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lunedì 11 ottobre 2021

Orrori architettonici… e dove trovarli #57 a Sotto il Monte Giovanni XXIII (Bergamo)

Chiesa parrocchiale del Sacro Cuore e Sant’Egidio abate dell’arch. Gianluca Gelmini (anno 2012).

Lorenzo

Descrizione del progetto: «La fabbrica incompiuta
La chiesa parrocchiale di Botta di Sotto il Monte, costruita tra il 1929 e il 1932 sul versante sud del Monte Canto, è rimasta incompiuta sia negli esterni, sia negli spazi interni. Il progetto originario, di Luigi Angelini, lavora sul rapporto tra monumentalità dell’edificio e teatralità del paesaggio: il possente volume, disposto con l’asse maggiore in senso nord-sud, aderisce pienamente al sistema insediativo già consolidatosi storicamente nei vicini abitati di Mapello, Sotto il Monte e Villa d’Adda, dove le chiese matrici sono costruite a mezza costa in posizione dominante, rivolgendo la facciata principale sul paesaggio circostante.
Nell’impianto Angelini riprende la tradizionale tipologia post-tridentina, da lui già adottata, con lievi declinazioni, in altri progetti dello stesso periodo: un’unica grande aula, con tre cappelle per lato, senza transetto, coperta da volta a botte e presbiterio rialzato, poco più stretto della navata, terminato da un’abside semicircolare. Sotto il presbiterio Angelini ricava una cripta accessibile dall’esterno.
Nella composizione, pianta e sezione sono regolate dalla ripetizione alternata di due moduli: il pieno tra i pilastri (A) e il vuoto delle cappelle (B).
Nel linguaggio architettonico che caratterizza il ricco impaginato esterno e interno, Angelini propone una visione classicheggiante (paraste binate, trabeazioni, archi, timpani e finestre circolari) opportunamente contaminata da elementi desunti dalla cultura costruttiva locale (pinnacoli, candelabre, etc.).
Nei materiali di finitura il progetto prevede accostamenti per contrasto: all’esterno, la delicatezza dei modellati in cemento decorativo e le ampie campiture intonacate si contrappongono sia alla grevità rustica del basamento in pietra arenaria appena sbozzata, sia alla severità delle paraste in pietra squadrata. All’interno, pietre e intonaci marmorini accentuano l’articolazione e la gerarchia delle parti in un gioco di membrature e colori.
La luce nell’aula entra in modo omogeneo dagli otto oculi ritagliati nella volta, mentre l’altare è inondato dalla luce diretta del rosone aperto sulla facciata principale verso sud.
Per motivi di varia natura il progetto iniziale di Angelini si arresta a metà degli anni Trenta, lasciando l’edificio incompiuto in diverse parti: non sarà costruito il volume esterno della sagrestia e la terminazione della torre campanaria. Le facciate laterali saranno lasciate al rustico, senza intonaco e internamente non sarà realizzato il ricco apparato decorativo e scultoreo previsto. Il presbiterio rimarrà costretto e irrisolto perdendo anche quelle cantorie laterali che indubbiamente avrebbero contribuito alla dilatazione dello spazio, oltre che a una maggiore profondità di campo.

Adeguamento liturgico del presbiterio
Il carattere non finito del manufatto e la presenza di un presbiterio spoglio connotato da un altare pre-conciliare, anch’esso realizzato solo in parte, sono le condizioni che hanno motivato la necessità di un adeguamento liturgico.
Lavorando su una partitura interrotta, il progetto propone nuove trascrizioni fra arte e architettura, contrapponendo alla severità dello spazio neoclassico di Angelini una lettura scomposta e dichiaratamente contemporanea che trova origine dall’intreccio tra il carattere ieratico del “Cristo” di Pietro Reina, che domina la nuova pala, e la riflessione sul senso dello spazio liturgico contemporaneo e sugli elementi chiamati a definirlo.
L’idea da cui nasce l’intera composizione è stata quella di introdurre un nuovo gradino sopra il piano rialzato del presbiterio, un podio che traccia e definisce lo svolgersi delle azioni liturgiche e allo stesso tempo conferisce misura, gerarchia e proporzione alle parti, individuando, con il suo andamento, i poli liturgici della mensa, dell’ambone e della pala.
La nuova pala è un congegno architettonico che ingloba il volume del vecchio altare pre-conciliare. Con la sua dimensione essa ridefinisce il fondale del presbiterio, articolandosi su due piani in profondità tra i quali scaturisce una luce calda che cambia intensità in relazione all’azione liturgica.
La pala è pensata come vera e propria “macchina liturgica” che integra e giustappone al proprio interno i temi della croce, del tabernacolo e della sede. La sua misura ha origine dalla dimensione della croce dipinta da Reina nel 1932, di cui si è conservata solo la parte centrale. La pala funge da estensione ideale dell’opera, trasponendo le membra del Cristo in forma di croce astratta e disarticolata.
La mensa è un parallelepipedo in parte sospeso, unione ideale tra terra e cielo.
L’ambone si protende nell’aula come un libro aperto sulla comunità.
Lo spazio si materializza in piani orizzontali, fatti di pietra e cemento colorato, che trovano continuità nei volumi stereometrici rivestiti di bianco marmorino dell’altare, dell’ambone e della pala.
Con il disegno della nuova pavimentazione in grandi lastre di piasentina, cappelle e presbiterio si dilatano nella navata completando la rilettura generale dello spazio interno introdotta dal nuovo intervento.

Sistemazione della cripta
Il progetto originale della chiesa prevedeva la costruzione della sagrestia ad ovest dell’altare. Il progetto non è mai stato completato, ma la necessità di collegare l’interno della chiesa con la Cripta ipogea portò nel corso degli anni alla realizzazione di un collegamento che appariva poco coerente con l’impianto e soprattutto manifestava evidenti limiti funzionali e spaziali.
Il nuovo collegamento è stato realizzato con il duplice intento di ridare equilibrio e continuità al prospetto ovest della chiesa, concludendo il filo di gronda delle cappelle e conferire la giusta importanza alle scale di collegamento tra Cripta e Navata, utilizzando la luce naturale come elemento principale della composizione.
L’utilizzo di forme curvilinee ha permesso di eludere la dimensione ristretta del vano, annullando la percezione degli angoli. La grande vetrata inonda di luce l’ambiente e, grazie al bianco delle pareti, si diffonde ampliandone la percezione fino al piano della Cripta.
I lavori all’interno della Cripta hanno riguardato in primo luogo il risanamento delle pareti perimetrali dall’umidità di risalita. è stato rimosso il vecchio intonaco ammalorato e sostituito con intonaco a finitura marmorino di colore grigio, ponendo in evidenza il fine disegno delle volte soprastanti dipinte di bianco.
Anche in questo spazio si è prestata molta attenzione alla luce, in particolare al rapporto tra luce naturale e luce artificiale. La cripta beneficia così del lavoro effettuato nello spazio della nuova scala, da cui proviene una buona quantità di luce naturale. La luce artificiale è stata appositamente studiata creando un’installazione luminosa composta da due anelli di sei metri di diametro che, intrecciandosi sull’altare, interpretano e misurano, con linee sinuose, lo spazio curvilineo del corpo absidale.
La luce di tipo diretto e indiretto è dinamica, divenendo mezzo di comunicazione e espressione grazie alla possibilità di introdurre diversi scenari luminosi a seconda delle attività svolte nello spazio.

Restauro delle facciate e coperture
I lavori di restauro dei tetti e delle facciate si sono resi necessari per risolvere i problemi di degrado presenti ormai da decenni sull’involucro esterno e sui tetti della chiesa da una lato, dall’altro essi proseguono la fabbrica storica rimasta incompiuta, con l’intonacatura delle pareti laterali e con la copertura della torre campanaria.
Sulle facciate si è proceduto con il risanamento conservativo degli elementi in pietra squadrata e in cemento decorativo mediante puliture e rimozioni di materiali incoerenti, stuccature delle fessure, ritocchi, velature e infine trattamenti consolidanti e idrorepellenti delle intere superfici lavorate. L’intonacatura delle parti in pietra grezza è stata realizzata applicando manualmente successivi strati di malta di calce coperti da uno strato finale a base di calce, polveri di marmo, sabbia e pigmenti naturali.
Sui tetti si è proceduto alla verifica e al restauro dell’orditura lignea nei vari livelli, alla pulitura del sopravolta con la predisposizione di una passerella sospesa per le future manutenzioni, al rifacimento del manto di copertura in coppi, di canali e pluviali con nuovi elementi in zinco-titanio che meglio si integrano con il modellato delle cornici e dei profili in cemento decorativo.
Nella zona che collega il campanile alle cappelle laterali, si è ridefinito il volume contenente la scala che unisce l’aula principale alla chiesa ipogea. Il disegno del nuovo corpo, rispettando il filo di campanile e cappelle, sale in continuità con le pareti della chiesa fino alla cornice del primo ordine, interrompendosi solo per dare spazio ad un’ampia vetrata che porta luce fino al livello della cripta.

Copertura della cella campanaria
Nel restauro conservativo della torre campanaria il tema è stato duplice: da un lato era necessario risolvere l’assenza di un’adeguata protezione delle campane, dall’altro tale intervento avrebbe inevitabilmente generato implicazioni di natura estetica e formale sull’immagine e sulla comprensione futura del monumento.
Nel primo parere rilasciato, la Soprintendenza, esprimendosi in merito al disegno della copertura, chiedeva di valutare l’opportunità di tenere in maggiore considerazione il ruolo delle possenti lesene in pietra esistenti. Il progetto realizzato accoglie pienamente l’osservazione proponendo un profilo più semplice e lineare in coerenza con il disegno della torre preesistente.
Alta circa 28 m dal piano della cripta, la torre ha pianta quadrata di 4 metri per lato, è interamente realizzata in conci di pietra arenaria di estrazione locale e presenta una muratura con spessore variabile, dai 100 cm della base agli 80 cm della sommità, dove si dispone l’incastellatura del concerto di otto campane realizzate dalla Fonderia Capanni di Reggio Emilia. La verifica strutturale del campanile è stata condotta dall’Ing. Raffaele Malvestiti in collaborazione con il Prof. Paolo Riva.
Lo studio della soluzione architettonica è stata verificata e approfondita con l’analisi della situazione statica del campanile secondo le normative che hanno recentemente classificato in zona sismica 4 il territorio del Canto.
In primo luogo si è cercato di valutare se la soluzione originale di Luigi Angelini fosse, allo stato attuale delle cose, ancora perseguibile. L’analisi ha reso evidente una serie di sforzi e spostamenti nella muratura esistente superiori ai massimi ammissibili, evidenziando l’impossibilità di proseguire il campanile con altri 15 metri di muratura articolata nei tre ordini della cella campanaria, del tamburo e della copertura. Secondo le attuali normative tecniche, la soluzione Angelini è quindi risultata inapplicabile per l’elevato incremento di peso in sommità e per l’ulteriore aumento di altezza.
Per questo si è reso necessario procedere allo sviluppo di una soluzione alternativa, in grado di contenere l’incremento dei pesi, realizzando una struttura leggera in acciaio capace di garantire la massima compatibilità e reversibilità futura, caratterizzata da sollecitazioni e spostamenti pressoché identici all’attuale.
Nel linguaggio, nella dimensione e nelle intenzioni, la nuova copertura, pur scostandosi dal progetto originario, non altera la lettura del manufatto storico perché rimane distinta da esso. Alta poco più di otto metri, essa rimane iscritta nella pianta quadrata della torre ed è costituita da quattro pilastri che, riprendendo l’andamento dei cantonali esistenti in pietra, sorreggono una sottile copertura piana.
Si tratta di una struttura essenziale e funzionale alla protezione delle campane, dalla forma semplice e lineare. Nell’astrazione del suo disegno, la nuova copertura si caratterizza per il rivestimento in ottone plissettato che conferisce alla struttura particolare decoro e solennità sia alla scala architettonica, sia alla scala del territorio circostante, con tonalità e colori che cambiano la percezione della sua materialità in funzione della luce.
Reversibile e leggera, la nuova cella campanaria, nonostante la diversità del linguaggio e dei materiali, si pone in coerenza con il ruolo assunto nel tempo dall’edificio divenuto elemento riconoscibile e rappresentativo del paesaggio del Monte Canto e della collettività che lo abita.»

Foto esterni:





Foto interni:






3 commenti:

  1. Beh, cosa poteva venire di buono da Sotto il Monte? Già ne è provenuto un vero disastro per la Chiesa con l'avvento di Papa Giovanni XXIII, e questo 'orrore' non fa che proseguire l'opera.
    don Andrea Mancinella

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  2. L'altare è veramente bellissimo.

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  3. Sembra una Chiesa affetta da "bipolarismo":
    L'esterno classicheggiante per me rovinato da quella torretta a copertura delle campane. Forse sarebbe stato esteticamente meglio abbassarle e contenerle nel piano sottostante. Per quanto vi vedrei piu' un campanile che termina in modo classico piuttosto che un campanile a terrazza. Il portone gia'mi delude ma si potrebbe dire che prelude a quell'orrendo trittico ambone altare e pala d'altare .In una cripta normalmente non ci si aspetta di trovare uno stupefacente ottovolante tipo lunapark costituito da volte e giravolte (pur belle) ma che fanno pensare all'assunzione di troppo champagne da parte dell'architetto, mentre torniamo a stupirci per la presenza di un altare degno di un ambiente classico , degno anche di stare in una cripta ma non in una siffatta, meglio pertanto trasferirlo al piano superiore nella classica abside e buttare il trittico di cui sopra.
    Elle

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