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lunedì 11 luglio 2022

“Desiderio desideravi”: perché papa Francesco desidera tanto distruggere il rito antico? #traditioniscustodes

Un'altra dura analisi di Desiderio desideravi.
QUI MiL sulla Lettera Apostolica.
Luigi


RICORDA CHE: “Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. (..) Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode…” (Benedetto XVI – Omelia dalla Cattedra 7.5.2005)
«Il sacro Concilio, obbedendo fedelmente alla tradizione, dichiara che la santa madre Chiesa considera come uguali in diritto e in dignità tutti i riti legittimamente riconosciuti; vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati» (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia 𝘚𝘢𝘤𝘳𝘰𝘴𝘢𝘯𝘵𝘶𝘮 𝘊𝘰𝘯𝘤𝘪𝘭𝘪𝘶𝘮, § 4).

Proprio oggi nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo, mentre Roma è in festa, esce la Lettera Apostolica firmata da Papa Francesco “Desiderio Desideravi” – leggi qui testo ufficiale – “Sulla formazione liturgica del Popolo di Dio“… E’ una Lettera che andrà letta e riletta, ben meditata e pesata attentamente nelle parole usate e, certamente, già a più attente riletture si possono fare alcune considerazioni che emergono.

Partiamo dal titolo della Lettera, quel “Desideravo Desideravi” che proviene dalle parole di Gesù (Lc.22,15) quando ordina ai Discepoli di “preparare” la Cena della Pasqua, la così detta “Ultima Cena” quando istituisce il sacerdozio e l’Eucaristia, dando così vita e forma al nuovo Culto Divino: la Messa, la Liturgia Cattolica. Così, leggendo la Lettera ci viene il dubbio se, il suo contenuto, è davvero il “Desiderio Desideravi” pronunciato dal Cuore del Cristo, o forse non è piuttosto il desiderio di Francesco a voler mettere fine ad ogni discussione sulla preservazione del rito antico?

Basterebbe leggere la Lettera ai Vescovi di Benedetto XVI che accompagnava il Summorum Pontificum – leggi qui i due testi – che lo stesso Francesco ha distrutto abrogandolo con il suo “Traditionis Custodis” – leggi qui ed anche qui– per comprendere che i conti non tornano e di come questo “Desiderio Desideravi“, in questa nuova Lettera, perde il suo senso originale e diventa un “desiderio desiderare” personale di papa Francesco. E allora, rileggendo più volte il testo e dopo esserci confrontati tra noi, con alcune persone, possiamo fare alcune considerazioni sul contenuto della Lettera:

1) In sè, TUTTO il discorso, può essere passabile (o ingannevole?) per il fatto che c’è un forte richiamo (e rimproveri ai sacerdoti creativi) a riconsiderare la Liturgia, il Culto a Dio quale momento non storico del passato, ma “il nostro modo di stare alla presenza del Signore…” tuttavia, nel testo, non si parla mai della “Divina reale Presenza “, anche se il senso lo si può raggiungere con sforzo ragionevole. Ma le fondamenta su cui poggia tutto il testo è il Concilio Vaticano II, non solo perché è un documento che lo difende, ma perché, per Francesco, è la “nuova Chiesa” con il chiaro intento di un ritorno alle origini. Naturalmente ci sono citazioni dei documenti conciliari, ma in questa Lettera è evidente come non mai che, per Francesco, il Vaticano II ha, anziché un magistero dottrinale, un insegnamento di cambio di mentalità (paradigma), qualcosa da vivere, più che da imparare, come scrisse egli stesso poco tempo fa — leggete qui per capire e avere la prova.
Il passato della Chiesa non viene negato, ma “assorbito” e “ripulito” nel Vaticano II. Questo vale anche per il “Deposito della Fede”, che non viene rinnegato esplicitamente, ma accantonato e superato dal primato della prassi pseudo-pastorale. Cliccare anche qui: Il Concilio Vaticano II. Riforma o rivoluzione? Tavola rotonda con Roberto de Mattei, se volete capire cosa è accaduto…

2) Nella parte iniziale c’è un discorso ambiguo su una sorta di DIRITTO all’Eucaristia PER TUTTI… non si entra nei dettagli o nei particolari, ma si cita la Evangelii Gaudium… compito della Chiesa dovrà essere questa accoglienza (indiscriminata?) affinché siano coinvolte quante più persone sarà possibile, all’invito dell’Ultima Cena… ma non si fa accenno alla Confessione, alla penitenza, alla conversione. La Chiesa “di e per tutti“, intesa così dalla prassi odierna, basti vedere cosa è accaduto a Bologna con l’assenso del cardinale Zuppi vedi qui, non è la Chiesa di Cristo. L’Eucarestia – tutti i Sacramenti – non sono un diritto, ma un dono che la Chiesa ha la missione e il dovere di custodire e trasmettere a chi, pentito dei propri peccati e abbandonato il peccare, ne faccia richiesta. Il famoso “pro multis”, “per molti”, sì, ma non “per tutti”, come ha detto Nostro Signore e come tentò Benedetto XVI di ripristinare, ma inutilmente, con la famosa Lettera ai Vescovi tedeschi – si legga qui. E ancora: “Molti i chiamati, pochi gli eletti”, non ha detto “tutti”. Che poi il Vangelo, la Redenzione stessa è “per tutti” questo è evidente e nessuno lo ha mai negato. Al centro del Culto liturgico vi è Cristo Sacerdote (il vero ed unico Protagonista, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità) e i suoi ministri agiscono in sua persona. La Messa non è un’assemblea da presiedere e il popolo, semmai, assiste ricevendone i benefici (se è in stato di grazia, ossia confessati, pentiti dei peccati, altrimenti è una assemblea di profanatori e sacrileghi) in quell’unire i propri sacrifici, sofferenze, il lavoro, al Sacrificio di Cristo, e non che “vi partecipa” in quanto “concelebranti”, vantando persino dei diritti inesistenti.

3) Infine la ciliegina sulla torta che papa Francesco ripete per ben due volte: l’unica Liturgia ammessa è e sarà solo il Novus Ordo… Si rimprovera ai Presbiteri due eccessi: quelli che celebrano troppo “asceticamente” (???? in che senso poi) e quelli troppo creativi, chiacchieroni, protagonisti della liturgia… Papa Francesco vuole che si metta in pratica la Sacrosanctum Concilium con la riforma detta Paolo VI e il nuovo Messale… Il passato è passato… si guardi da oggi solo ed esclusivamente al Concilio Vaticano II per la “nuova Chiesa con il suo nuovo Culto a Dio” che, come afferma Francesco nella Lettera:
“Per questo motivo ho scritto Traditionis Custodes, perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano ….”
E’ evidente che non si può essere d’accordo con simili “desiderio desideravi“…
Nella Chiesa il papa e i vescovi non si riuniscono, come sostiene Francesco, perché hanno sentito “il bisogno di riformare”, ma perché ci sono dei problemi dottrinali e disciplinari da risolvere.
Lo Spirito Santo, che è Persona, Terza Persona della SS.ma Trinità, non un’entità spirituale, non è il “notaio” della Gerarchia della Chiesa, né tanto meno può essere usato per giustificare gli errori di essa e quindi finendo per contraddirsi.
Lo Spirito Santo, pur tollerando che vescovi e papi prendano le loro decisioni a volte anche sbagliate (la storia insegna), in qualche modo è sempre intervenuto attraverso i Santi onde evitare il peggio, infatti nei documenti conciliari ci sono gravissimi errori teologici, ma non eresie, ma non impone nulla, se quando viene espressamente invocato per condannare un errore o proclamare un dogma, come insegna infallibilmente il Vaticano I. Tuttavia di una sorta di eresia si può parlare, anche se come ipotesi per il nostro tempo poiché tale è questa smania della conciliarità – leggere qui attentamente – spiega con santa ragione Padre Serafino Maria Lanzetta:Il problema dell’eresia del conciliarismo era lo sforzo di affermare la superiorità del Concilio rispetto al Papa, per limitare il potere del primato petrino.
Il conciliarismo imperante dei nostri giorni invece si chiama conciliarità, cioè la precedenza del Vaticano II rispetto alla fede della Chiesa e anche rispetto addirittura alla Chiesa come tale. Ma conciliarità significa soprattutto spirito del concilio; significa percezione soggettiva di quello che il Concilio ha voluto essere per la Chiesa di oggi.
Questa è una frase che si premette ad ogni discorso dottrinale dei nostri tempi… sembra quasi un passe-partout, una carta d’identità per essere nella Chiesa di oggi: “Se non sei conciliare – nel senso di appartenere, di riconoscere la precedenza del Concilio Vaticano II rispetto all’essere cristiano, alla Fede e alla Chiesa – non hai diritto ad essere nella Chiesa di oggi, non hai diritto a parlare nella Chiesa di oggi”.
E questo è un problema.

Questo Documento non è solo il compendio delle “riforme” che papa Francesco vuole imporre alla Chiesa per renderla “diversa e nuova”, per far dimenticare il suo passato, ma pure degli errori teologici, liturgici e pastorali degli ultimi 60-50 anni, fatti propri dalla Compagnia di Pedro Arrupe nella XXXII Congregazione Generale del 1974 che, non a caso, si sta cercando di imporre come nuovo beato… – leggere qui la deriva del gesuitismo modernista.
Papa Francesco dimostra, soprattutto da dopo l’intervento all’intestino di quasi un anno fa, di avere fretta, molta fretta, affinché le resistenze al suo pontificato – che lui chiama “restaurezionismo” – la smettano di frenare la “riforma” della Chiesa voluta dai padri del Vaticano II, quasi fossero i nuovi apostoli della “nuova chiesa”.
Questa lettera di papa Francesco ha, almeno, il “merito” di dimostrare ancora una volta che il Vaticano II è stata una rottura con la Tradizione. L’ermeneutica della riforma nella continuità poteva curare i sintomi, non la causa.

RICORDA CHE «Il sacro Concilio, obbedendo fedelmente alla tradizione, dichiara che la santa madre Chiesa considera come uguali in diritto e in dignità tutti i riti legittimamente riconosciuti; vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati» (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia 𝘚𝘢𝘤𝘳𝘰𝘴𝘢𝘯𝘵𝘶𝘮 𝘊𝘰𝘯𝘤𝘪𝘭𝘪𝘶𝘮, § 4)

Leggendo questa Lettera, questo “desiderio desideravi“, non certo di Gesù Cristo ma di papa Francesco con tutta la Gerarchia oramai inerme o inerte… ci sono affiorate le parole profetiche di Padre Julio Meinvielle – leggi qui il testo – laddove nel 1970 profetizzava:«Non c’è difficoltà a riconoscere che c’è una “chiesa propaganda” che possa esser conquistata dal nemico, convertendo così la Chiesa cattolica in chiesa gnostica. Si possono avere due chiese. Una propaganda che divulga (dottrine) attraverso vescovi, sacerdoti e teologi “propagandisti” e persino con un Pontefice di attitudine ambigua.
L’altra Chiesa, del silenzio, con un Papa fedele a Gesù Cristo, al Suo insegnamento e con sacerdoti vescovi e fedeli che le siano obbedienti ,sparsi per tutta la terra come piccolo gregge (pusillus grex).
Questa seconda sarebbe la Chiesa delle Promesse, diversa dalla prima chiesa che potrebbe invece errare e trarre in errore.
Ma (potrebbe verificarsi che…) uno stesso medesimo papa potrebbe presiedere entrambe le chiese, che esteriormente apparirebbero esser solo una. Questo papa, con attitudini ambigue, porterebbe a mantenere l’equivoco, perché da una parte professerebbe una dottrina inattaccabile e sarebbe capo della chiesa delle promesse, dall’altra parte produrrebbe fatti equivoci e persino riprovevoli.
Lui (il papa) apparirebbe come voler incoraggiare la sovversione e mantenere la chiesa gnostica in quella della propaganda. L’Ecclesiologia non ha studiato sufficientemente la possibilità di una ipotesi come questa proposta.…».

Padre Meinvielle parla di una “ipotesi” per l’Ecclesiologia del nostro tempo, non ancora “studiata sufficientemente”, a distanza di tempo possiamo parlare di “profezia” senza che alcuno possa smentire…

P.S. Un articolo di Padre de Blignières risponde ad uno studio del Padre Henry Donneaud, OP (pubblicato ad ottobre 2021 sul sito della Nouvelle Revue Théologique ed è poi apparso nel numero 144 – gennaio-marzo 2022 – della stessa rivista, nelle pagine 38-54). Questi dimostra che da un motu proprio all’altro, cioè da Benedetto XVI a Francesco, i principii che fondano le decisioni disciplinari restano gli stessi, anche se apparentemente queste decisioni sembrano contraddirsi. La contraddizione non ha luogo perché le decisioni cambiano solo per adattarsi alle circostanze. Infatti, il principio fondamentale che serve loro come regola è enunciato ugualmente da Benedetto XVI e da Francesco. Per entrambi non vi sono due riti, quello di San Pio X e quello di Paolo VI, ma vi è un solo rito romano che trova espressione in due Messali, quello detto di San Pio V e quello di Paolo VI.
Di queste due espressioni, quella del Messale di Paolo VI è “ordinaria”, nel senso che possiede il valore di una legge comune obbligante come tale tutti coloro che nella Chiesa universale celebrano il rito romano; mentre l’altra, quella del Messale di San Pio V, ha solo il valore di un permesso (come precisa l’articolo 2 del Summorum Pontificum) il cui uso è autorizzato come un’eccezione alla legge comune, secondo precise condizioni e in ragione di circostanze particolari. La differenza tra i due motu proprio risiede nel fatto che mentre quello del 2007 concede questo uso in “forma straordinaria”, quello del 2021 lo restringe. Ma né l’uno né l’altro lo sopprimono. E se il secondo restringe quello che il primo aveva elargito, questo si spiega perché lo esige la salvaguardia della legge comune della Chiesa, cioè l’espressione “ordinaria” del rito romano, la quale ha sempre la priorità su tutti i permessi legati alle circostanze. In effetti, è chiaro che una volta riconosciuto che l’uso del Messale detto di San Pio V è oggetto di un semplice permesso, quest’uso deve essere misurato in base alle esigenze del bene comune di tutta la Chiesa. (qui la fonte)