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domenica 24 aprile 2022

Tito Casini: stranieri anche in Chiesa

Un brano dello scrittore Tito Casini (1897-1987), autore di profonde e accorate riflessioni sugli effetti avversi della riforma liturgica. Per esempio, la tanto sbandierata unità, frammentata dalle mille traduzioni che hanno finito per nazionalizzare la liturgia, laddove un tempo a qualsiasi latitudine ci si sentiva a casa ascoltando lo stesso «
Introibo ad altare Dei»...
Stefano


Stranieri anche in Chiesa

di Tito Casini

«Ma come!» voi ci fate dire, esclamare (senza certo riflettere a Chi parlate, Chi compatite, con noi): «lasciar da parte il latino, la lingua della Chiesa, la lingua tradizionale della Chiesa, la lingua nella quale si sono espressi i padri, la lingua per cui la Chiesa cattolica si sente una in tutto quanto il mondo, lasciar da parte il latino per queste lingue volgari?».

E riconosciamo che, se non tutte, avete riassunto bene una buona parte delle nostre «giustificazioni», spingendo la vostra generosità fino a dire: «non le disprezziamo», e grazie, Eminenza! Idem per la musica: «accantonare, archiviare», voi seguitate a scandalizzarvi, rettoricamente, in nostra vece, «tutto un patrimonio di canto gregoriano, di polifonia classica, di polifonia e di musica sacra posteriore, accumulato nei secoli, che è tutto composto su testi latini, ed esige testi latini?». Idem per l'architettura, ammettendo che se «le nostre chiese, le nostre grandi chiese, tutte le nostre chiese», con buona pace di Nicola Pisano, di Arnolfo, di Bramante, del Sangallo, di Michelangelo, del Bernini e compagnia simile, non son fatte bene, «non sono fatte nel modo più funzionale» e vanno perciò rifatte o corrette («con somma prudenza», beninteso) in «senso comunitario» ossia senza «diaframmi di colonne, pilastri, navate» eccetera tra l'«assemblea» e l'unico altare nel mezzo (in una parola, sottintesa, alla protestante), rappresentano tuttavia un «patrimonio artistico» anch'esso non disprezzabile; però... «Però» (è la vostra risposta a tutto, e fa pena) «di fronte a queste, che sono pure valide cose, sta una cosa più grande: la formazione spirituale del popolo cristiano: comunicare a questo popolo la parola di Dio in maniera che la intenda e se ne nutra: accostarlo all'altare così che egli consapevolmente partecipi all'assemblea della famiglia di Dio».

Più che a una famiglia la parola «assemblea» fa pensare a un «club», a una cooperativa, a un circolo, o mettiam pure a un condominio; ma non è questo, oh no! che fa pena: ciò che fa pena - ve lo ripeto: il sangue, infatti, ribolle nelle mie vene di cattolico perdutamente innamorato della sua Chiesa - è l'ingiuria che voi lanciate (senza riflettere, sicuramente: era il carnevale, erano i giorni dei coriandoli) contro la Chiesa. Se la logica vale ancora, se non è stata riformata, anche lei, al vostro distretto, da queste come da quell'altre vostre parole è giocoforza sillogizzare che la Chiesa, fin qui, fino a voi, l'esecutore della Riforma, il Grande Slatinizzatore del Culto, la Chiesa, con tutti i suoi papi, i suoi santi, i suoi dottori, i suoi liturgisti (da papa Damaso a Schuster), non aveva, ridiciamolo, capito un'acca e conformemente non aveva fatto nulla per «la formazione spirituale del popolo cristiano»; con l'aggravante di aver mantenuto e difeso ed esaltato il suo latino quando a conoscerlo, grammaticalmente, erano pochissimi, erano propriamente i «signori», mentre oggi un po' lo san tutti e quello di chiesa è così facile, specie per gl'italiani; né vi era il sussidio dei «messalini»: quei piccoli messali bilingui (latino-italiano, latino-francese, latino-tedesco, latino-inglese e così via, a fianco o interlineati) che a voi, è vero, non vanno (fatta eccezione, m'immagino, per quello del padre Bugnini...) rappresentando anch'essi un «diaframma tra l'altare e la nave, tra il sacerdote che presiede l'assemblea e l'assemblea stessa», e rappresentavano precisamente, nel più largo senso, il contrario sia perché davan modo ai cattolici di girare il mondo, di entrare in qualunque chiesa, «della lontanissima Santiago del Cile o della Nuova Zelanda», senza sentirsi mai stranieri, sempre sentendosi a casa propria, tra fratelli (lascio a voi la vostra «assemblea») nella chiesa della propria parrocchia; sia e soprattutto perché coi «messalini» accadeva questo, Eminenza: accadeva che, appreso più o meno in breve il significato dei testi (che si ripetono quotidianamente o annualmente), i fedeli seguivano ormai in latino, insieme al celebrante (vi lascio il «presidente»), la Messa, vinti da quell'attrattiva propria del belle che poco fa si diceva e ch'è d'ogni persona normale. «La lingua per cui la Chiesa cattolica si sente una in tutto quanto il mondo...» Proprio così, Eminenza, e vi assicuro che non è una cosa da poco: se non fosse una troppo brutta parola del vostro brutto lessico di riformati vi direi che quello era il vero «comunitarismo».

Ho visto co' miei occhi il contrario l'estate scorsa stando al mare in una città della vostra Emilia frequentata da stranieri proprio di tutto quanto il mondo, tra cui molti cattolici, e quanto mi commoveva gli altri anni il sentirli, in chiesa, alla Messa domenicale, pregar con noi, «unanimes uno ore» in tanta diversità d'accenti, cantar con noi: «Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam», tanto mi ha rattristato, quest'anno, il vederli, accanto e lontani, guardarci muti, smarriti, stranieri - in una parola - anche lì pur se a contatto con noi di gomito, quelli che non eran rimasti fuori. La Messa, infatti, quest'anno, non era «nella lingua di tutti»: era in italiano, e questo era davvero il «diaframma», più isolante delle colonne, dei pilastri, delle navate... Parlavo con un ex-ufficiale inglese già prigioniero in Germania e mi diceva che il filo spinato e il muro di cinta e le sentinelle non gl'impedivano, la domenica, di sentirsi libero, fra i suoi, sentendo il cappellano tedesco segnarsi, in latino, e dire Introibo ad altare Dei... come il suo parroco di Londra. Ho anche presenti, e non le scorderò mai, le lacrime di un'anziana signora che dal protestantesimo s'era convertita al cattolicismo proprio o soprattutto per questa sua «splendida unità», e ora ... !
«Ut unum sint», e si è cominciato col distruggere l'«unum sunt».


Fonte: La Tunica stracciata

Foto tratta da ICRSS Gabon

3 commenti:

  1. Questo Autore che amava così tanto il latino, sembra però ignorarare l'etimologia del sostantivo "Chiesa", là ove critica il lodevole proposito di far sì che il popolo cristiano "consapevolmente partecipi all'assemblea della famiglia di Dio" e scrive con disprezzo che, secondo lui, "più che a una famiglia la parola «assemblea» fa pensare a un «club», a una cooperativa, a un circolo, o mettiam pure a un condominio". Ebbene, lo insegnano anche al catechismo della prima Comunione, la parola "Chiesa" deriva dal latino "ecclésia" e ancor prima dal greco antico ecclesìa, parole che volevano proprio dire, guarda un po', "assemblea": basta consultare qualsiasi dizionario di latino e greco per rendersene conto. Cito due dei tanti vocabolari che ho in casa; per il latino, Calonghi: ecclesia=assemblea del popolo negli Stati liberi della Grecia, assemblea dei primi cristiani per celebrare il culto. Per il greco, Montanari: ecclesìa=assemblea, adunanza, riunione. A volte (ma più che all'Autore, che non c'è più, lo dico a coloro che ne condividono gli scritti, soprattutto quando hanno la tendenza di tacciare di ignoranza gli altri), prima di farsi prendere dai sacri furori sarebbe bene fermarsi un attimo a riflettere con calma, onde evitare brutte figure.

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  2. Veramente, fino a S. Pio X (ufficialmente), il latino veniva parlato con pronunce nazionali alquanto discutibili, ad iniziare dall'impenetrabile glossa francofona. Andando a Messa con i genitori di S. Teresina, dubito che avremmo capito granché, anche se il rito era lo stesso.

    Ma poi, è un gesto di culto o una conferenza? Se andate a Messa in un altro paese, improvvisamente non sapete più cosa sta succedendo sull'altare? Potete sempre portarvi il vostro messalino (ora ci sono pure le app!) per leggere le letture e le orazioni. Suvvia, non nascondiamoci dietro le dita dell'ideologia.

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  3. Mah, quelli in foto propinano formule latine a chi vive nella savana africana e voi applaudite perché testimonianza dell’unità della Chiesa (?), mentre date di matto se doveste trovarvi a sentir messa in polacco o norvegese perché “non si capisce niente”?
    Ma ripigliatevi!

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