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martedì 7 dicembre 2021

Il Richelieu del Vaticano: il card.Silvestrini e la Mafia di San Gallo

Sulla Mafia di San Gallo, con gli articoli precedenti del Prof. de Mattei, vedere MiL QUI, QUI, QUI.
Luigi

1 Dicembre 2021, Corrispondenza Romana, Roberto de Mattei

Nei lunghi colloqui che ebbi con lui tra il 1980 e il 1981, don Mario Marini, non ancora monsignore, mi spiegava che dietro l’organigramma ufficiale del Vaticano si nascondeva un “direttorio occulto” alla cui testa era mons. Achille Silvestrini, che egli definiva “il Richelieu del Vaticano”, con riferimento al cardinale Segretario di Stato di Luigi XIII, Armand du Plessis de Richelieu (1585-1642), passato alla storia per l’abilità nei suoi intrighi.

«Il cervello del potere – raccontava don Marini – consiste in un modesto locale che quasi nessuno conosce dentro e fuori la Città dei Papi. Ufficialmente si chiama “ufficio del personale della Segreteria di Stato”, ma non si troverà il suo nome nell’annuario pontificio, benché questo offra una descrizione completa e dettagliata della Curia romana. Il “sancta sanctorum” di questo ufficio è un centro di archivi confidenziali, ben distinto dagli archivi ufficiali della Segreteria di Stato che, da parte loro, sono suddivisi in dipartimenti più o meno discreti. Questo ufficio riceve le informazioni, le conserva, ne orienta la ricerca, istruisce le pratiche, prepara i dossier, quando è il caso fa sparire le carte. Controllare questi archivi dell’“ufficio del personale” è come disporre di un esplosivo di elevata potenza. Significa, infatti, detenere un potere eccezionale, i cui orientamenti e le cui direttive riescono ad imporsi ai più recalcitranti, Perché in questo ufficio confluiscono e sono catalogate le informazioni sui personaggi di maggior rilievo nella vita della Chiesa del mondo intero. Qui si scheda e si prepara tutto ciò che concerne l’alto personale ecclesiastico, ivi compresi i “casi” più delicati di ordine teologico o morale. Dalla sommità di questo Olimpo può ad ogni istante cadere la folgore».

Sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, le nomine dei vescovi e dei nunzi venivano preparate in questo ufficio, anche attraverso operazioni psicologiche e di condizionamento dell’opinione pubblica. Secondo mons. Marini, le decisioni in Vaticano venivano prese a tre livelli. «Il piano inferiore si trova in questo ufficio segreto, le cui chiavi sono nelle mani di mons. Giovanni Coppa, braccio destro di mons. Silvestrini. E là che sono raccolte e filtrate le informazioni per le nomine ecclesiastiche ed è là che possono essere create o distrutte delle reputazioni. Al piano superiore si esaminano in un ristrettissimo comitato gli elementi che permetteranno di compilare di dossier personali. A queste discussioni, oltre a mons. Coppa e al suo protettore, mons. Silvestrini, partecipano mons. Backis, così come mons. Martinez Somalo e il suo secondo, mons. Giovanni Battista Re. Esiste infine un terzo piano, dove sono ratificate le decisioni prese ai due livelli precedenti. Qui regna il cardinale Casaroli, che incarna l’establishment ereditato da Paolo VI».

Le decisioni, di fatto, erano prese da Casaroli e da Silvestrini che poi le presentavano al Papa, come frutto di una “decisione collegiale”. Giovanni Paolo II si limitava a scegliere uno dei tre candidati proposti dalla lobby per la nomina a vescovo, a nunzio o a qualsiasi ufficio della Curia romana”. Secondo mons. Marini, questo clan progressista, dopo aver studiato attentamente la psicologia di Giovanni Paolo II, finì per scoprirne il “tallone d’Achille” nel mito della collegialità, cara al cuore di Wojtyla. «Perciò gli si presenta astutamente, come frutto di una scelta collegiale tutto ciò che si vorrebbe vedere realizzato. Il Papa viene inoltre invitato a liberarsi dalle pastoie del governo della Chiesa, per dedicarsi alla sua missione pastorale e lasciare il peso organizzativo nelle mani dei tecnici e degli esperti. Contemporaneamente i mass media dipingono Giovanni Paolo II come un Papa forte e autoritario, contrapposto a Paolo VI, debole e indeciso».

Mons. Marini era convinto che ben scarsa fosse invece l’autorità reale di Giovanni Paolo II, espropriato dal suo potere di governo dalla Mafia vaticana. La carriera del cardinale McCarrick e di molti altri controversi prelati dell’epoca di Giovanni Paolo II, si svolse secondo questo meccanismo, in un’epoca in cui il Papa moltiplicava i suoi viaggi, lasciando alla Curia romana la scelta delle nomine, con qualche eccezione, come quando nel 1983 impose, contro i voleri della “Mafia”, mons. Adrianus Simonis (1931-2020) come arcivescovo di Utrecht e Primate dei Paesi Bassi.

Mons. Achille Silvestrini, cervello del direttorio occulto che guidava la politica vaticana, era nato il 25 ottobre 1923 a Brisighella, un piccolo comune della Romagna noto per aver dato la nascita, a otto cardinali. Ordinato sacerdote nel 1946, entrò nel 1953 nel servizio diplomatico della Segreteria di Stato vaticana, senza mai fare però l’esperienza delle nunziature. Mons. Marini diceva che Silvestrini aveva due padri ecclesiastici, uno nella carne e uno nello spirito: il primo era il cardinale Amleto Cicognani (1883-1973), nato come lui a Brisighella; il secondo mons. Salvatore Baldassarri, arcivescovo di Ravenna dal 1956 al 1975, quando era stato rimosso da Paolo VI per le sue posizioni filocomuniste.

Avevo conosciuto personalmente mons. Silvestrini il 22 maggio 1980, quando mi aveva ricevuto in Vaticano assieme ai dirigenti di Alleanza Cattolica Giovanni Cantoni e Agostino Sanfratello. Julia Meloni ricorda nel suo libro quel colloquio, in cui esponemmo a mons. Silvestrini l’urgenza di un referendum per abrogare la legge sull’aborto, approvata proprio quel giorno in Italia (The St. Gallen Mafia, Tan 2021, pp. 20-22). Silvestrini, ci rispose che considerava inopportuno il referendum, perché esso avrebbe causato una dannosa “contro-catechesi” abortista, nel senso che, se da parte cattolica si fossero volute abrogare le norme omicide, le forze abortiste le avrebbero difese con più vigore. In realtà egli era convinto della irreversibilità del processo di secolarizzazione, a cui la Chiesa, a suo parere, avrebbe dovuto adeguarsi. In questo spirito assecondava l’Ostpolitik e guidava la delegazione della Santa Sede per la revisione dei Patti Lateranensi, che produsse il Nuovo Concordato con l’Italia, firmato il 18 febbraio 1984 tra il cardinal Casaroli e l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi (cfr. R. de Mattei, L’Italia cattolica e il Nuovo Concordato, Fiducia, 1985).

Nel concistoro del 28 giugno 1988, Giovanni Paolo II creò Silvestrini cardinale e, tre giorni dopo, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, la “Cassazione vaticana”. Nel 1991 fu nominato prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, incarico lasciato nel 2000 a 77 anni, per raggiunti limiti di età. Gli ultimi anni della sua vita furono quelli in cui il cardinale Silvestrini dedicò tutte le sue forze a sostenere il progetto della “Mafia di San Gallo”.

Don Mario Marini invece nel 1983 fu destinato alla Congregazione del Clero, guidata dal cardinale Silvio Oddi (1910-2001), finché nel 1997 fu nominato Sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Il 7 luglio 2007, pubblicando il motu proprio Summorum pontificum, Benedetto XVI lo nominò segretario aggiunto della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei», ovvero numero 3, dopo il cardinale presidente Darío Castrillón Hoyos e il segretario monsignor Camille Perl. In pari tempo lo fregiò della dignità di canonico della Basilica Vaticana. Mons. Marini si spense a 73 anni il 14 maggio 2009, lasciando il ricordo di un carattere difficile, ma anche di un autentico servitore della Chiesa.

Il cardinale Silvestrini morì dieci anni dopo, il 29 agosto 2019, proprio nel giorno in cui il suo “figlioccio” Giuseppe Conte riceveva dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’incarico di formare un governo di sinistra in Italia. Conte, infatti, era un “pupillo” di Villa Nazareth il Collegio universitario protetto dal cardinal Casaroli e poi dal cardinal Silvestrini, che per decenni è stato un centro di relazioni a cavallo fra diplomazia e politica (cfr. Davide Maria De Luca, La Villa dove è nato il rapporto speciale tra Conte e il Vaticano, “Domani”, 19 gennaio 2021). Dopo la morte di Silvestrini la gestione di Villa Nazareth è stata presa in mano dall’arcivescovo Claudio Maria Celli, considerato in Vaticano come il vero erede del “Richelieu vaticano”. Papa Francesco è stato accolto a Villa Nazareth il 18 giugno 2016, dallo stesso Celli e dal cardinal Silvestrini, già provato dalla malattia in sedia a rotelle. Con loro era Angela Groppelli, la psicoterapeuta che per tanti anni ebbe in cura Silvestrini e che poi divenne il motore propulsivo dell’attività politica di Villa Nazareth.

L’arcivescovo Celli sarebbe colui che sta dietro l’apertura di papa Francesco alla Cina comunista, dopo il fallimento dell’Ostpolitik di Paolo VI con l’Unione Sovietica. Quel che è certo è che esiste una filiera che, attraverso la “Mafia di san Gallo”, rimonta alla “Mafia vaticana” degli anni Ottanta e, più indietro ancora, agli uomini di Paolo VI, con gli stessi obiettivi ideologici. Questa rete sotterranea, che ha guidato la politica ecclesiastica degli ultimi cinquant’anni, ha poco a che fare con il Corpo Mistico di Cristo che continua nella storia la sua missione di salvezza eterna delle anime, ma proprio per questo le sue trame meritano di essere conosciute.

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