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venerdì 18 settembre 2020

Porfiri: Ecce panis angelorum

Un po' di descrizione del "bel sentire" che aiuta a vedere Dio.
Luigi

PORFIRI E I TESORI DELLA MUSICA SACRA. ECCE PANIS ANGELORUM
25 Agosto 2020

Quando sentiamo parlare di musica sacra, ci viene spesso rimproverato che non possiamo pretendere che le chiese di oggi, le parrocchie per lo più vuote di fedeli, possono avere i mezzi per poter mettere su un programma di musica sacra come noi crediamo debba essere fatto. Pretendiamo troppo, non ci sono i soldi, bisogna accontentarsi! In realtà il problema non è così come viene posto. È vero che per certi brani di musica sacra si richiedono degli organici di un certo tipo e che possono avere un certo costo. Esistono anche brani più semplici, che richiedono ovviamente la perizia tecnica di chi li esegue (cosa che dovrebbe essere normale e che non bisognerebbe neanche dover scrivere!) ma che possono essere eseguiti anche da pochi esecutori. Un esempio che vorrei fare di questo è il brano composto da Lorenzo Perosi (1872-1956), dal titolo Ecce Panis Angelorum.

Lorenzo Perosi, sacerdote, fu un personaggio assolutamente chiave nel periodo di riforma della musica sacra suggellato ed incoraggiato dal Motu Proprio di san Pio X nel 1903. Si combatteva contro una deriva della musica sempre più influenzata dai moduli della musica operistica, Musica operistica che regnava incontrastata in Italia, specialmente nel XIX secolo. Quindi questa riforma dovette rifarsi a dei repertori che giudicava più consoni alla celebrazione liturgica come il canto gregoriano e la polifonia rinascimentale. In questo movimento di riforma si inserì il nostro compositore, certamente dotato di enormi doni musicali, pure se la sua sensibilità lo portava più ad un tonalismo tardo romantico (che spruzzava qua e là di movenze dal canto ecclesiastico) che alle fonti modali. Comunque parliamo di un musicista di grandissimo spessore, alcuni dei suoi oratori e delle sue messe sono veramente di livello eccezionale ed in alcuni casi ancora nella memoria di cantori, direttori ed organisti.

Come dicevo in precedenza, non tutti i brani devono essere scritti per un organico che prevede molte parti vocali o molti strumenti. In realtà il brano di cui parliamo è per sole due voci e organo, e queste due voci possono anche essere solistiche. Il testo è preso dalla sequenza per il Corpus Domini Lauda Sion, testo popolare anche se non come O Salutaris Hostia o O Sacrum Convivium. Fu pubblicato nel 1900 sulla rivista milanese Melodie Sacre, pubblicata dall’editore Bertarelli. Il pezzo è scritto per soprano, baritono ed organo e dedicato al canonico Ascanio Andreoni (1866-1945), esperto di canto ambrosiano e membro della commissione per la musica sacra dell’arcidiocesi di Milano.

Il pezzo si contiene in 40 battute che potremmo dividere in tre parti: parte A (“Ecce panis…” 8 battute), parte B (“In figuris…” 9 battute) e parte C (“Bone Pastor…” 23 battute). Il pezzo inizia nella tonalità di Re minore, con un canto fluido e legato dei soprani, una melodia che fa largo uso del modo congiunto per avere una impennata verso la fine, al momento di una momentanea transizione al relativo maggiore di Fa. La parte A comunica una sensazione di adorazione mentre si pronunciano le parole tomistiche: “Ecco il pane degli angeli, fatto pane per i viandanti…”. Nella parte B la situazione si movimenta un poco, anche per l’entrata della voce maschile. Le parole “In figuris praesignatur cum Isaac immolatur” (Nelle figure è preannunciato, con Isacco è immolato) sono enunciate, almeno per l’inizio, con un ritmo che i greci chiamavano Ionico (due lunghe e due brevi) che alcune fonti associano al culto di Dioniso, il dio greco contrapposto ad Apollo, protettore dell’ordine e dell’equilibrio. Possiamo capire questo passaggio, anche per creare un contrasto fra le due parti e mantenere l’interesse musicale in coloro che stavano ascoltando. Le modulazioni che osserviamo in tutto il brano sono, potremmo dire, “tranquille“, cioè si muovono per tonalità vicine e in qualche modo collegate. Questo anche perché il pezzo non deve disturbare o distrarre dall’ascolto delle altissime parole in onore dell’eucarestia e creare un senso di adorazione. La terza parte, come abbiamo visto, è la più estesa. In un certo senso l’autore ritorna all’andamento della parte iniziale, ma con un maggiore interesse aggiunto dall’uso dell’imitazione fra la voce superiore e la voce inferiore. La parte C, comincia con un profondo senso di abbandono adorante, sulle parole “Bone Pastor, panis vere, Iesu nostri miserere” (Buon Pastore, vero pane, o Gesù pietà di noi). Queste parole, inizialmente, vengono pronunciate dalle due voci in omoritmia (con lo stesso ritmo), per poi lasciare spazio, come ho già detto, ad una riuscita imitazione fra le due parti fino alla conclusione del brano dopo una impennata improvvisa poco prima della fine nella tonalità iniziale di Re minore. Da dire una parola anche sull’accompagnamento organistico, che in questo caso è molto felice. C’è una differenza fra armonizzare delle melodie ed accompagnarle dando anche valore alle possibilità dell’organo di dialogare con il canto. Ecco, in questo caso sicuramente ci troviamo di fronte alla seconda maniera, in cui l’autore riesce a dare una personalità anche all’accompagnamento organistico che dialoga in tutte per tutto con le due voci in canto.

All’inizio del brano ci dice di eseguire questo pezzo “con sentimento”. Sembra una indicazione innocente, ma va bene riflettuta, perché sugli equivoci sulla parola “sentimento” si giocano tante delle deturpazioni di quello che la musica sacra deve veramente essere. Probabilmente nel secolo precedente alcuni autori interpretavano questo termine al modo contestato anche da Antonio Rosmini in un suo famoso libro intitolato Storia dell’empietà in cui polemizzava con il filosofo Benjamin Constant proprio sul “sentimento religioso”, ridotto a sentimentalismo ed emotività senza ragione. Il sentimento, specie se religioso, non è sentimentalismo, non è vuota ricerca di un sommovimento emozionale. Il sentimento religioso è ricerca più intensa delle ragioni della speranza che è in noi. Ecco, in questo modo deve essere interpretato anche questo brano, non con vuoto sentimentalismo ma con intensa devozione e rispetto per le parole altissime che vengono cantate in quel momento.

Aurelio Porfiri