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lunedì 13 dicembre 2021

#traditioniscustodes e il nostro grande dolore. Alcune riflessioni

Atti degli Apostoli 5,34-39
34 Si alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della legge, stimato presso tutto il popolo. Dato ordine di far uscire per un momento gli accusati, 35 disse: «Uomini di Israele, badate bene a ciò che state per fare contro questi uomini. 36 Qualche tempo fa venne Tèuda, dicendo di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quanti s'erano lasciati persuadere da lui si dispersero e finirono nel nulla. 37 Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo, ma anch'egli perì e quanti s'erano lasciati persuadere da lui furono dispersi. 38 Per quanto riguarda il caso presente, ecco ciò che vi dico: Non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; 39 ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!»

Premessa
Il tema di Traditionis Custodes  crea grande dolore e un disagio enorme (da me mai vissuto da quando sono tornato alla fede cattolica). Trovo perciò doveroso fornire qualche breve sintesi (non chiave di lettura, perché il testo parla, veramente, da solo), che illustri meglio i contenuti.
D’esordio, la ratio del Motu Proprio Traditionis Custodes di Papa Francesco, pubblicato “per promuovere la concordia e l’unità della Chiesa” (valuteremo il successo di questo auspicio), perfettamente illustrato nell’articolo 1, che recita: “I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”.
A titolo di promemoria, questo era il parallelo articolo 1 del Motu Proprio di Papa Benedetto XVI Summorum Pontificum: “Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della ‘lex orandi' (‘legge della preghiera’) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa lex orandi e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della ‘lex orandi’ della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella ‘lex credendi’ (‘legge della fede’) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano”.
Ne deriva che la forma extraordinaria non esiste più, né esiste più il portato - teologico, liturgico, ecclesiale, pastorale - del Motu Proprio _Summorum Pontificum (in breve: non esiste più Summorum Pontificum), tanto che nella Lettera del Santo Padre Francesco ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu Proprio Traditionis Custodes, il Papa precisa: “prendo la ferma decisione di abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti al presente Motu Proprio, e di ritenere i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, come l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”.

Conseguenze pratiche e operative
Esposte la ratio e la novità radicale che ne consegue - il Novus Ordo è “l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano” (Francesco), in luogo dei “due usi dell’unico rito romano” (Benedetto) - fra le conseguenze operative esplicitate nell’art. 3, le facoltà residue riguardano le diocesi “in cui finora vi è la presenza di uno o più gruppi che celebrano secondo il Messale antecedente alla riforma del 1970”, “non però nelle chiese parrocchiali e senza erigere nuove parrocchie personali” (art. 3 § 2) e posto che il vescovo “avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi” (art. 3 § 6).
Trascuro le ulteriori limitazioni, riguardanti i sacerdoti che già celebrano con il rito tridentino, i novelli sacerdoti che desiderassero celebrarlo (vedere anche i rischi futuri QUI), la valutazione discrezionale sulla opportunità di mantenere le parrocchie personali già erette, il trasferimento di competenza per gli istituti che celebrano il rito tradizionale dalla (ex) Pontificia Commissione Ecclesia Dei (poi Sectio Quarta della CdF) alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, etc.: tutti ambiti in cui sarà sufficiente leggere in parallelo il Motu Proprio Traditionis Custodes e il Motu Proprio _Summorum Pontificum.

Complessivamente pare corretto dire che con Traditionis Custodes non si torna a prima del Motu Proprio Summorum Pontificum del 2007, né a prima delle disposizioni del Motu Proprio Ecclesia Dei di san Giovanni Paolo II del 1988, ma a prima della Lettera della Congregazione per il Culto Divino Quattuor abhinc annos del 1984.

D’altro canto, come è detto conclusivamente nella Lettera del Santo Padre Francesco ai Vescovi di tutto il mondo per presentare Traditioni Custodes, con parole e un linguaggio di una durezza inusitata, “le indicazioni su come procedere nelle diocesi sono principalmente dettate da due principi: provvedere da una parte al bene di quanti si sono radicati nella forma celebrativa precedente e hanno bisogno di tempo per ritornare al Rito Romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II; interrompere dall’altra l’erezione di nuove parrocchie personali”.
Questo è lo scenario del dilemma in cui ora si trovano immersi, come in un incubo, quanti “sono radicati nella forma celebrativa precedente”, che Benedetto XVI ci aveva insegnato essere una delle “due espressioni della ‘lex orandi’ della Chiesa [che] non porteranno in alcun modo a una divisione nella ‘lex credendi’ (‘legge della fede’) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano”, che - non essendo “mai [stato] abrogato” -, “deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico”.

Considerazioni finali
Mi è stato sempre insegnato che “magistero non scaccia magistero” e che non ci può essere rottura con la Tradizione e il Magistero. 
Ora più prosaicamente - e tragicamente - dovremo imparare a dire che “un Papa ‘bolla’ e l’altro ‘sbolla’” (sui "vincoli" del Papa vedere QUI);  sbaglia chi è papolatra, chi crede che ogni flatus vocis del Papa sia da difendere a prescindere; e così ogni suo atto (interviste, exploit vari, etc.). Il card. Ratzinger, nel 1997 QUI , rispose molto bene sul ruolo dello Spirito Santo nei confronti del Papi, senza dover  riprendere alcune note affermazioni attribuibili forse a S. Vincenzo di Lerino o a S. Vincenzo Pallotti.

Per concludere queste riflessioni riporto una mail inviatami da un amico qualche tempo fa che rende bene il dolore che proviamo tutti:
"Stamane sono stato ad una Messa gregoriana, "legale" e quindi pubblica. Buona parte dei quasi settanta presenti era costituita da giovani e persino giovanissime coppie (certo di evidente età inferiore alla media delle "giovani coppie" consuete), con bambini (quanti passeggini!) e ragazzini. Degli altri, a viste mie, praticamente nessuno poteva essere ritenuto un "nostalgico", perché per esserlo avrebbe dovuto avere almeno quindici/sedici anni quando fu consegnato il messale riformato, e quindi essere nato nel 1953-54, e non mi pare che ci fossero quasi settantenni.
Qualcuno può riferirlo al Papa e ai monsignori interessati?
Grazie, in Jesu et Maria
g."

Qualcuno a S. Marta si ricordi di Gamaliele e la citazione all'inizio del post!
Luigi

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