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martedì 25 agosto 2020

Montes: è una Chiesa peggiore di quella di Paolo VI


Una bella intervista sul sito di Tosatti dell'amico Juan Miguel Montes, della TFP italiana.
Luigi

31 Luglio 2020 Pubblicato da Marco Tosatti 


Cari amici e nemici di Stilum Curiae pubblichiamo un’intervista molto illuminante e interessante concessa da Juan Miguel Montes, direttore dell’ufficio della TFP a Roma, al giornale portoghese Dies Irae, sul Concilio, la Chiesa attuale e il prof. Plinio Correa de Oliveira. Buona lettura.
§§§

Grazie mille per averci concesso questo colloquio. Lei è arrivato a Roma nei primi anni Ottanta. Quindi lei segue da quasi quarant’anni gli eventi legati alla vita della Chiesa. Quali sono le principali differenze tra quel periodo e oggi?
Le rispondo da cattolico osservatore dei fatti e non da teologo, che non lo sono.
Dalla fine del Concilio fino alla morte del Papa Paulo VI c’è stato un periodo di grande difficoltà nella vita della Chiesa. La pratica religiosa dei fedeli era molto diminuita, molte congregazioni religiose e seminari si svuotarono, innumerevoli sacerdoti abbandonarono il ministero. Indubbiamente il dinamismo di Giovanni Paolo II, diciamo così, “ricaricò” un organismo che, almeno nel suo aspetto visibile, sembrava gravemente malato. I suo viaggi in tutto il mondo, i suoi giubilei, i suoi raduni con i giovani, hanno ridato alla Chiesa grande visibilità. Io sono arrivato a Roma nel quinto anno del suo lungo pontificato e conosco le testimonianze di tante persone che hanno vissuto entrambi i periodi da vicino. La crisi sembrava, per molti versi, essersi alquanto fermata; negli anni 80 si sentiva una certa rinascita dell’entusiasmo e della speranza nel corpo della Chiesa, anche se per molti cattolici più consapevoli, persistevano seri motivi di preoccupazione. C’erano all’epoca fenomeni contrastanti: da una parte la speranza veniva alimentata dalle solide prese di posizione del magistero pontificio nelle questioni morali, sulla teologia della liberazione, ecc; dall’altra parte, nutrivano perplessità i gesti ecumenici, le richiesta di perdono, la permanenza di teologi progressisti in posti chiave dell’insegnamento cattolico.

Tuttavia, in un modo o nell’altro, con alti e bassi, l’impatto del pontificato di Giovanni Paolo II è durato fino alla sua morte ed è continuato nel pontificato del suo più stretto collaboratore, il cardinale Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI.

Oggi l’ambiente prima descritto della fine del pontificato di Paolo VI si ripropone con tutta la sua forza e persino molto peggiorato. E’ vero che la situazione ecclesiastica attuale rallegra a molti avversari storici della Chiesa. Rallegra intellettuali, a politici e giornalisti che non brillano per devozione alla fede cattolica. Rallegra pure il minoritario ma influente settore progressista cattolico. Tuttavia preoccupa sempre di più un consistente numero di fedeli che prendono sul serio la loro religione e che battagliano con crescente difficoltà per conservarla in un mondo secolarizzato. Essi vedono, ancora una volta e persino più che negli anni peggiori, le chiese chiuse o vuote, i seminari senza vocazioni, gli scandali di ogni genere che sono proliferati nel clero e nelle istituzioni cattoliche. In questo clima, come lo dicono recenti statistiche della Germania e di tanti altri Paesi, molti fedeli purtroppo semplicemente si stanno allontanando dalla Chiesa.

Allora, si domandano i cattolici preoccupati, quel fenomeno di apparente ripresa dell’ultimo ventennio del secolo scorso aveva radici profonde? Quella ripresa corrispondeva più ad una apparenza che ad una realtà consolidata? E poi, si domandano ancora, quali sono le cause più profonde cha hanno originato questa crisi di fede, che è la madre di ogni altra crisi nella Chiesa? Così, in questa cornice storica, si apre un dibattito sulle cause della crisi nella Chiesa. Quando è iniziata? Quali fattori l’hanno favorita? Non è vero che certe sue cause profonde hanno continuato a lavorare in profondità, mentre almeno ad un primo sguardo molti effetti sembravano in via di superazione negli anni ‘80 rispetto agli anni ‘60-‘70?

Tutto ciò spiega il perché del grande dibattito sul tempo precedente il Concilio Vaticano II, sul Concilio stesso, sulla sua ripercussione nella vita della Chiesa, nella società, ecc. E questo dibattito sulle cause della crisi nella Chiesa non farà che crescere mentre gli effetti continuano ad emergere un po’ dappertutto.

Questa è la grande differenza che vedo fra gli anni ottanta, piuttosto ottimisti, e questo inizio degli anni 2020 che si apre sotto il segno di grandi interrogativi e più che legittime preoccupazioni.



Le è stato dato di vivere sotto tre diversi pontificati: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Dal punto di vista della Tradizione Apostolica, quali sono gli eventi che, da questi tre Pontificati, si sono avvicinati o allontanati di più da quel paradigma?

Papa Francesco ha parlato molte volte di cambiamento radicale di paradigma nella Chiesa. A riprova di questa affermazione, raccomando la lettura dell’opera Il Cambio di Paradigma di Papa Francesco, di José Antonio Ureta, dove questo studioso descrive e analizza le molteplici sfaccettature dei grandi cambiamenti avvenuti negli ultimi sette anni.

I Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno invece voluto proporsi come esponenti della cosiddetta “ermeneutica della riforma nella continuità” (Benedetto XVI) anziché che fautori di un nuovo paradigma.

Come detto, ora si è aperta una grande discussione se, indipendentemente dalla volontà di questi due ultimi Papi e già prima di loro, il Concilio Ecumenico Vaticano II stesso o certe sue interpretazioni siano responsabili diretti di una modifica del paradigma cattolico in qualcosa di fondamentale. Per esempio, nel ritenere superata l’affermazione che la Chiesa Cattolica sempre fece di se stessa di essere l’unica vera Chiesa di Gesù Cristo. Il tempo e gli studi multidisciplinari riveleranno sempre più nitidamente i contorni e le conseguenze di questi ultimi 60 anni. E’ questo sì è un processo ora irreversibilmente avviato.



Come osservatore privilegiato della vita romana attraverso la sua partecipazione alle conferenze stampa della Santa Sede, ci può raccontare i personaggi che, in questo lungo periodo, hanno guidato maggiormente la vita della Chiesa?

Le persone più significative della linea ecclesiastica che si identifica con la cosiddetta “ermeneutica della riforma nella continuità” sono stati, senz’altro, lo stesso Papa Wojtyla e il cardinale Ratzinger, poi divenuto Papa Benedetto XVI.

Il settore progressista ha visto in Papa Bergoglio e in cardinali come Kasper e Martini i loro esponenti di punta. Il Cardinale Casaroli, artefice dell’Ostpolitik con i regimi comunisti, già non ebbe con Giovanni Paolo II l’influenza determinante che ebbe in tempi di Paolo VI e i progressisti lo ricordano sempre meno.

Le personalità del mondo cosiddetto tradizionalista, anche se non hanno una grande risonanza nell’ambito dei grossi media né seguaci fra i membri della intellighenzia dominante, tuttavia diventano sempre più note a livello universale in una resiliente parte del gregge cattolico. Tale è stato il caso, per esempio, dei quattro cardinali che hanno presentato dei dubbia a Papa Francesco sulla lettera apostolica Amoris Laetitia.



Quando il prof. Corrêa de Oliveira le ha chiesto di rappresentare l’Ufficio della TFP a Roma, che consiglio le ha dato? Egli stesso (cfr. Concilio Vaticano II – Una storia mai scritta, Roberto de Mattei, Caminhos Romanos, Porto, 2016) ha seguito le prime sessioni conciliari ed è rimasto deluso dai loro progressi. Ha affrontato questo problema con lei?

Molte volte.

Il prof. Plinio Correa de Oliveira non ha nascosto, né in pubblico né in privato, la dura prova che rappresentò per lui il periodo conciliare e le delusioni che ebbe a Roma già nella prima fase del Concilio. Con tutto, fece quanto poteva fare un laico, una persona esterna al Concilio stesso. A lui e ai suoi collaboratori immediati si deve l’iniziativa e il coordinamento della raccolta di firme tra i Padri Conciliari per chiedere a quella assise la condanna del comunismo. Il fatto che l’argomento non sia stato neppure portato nell’agenda dell’aula conciliare fu oggetto di un suo severo commento nell’aggiornamento che fece nel 1976 del suo libro principale, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.

Tuttavia, sarebbe esagerato dire che l’evento conciliare lo prese di sorpresa. A me personalmente mi raccontò in modo molto dettagliato le apprensioni che lo assalivano sui sintomi di una avanzata rivoluzionaria nella Chiesa da almeno 25 anni prima del Concilio e che lo portarono a scrivere la sua prima opera, In Difesa dell’Azione Cattolica, nel 1943. Mi spiegò anche che un grande motivo della sua sofferenza fu che le persone a lui più vicine, persino nell’ambito ecclesiastico, non condividevano pienamente il suo assillo per il fatto che gli errori della modernità secolarizzante, cioè della grande Rivoluzione dell’Occidente, penetravano nel recinto sacro della Chiesa.

Infatti, quando seppe della convocazione del Concilio egli, sebbene da un punto di vista diametralmente opposto, disse più o meno le stesse cose che disse il porporato progressista belga L-J Suenens: “Questi saranno gli Stati Generali della Chiesa”. Fra le posizioni avverse ma lucide del cardinale Suenens e di Plinio Correa di Oliveira si estese un vasto oceano di cattolici piuttosto ottimisti. Gli anni 60 hanno conosciuto un apice dell’ottimismo di quella che viene chiamata “ideologia del progresso”.

Da profondo studioso del processo rivoluzionario che subiva la Cristianità, processo che si era inaugurato con l’umanesimo neopagano e con il Rinascimento e che era proseguito dopo con la Rivoluzione francese e con quella russa, Plinio Correa de Oliveira sapeva con totale sicurezza che il fenomeno rivoluzionario non avrebbe risparmiato la Chiesa. Anzi, un assalto della Rivoluzione alla Chiesa era già accaduto prima della sua nascita, ai tempi del Papa San Pio X, ma grazie all’azione di questo Pontefice, aveva subito una battuta di arresto. Eppure, da dirigente dell’Azione Cattolica in Brasile, percepì che gli errori del modernismo si ripresentavano nella Chiesa negli anni 30, importati soprattutto da “agenti pastorali” belgi, il che lo portò a scrivere il menzionato libro del 1943, encomiato in seguito da Pio XII. La storia di quel periodo e della denuncia fatta allora da Plinio Correa de Oliveira sono l’oggetto di uno studio del compianto Gonzalo Larraín, che apparirà prossimamente in Italia sotto il titolo “Il Primo Grido di Allerta”.

Negli anni successivi al Concilio, fedele al suo proprio ambito di azione, Plinio Correa de Oliveira e le TFP da lui ispirate si dedicarono a un intenso combattimento della crescente infiltrazione delle idee e delle prassi marxiste nella Chiesa portata avanti dal progressismo cattolico. Celeberrima fu la raccolta fatta nel 1969 di due milioni di firme chiedendo al Papa Paulo VI misure contro questa infiltrazione comunista nella Chiesa. Durante gli anni 70 e 80 si svolsero campagne ugualmente risonanti contro la “teologia della liberazione” (il nome che si volle dare a se stesso il suddetto fenomeno d’infiltrazione) nonché contro il suo braccio operativo, le comunità ecclesiali di base che, per dirne una sola, riuscirono a portare Lula al potere nel Brasile, il gigante del subcontinente.

Nei dodici anni del mio ormai lungo soggiorno romano in cui il prof. Plinio era vivo, dovetti andare per conto suo ad avvertire molte istanze romane sul pericolo per la Chiesa che si delineava soprattutto a partire dall’America Latina con la “teologia della liberazione”. Oggi mi sembra difficile per chiunque contestare tutta la preveggenza profetica di Plinio Correa de Oliveira nel secolo ventesimo. Ma va detta un’altra cosa ancora: fino alla sua scomparsa nel 1995, egli non ha mai messo in dubbio la certezza che dopo la crisi si sarebbe aperta una nuova epoca di grazia per la Chiesa e per l’umanità rispondente alla promessa della Madonna a Fatima sul futuro trionfo del Suo Cuore Immacolato.



Sempre sul Concilio Vaticano II, si è acceso un acceso dibattito su questo evento sfortunato nella vita della Chiesa del XX secolo. Questo dibattito, suscitato soprattutto dagli interventi dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò e di monsignor Athanasius Schneider, ha motivato una cinquantina di sacerdoti, accademici e intellettuali a inviare una lettera di sostegno ad entrambi il 15 luglio. Cosa ne pensi di questa iniziativa? Potrebbe avere qualche effetto pratico?

Del dibattito che si è aperto in questo periodo, ho accennato prima. Io mi auguro che sia l’inizio di un processo che farà onestamente chiarezza su quanto accaduto negli ultimi sessanta anni e, persino più remotamente, dai tempi del modernismo oltre centoventi anni fa.

Quello che non mi auguro invece è che sia un motivo di raffreddamento della carità reciproca e della stima fra quelli che ormai concordano pienamente che qualcosa di molto grave è difatti accaduta nella Chiesa, perché l’evidenza sta lì a dircelo. Un clima rispettoso, sereno, senza pretese né primedonne, sarà il più grande servizio che si potrà fare alla Chiesa. Credo personalmente che la lettera degli intellettuali in appoggio dei due coraggiosi vescovi menzionati vada in questa direzione, anche perché, oggi, davanti ai fatti, chi può negare che ci sono difficoltà oggettive nella lettura che si da del Vaticano II? D’altra parte, chi può conferire al Concilio uno statuto di infallibilità che i padri conciliari non hanno voluto dargli?



Nell’anno del 25° anniversario della morte del Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, che ha donato tutta la sua vita e il suo pensiero al servizio della Chiesa e della controrivoluzione, quale sarà, secondo lei, il miglior omaggio che i suoi figli spirituali potranno rendergli?

Mantenere una posizione equilibrata, cioè, non nascondersi l’estensione dell’abisso che si è spalancato davanti al mondo e in seno alla Chiesa, ma allo stesso tempo credere fermamente che dopo le bufere e la notte buia brillerà la Stella Mattutina, insomma ci sarà il trionfo del Cuore Immacolato promesso dalla Madonna a Fatima, in quella gloriosa terra del Portogallo dove “si conserverà sempre il dogma della Fede” (3ª Apparizione). Plinio Correa de Oliveira, così come previde con grande lungimiranza la portata di questa crisi, non smise mai di prevedere l’arrivo di questo giorno.



Per concludere, vi chiediamo, tra le migliaia di scritti del Prof. Plinio, di sceglierne uno o un brano che lo ha segnato particolarmente. da fare?

Tante cose si potrebbero dire del prof. Plinio Correa de Oliveira sul suo apostolato contro-rivoluzionario sia nell’ordine temporale che spirituale, sia nella sua vita intellettuale che operativa. Per esempio, lui combatté per decadi contro i tentativi del comunismo di impossessarsi del continente latinoamericano, dando origine al più esteso movimento cattolico anticomunista del mondo. Come mai il catto-comunismo ha potuto arrivare al potere in diversi Paesi della regione solo dopo la sua morte? Quale è stata la sua rilevanza storica come vero argine di un fenomeno che avrebbe potuto stravolgere gli equilibri della Guerra Fredda? Un punto ancora da approfondire, tra molti altri della sua molteplice personalità.

Credo tuttavia che il più grande omaggio che si possa fargli e ricordarlo con le parole che egli stesso ha voluto sulla sua tomba a San Paolo del Brasile: Vir totus catholicus et apostolicus, plene romanus. E’ stato un uomo tutto cattolico e apostolico, pienamente romano.