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sabato 10 dicembre 2022

“Esiste una Messa del Concilio?”

Interessante riflessione sui rapporti tra NOM e "Messa del Concilio": la prospettiva di Rahner era che "il Concilio fu l’inizio di un inizio, il segnale di partenza per uno sviluppo tempestoso, sì; e verso dove? In avanti".
Questa traduzione è stata realizzata grazie alle donazioni dei lettori di MiL.
Luigi

Dalla traduzione inglese pubblicata su "Rorate Caeli", 20 novembre 2022
(originale in tedesco, 19- 11-2022: "Motu proprio: Summorum Pontificum").

Domanda curiosa: certo che c’è. È la Messa celebrata da 10.000 sacerdoti e vescovi partecipanti in tutti i giorni del Concilio, e anche dal clero romano: la Messa il cui Ordo era stato depurato da alcuni degli errori dell’età allora moderna dopo il Concilio di Trento per suo conto, e quindi promulgato da Papa Pio V nel 1570. Non come un "nuovo" Messale - per molti aspetti piuttosto riportato allo stato del XIII secolo - e a fortiori non come una nuova ed esclusiva forma della lex orandi del Rito romano, ma come la Santa Messa così come era stata da tempo immemorabile (Papa Damaso nel IV secolo, Papa Gregorio nel VI secolo) e sempre dovrà essere in futuro.

Ma se questa Messa era la "Messa del Concilio", se tutti i vescovi e i sacerdoti la celebravano devotamente ogni giorno per rendere presente in modo incruento il sacrificio redentivo del Signore, come poteva esserci nell'aula conciliare e poi nei suoi documenti un altro "spirito" se non quello stesso che i Padri conciliari imploravano ogni mattina nella preghiera "Veni, Sanctificator omnipotens"? Cosa si aspettano da noi questi Rochegrillos [così anche nell’originale tedesco, formazione a partire dai nomi di mons. A. Roche e A. Grillo, in italiano potrebbe rendersi con “Rochegrilli” n.d.t.] quando affermano, senza sprofondare nella terra per la vergogna, che i Padri conciliari hanno invocato uno spirito con una data di scadenza al mattino e poi hanno ascoltato quello del futuro nel pomeriggio? Lo Spirito Santo è schizofrenico? O non sono piuttosto i pensatori bergogliani che vogliono venderci la loro invenzione delle leges orandi non più compatibili. E non vogliono nemmeno "venderla" o renderla altrimenti appetibile. Vogliono imporcela, con un palese abuso del loro potere ufficiale, in un modo che non si è mai visto prima nella Chiesa.

Ma se la Messa del Novus Ordo del 1969/70, così dichiarata sacrosanta e unica Messa benedetta, non è la Messa del Concilio, allora... cos’è? Questa è davvero una bella domanda - e si capisce che è una bella domanda solo per il fatto che non è affatto facile rispondere.

Per iniziare in superficie: Il Novus Ordo è un nuovo rito sviluppato dalla commissione Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, nominata da Paolo VI nel 1964 sotto la direzione del controverso Annibale Bugnini, e poi promulgato dal Papa nel 1969. È un rito ufficiale della Chiesa romana - anche se non più il Rito romano come celebrato da Gregorio Magno a Giovanni XXIII. È stato messo in vigore nel 1969, anche se le condizioni per il suo utilizzo non erano ancora state create in modo soddisfacente. Alla data della sua introduzione ufficiale, ad esempio, non esisteva nemmeno un messale regolare del Novus Ordo in italiano. Tuttavia, la mera legalità dell’atto di Paolo VI è difficilmente contestabile - un Papa dovrebbe violare drasticamente ogni legge applicabile per giustificare un giudizio negativo in tal senso. Ma rimangono forti dubbi sulla legittimità e sulla prudenza della sua azione.

Un dubbio di legittimità si basa sul fatto che il Consilium è andato ben oltre il mandato conferitogli - peraltro formulato in modo molto impreciso - di "eseguire la Costituzione sulla Liturgia", e che questa Costituzione - come tutti i documenti del Vaticano II - non è esente da affermazioni poco chiare e contraddittorie.

I dubbi sulla prudenza, cioè sulla saggezza e sull’opportunità della promulgazione, possono anche essere giustificati, dopo 60 anni, in modo molto pratico, dal fatto che la riforma, nella sua esecuzione, non ha letteralmente raggiunto nemmeno uno degli obiettivi il cui auspicato raggiungimento era l’unica giustificazione data per la revisione. Come regola generale, i Padri conciliari avevano decretato all’epoca: "Infine, non si facciano innovazioni, a meno che il bene della Chiesa non le richieda realmente e certamente; e si abbia cura che le nuove forme adottate si sviluppino in qualche modo organicamente da forme già esistenti" (SC 23). Ora che i danni sono inequivocabilmente sotto gli occhi di tutti, sarebbe un imperativo di onestà e verità tenerne conto e annullare ciò che non ha portato alcun beneficio.

Tuttavia, da tempo non c’è più accordo su cosa sia esattamente un beneficio e cosa un danno. Ciò che i sostenitori della tradizione deplorano come un danno è visto dai propagandisti delle vie sinodali quasi come una conferma delle loro idee riformatrici! La diminuzione della partecipazione al servizio divino, per loro, corrisponde solo alla tendenza sociale generale (inevitabile, secondo loro). La scomparsa della fede nella Presenza reale di Cristo nel Sacramento... beh, per loro è solo un dogma diventato insostenibile a causa della scienza moderna. Livellamento del ruolo liturgico del sacerdote nella liturgia - perché è così che deve essere nella società democratica dei liberi e degli uguali! Riservare il ruolo di "alter Christus" all’altare solo agli uomini (e, se è per questo, riservare il ruolo di portatore di vita nuova solo alle donne!) - si tratta di clichés di ruolo davvero superati, dai quali la Chiesa deve emanciparsi al più presto, in compagnia della società secolare.

La critica spesso sentita che i "riformatori" della liturgia (e della dottrina) raccomandano sempre, come rimedio contro la miseria, solo più di quella stessa medicina che ha già dimostrato la sua inefficacia per decenni, si basa su un malinteso da parte dei critici. Gli stessi "riformatori" non vedono alcuna miseria, e a maggior ragione non hanno alcun desiderio di curare alcuna "malattia". La "malattia" e la decadenza - ai loro occhi non sono altro che le doglie del parto di un mondo nuovo e migliore. Credono fermamente e indissolubilmente - proprio come i loro antenati avevano creduto nella salvezza soprannaturale - in uno sviluppo dettato dallo spirito del mondo e dei tempi, il grande Progresso che porta ad altezze sempre maggiori l’umanità. Rifiutare rigidamente questo Progresso, fermarlo nostalgicamente o addirittura volerlo annullare "indietristicamente" - ebbene, questa è la malattia, questo è l’unico peccato che rimane e deve essere superato in un mondo che si è liberato dal peccato. "Avanti sempre, indietro mai" - questo era il motto del grande Presidente del Consiglio di Stato Erich Honecker, che solo per questo si è guadagnato un posto d’onore tra i padri della Nuova Chiesa.

Ma allora perché parlano sempre del "Concilio" e lodano "la Messa del Concilio", presumibilmente decisa dal Concilio, incessantemente con toni altisonanti? Un’assemblea di vecchi bianchi non rappresenta forse di per sé qualcosa di superato? Non è forse l’espressione di uno spirito il cui superamento è stato imperiosamente messo all’ordine del giorno dal comandamento del Progresso?

Dovete vederlo dialetticamente, cari amici e compagni. Da un lato, la canonizzazione del Concilio è un ottimo mezzo per afferrare il popolo cattolico arretrato dal suo istinto di fedeltà alla tradizione, ai vescovi e, non da ultimo, al Papa - e afferrare un tale istinto e poi piegarlo nel suo opposto è naturalmente un piacere infernale per ogni propagandista della dialettica.

E poi, naturalmente, c’è del vero nella questione - almeno se la si guarda dalla giusta prospettiva. Per esempio, se lo si guarda dalla prospettiva di Karl Rahner SJ e dei suoi discendenti, il Concilio fu l’inizio di un inizio, il segnale di partenza per uno sviluppo tempestoso, sì; e verso dove? In avanti, naturalmente, e lontano da tutto ciò che c’era prima. Visto in questo modo, ogni allontanamento da ciò che c’era prima del Concilio non è altro che l’adempimento fedele del mandato stesso del Concilio. E 2 + 2 = 5, almeno per i gesuiti - e, se vogliono, per tutti.

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