Papa non si chiede ciò che non si vuol sentir chiedere.

Stesse domande, stesse risposte. Stessi aneddoti del Papa. Ancora una volta un copia e incolla, con anche la beffa che bisogna muoversi e spendersi per registrare, trascrivere, ecc… All’inizio del Pontificato la macchina dell’informazione aveva fatto passare l’idea che Francesco non volesse mettere veti sulle domande e che parlasse a ruota libera. Abbiamo evidenziato come questo sia pericoloso e abbiamo portato alcuni casi concreti in cui Francesco ha creato vero e proprio scandalo per ciò che ha detto. La realtà, però, è che in realtà Francesco è proprio come tutti gli altri (se non peggio) e non ama rispondere a domande scomode. Nell’intervista che vi presentiamo oggi, rilasciata alla rivista americana America, dei gesuiti, Bergoglio glissa una domanda che gli è stata posta proprio alla fine: “Se guarda indietro, ci sono tre cose che avrebbe fatto diversamente o che rimpiange”? Il Papa, per non rispondere, ha detto, ridendo: “Tutte”. Il che evidenzia anche una incapacità nell’ammettere determinati errori eclatanti che ha commesso.

L’intervista è stata registrata a Santa Marta il 22 novembre 2022. Insieme ai giornalisti di America Media, c’era anche la fedelissima Elisabetta Piqué, giornalista argentina che ha sempre offerto una lettura del Pontificato di Bergoglio che è molto edulcorata e non ha mai dato spazio a quelle che sono le voci critiche di questo Papa. Come sempre, Francesco premia i suoi e gli offre occasioni di visibilità.
Repetita iuvant

Facciamo notare che il Papa, rispondendo alle domande, è tornato, ancora una volta, sul ruolo della donna nella formazione sacerdotale e ha raccontato la ridicola scena della signora che gli disse di non ordinare un seminarista [qui]. Le donne prete? No, dice Francesco, ma per scegliere i candidati ovviamente meglio di loro non c’è nessuno.

Non sono mancate le frecciatine dei giornalisti alla solida Conferenza Episcopale Americana e il Papa, per un’oretta di gloria, ha avvallato questi giudizi sui suoi confratelli vescovi, piuttosto che redarguire gli impertinenti intervistatori. Ancora una volta, il Pontefice crea divisione piuttosto che favorire l’unità. Proprio come la recente scelta di Commissariare la realtà di Caritas Internationalis, creando sconcerto fra i fedeli e facendo passare così l’idea che vi fosse qualcosa di losco. Il problema è che torniamo sempre sullo stesso discorso: Francesco non si rende conto che smentisce se stesso. Difatti, in questi giorni nessuno ha evidenziato che prima del Cardinale Tagle, alla guida di Caritas Internationalis c’era Óscar Rodríguez Maradiaga. Considerando che una delle critiche mosse a Tagle è stata quella di non essere stato sufficientemente sul pezzo, in questi anni, sia a Propaganda Fide che altrove, allora è lecito chiedersi: i guai chi li ha combinati? L’amico Maradiaga? Il risultato ora sarà come avvenuto per l’Obolo di San Pietro, la gente non fonerà più.

Le frasi che poi il Papa utilizza per mostrarsi “aperto” sul ruolo delle donne, sono ancor più sessiste di quanto non possano sembrare. Difatti, ritenere che una donna sia più brava di un uomo, o viceversa, nello svolgere un compito, a motivo del proprio sesso biologico, questo è dimostrazione di una mentalità che è vecchia e imbarazzante. Le persone devono essere scelte per le loro capacità, le loro competenze e non per il loro sesso biologico o il loro orientamento sessuale. Bergoglio dice: “qui, in Vaticano, i posti dove abbiamo messo le donne funzionano meglio”. Sì, abbiamo visto come è stata fruttuosa la scelta di mettere Francesca Immacolata Chaouqui all’interno della COSEA. Nonostante, qui in Vaticano, gli venne detto di non mettere quella donna, lui la volle. I risultati sono noti a tutti.

S.I.
Silere non possum

L’intervista

Santo Padre, la rivista America è stata fondata dai gesuiti nel 1909 e da allora non ha mai cessato le pubblicazioni. Questa è la nostra prima opportunità di parlare faccia a faccia con il Papa e ne siamo molto grati. La prima cosa che viene in mente ai nostri lettori, che li sorprende, è che Lei appare sempre allegro, felice, anche in mezzo a crisi e problemi. Cos’è che la rende così felice, così sereno e gioioso nel suo ministero?

Non sapevo di essere sempre così. Quando sono con le persone sono sempre felice. Una delle cose che trovo più difficili come Papa, è non camminare per strada, con la gente, perché qui non si può uscire, è impossibile camminare per strada. Ma non dirò che sono felice perché sono in buona salute, o perché mangio bene, o perché dormo bene, o perché prego molto. Sono felice perché mi sento felice, Dio mi rende felice. Non ho nulla da rimproverare al Signore, nemmeno quando mi succedono cose brutte. Niente. Nel corso della mia vita, mi ha sempre guidato sul suo cammino, a volte in momenti difficili, ma c’è sempre la certezza che non si cammina da soli. Io ho questa certezza. Lui è sempre al mio fianco. Si hanno le proprie colpe, anche i propri peccati; io mi confesso ogni 15 giorni, non so, sono fatto così.

Santo Padre, nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti sette anni fa, ha messo in guardia dal “riduzionismo semplicistico che divide la realtà in buoni e cattivi, o in giusti e peccatori”. Lei ha anche chiesto “un rinnovato spirito di fraternità e solidarietà, cooperando con entusiasmo per il bene comune”. Tuttavia, dopo il suo discorso al Congresso abbiamo assistito, non solo a una polarizzazione politica ancora più profonda, ma anche a una polarizzazione nella vita della Chiesa. Come può la Chiesa rispondere alla polarizzazione nella propria vita e aiutare a rispondere alla polarizzazione nella società?

La polarizzazione non è cattolica. Un cattolico non può pensare aut-aut e ridurre tutto alla polarizzazione. L’essenza del cattolico è et-et. Il cattolicesimo unisce il bene e il non-bene. Il popolo di Dio è uno. Quando c’è polarizzazione, entra in gioco una mentalità divisiva che privilegia alcuni ed esclude altri.

Il cattolico armonizza sempre le differenze. Se vediamo come agisce lo Spirito Santo, per prima cosa provoca disordine: Pensate alla mattina di Pentecoste, e alla confusione e al disordine che ha creato lì, e poi porta l’armonia. Lo Spirito Santo nella Chiesa non riduce tutto a un solo valore, ma armonizza le differenze opposte. Questo è lo spirito cattolico. Quanto più c’è armonia tra le differenze e gli opposti, tanto più è cattolico. Più c’è polarizzazione, più si perde lo spirito cattolico e si cade in uno spirito settario. Questo [detto] non è mio, ma lo ripeto: ciò che è cattolico non è o-o, ma è sia-e, combinando le differenze. Ed è così che intendiamo il modo cattolico di trattare il peccato, che non è puritano: santi e peccatori, entrambi insieme.

È curioso cercare le radici del cattolicesimo nelle scelte di Gesù. Gesù aveva quattro possibilità: essere fariseo o sadduceo, esseno o zelota. Erano i quattro partiti, le quattro opzioni dell’epoca. E Gesù non era né fariseo, né sadduceo, né esseno, né zelota. Era un’altra cosa. E se guardiamo alle deviazioni nella storia della Chiesa vedremo che sono sempre dalla parte del fariseismo, del sadduceismo, degli esseni o degli zeloti. Gesù ha superato tutto questo con una proposta che è quella delle beatitudini, qualcosa di diverso.

Le tentazioni nella Chiesa sono sempre state quelle di seguire queste quattro strade. Negli Stati Uniti avete un cattolicesimo che è proprio degli Stati Uniti, normale. Ma ci sono anche gruppi cattolici ideologici.

Santo Padre, nel 2021 abbiamo condotto un sondaggio chiedendo ai cattolici [negli Stati Uniti] di chi si fidassero per essere i loro leader e le loro guide su questioni di fede e di morale. Di tutti i gruppi che abbiamo elencato, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti è risultata la meno affidabile; solo il 20% l’ha ritenuta “molto affidabile”. I cattolici hanno classificato il proprio vescovo locale più in alto: circa il 29% lo ha descritto come “molto affidabile”. Ma la maggioranza dei cattolici sembra aver perso fiducia nella capacità della Conferenza episcopale di offrire una guida morale. Come possono i vescovi cattolici statunitensi riconquistare la fiducia dei cattolici americani?

La domanda è buona perché parla dei vescovi. Ma credo che sia fuorviante parlare del rapporto tra i cattolici e la Conferenza episcopale. La Conferenza episcopale non è il pastore; il pastore è il vescovo. Quindi si corre il rischio di sminuire l’autorità del vescovo quando si guarda solo alla Conferenza episcopale. La Conferenza episcopale è lì per riunire i vescovi, per lavorare insieme, per discutere di questioni, per fare piani pastorali. Ma ogni vescovo è un pastore. Non dissolviamo il potere del vescovo riducendolo al potere della Conferenza episcopale. Perché a quel livello, queste tendenze competono, più a destra, più a sinistra, più qui, più là, e comunque [la conferenza episcopale] non ha la responsabilità in carne e ossa come quella di un vescovo con il suo popolo, di un pastore con il suo popolo.Gesù non ha creato le conferenze episcopali. Gesù ha creato i vescovi e ogni vescovo è pastore del suo popolo. A questo proposito, ricordo un autore del V secolo che, a mio giudizio, ha scritto il miglior profilo di un vescovo. È Sant’Agostino nel suo trattato “De Pastoribus”.
Pertanto, la domanda è: qual è il rapporto del vescovo con il suo popolo? Permettetemi di citare un vescovo di cui non so se sia conservatore o progressista, se sia di destra o di sinistra, ma è un buon pastore: Mark Seitz, al confine con il Messico. È un uomo che coglie tutte le contraddizioni di quel luogo e le porta avanti come pastore. Non dico che gli altri non siano bravi, ma questo è uno che conosco. Avete alcuni buoni vescovi che sono più a destra, alcuni buoni vescovi che sono più a sinistra, ma sono più vescovi che ideologi; sono più pastori che ideologi. Questa è la chiave.

La risposta alla sua domanda è: la Conferenza episcopale è un’organizzazione destinata ad assistere e unire, un simbolo di unità. Ma la grazia di Gesù Cristo è nel rapporto tra il vescovo e il suo popolo, la sua diocesi.

Santo Padre, l’aborto è una questione altamente politicizzata negli Stati Uniti. Sappiamo che è sbagliato e recentemente la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che non esiste un diritto costituzionale all’aborto, anche se questo sembra ancora influenzare la Chiesa nel senso che ci divide. I vescovi dovrebbero dare priorità all’aborto rispetto ad altre questioni di giustizia sociale?

Sull’aborto vi dico queste cose che ora ripeto. In qualsiasi libro di embriologia si legge che un po’ prima del mese di concepimento gli organi del piccolo feto e il DNA sono già delineati. Prima ancora che la madre se ne renda conto. Pertanto, è un essere umano vivente. Non dico una persona, perché questo è discusso, ma un essere umano. E mi pongo due domande: è giusto eliminare un essere umano per risolvere un problema? Seconda domanda: è giusto assumere un sicario per risolvere un problema? Il problema è quando questa realtà di uccidere un essere umano diventa un problema politico. O quando un pastore di chiesa entra in una categorizzazione politica. Ogni volta che un problema perde la pastorizia, quel problema diventa un problema politico. E diventa più politico che pastorale. In altre parole, che nessuno si appropri di questa verità che è universale. Non appartiene a un partito o a un altro. È universale. Quando vedo che un problema come questo, che è un crimine, acquista un’intensità fortemente politica, dico che c’è una mancanza di cura pastorale nel modo in cui affrontiamo questo problema. In questo problema dell’aborto come in altri problemi, non dobbiamo perdere di vista la cura pastorale: un vescovo è un pastore, una diocesi è il santo popolo fedele di Dio con il suo pastore. Non possiamo trattarlo come se fosse una questione civile.

La domanda era se la Conferenza episcopale dovesse presentare la lotta contro l’aborto come il problema numero uno, mentre tutti gli altri sono secondari.

La mia risposta è che questo è un problema che la Conferenza episcopale deve risolvere al suo interno. Quello che mi interessa è il rapporto del vescovo con il popolo, che è sacramentale. L’altra [questione] è quella organizzativa, e le conferenze episcopali a volte sbagliano (equivocano). Basta guardare alla seconda guerra mondiale e a certe scelte che alcune conferenze episcopali hanno fatto, sbagliate dal punto di vista politico o sociale. A volte la maggioranza vince, ma forse la maggioranza non ha ragione.

In altre parole, sia chiaro: una conferenza episcopale deve, ordinariamente, dare il suo parere sulla fede e sulle tradizioni, ma soprattutto sull’amministrazione diocesana e così via. La parte sacramentale del ministero pastorale è nel rapporto tra il pastore e il popolo di Dio, tra il vescovo e il suo popolo. E questo non può essere delegato alla Conferenza episcopale. La conferenza aiuta a organizzare incontri, e questi sono molto importanti; ma per un vescovo, [essere] pastore è la cosa più importante. Ciò che è più importante, direi essenziale, è il sacramento. Ovviamente, ogni vescovo deve cercare la fraternità con gli altri vescovi, questo è importante. Ma ciò che è essenziale è il rapporto con il suo popolo.

Santo Padre, la crisi degli abusi sessuali ha danneggiato notevolmente sia la credibilità della Chiesa che il suo sforzo di evangelizzazione. Le recenti rivelazioni di abusi commessi da vescovi, ai quali è stato permesso di andare in pensione tranquillamente, hanno aumentato le preoccupazioni sulla trasparenza della Chiesa nella gestione dei casi di abuso, soprattutto quando si tratta di vescovi. Cosa può fare il Vaticano per migliorare questo aspetto della trasparenza?

Un po’ di storia. Fino alla crisi di Boston, quando tutto è stato scoperto, la Chiesa agiva spostando l’abusatore dal suo posto e coprendo, come spesso accade oggi nelle famiglie. Il problema degli abusi sessuali è estremamente grave nella società. Quando tre anni e mezzo fa ho tenuto la riunione dei presidenti delle Conferenze episcopali, ho chiesto le statistiche ufficiali e ho appreso che il 42-46% degli abusi avviene nella casa di famiglia o nel quartiere. A seguire, in termini di prevalenza, c’è il mondo dello sport, poi quello dell’istruzione, e il 3% [degli abusatori] sono sacerdoti cattolici. Si potrebbe dire: “È un bene, siamo pochi”. No! Se ci fosse stato un solo caso, sarebbe stato mostruoso. L’abuso di minori è una delle cose più mostruose. La prassi, mantenuta ancora oggi in alcune famiglie e istituzioni, era quella di coprirli. La Chiesa ha deciso di non insabbiare più. Da lì sono stati fatti progressi nei processi giudiziari, la creazione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori.

Qui, un grande [esempio] è il cardinale [Seán] O’Malley di Boston, che ha avuto la mentalità di istituzionalizzare [la protezione dei minori] all’interno della Chiesa. Quando le persone oneste vedono come la Chiesa si assume la responsabilità di questa mostruosità, capiscono che la Chiesa è una cosa, mentre gli abusatori che vengono puniti dalla Chiesa sono un’altra. Il leader che ha preso queste decisioni è Benedetto XVI. È un problema “nuovo” nella sua manifestazione, ma eterno in quanto è sempre esistito. Nel mondo pagano si usavano comunemente i bambini per il piacere. Una delle cose che più mi preoccupa è la pedopornografia. Sono filmati dal vivo. In quale Paese vengono girati questi film? Cosa fanno le autorità di questi Paesi per permettere che questo accada? È criminale. Criminale!

La Chiesa si assume la responsabilità del proprio peccato e noi andiamo avanti, peccatori, confidando nella misericordia di Dio. Quando viaggio, generalmente ricevo una delegazione di vittime di abusi. Un aneddoto a questo proposito: Quando sono stato in Irlanda, le persone che avevano subito abusi hanno chiesto udienza. Erano sei o sette. All’inizio erano un po’ arrabbiati, e avevano ragione. Ho detto loro: “Sentite, facciamo qualcosa. Domani devo fare un’omelia; perché non la prepariamo insieme, su questo problema?”. E questo ha dato vita a un fenomeno bellissimo, perché ciò che era iniziato come una protesta si è trasformato in qualcosa di positivo e, tutti insieme, abbiamo creato l’omelia per il giorno dopo. È stata una cosa positiva [accaduta] in Irlanda, una delle situazioni più calde che ho dovuto affrontare. Cosa deve fare la Chiesa, allora? Continuare ad andare avanti con serietà e con vergogna. Ho risposto alla sua domanda?

L’unica cosa che vorrei approfondire è questa: La Chiesa statunitense ha fatto grandi progressi nell’affrontare gli abusi quando si verificano con i sacerdoti. Tuttavia, sembra che ci sia meno trasparenza quando viene accusato un vescovo, e questo è preoccupante.

Sì, e qui credo che si debba andare avanti con la stessa trasparenza. Se c’è meno trasparenza, è un errore.

Santo Padre, a proposito dell’Ucraina: Molti negli Stati Uniti sono rimasti confusi dalla Sua apparente riluttanza a criticare direttamente la Russia per l’aggressione all’Ucraina, preferendo invece parlare più in generale della necessità di porre fine alla guerra, di porre fine alle attività mercenarie piuttosto che agli attacchi russi e al traffico di armi. Come spiegherebbe la sua posizione su questa guerra agli ucraini, agli americani e ad altri che sostengono l’Ucraina?

Quando parlo di Ucraina, parlo di un popolo martirizzato. Se c’è un popolo martirizzato, c’è qualcuno che lo martirizza. Quando parlo dell’Ucraina, parlo della crudeltà, perché ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che arrivano. In genere, i più crudeli sono forse coloro che sono russi ma non appartengono alla tradizione russa, come i ceceni, i buryati e così via. Certamente, chi invade è lo Stato russo. Questo è molto chiaro. A volte cerco di non specificare per non offendere e di condannare in generale, anche se si sa bene chi sto condannando. Non è necessario che metta nome e cognome.

Il secondo giorno di guerra sono andato all’ambasciata russa presso la Santa Sede, un gesto insolito perché il Papa non va mai in ambasciata. E lì ho detto all’ambasciatore di dire a Vladimir Putin che ero disposto a viaggiare a condizione che mi concedesse una piccola finestra per negoziare. Sergey Lavrov, il ministro degli Esteri ad alto livello, mi ha risposto con una lettera molto bella dalla quale ho capito che per il momento non era necessario.

Ho parlato tre volte al telefono con il presidente Zelensky. In generale mi occupo di ricevere le liste dei prigionieri, sia civili che militari, e le faccio inviare al governo russo, e la risposta è sempre stata molto positiva.

Ho anche pensato di viaggiare, ma ho preso una decisione: Se viaggio, vado a Mosca e a Kiev, in entrambi i luoghi, non in uno solo. E non ho mai dato l’impressione di coprire l’aggressione. Ho ricevuto in questa sala, tre o quattro volte, una delegazione del governo ucraino. E lavoriamo insieme. Perché non faccio il nome di Putin? Perché non è necessario, è già noto. Tuttavia, a volte la gente si attacca a un dettaglio. Tutti conoscono la mia posizione, con Putin o senza Putin, senza nominarlo. Alcuni cardinali si sono recati in Ucraina: Il cardinale Czerny è andato due volte; [l’arcivescovo] Gallagher, che è responsabile delle relazioni con gli Stati, ha trascorso quattro giorni in Ucraina e ho ricevuto un resoconto di ciò che ha visto; e il cardinale Krajewski è andato quattro volte. Va con il suo furgone carico di cose e ha trascorso la scorsa Settimana Santa in Ucraina. Voglio dire che la presenza della Santa Sede con i cardinali è molto forte, e sono in continuo contatto con persone in posizioni di responsabilità. E vorrei ricordare che in questi giorni ricorre l’anniversario dell’Holodomor, il genocidio che Stalin commise contro gli ucraini nel 1932-33. Credo sia opportuno ricordarlo come antecedente storico del conflitto attuale.

La posizione della Santa Sede è quella di cercare la pace e di cercare un’intesa. La diplomazia della Santa Sede si muove in questa direzione e, naturalmente, è sempre disposta a mediare.

Nella storia della Chiesa degli Stati Uniti, i cattolici neri sono stati ampiamente trascurati. È la nostra esperienza nella Chiesa, ma siamo rimasti perché credevamo. Ora, un recente sondaggio ha mostrato che un gran numero di cattolici neri sta lasciando la Chiesa. Il razzismo è importante per noi, ma altri cattolici non lo considerano una priorità. Dopo l’omicidio di George Floyd, un numero maggiore di persone ha abbandonato la Chiesa a causa della negligenza con cui essa affronta il tema del razzismo. Che cosa direbbe ora ai cattolici neri negli Stati Uniti che hanno sperimentato il razzismo e allo stesso tempo hanno sperimentato una sordità all’interno della Chiesa per gli appelli alla giustizia razziale? Come può incoraggiarli?

Direi loro che sono vicino alla sofferenza che stanno vivendo, che è una sofferenza razziale. E [in questa situazione], coloro che dovrebbero essere in qualche modo vicini a loro sono i vescovi locali. La Chiesa ha vescovi di origine afroamericana.

Sì, ma la maggior parte di noi frequenta parrocchie in cui i sacerdoti non sono afroamericani, e la maggior parte delle altre persone non sono afroamericane, e sembra che non abbiano sensibilità per la nostra sofferenza. Molte volte ignorano la nostra sofferenza. Come possiamo quindi incoraggiare i cattolici neri a rimanere?

Credo che l’importante sia lo sviluppo pastorale, sia dei vescovi che dei laici, uno sviluppo pastorale maturo. Sì, vediamo la discriminazione e capisco che non vogliano andarsene. A volte in altri Paesi succede lo stesso in questo tipo di situazioni. Ma questo ha una storia molto antica, molto più antica della vostra storia [negli Stati Uniti], e non è stato risolto. I vescovi e gli operatori pastorali devono contribuire a risolverla in modo evangelico.

Vorrei dire ai cattolici afroamericani che il Papa è consapevole della loro sofferenza, che li ama molto e che devono resistere e non allontanarsi. Il razzismo è un peccato intollerabile contro Dio. La Chiesa, i pastori e i laici devono continuare a lottare per sradicarlo e per un mondo più giusto.

Colgo l’occasione per dire che amo molto anche le popolazioni indigene degli Stati Uniti. E non dimentico i latinoamericani, che oggi sono molto numerosi.

Santo Padre, come lei sa, le donne hanno contribuito e possono contribuire molto alla vita della Chiesa.

  Lei ha nominato molte donne in Vaticano, il che è fantastico. Tuttavia, molte donne provano dolore perché non possono essere ordinate sacerdoti. Cosa direbbe a una donna che sta già servendo nella vita della Chiesa, ma che si sente ancora chiamata a essere sacerdote?

È un problema teologico. Penso che amputiamo l’essere della Chiesa se consideriamo solo il modo della dimensione ministeriale della vita della Chiesa. Il modo non è solo il ministero ordinato. La chiesa è donna. La chiesa è una sposa. Non abbiamo sviluppato una teologia della donna che rifletta questo. La dimensione ministeriale, possiamo dire, è quella della Chiesa petrina. Sto usando una categoria dei teologi. Il principio petrino è quello del ministero. Ma c’è un altro principio ancora più importante, di cui non parliamo, cioè il principio mariano, che è il principio della femminilità nella chiesa, della donna nella chiesa, dove la chiesa vede uno specchio di se stessa perché è donna e sposa. Una chiesa con il solo principio petrino sarebbe una chiesa che si potrebbe pensare ridotta alla sua dimensione ministeriale, nient’altro. Ma la Chiesa è più di un ministero. È l’intero popolo di Dio. La Chiesa è donna. La Chiesa è una sposa. Pertanto, la dignità della donna si rispecchia in questo modo.

C’è una terza via: quella amministrativa. La via ministeriale, la via ecclesiale, diciamo, mariana, e la via amministrativa, che non è una cosa teologica, è una cosa di normale amministrazione. E, sotto questo aspetto, credo che dobbiamo dare più spazio alle donne. Qui in Vaticano, i luoghi in cui abbiamo inserito le donne funzionano meglio. Per esempio, nel Consiglio per l’Economia, dove ci sono sei cardinali e sei laici. Due anni fa ho nominato cinque donne tra i sei laici, ed è stata una rivoluzione. Il vicegovernatore del Vaticano è una donna. Quando una donna entra in politica o gestisce le cose, in genere fa meglio. Molte economiste sono donne e stanno rinnovando l’economia in modo costruttivo.

Quindi ci sono tre principi, due teologici e uno amministrativo. Il principio petrino, che è la dimensione ministeriale, ma la Chiesa non può funzionare solo con quello. Il principio mariano, che è quello della chiesa sponsale, la chiesa come sposa, la chiesa come donna. E il principio amministrativo, che non è teologico, ma è piuttosto quello dell’amministrazione, di ciò che si fa.

E perché una donna non può accedere al ministero ordinato? Perché il principio petrino non lo prevede. Sì, bisogna essere nel principio mariano, che è più importante. La donna è di più, assomiglia di più alla Chiesa, che è madre e sposa. Credo che troppo spesso abbiamo fallito nella nostra catechesi quando abbiamo spiegato queste cose. Ci siamo basati troppo sul principio amministrativo per spiegarlo, che a lungo andare non funziona.

Questa è una spiegazione abbreviata, ma ho voluto mettere in evidenza i due principi teologici: il principio petrino e il principio mariano che costituiscono la Chiesa. Quindi, che la donna non entri nella vita ministeriale non è una privazione. No. Il suo posto è quello che è molto più importante e che dobbiamo ancora sviluppare, la catechesi sulla donna secondo il principio mariano.

E su questo, sul carisma della donna, permettetemi di condividere un’esperienza personale. Per ordinare un sacerdote si chiedono informazioni a persone che conoscono il candidato. Le migliori informazioni che ho ricevuto, le informazioni giuste, le ho avute o dai miei fratelli coadiutori vescovi, o dai fratelli laici che non sono sacerdoti, o dalle donne. Hanno un fiuto, un senso ecclesiale per vedere se quell’uomo è o non è adatto al sacerdozio.

Un altro aneddoto: una volta ho chiesto informazioni su un candidato al sacerdozio molto brillante. Chiesi ai suoi professori, ai suoi compagni e anche alle persone della parrocchia dove andava. E questi ultimi mi diedero una relazione molto negativa, scritta da una donna, che diceva: “È un pericolo, questo giovane non funzionerà”. Allora le telefonai e le chiesi: “Perché dici così?”. E lei ha risposto: “Non so perché, ma se fosse mio figlio, non lo lascerei ordinare; gli manca qualcosa”. Così ho seguito il suo consiglio e ho detto al candidato: “Guarda, quest’anno non sarai ordinato. Aspettiamo”. Tre mesi dopo quest’uomo ha avuto una crisi e se n’è andato. La donna è una madre e vede il mistero della Chiesa più chiaramente di noi uomini. Per questo motivo, il consiglio di una donna è molto importante e la decisione di una donna è migliore.


Negli Stati Uniti, c’è chi interpreta le sue critiche al capitalismo di mercato come critiche agli Stati Uniti. C’è persino chi pensa che lei sia un socialista, o la chiamano comunista, o marxista. Lei, naturalmente, ha sempre detto di seguire il Vangelo. Ma come risponde a chi dice che ciò che la Chiesa e lei hanno da dire sull’economia non è importante?

Mi chiedo sempre: da dove viene questa etichettatura? Per esempio, quando stavamo tornando dall’Irlanda in aereo, è arrivata una lettera di un prelato americano che diceva un sacco di cose su di me. Cerco di seguire il Vangelo. Sono molto illuminato dalle Beatitudini, ma soprattutto dal criterio con cui saremo giudicati: Matteo 25. “Avevo sete e mi avete dato da bere. Ero in prigione e mi avete visitato. Ero malato e mi avete curato”. Gesù è dunque un comunista? Il problema di fondo, che lei ha giustamente toccato, è la riduzione socio-politica del messaggio evangelico. Se vedo il Vangelo solo in modo sociologico, sì, sono comunista, e lo è anche Gesù. Dietro le Beatitudini e Matteo 25 c’è un messaggio che è proprio di Gesù. Ed è quello di essere cristiani. I comunisti hanno rubato alcuni dei nostri valori cristiani. [Altri li hanno trasformati in un disastro.

A proposito di comunismo, lei è stato criticato per la Cina. Avete firmato un accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi. Alcuni, e lei stesso, hanno detto che il risultato non è grandioso, ma è un risultato. Alcune persone nella Chiesa e nella politica dicono che lei sta pagando un prezzo alto per aver mantenuto il silenzio sui diritti umani [in Cina].

Non si tratta di parlare o di tacere. Non è questa la realtà. La realtà è dialogare o non dialogare. E si dialoga fino al punto in cui è possibile.

Per me, il più grande modello che trovo nel periodo moderno della Chiesa è il cardinale Casaroli. C’è un libro intitolato Il martirio della pazienza che parla del suo lavoro in Europa orientale. I papi – intendo Paolo VI e Giovanni XXIII – lo mandarono soprattutto nei Paesi dell’Europa centrale per cercare di ristabilire le relazioni durante il periodo del comunismo, durante la guerra fredda. E quest’uomo ha dialogato con i governi, lentamente, e ha fatto quello che ha potuto e lentamente è riuscito a ristabilire la gerarchia cattolica in quei Paesi. Per esempio – penso a un caso – non era sempre possibile nominare come arcivescovo nella capitale la persona migliore, ma quella che era possibile secondo il governo.

Il dialogo è la via della migliore diplomazia. Con la Cina ho scelto la via del dialogo. È lento, ha i suoi fallimenti, ha i suoi successi, ma non riesco a trovare un’altra strada. E voglio sottolineare questo aspetto: Il popolo cinese è un popolo di grande saggezza e merita il mio rispetto e la mia ammirazione. Mi tolgo il cappello di fronte a loro. E per questo cerco di dialogare, perché non è che andiamo a conquistare la gente. No! Lì ci sono i cristiani. Bisogna prendersi cura di loro, perché siano buoni cinesi e buoni cristiani.

C’è un’altra bella storia su come la Chiesa svolge questo apostolato. Si tratta dell’ultima volta che [l’allora arcivescovo] Casaroli vide Giovanni XXIII. Egli fece una relazione su come stavano andando i negoziati in questi Paesi. Casaroli era solito recarsi nei fine settimana al carcere minorile di Casal del Marmo per visitare i giovani. Nell’udienza con Giovanni XXIII, si parlava del problema di questo Paese, di quello e dell’altro. Si dovettero prendere decisioni difficili, ad esempio per far venire a Roma il [cardinale József] Mindszenty, che allora era all’ambasciata americana di Budapest. Era un problema, una decisione difficile, ma Casaroli aveva preparato [il trasferimento]. E quando stava per partire, Giovanni XXIII gli chiese: “Eminenza, una piccola questione: Lei va ancora nei fine settimana in questo carcere per minori?”. [Quando Casaroli rispose: “Sì”, [il Papa disse:] “Salutateli e non abbandonateli!”. Nel cuore di questi due grandi uomini, andare in carcere e visitare i giovani era importante quanto stabilire relazioni con Praga, Budapest o Vienna. Questi sono i grandi. Questo dà un’immagine completa di loro.

Ultima domanda. Lei è Papa da dieci anni.

Sì!

Se guarda indietro, ci sono tre cose che avrebbe fatto diversamente o che rimpiange?

Tutte! Tutte! Tutte diversamente! Ma ho fatto ciò che lo Spirito Santo mi diceva di fare. E quando non l’ho fatto, ho sbagliato.