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sabato 18 luglio 2020

Pizzi e merletti del camice - IV parte, tesi (vietati e aliturgici) e confutazione. Sintesi: sono leciti.

IV ed ultima parte: viene smontata pezzo a pezzo la teoria sostenuta dal blog "Traditio Marciana" riportato (e condiviso) da MiL
In sostanza i pizzi e i merletti del camice sono legittimi, leciti e liturgici (qui la terza, qui la seconda, qui la prima).

Quando la passione per la Liturgia porta
a non capire più la Sua natura
IV parte 
di Guido Ferro Canale 

E veniamo ai pizzi: ragionamento e confutazione

Innanzitutto, è bene indicare quale sia l'oggetto preciso del contendere: l'uso, o diciamo semplicemente l'abitudine, di decorare i camici con pizzo, dal ginocchio in giù. Abitudine che l'autore sa benissimo essere generale, almeno in Italia; ma, a suo dire, “un pizzo che scende dal ginocchio snatura il camice rendendolo una tunichetta, e non è pertanto accettabile per compiere la Santa Azione.”. Si tratterebbe quindi, se ho ben compreso, di un abuso semplicemente tollerato, non già di una legittima consuetudine.
A sostegno di tale asserto, egli sviluppa un ragionamento piuttosto articolato, che - per semplicità di approccio e, confido, anche per comodità del lettore – voluto suddividere per punti, secondo l'ordine logico, rispondendo distintamente a ciascuno. Ho evitato, però, d soffermarmi sulle varie considerazioni estetiche, che come tali non possono certo ambire al rango di argomento.  

1 - Uso e significato simbolico del camice
Tesi                 Il camice, ci vien detto in primo luogo, “è la candida veste lavata nel sangue dell'Agnello e perciò detto anche alba, ed è la veste di colui che compie il sacrificio.”.
Replica           Almeno nel rito romano, il camice non è affatto la veste propria di chi offre il Sacrificio, ma è comune a celebrante, diacono e suddiacono. Gli unici paramenti sacri propri del solo celebrante – nelle SS. Messe non pontificali - sono la stola portata intorno al collo e la pianeta, che rimandano rispettivamente all'immortalità perduta nel peccato originale, ma riguadagnata dalla
Redenzione, e al giogo del Signore, leggero e soave per chi lo porta: non sarebbe azzardato, almeno a mio avviso, considerarli come i due aspetti inscindibili del Sacrificio.
Mette conto osservare, poi, che la simbologia delle vesti è mutata nel tempo, perché per Rabano Mauro, ad es., il camice esprimeva uno specifico richiamo alla virtù della castità (cfr. il suo De clericorum institutione, Lib. I, Cap. XVI, in PL 107, 306D). Anche per questo, essa deve esser desunta dai libri liturgici così come sono in vigore, precisamente dalle preghiere per la vestizione contenute nel Messale Romano. Ed esse, oltre ad assegnare a stola e pianeta i significati già detti, annettono la castità al cingolo e fanno del camice “la lunga veste bianca indossata da tutti i sacri ministri, che ricorda la nuova veste immacolata che ogni cristiano ha ricevuto mediante il battesimo. Il camice è dunque simbolo della grazia santificante ricevuta nel primo sacramento ed è considerato anche simbolo della purezza di cuore necessaria per entrare nella gioia eterna della visione di Dio in Cielo (cf. Matteo 5,8).” (così la bella spiegazione dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie; ma cfr. già l'Aquinate, I-II, qu. 102, a. 5, ad 10). Di qui la preghiera “Dealba me, Domine, et munda cor meum; ut, in sanguine Agni dealbatus, gaudiis perfruar sempiternis.”.
Insomma, che il camice sia “la candida veste lavata nel sangue dell'Agnello” è verissimo, ma da ciò non deriva non deriva affatto una sua connessione esclusiva con colui che rinnova in modo incruento il Sacrificio perfetto; al contrario, come dimostra l'uso della cotta, che è una sua riduzione, “La liturgia cristiana volle sempre gli ecclesiastici indistintamente rivestiti di un abito-base bianco a somiglianza dei 24 Seniori e della turba innumere che, in cielo, sta attorno al trono dell'Agnello (Apoc. 4, 4).” (E. Cattaneo, s.v. Cotta, in Enciclopedia Cattolica vol. IV, Città del Vaticano 1950, coll. 784-5).

2 - Sua asserita derivazione veterotestamentaria
Tesi                 Sull'autorità di Ruperto di Deutz, il camice viene assimilato alla veste sacrificale prescritta per i sacerdoti dell'Antico Testamento, forma cultuale “con cui il culto cristiano ha chiare relazioni di dipendenza”.
Replica           Gli autori medioevali sono una fonte piuttosto dubbia, sia per la notevole arditezza dei loro allegorismi, sia per l'altrettanto notevole varietà dei riti su cui li fondavano; la Catholic Encyclopedia, s.v. Alb - citata anche dal nostro autore, non però a questo riguardo - è scettica riguardo all'ipotizzato rapporto di derivazione, osservando che gli autori cristiani più antichi non ne parlano mai, neppure laddove sarebbe ragionevole attendersi almeno un'allusione; anzi, per l'Enciclopedia Cattolica le vesti sacre discendono senz'altro dagli abiti civili dei giorni di festa, in particolare il camice dalla tunica. Del resto, la novità cristiana è soprattutto una novità cultuale, organizzata intorno al nuovo gesto della fractio panis, e la prospettata dipendenza dal culto giudaico del Tempio appare poco compatibile con questo dato storico.

3 - Foggia da aversi per disciplinata dall'Esodo
Tesi                 Appunto per la summenzionata assimilazione alla veste rituale ebraica, la foggia del camice dovrebbe ancor oggi essere regolata dall'AT: “Nell'Esodo, al capo XXVIII, leggiamo che questa tunica dev'essere di lino puro, e coprire l'intero corpo dal collo ai piedi, con maniche fino ai polsi.”.
Replica           Sia che si tratti di un valore propriamente giuridico dell'Esodo, sia che si ipotizzi un valore solamente esemplare, la tesi non regge. Per il valore esemplare difetta l'analogia, come già si è detto; sul piano giuridico, stante la generale cessazione dei precetti cerimoniali, l'autore dovrebbe dimostrare che l'autorità della Chiesa abbia voluto mantenere o riportare in vigore questa specifica norma. Ma la vigenza ininterrotta è senz'altro da escludersi: per Rabano Mauro, op. loc. cit., il camice può essere di lino oppure di bisso; nel Medioevo, anzi, sembra attestata anche l'esistenza di camici blu e/o in materiali completamente diversi, come la seta. Ipotizzare un ripristino espresso del precetto cerimoniale dell'Esodo, invece, significa in definitiva ricercare, nel diritto posteriore alla riforma di S. Pio V, quale sia la disciplina relativa al camice (v. di seguito). 

4 – Asserito impiego esclusivo del lino nella prassi della S.R.C.
Tesi                 A conferma della propria tesi, l'autore ritiene di poter addurre la prassi della Sacra Congregazione dei Riti: “I decreti della Sacra Congregazione insistono nel ribadire fortemente il materiale del camice, cioè il puro lino, combattendo ogni consuetudine contraria; anche le altre prescrizioni devono pertanto essere seguite, e come l'amitto copre accuratamente la parte del collo, così il camice stesso deve scendere sino ai piedi.”.
Replica           L'indice generale della collezione autentica, nella stessa pag. 9 in cui riporta i due decreti di cui l'autore dà notizia nel proprio articolo iniziale, ne riferisce anche altri due:
-        una speciale grazia al Vicariato Apostolico di Sichuan, che viene esonerato dall'uso del lino con approvazione della consuetudine già invalsa di usare la tela ricavata dall'Urtica nivea, materiale molto apprezzato nella Cina meridionale (D. n. 3995, 27 giugno 1898, vol. III della collezione, pag. 347);
-        ma soprattutto, un decreto generale che prescrive l'uso del lino o della canapa, vietando l'uso di altri materiali, sebbene li emulino per candore e robustezza, e in particolare quello del cotone, che ne esce come la bestia nera del momento (D. n. 2600, 15 maggio 1819, vol. II, pagg. 187-8). Il commento ufficiale (vol. IV della collezione, pagg. 192-3) spiega che con ciò si è inteso ristabilire l'antica disciplina, dirimendo una vivace controversia tra teologi e liturgisti, dove non mancavano i favorevoli all'uso del cotone (gossipium).
Considerato che la canapa, oltre a non essere affatto un materiale nobile, certamente non figura nell'Esodo, eppure il decreto riferisce anche ad essa (sembra per il candore del tessuto) i significati simbolici, per giunta dichiarandola in uso fin dagli albori della Chiesa (!), il minimo che si può dire è che la disciplina vigente nel rito romano non offre alcun supporto alla tesi di una continuità tra il precetto cerimoniale giudaico e la Liturgia odierna.

5 - Il pizzo dal ginocchio in giù snatura il camice
Tesi                 Stanti le premesse fin qui esposte, “il camice finisce là dove finisce il lino: la parte di pizzo è decorazione che non fa parte del camice. Dunque, se un piccolo bordo di merletto alla fine delle maniche e dell'orlo può essere una decorazione accettabile per ingentilire il camice (...), un pizzo che scende dal ginocchio snatura il camice rendendolo una tunichetta, e non è pertanto accettabile per compiere la Santa Azione.”. 
Replica           In primo luogo, confesso la mia profonda ignoranza: non ho mai sentito prima il termine “tunichetta”, almeno non in ambito liturgico. Conosco la “tunicella”, che però è fatta in altro modo; il “rocchetto”, che tuttavia non è nemmeno una veste liturgica propriamente detta; la “cotta”, che mi sembra troppo corta per essere assimilabile ad un camice decorato, ma che, per esclusione, forse è ciò che si voleva indicare. Nel qual caso, basterà osservare che, se anche il nostro autore ammette l'uso del pizzo nelle cotte (come sembrerebbe di capire), una volta caduta la sua tesi che fa del camice la veste sacrificale, riprende luogo la legittima analogia con la cotta, che è una sua riduzione dalla simbologia pressoché identica, come abbiamo visto.
Tantomeno, poi, gli giova sostenere che la decorazione non faccia parte del vestito. Secondo questa singolare logica, infatti l'orlo di bisso (o le frange: osservo en passant che il Rocci riporta entrambi i significati) non farebbe parte della tunica sacerdotale dell'Esodo; ma mi sembra evidente che essa sia stata concepita come un insieme armonico di diverse parti.
Altro, invece, è affermare che la decorazione non deve predominare: questo è un principio su cui concordano tutti, proprio perché altrimenti si snaturerebbe la veste. Ma, come l'autore stesso mostra di sapere, generalmente si ritiene che il pizzo dal ginocchio in giù non snaturi il camice; riporto comunque qualche voce autorevole in tal senso, perché torna utile al seguito dell'argomentazione. 
1.      The use of lace, though permitted, ought never to lose the character of a pure decoration. Albs, with lace reaching above the knees, are not, strictly speaking, en règle, though there is a special decree of 16 June, 1893, tolerating albs with lace below the cincture for canons at Mass, on solemn feast days. Formerly a decree of the Congregation of Rites prohibited any coloured lining behind the flounce, or cuffs, or lace with which the alb might be decorated, but a more recent decree (12 July, 1892) sanctioned the practice.” (The Catholic Encyclopedia, s.v. Alb);
2.      Nessun ornato è prescritto; si può quindi seguire l'uso invalso di applicarvi dei merletti intorno al collo, alle estremità delle maniche, e dell'orlo inferiore. I c. fatti di soli merletti non sono permessi; sono invece tollerati i fondi di vario colore da sottoporsi al merletto delle maniche e della frangia; rappresentando essi il colore della sottana del celebrante.” (E. Dante, s.v. Camice, in Enciclopedia Cattolica vol. III, Città del Vaticano 1949, coll. 436-7);
3.      L. Trimeloni, Compendio di Liturgia Pratica, ed. 1962, §265 (ed. 2007, pag. 252) così riassume le regole sulla foggia del camice, con puntuali richiami in nota ai corrispondenti decreti della S.R.C.: “Il fondo e l'estremità delle maniche possono essere ornat[i] o con ricamo o con pizzo. Questi devono essere un puro ornamento e non costituire la parte preponderante del camice, che dev'essere una veste di tela bianca e non di ricamo. Sono assolutamente esclusi i camici tutto pizzo. E' a stento tollerato che il pizzo di fondo arrivi fin sotto il cingolo.”.
4.      E prima di tutti loro, X. Barbier de Montault, Le costume et les usages ecclésiastiques selon la tradition romaine, Parigi 1899, t. II, pagg. 234-5, descrivendo la pratica romana (cfr. anche la figura che correda il testo) afferma: “Les parements des manches sont en dentelle large, de même que la partie inferieure […] la pratique romaine […] n'autorise que la dentelle comme décor”.

L'autore è padronissimo di trovare eccessivo anche il pizzo fino al ginocchio, ci mancherebbe. Mi sembra, però, assai meno libero di spacciare il proprio gusto personale per parametro di “liturgicità”, specialmente quand'esso non collima né con la prassi generale né con l'opinione comune. Promuova un mutamento in questa, faccia mutare quella; ma, fino ad allora, sarebbe di gran lunga preferibile se presentasse le proprie posizioni come personali e passibili di libera discussione, perché ciò, ben lungi dall'indebolirle, sarebbe un apprezzabilissimo segno di correttezza e di obiettività.

6 - “Femminilizzazione”
Tesi                 Il Nostro formula un rilievo collaterale secondo cui l'ingentilimento della veste “non dovrebbe trasformarsi in una femminilizzazione, visto che in molti paesi il pizzo è parte esclusiva dell'abbigliamento muliebre”; si tratta, in verità, di un argomento su cui egli tende a tornare con una certa insistenza.
Replica           Non seguo minimamente le mode, ma non ricordo di aver visto pizzi, andando in giro per strada, né indosso a uomini né indosso a donne; mi sembra proprio caduto in disuso, nella moda contemporanea.
Aggiungerei che mi sembra assai limitato il rischio che, più in generale, le vesti sacre vengano assimilate alle profane, vista se non altro la notevole diversità di foggia.
In ogni caso, il rischio “femminilizzazione” può essere, al massimo, un problema contingente di opportunità, da risolversi con norme contingenti e prudenziali; gli usi “antiliturgici” sono un'altra cosa.
7 - Il pizzo dal ginocchio in giù è solo tollerato
Tesi                 Un decreto della Sacra Congregazione del 16 giugno 1893 ammette (tolerari posse) che un camice possa avere il pizzo dalla cintura in giù: si tratta nondimeno di un palese caso di decadenza liturgica del tardo Ottocento”. Insomma, si tratterebbe di un abuso solamente tollerato, come comproverebbe appunto il decreto Goana, D. 3804, 12, 16 giugno 1893, vol. III della collezione autentica, pagg. 250-1. Inoltre,Poiché il quesito infatti riguardava una prassi dei Canonici dell'Arcidiocesi di Goa, si potrebbe arguire che la concessione, di per sé antiliturgica, non sia estendibile ad altre occasioni.”. Ne beneficerebbero, in altri termini, solo i Canonici dell'allora capitale dell'India portoghese.
Replica           Vorrei anzitutto osservare che va rispettata anche la consuetudine solo tollerata, appunto perché nel senso della tolleranza va il giudizio del legislatore, il solo che ne potrebbe comandar l'eliminazione (cfr. Benedetto XIV, De Synodo Dioecesana, Lib. IX, §9.7). Ma non ho bisogno di insistere particolarmente sul punto, perché la prova ex auctoritate addotta dal Nostro non supporta le sue conclusioni.
Il citato decreto Goana, ben noto anche agli autori da me citati supra, §5, tollera infatti il pizzo dal cingolo in giù. E volerne estrapolare, contro l'opinione comune e l'uso generale, un divieto riferito anche al pizzo dal ginocchio in giù – pur evidentemente meno vistoso - mi sembra, come minimo, azzardato... tanto più che, nel caso deciso, la formulazione del quesito evidenzia proprio la lunghezza del pizzo, anziché la sua mera presenza.
Neppure è accettabile la tesi di una concessione non estensibile in similibus. A parte il fatto che la tolleranza non equivale ad una grazia, e a parte anche il rilievo che tutti i decreti inseriti nella collezione si intendono generali, questo impiega la clausola Declaravit, che “dice che il decreto interpreta autenticamente la legge”; e “se qualche decreto, emanato in risposta ad un quesito particolare, dichiara il senso di una legge generale, di una Rubrica, ecc., questa dichiarazione costituisce una interpretazione autentica della legge stessa, ed ha forza di legge” (A. Carinci, op. cit.). Del resto, l'indice, che ha forza di legge quanto la stessa collezione di cui fa parte, ne segnala il contenuto in termini generali, senza impiegare clausole come “ex gratia speciali” (usata, invece, per il vicino D. 3995).
Da ciò, tuttavia, non si deve desumere che tutti possano tranquillamente sfoggiare un pizzo fino alla cintola: come specificano sia l'indice sia il testo del decreto, quest'indubbio eccesso di decorazione è tollerato nei Canonici per i giorni di festa più solenni; non vale, quindi, né per i non Canonici né per le festività minori, giacché la tolleranza, in quanto eccezione a una regola generale, non è passibile di interpretazioni estensive (tranne forse quelle a fortiori, p.es. in favore dei Vescovi o dei Cardinali), per il noto principio Exceptio firmat regulam in casibus non exceptis.
La regola in questione, però, non è il preteso divieto del pizzo, che non risulta da nessuna parte, bensì il limite del medesimo al ginocchio.
Il che, fermo quanto detto finora, risulta indirettamente anche dalle altre forme di decorazione che sono state, invece, esplicitamente permesse:
·         il decreto Syren. 5 dicembre 1868 (n. 3191, 5, vol. II della collezione autentica, pag. 384) autorizza, e non semplicemente tollera, una forma decorativa per certi versi anche più vistosa, come l'aggiunta di “veli trasparenti che rappresentino Croci, Ostensori, Calici con l'Ostia, figure di Angeli e altri simili oggetti sacri”.
·         A sua volta, il decreto 12 luglio 1892 (Romana – Resolutionis dubiorum, formula tipica dei decreti generali, D. 3780, 5) permette l'uso del fondo colorato sotto il pizzo, senza minimamente far cenno alla pretesa illiceità del medesimo. 
·         e il successivo Minoricen., D. 4047, 7 del 24 novembre 1899 lo richiama sic et simpliciter per estendere il permesso – che non è mera tolleranza – al fondo colorato sotto il velo trasparente. Viene con ciò superato il precedente decreto contrario del 17 agosto 1833, n. 4718 (o 4569) nella collezione precedente, che peraltro, almeno per come è formulato il quesito, sembra implicare che allora l'uso del fondo rosso fosse un privilegio particolare di Italia, Spagna e altri luoghi (cfr. W. Műhlbauer, Decreta authentica Congregationis Sacrorum Rituum et instructio clementina ex actis ejusdem collecta ab Aloisio Gardellini: ordine alphabetico concinnata, t. I, Monaco di Baviera 1865, pag. 13; sulla materia dei paramenti cfr. amplius, nello stesso PDF, il t. II, pagg. 629-31).
Con tutto questo, però, e con buona pace dell'intento dell'autore di ricondurre il decreto Goana ad un “palese [sic] caso di decadenza liturgica del tardo Ottocento”, non si rinviene alcun divieto del pizzo, neanche nella collezione anteriore, che invece lo riporta ad es. per un tipico vezzo settecentesco come la parrucca (cfr. i riferimenti in W. Műhlbauer, op. cit., t. II, pag. 655). In effetti, la testimonianza di Mons. Barbier de Montault mi fa supporre che il pizzo fosse già entrato nell'uso legittimo, a Roma, prima della stessa riforma di S. Pio V e che perciò la S.R.C. non se ne sia mai dovuta occupare come di una novità. E del resto, se anche un divieto vi fosse mai stato, sarebbe caduto con il mancato inserimento nella collezione autentica di Leone XIII.
Più in generale, dalla disamina dei decreti sembra tranquillamente ammessa una varietà anche notevole di fogge e decorazioni del camice, con largo spazio anche alle mode. E come si è affermato il pizzo, se non perché a suo tempo è diventato di moda?
Questo margine di flessibilità e libertà spiace senza dubbio all'autore, che preferirebbe normare la prassi secondo l'Esodo; ma a me sembra tanto più rimarchevole il fatto che esso venga riconosciuto pacificamente, perfino in un contesto normativo in cui il margine lasciato al libero sviluppo di prassi locali era tendenzialmente nullo.

8 - Decorazioni consentite: gli aurifregi
Tesi                 A parte un'ulteriore polemica contro i camici a fondo colorato – che tralascio, perché non mi sembra che apporti dati significativi - anche per le decorazioni l'autore si rifarebbe al prediletto modello dell'Esodo, propugnando perciò il ritorno agli aurifregi.
Replica           Nulla contro gli aurifregi come tali, ci mancherebbe... ma delle due l'una: o la materia delle decorazioni è normata dalla consuetudine oppure è libera.
Nel primo caso, è evidente che in Italia l'aurifregio è ammesso solo a Milano e dintorni, e anche lì, forse, più in concorso con il pizzo che in alternativa ad esso (se la sua foto del fu Mons. Amodeo è indicativa). Come del resto è normale, posto che il pizzo è invalso un po' dappertutto.
Se invece vi è libertà, l'autore può avvalersi tranquillamente della propria e produrre o consigliare tutti gli aurifregi che vuole... ma non pretenda di bandire il pizzo.

9 - Conferma dagli sticari bizantini
Tesi                 Non manca un argomento di rincalzo, desunto dalla tradizione orientale: “Gli sticari bizantini, poi, sono usualmente decorati con un leggero bordo aurifregiato sul fondo, giammai con pizzi o altri vezzi che a un occhio orientale appaiono quanto mai femminili. Gli aurifregi sono una forma di decorazione del camice rispettosa della tradizione e delle prescrizioni sacre, non muliebre ed esteticamente piacevole, che dovrebbe più largamente essere recuperata in Occidente.”.
Replica           Prendo atto con soddisfazione dell'apertura dell'autore ad un'evoluzione della “autentica tradizione liturgica”; osservo però che le consuetudini bizantine hanno ben poco di romano e che il diritto consuetudinario non si applica per analogia fuori delle terre che gli sono proprie.

10 - “Là dove è il tuo tesoro, ivi è pure il tuo cuore
Tesi                 La considerazione finale è che aver provocato tanto scandalo in nome della liturgia non può che aver fatto piacere. Fu pure la parola di Nostro Signore a portare scandalo, del resto. Solamente rende molto tristi, al di là dell'astio nei commenti che sono una costante del poco caritatevole mondo 'tradizionalista' che bazzica su certi siti, notare che tale putiferio si sia scatenato attorno a dei pizzi. A quanto pare, abbiamo toccato nel cuore certa gente. E siccome 'là dove è il tuo tesoro, ivi è pure il tuo cuore', abbiamo scoperto che per molti il tesoro della Chiesa non sono la sua Fede apostolica e la sua Divina Liturgia, ma del brutto tessuto femminilmente agghindato... Dio liberi!”.
Replica           Anzitutto, sono costretto ad osservare che l'argomento “là dove è il tuo tesoro, ivi è pure il tuo cuore”, pur validissimo, si può ribaltare in mezzo secondo netto: ah, quelli che perseverano nel doppio maggiore, che si impiccano a un'arundine, che venerano le pianete plicate, che si aggrappano agli stoloni quasi fossero un articulus stantis aut cadentis Ecclesiae... e che scambiano la propria opinione sulla miglior forma liturgica per una legge superiore a quella della Chiesa!
Per il resto, non ho l'abitudine di pensare il peggio dal mio prossimo, quindi sarei propenso a credere che il riscontrato “astio nei commenti che sono una costante del poco caritatevole mondo 'tradizionalista' che bazzica su certi siti” non si debba al fatto che molti tengono più ai pizzi che alla Fede o alla Grazia, ma più semplicemente ai paragoni ben poco lusinghieri che i fautori dei pizzi subiscono nei primi paragrafi dell'articolo. A questo proposito, anzi, aggiungerei che deplorare questa scarsa carità – magari a ragione – e però rispondervi con i toni usati nella replica (il “'pizzomerlettari' criticoni” del titolo è, purtroppo, indicativo) è veramente privo... non di carità e nemmeno di giustizia, ma di un'altra dote, davvero rara ai giorni nostri: l'eleganza.

Postilla: il pizzo come simbolo di “papismo”
Debbo anzitutto ringraziare l'autore, nonché il suo amico Mr. Robinson, per avermi fatto scoprire il simpatico E.L. Mascall, teologo e poeta con una vena di umorismo tipicamente inglese.
Tuttavia, la scelta di citarlo in esergo, quasi a conferma e suggello dell'antiliturgicità del pizzo, mi sembra veramente poco appropriata rispetto agli scopi perseguiti.
In primo luogo, Mascall era un anglicano. Anche se non dell'ala liberal.
Fatto più importante, nel mondo della Chiesa d'Inghilterra, almeno ai tempi, il pizzo era un contrassegno dei “papisti”, o almeno di quella singolarissima genia di chierici – gli Anglo-Papalist – che usavano il Messale di S. Pio V invece del Book of Common Prayer, aderivano ai dogmi di Trento e anche del Vaticano I, non però alla “Apostolicae Curae”... e spesso erano sposati.
Lo stesso Mascall, invero, nel medesimo volumetto di versi dove i canonici di Salisbury (Sarum) restano scioccati dal pizzo ostentato dal vescovo anglicano, offre una divertentissima descrizione di codesto tipo umano, che esordisce con: “Io sono un Ultra-Cattolico – non “Anglo”, vi prego! / Non troverete alcuna traccia di eresia in quel che vi insegno io”.
E, guarda caso, il personaggio non si limita a proclamare fieramente di fare catechismo usando il testo approvato dai Vescovi Cattolici, “spiegando ai bambini come la Chiesa d'Inghilterra versi in eresia e scisma”: quando tratta dell'abbigliamento afferma che, sopra la veste di ricco satin nero, “Il mio camice è ornato agli orli con il pizzo più esteso”.
Come mai questo dettaglio?
Perché le vesti molto sobrie - e in genere ridotte alla semplice cotta – erano caratteristica della controparte protestantizzante, la Low Church.
Stiamo attenti, dunque, a favorire quello che magari non vuol affatto essere minimalismo liturgico, ma rischia tanto di sembrarlo.
Chi venera il Sacrificio dell'Altare adorando in esso Colui che È aggiungerà sempre il massimo dello sfarzo e dello splendore sia alle vesti sia alle cerimonie. Certo, con ordine e secondo i tempi e  luoghi: una maggior sobrietà, ad esempio, sarà certo raccomandabile in un ambiente monastico (come Le Barroux, che merita per questo le lodi dell'autoreegli ). Ma appunto per questo non può esservi la regola fissa che pretenderebbe... e soprattutto, la tendenza generale è verso il “di più”, non il “di meno”.
Il già citato Mascall, infine, ci offre anche un promemoria sconfortante di come l'Anglicanesimo, restaurato da Elisabetta per tener un po' tutti dentro la Established Church e disinnescare la mina del conflitto religioso, abbia finito, in ragione delle congenite divisioni dottrinali, per non trovarsi più unito neppure sul rispetto di quelle norme cerimoniali e disciplinari che pure erano legge dello Stato.
La Chiesa di Roma, nell'ultimo mezzo secolo, ha percorso a rotta di collo la medesima china.
Noi però, che ambiamo a conservar l'integrità della retta dottrina, dobbiamo con essa mantenere o recuperare, se non una piena uniformità disciplinare, che potrebbe non essere neppure praticabile al momento, certo almeno il principio che la Liturgia ha carattere giuridico e non va lasciata all'arbitrio di nessuno.
Oggi è in atto un movimento, che posso solo definire sovversivo, volto a ridefinire il concetto stesso di diritto per farlo dipendere in tutto e per tutto dal mutevole capriccio di ciascuno (lo vediamo fin troppo bene nelle varie gender-follie); ma, checché si voglia pensare della sua praticabilità concreta quanto al diritto positivo in generale, esso è intrinsecamente inconciliabile con i rapporti tra il singolo ed Entità superiori, come Dio e, per partecipazione, la Chiesa.
Ebbene, noi che crediamo che l'ordine sovrannaturale preceda e fondi quello naturale, che solo la Grazia sani, perfezioni ed elevi la Natura, dobbiamo tener saldo il criterio del culto, primo mezzo di santificazione, affinché esso possa, in virtù dell'azione divina, purificare le anime e ristabilire anche l'ordine naturale.
E così Dio ci aiuti.

Genova, 4 luglio 2020
                                                                                               Guido Ferro Canale
                                                                                               Ass.ne “Beato Ottaviano Vescovo
                                                                                               Presidente emerito

6 commenti:

  1. Gent.mi, belle precisazioni, ma dovete comprendere l'autore dello scritto di "Traditio Marciana". A quanto risulta è dottissimo, ma molto giovane... in quest'ottica si possono giustificare certe rigidità di vedute, altrimenti incomprensibili.

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  2. Attenzione, però: se va rispettata anche la consuetudine solo tollerata, allora andrebbe rispettata anche la Comunione sulla mano...

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    1. Infatti è quello che dovete fare

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    2. Veramente la comunione sulla mano è un indulto, e prima della concessione di questa era un abuso
      E la sua diffusione ha provocato solo danni, visto che la realtà che si vede quotidianamente nelle parrocchie è ben diversa da ciò che san Cirillo (citato a sproposito) esortava nelle sue mistagogie

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  3. Ringrazio di cuore l'autore per il dotto ed articolato contributo che ho letto (e leggerò di nuovo) con vivissimo interesse. Mi sento però a disagio verso un approccio troppo legalistico. Sul pur dovuto rispetto dell'autorità han fatto scientemente leva i vari Bugnini passati e presenti ed oggi siamo arrivati al culto della Pachamama nel quasi totale silenzio di cardinali e vescovi.

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  4. L'autore delle precisazioni mi sembra, però, poco caritatevole verso l'autore dello scritto di Traditio mMrciana.

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AVVISO AI LETTORI: Visto il continuo infiltrarsi di lettori "ostili" che si divertono solo a scrivere "insulti" e a fare polemiche inutili, AVVISIAMO CHE ORA NON SARANNO PIU' PUBBLICATI COMMENTI INFANTILI o PEDANTI. Continueremo certamente a pubblicare le critiche ma solo quelle serie, costruttive e rispettose.
La Redazione