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mercoledì 18 novembre 2020

Magister: "Quella nota di Ratzinger che McCarrick voleva tenere segreta. Ancora tanto attuale"

Sempre sul Rapporto McCarrick.
Luigi


Settimo Cielo, 17,11-20

Ogni giorno di più, il “Rapporto” sul caso dell’ex cardinale Theodore McCarrick pubblicato il 10 novembre dalla segreteria di Stato appare come una novità senza precedenti, di forte impatto sul presente ma anche sul futuro della comunicazione vaticana:


Mai era avvenuto prima che per chiarire un capitolo scottante della vita della Chiesa ai più alti livelli – e con i personaggi implicati in gran parte viventi e attivi – la Santa Sede sollevasse il velo su una massa così imponente di documenti e di atti riservati, con in più quasi un centinaio di testimonianze raccolte “ad hoc”, compresa quella del papa regnante.

Anche l’autore, o gli autori, di un’impresa siffatta segnano una discontinuità. Non sono certo gli attuali titolari dell’informazione vaticana, palesemente inadeguati, ma vanno cercati oltre Atlantico, nell’avvocato Jeffrey Lena e nella sua squadra di collaboratori. Lena vive a Berkeley, in California, ma conosce molto da dentro il Vaticano. In tribunale ha più volte difeso con successo la Santa Sede dal rischio di rispondere penalmente degli abusi sessuali commessi dal clero cattolico negli Stati Uniti.

Il risultato è che questo “Rapporto” è anche una ricca collezione di storie, per chi lo voglia esplorare. E di storie, a tratti, sorprendentemente legate all’attualità.

Basti citarne qui una, A partire da una battuta di McCarrick riportata in una nota a pagina 274 del “Rapporto”.

Siamo nel 2008 e da due anni il cardinale McCarrick non è più arcivescovo di Washington. Si è dimesso “spontaneamente”, in realtà su pressione di Benedetto XVI, che gli ha fatto arrivare anche la richiesta di “tenere un basso profilo e ridurre al minimo i viaggi”. Tutto ciò a motivo delle continuate sue pratiche omosessuali con seminaristi e giovani preti, di cui le autorità vaticane erano venute a conoscenza.

McCarrick continua però a viaggiare senza posa, a tenere conferenze, a dare interviste, a presiedere cerimonie, ad accettare premi, a raccogliere fondi, a svolgere incarichi religiosi e politici anche di rilievo, a celebrare e concelebrare pubblicamente le messe.

E che cosa dice a una coppia di New York che gli ha chiesto di celebrare il loro matrimonio? Che sì, lo farebbe volentieri, ma senza che lo sappia l’arcivescovo della città e fermandosi solo per poco al ricevimento, in ossequio alle richieste di Roma di non apparire in pubblico, perché – spiega – “papa Benedetto XVI non lo aveva mai perdonato per la questione della comunione, e lo stava sostanzialmente mandando in pensione”.

La “questione della comunione” non era affatto la ragione vera dei provvedimenti nei suoi confronti. Ma McCarrick aveva buon gioco a sbandierarla, eleggendosi a vittima. Per capire il perché occorre tornare alle pagine 195 e seguenti del “Rapporto”.

Siamo questa volta nel 2004, quando McCarrick è all’apogeo della sua carriera. È arcivescovo di Washington e cardinale, e presiede la commissione per la “domestic policy” della conferenza episcopale degli Stati Uniti. Un ruolo chiave, perché il 2004 è anche anno di elezioni presidenziali e il candidato del partito democratico alla Casa Bianca è John Kerry, che è cattolico praticante ma è anche un deciso assertore dell’aborto come diritto costituzionale.

Per questo motivo alcuni vescovi, tra i quali l’allora arcivescovo di Saint Louis, Raymond L. Burke, avevano sostenuto che a Kerry andasse negata la comunione eucaristica. Ne era nata una discussione molto accesa con la maggioranza dei vescovi – in testa McCarrick – favorevoli invece a dare la comunione, il cui rumore era arrivato anche a Roma, all’attenzione dell’allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger.

Così, quando a metà giugno la conferenza episcopale degli Stati Uniti si riunisce a Denver in assemblea plenaria, Ratzinger fa pervenire all’allora presidente della conferenza Wilton Gregory – lo stesso che papa Francesco nel 2019 insedierà a Washington e nel 2020 farà cardinale – e a McCarrick in quanto capo della commissione per la “domestic policy” una nota sui “principi generali” che indurrebbero a negare la comunione ai politici cattolici che fanno campagna sistematica per l’aborto.

La nota fa a pugni con le “Interim reflections” offerte all’assemblea dei vescovi dalla “task force” presieduta da McCarrick. Il quale in aula si scaglia contro chi negando la comunione “trasforma la sacra natura dell’eucaristia in campo di battaglia politica partigiana”.

Il documento finale, però, approvato dall’assemblea su “I cattolici nella vita politica”, che pur dà spazio a un “giudizio prudenziale” sul dare o no la comunione, consente a Ratzinger di scrivere, in una successiva sua lettera ai vescovi americani del 9 luglio, che è “very much in harmony” con i principi generali richiamati nella sua nota, entro i cui limiti un giudizio prudenziale deve essere elaborato.

Ma intanto che ne è stato della nota di Ratzinger? McCarrick ha fatto di tutto per tenerla segreta. In aula è stata letta, ma non distribuita né messa agli atti, né mai in seguito pubblicata dalla conferenza episcopale americana e dalla Santa Sede. I vescovi che ne possedevano il testo si contavano sulle dita di una mano. Ma uno di questi la fece pervenire a Settimo Cielo e al suo blog gemello “www.chiesa”, che il 3 luglio la pubblicò integralmente, sia nell’originale inglese che in italiano.

Di questa vicenda e della divulgazione "giornalistica" della nota il “Rapporto” dà un sommario resoconto, che però non appare affatto confinato al solo passato, perché anche Joe Biden, il candidato del partito democratico che ha vinto la corsa alla Casa Bianca nelle elezioni presidenziali del 2020, è cattolico e assertore del diritto all’aborto. E anche a lui è stata negata lo scorso ottobre la comunione, in una chiesa di Florence in South Carolina, da un sacerdote poi fermamente difeso, ancora una volta, dal cardinale Burke. E anche un cardinale di linea più moderata come l’arcivescovo di New York Timothy Dolan ha espresso comprensione per quel sacerdote, pur dicendosi pronto a dare la comunione a Biden, così come nel 2004 anche gli autorevoli cardinali “neoconservative” Avery Dulles e Francis George avevano ammesso che un “giudizio prudenziale” potesse essere dato a favore della comunione.

In ogni caso, va rilevato che i “principi generali” ribaditi da Ratzinger nel 2004 convivono da anni in Italia e in Europa – al di fuori degli Stati Uniti dove le contrapposizioni sono più accese – con una prassi più flessibile, anche ai massimi livelli della Chiesa e con pontefici su questa materia molto intransigenti come Giovanni Paolo II.

Ad esempio, Il 6 gennaio 2001, alla messa conclusiva del Giubileo, Giovanni Paolo II diede personalmente la comunione a Francesco Rutelli, cattolico praticante e candidato premier del centrosinistra per le elezioni in programma quell'anno in Italia, ma anche storico militante “pro choice” in materia di aborto.

E quando nel 1990 il cattolicissimo re Baldovino del Belgio si dimise temporaneamente da re per non firmare la legge sull’aborto, quella sua decisione fu del tutto spontanea. Nessuno della gerarchia della Chiesa gliela aveva chiesta.

Oggi la questione della comunione potrebbe riproporsi in Argentina, dove il presidente Alberto Fernandez, cattolico, si batte per un aborto “legale, libero e sicuro”, incontrando l’opposizione della conferenza episcopale che lo accusa di voler fare “ciò che Francesco chiama colonizzazione ideologica”.

Ma tornando alla nota di Ratzinger del 2004, eccola qui ripubblicata, sempre attuale com’è.

*

ESSERE DEGNI DI RICEVERE LA SANTA COMUNIONE. PRINCIPI GENERALI



di Joseph Ratzinger

1. Presentarsi a ricevere la santa comunione dovrebbe essere una decisione consapevole, fondata su un giudizio ragionato riguardante il proprio essere degni a farla, secondo i criteri oggettivi della Chiesa, ponendo domande del tipo: "Sono in piena comunione con la Chiesa cattolica? Sono colpevole di peccato grave? Sono incorso in pene (ad esempio scomunica, interdetto) che mi proibiscono di ricevere la santa comunione? Mi sono preparato digiunando almeno da un ora?". La pratica di presentarsi indiscriminatamente a ricevere la santa comunione, semplicemente come conseguenza dell'essere presente alla messa, è un abuso che deve essere corretto (cf. l'istruzione "Redemptionis Sacramentum", nn. 81, 83).

2. La Chiesa insegna che l'aborto o l'eutanasia è un peccato grave. La lettera enciclica "Evangelium Vitae", con riferimento a decisioni giudiziarie o a leggi civili che autorizzano o promuovono l'aborto o l'eutanasia, stabilisce che c'è un "grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza. [...] Nel caso di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, 'né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto'" (n. 73). I cristiani "sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la legge di Dio. Infatti, dal punto di vista morale, non è mai lecito cooperare formalmente al male. [...] Questa cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede" (n. 74).

3. Non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell'aborto e dell'eutanasia. Per esempio, se un cattolico fosse in disaccordo col Santo Padre sull'applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare una guerra, egli non sarebbe da considerarsi per questa ragione indegno di presentarsi a ricevere la santa comunione. Mentre la Chiesa esorta le autorità civili a perseguire la pace, non la guerra, e ad esercitare discrezione e misericordia nell'applicare una pena a criminali, può tuttavia essere consentito prendere le armi per respingere un aggressore, o fare ricorso alla pena capitale. Ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull'applicare la pena di morte, non però in alcun modo riguardo all'aborto e all'eutanasia.

4. A parte il giudizio di ciascuno sulla propria dignità a presentarsi a ricevere la santa eucaristia, il ministro della santa comunione può trovarsi nella situazione in cui deve rifiutare di distribuire la santa comunione a qualcuno, come nei casi di scomunica dichiarata, di interdetto dichiarato, o di persistenza ostinata in un peccato grave manifesto (cf. can. 915).

5. Riguardo al peccato grave dell'aborto o dell'eutanasia, quando la formale cooperazione di una persona diventa manifesta (da intendersi, nel caso di un politico cattolico, il suo far sistematica campagna e il votare per leggi permissive sull'aborto e l'eutanasia), il suo pastore dovrebbe incontrarlo, istruirlo sull'insegnamento della Chiesa, informarlo che non si deve presentare per la santa comunione fino a che non avrà posto termine all'oggettiva situazione di peccato, e avvertirlo che altrimenti gli sarà negata l'eucaristia.

6. Qualora "queste misure preventive non avessero avuto il loro effetto o non fossero state possibili", e la persona in questione, con persistenza ostinata, si presentasse comunque a ricevere la santa eucaristia, "il ministro della santa comunione deve rifiutare di distribuirla" (cf. la dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, "Santa comunione e cattolici divorziati e risposati civilmente", 2000, nn. 3-4). Questa decisione, propriamente parlando, non è una sanzione o una pena. Né il ministro della santa comunione formula un giudizio sulla colpa soggettiva della persona; piuttosto egli reagisce alla pubblica indegnità di quella persona a ricevere la santa comunione, dovuta a un'oggettiva situazione di peccato.

[N.B. Un cattolico sarebbe colpevole di formale cooperazione al male, e quindi indegno di presentarsi per la santa comunione, se egli deliberatamente votasse per un candidato precisamente a motivo delle posizioni permissive del candidato sull'aborto e/o sull'eutanasia. Quando un cattolico non condivide la posizione di un candidato a favore dell'aborto e/o dell'eutanasia, ma vota per quel candidato per altre ragioni, questa è considerata una cooperazione materiale remota, che può essere permessa in presenza di ragioni proporzionate].

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(s.m.) Nel frattempo, ad opera di papa Francesco, su due punti di questa nota di Ratzinger di sedici anni fa le cose sono cambiate, in un caso stringendo e in un altro allentando. La pena capitale non è più ammessa e la comunione ai divorziati risposati è consentita. Ma della nota resta intatto il “focus”, sulla comunione ai politici pro aborto.