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domenica 22 marzo 2020

In memoriam: don Savino Tamanza è entrato nella Chiesa Trionfante



Don Savino Tamanza  è  morto nella sua Bergamo, assistendo gli infermi QUI e foto sotto).
Era un sacerdote tradizionalista. Devoto alla Messa Tridentina, chi vi scrive non l'ha mai visto senza talare. 
Uscito nel 1981, o giù di lì, dalla FSSPX (lì entrato dopo un'intervista a Mons. Lefebvre), arrivò nella diocesi di Massa dove celebrava, per obbedienza,  anche il NOM: solamente con il Canone Romano.....
L'ho conosciuto trent'anni fa, perchè ascoltò una delle prime mie confessioni dopo decenni di "oblio" della fede: caritatevole al massimo con il peccatore, ma fermissimo con il peccato.
Si occupava sempre degli ultimi: lui sì che era  "la Chiesa in uscita", lui sì che aveva l'odore delle pecore, non come certi teorici della new wave ecclesiale. Aiutava sempre i più poveri e i più diseredati, che - talvolta - non se lo meritavano neppure. E ci metteva sempre il suo denaro. Nella sua prima parrocchia di S. Eustachio (MS), ospitò diversi ex detenuti in canonica, aiutandoli in ogni modo e indebitandosi per loro; raccoglieva oggetti per riffe e lotterie parrocchiali anche per i confratelli. 
Altro che "pizzi e merletti".
Lo vedevo ormai pochissimo, l'ultima volta ad un convegno a Bergamo in compagnia di uno dei miei figli, sempre con la sua talare ordinata e l'alto colletto romano.
Ho letto quello che ha scritto ieri il suo amico don Alfredo Morselli: "Il mio carissimo amico don Savino Tamanza, il prete che mi accolse nel 1980 in seminario e mi diede subito da leggere il Trattato della Vera Devozione a Maria ("leggilo, che poi capisci…" mi disse) è passato a miglior vita, ucciso nel corpo dal coronavirus, ma vivo con l'anima santa nel Cuore Immacolato di Maria…"
A Dio don Savino, con le lacrime che mi scendono dagli occhi ti saluto e ti abbraccio. 
In Paradiso continuerai ad assistere i poveri e gli infermi come hai sempre fatto, celebrando le belle liturgie che hai sempre voluto, con i paramenti ancora migliori di quelli che amavi.
Proteggi anche la tua amata comunità della Tradizione, come dicevi sempre  tu, "Per Cristo Re e Maria Regina. ADSUM".
Più sotto pubblichiamo il ricordo di uno dei suoi tanti amici bergamaschi della Messa di Sempre.
Luigi

Aggiornamento: aggiungiamo sotto un altro bell'articolo sul nostro amico


Caro Luigi,

Io non son bravo a scrivere. Posso solo dire che don Savino è stato sacerdote in pieno. Da lui ho sempre avuto aiuto. Un fatto mi piace ricordare. Quando papa Benedetto XVI promulgò il Motu Proprio Summorum Pontificum chiedemmo a lui di celebrare il Santo Sacrificio della Messa nel rito tradizionale e subito accettò. Dal mese dell'uscita del Motu Proprio, fino a quando iniziò la celebrazione alla Madonna della Neve, favorita dal vescovo Amadei, don Savino si mise al servizio del piccolo gruppo di fedeli celebrando la S. Messa.
Non pensò ai problemi e alle critiche che potevano nascergli.  Vide il bene e senza rispetto umano si mise al servizio.
Quando mesi dopo partì la celebrazione che ancora oggi si celebra alla Madonna della Neve, don Savino si ritirò con profonda umiltà.  Poteva vantare qualche cosa, poteva lamentare che l'avevamo abbandonato, invece nulla. Il buon servo inutile aveva lavorato per Cristo Re e Maria Regina. Per lui questo era il suo essere prete.
Questo a me ha insegnato che la nostra missione d'apostolato ha un verbo: Servire.
In Cristo Re.
Giuseppe Beretta



Voi non siete un uomo: siete un prete. Un prete non è un uomo: è qualcosa di meno …. O qualcosa di più. Dipende …

E’ l’ultimo Guareschi, autore che anche Don Savino Tamanza amava: negli ultimi anni amaro e disilluso, ma incrollabile nella fede. E il grande scrittore padano non avrebbe avuto dubbi: Don Savino era qualcosa di più, molto di più. E il virus se lo è portato via, nella sua Bergamo così duramente colpita, il 21 marzo scorso.

Chi, come chi scrive, ha avuto il privilegio di conoscerlo, di servire messa al suo fianco, di averlo come confessore e direttore spirituale, ricorda soprattutto la sua forza e la sua dolcezza. Ti faceva capire che il cristiano è un uomo in cammino, che non deve aver paura delle sue cadute ma nemmeno adagiarsi in esse: nessuno sconto al peccato, ma piena comprensione del peccatore. 

La sua storia di sacerdote non era stata facile: dopo alcuni anni ad Ecône, nei seminari di Monsignor Marcel Lefebvre, il vescovo fedele alla Tradizione che oggi più che mai appare come un faro di luce nelle tenebre. Don Savino non aveva completato lì la sua formazione, ma aveva conservato un profondo rispetto per la figura di monsignor Lefebvre; di lì il suo grande amore per messa tridentina, il suo celebrare sempre e comunque con il Canone Romano anche quando diceva la Messa del “Novus Ordo”

Padre Clementissimo, noi ti supplichiamo ….

Il suo modo di celebrare rivelava chiaramente che al primo posto c’era Dio. Che dicesse la Messa Tradizionale o celebrasse il ben più misero e ambiguo rito postconciliare, Don Savino riusciva sempre e comunque a far capire che non si era davanti al “presidente di una assemblea”, come a volte viene oggi definito il sacerdote, né difronte allo show di un prete da karaoke o altre “amenità” a cui ci tocca talvolta assistere: uno dei suoi motti preferiti era Instaurare omnia in Christo (S. Pio X) e lo si vedeva benissimo. Assistere a una sua messa voleva dire veramente sentirsi toccare dalla Grazia e alzare lo sguardo verso il Divino: era solo uno strumento del rito, ma uno strumento che ti apriva le porte del Cielo. La dolcezza, la dignità, l’affettuosa cura con cui pronunciava ogni parola – soprattutto della consacrazione – erano una delle tante prove della sua indubbia Fede che riusciva davvero a comunicare a chi gli stava vicino.

Portò sempre con umile fierezza la sua divisa: l’abito talare, che non ha mai voluto sostituire con surrogati di qualsiasi sorta; del resto in gioventù era stato tra gli Alpini e per lui rispettare la divisa e la bandiera era prima che dovere uno stile di vita; a maggior ragione dopo la svolta sacerdotale, a cui era arrivato in età matura: nato nel 1946, ebbe la vestizione religiosa il 2 febbraio 1978 a Ecône.

Dopo Ecône, era approdato nel seminario vescovile di Massa: la diocesi era allora retta da un vescovo buono e saggio, che non si era lasciato contaminare più di tanto dalle ubriacature moderniste: Monsignor Aldo Forzoni, che accolse fraternamente Don Savino e altri suoi confratelli e a cui il nostro sacerdote fu sempre grato e intimamente legato, anche durante i lunghi anni della malattia del presule, colpito da un ictus sin dal 1982. Ebbe l’ordinazione sacerdotale nel 1984 e fu incardinato nella diocesi di Massa Carrara: finì in un piccolo borgo alla porte di Massa, S. Eustachio, ma questo non gli impedì certo di svolgere al meglio la sua missione, sia per la popolazione locali, sia per gli amici che andavano a trovarlo sia per chi si recava lì per conoscerlo e ascoltarlo.

Da alcuni anni era tornato nella sua Bergamo, per stare vicino alla madre molto anziana e si è trovato coinvolto nel ciclone dell’epidemia. I ricordi e le necrologie ricordano il suo impegno a fianco degli ultimi, degli emarginati, degli ammalati; e proprio il voler stare vicino fino all’ultimo a chi ha particolarmente bisogno di un conforto spirituale prima che fisico è probabile che lo abbia portato a concludere la sua giornata terrena, in questi giorni in cui questo conforto è tanto più necessario quanto poco praticato. Ricordo come, già a S. Eustachio, aprisse con grande generosità la sua porta a chiunque cercasse il suo aiuto, anche personaggi che a volte sembravano in realtà volersi approfittare di lui: “Un sacerdote non può assolutamente scegliere chi aiutare e chi no” rispose una volta a una mia osservazione in quel senso.

Bonum Certamen Certavi, ho combattuto la buona battaglia: sicuramente Don Savino, giunto davanti a Dio, può far sue le parole di San Paolo; una battaglia che affrontava veramente in tutti i campi, reali e virtuali, compreso Facebook dove postava instancabilmente materiali “controcorrente”, come la difesa di sacerdoti ingiustamente perseguitati per aver fatto il loro dovere o le battaglie per quei “principi irrinunciabili” come l’aborto, a cui oggi sin troppo clero rinuncia senza il minimo problema.

Insomma: un padre Cristoforo in un mondo di Don Abbondio e lo ha dimostrato sino all’ultimo giorno della sua vita. Sempre amando quella Chiesa che per lui forse a volte è stata più matrigna che madre, ma Don Savino era ben capace di guardare oltre l’aspetto umano e sapeva che il vero capo non era di questo mondo. Mi piace chiudere con un altro ricordo personale, piccolo ma significativo: gli avevo tempo fa sottoposto un mio articolo a carattere religioso. Tra le sue osservazioni, mi colpì in particolare questa:

“Piccola osservazione: Chiesa si scrive con la C maiuscola quando è riferita al corpo mistico di Cristo.” Già, con la C maiuscola, verissimo. Ed ora quella Chiesa con la maiuscola lo ha sicuramente accolto tra i suoi Santi: “ In Paradisum deducant te Angeli;in tuo adventu suscipiant te Martyres …

Siamo noi però ad avere bisogno di persone così: perché come ricordava Guareschi, un prete, quando è veramente tale, è più che un uomo.






5 commenti:

  1. Conobbi don Savino a un corso di Esercizi Spirituali, fatti col metodo del p. Vallet, nel 2009. A lui anche devo la mia risposta al Signore nella sua chiamata al Sacerdozio.
    Uomo di Dio, uomo e prete di poche parole, ma che nella concretezza della sua esperienza sacerdotale, faceva trasparire la presenza del Signore.
    Una frase breve e secca. ma che mi ha fatto riflettere.
    Purtroppo col tempo ci siamo persi di vista, ma l'incontro con lui non si dimentica. Dal Vostro racconto, vedo che è morto come muore un sacerdote unito Cristo, con lo zelo per le anime, con nel cuore le parole di Cristo: Ho sete!
    Che Dio l'abbia in gloria!

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  2. benedicici ora dal cielo Don Savino. Bruno

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  3. Interceda per il Popolo della Sua Bergamo e dell'amata Italia

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