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domenica 20 gennaio 2019

Soppressione Ecclesia Dei: un commento canonistico

Appresa la notizia dalla pubblicazione del Motu Proprio con cui il S. Padre ha soppresso la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, abbiamo chiesto un’opinione a caldo ad un nostro canonista di riferimento, l'avv. Fabio Adernò: come leggerete, il giudizio - dal punto di vista prettamente giuridico -, è abbastanza tranquillizzante. Potrebbe cambiare poco o nulla. 
Ma.
Come dice il Qoelet (Cfr. 11,3) , "l'albero dove cade sta": temiamo che la "direzione di marcia" rischi di non essere altrettanto positiva, per due ragioni.
La prima è che la PCED non aveva solo come compito principale la trattativa con la FSSPX, bensì un lavoro  quotidiano con i gruppi stabili, con i quesiti liturgici, con la gestione degli ordini religiosi riconosciuti, etc. (VEDERE QUI). Vedremo se tutto ciò rimarrà tutelato e la parola "integralmente" (art.2) riferita alle attività della Commissione verrà  mantenuta nel tempo.
La seconda che anche prima la CDF gestiva le trattative con la FSSPX (o invece, de facto, venivano avocate da S. Marta?....). Ci chiediamo a cosa è servita la supposta richiesta della CDF stessa.
Le nostre fonti parlano in effetti di qualche integrazione avvenuta  negli ultimi  venti giorni, nel testo.
Continuiamo a credere in un forte rischio di un pactum sceleris tra S. Marta e FFSPX, anche perchè le stesse nostre fonti parlano di non integrabilità di tutto il mondo tradì - compresi i gruppi SP-  nella Chiesa "normale"; rischio perciò di tentare di fare una riserva indiana tagliando l'albero alle radici  e soffocando mano a mano le unità della Tradizione.
Vedremo gli sviluppi.
Luigi

Con Lettera Apostolica motu proprio data «Da oltre trent’anni» del 17 gennaio 2019, resa nota oggi, il Santo Padre Francesco ha modificato l’assetto interno della Congregazione per la Dottrina della Fede, riassorbendo in essa tutte le facoltà della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, che ad oggi risulta quindi esser stata soppressa.

Un po’ di storia

​La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” è stata istituita col M.P. Ecclesia Dei adflicta del 2 luglio 1988 da Giovanni Paolo II per fronteggiare le questioni dottrinali e canoniche sorte con le consacrazioni episcopali dei quattro Vescovi della Fraternità Sacerdotale S. Pio X fondata dall’Arcivescovo Marcel Lefebvre.

​Nel tempo, la Commissione aveva poi esteso le sue competenze agli istituti nati negli anni successivi, finché, a seguito della promulgazione del M.P. Summorum Pontificum del 7 luglio 2007 di Benedetto XVI, alla Commissione veniva non solo confermato il suo ruolo originario – il dialogo con la Fraternità – ma anche affidato il compito di vigilare sull’osservanza e l’applicazione di quanto stabilito dal M.P. (cfr. ibid., artt. 11 e 12).

​Il 2 luglio 2009 Benedetto XVI, col M.P. Ecclesiae unitatem ha riorganizzato l’assetto della Pontificia Commissione, «collegandola in modo stretto con la Congregazione per la Dottrina della Fede» (cfr. ibid., art. 5), stabilendo quindi che il Presidente della Commissione fosse «il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede» e che la Commissione avesse «una propria tabella organica composta dal Segretario e da Officiali.» (ibid.).

Oggi cosa accade

​È legittimo porsi delle domande – che qui sono di ordine prettamente giuridico – sull’odierna disposizione del Papa regnante.

​Ogni atto amministrativo – qual è il M.P. che oggi commentiamo – s’interpreta «secundum propriam verborum significationem et communem loquendi usum» (can. 36, §1), e crediamo che il contenuto sia abbastanza chiaro, tanto nella sostanza quanto nella forma.

​Nel testo del M.P. si evince chiaramente che il Pontefice prende in carico quanto richiesto dalla Feria IV della CDF (cioè l’assemblea dei Membri, il cui nome deriva dal giorno della settimana – mercoledì – in cui si riunisce abitualmente) del 15 novembre 2017, in cui si chiedeva che il dialogo con la Fraternità S. Pio X fosse gestito direttamente dalla Congregazione. Il Papa, infatti, scrive di aver approvato quella richiesta presentatagli dal Cardinale Prefetto in Audientia del 24 novembre 2018, ricevendo quindi l’approvazione della Plenaria della medesima Congregazione del 23-26 gennaio 2018.

​A quasi un anno di distanza il Pontefice ha stabilito motu proprio che la Commissione Pontificia smetta di esistere (cfr. art. 1), deliberando quindi che «i compiti della Commissione… sono assegnati integralmente alla Congregazione per la Dottrina della Fede» (art. 2).

​Contestualmente si stabilisce che all’interno della CDF venga (il testo originale, in lingua italiana, usa il verbo al futuro «verrà») formata una Sezione «impegnata a continuare l’opera di vigilanza, di promozione e di tutela fin qui condotta dalla soppressa Pontificia Commissione Ecclesia Dei.» (art. 2).

​Il M.P. è esecutivo con la pubblicazione nell’edizione quotidiana dell’Osservatore Romano del 19 gennaio 2019 (cfr. cann. 7 e 8, §2).

​La ratio legislatoris è chiaramente espressa: la Commissione ha svolto un apprezzato lavoro dottrinale finora, ma si ritiene opportuno, alla luce delle «mutate condizioni», che tale compito venga svolto non da una Commissione – sebbene potenziata dopo l’Ecclesiae unitatem – ma direttamente dalla Congregazione.

​Finora le Commissioni (superstiti) in seno alla Congregazione sono la Pontificia Commissione Biblica e la Commissione Teologica Internazionale, le quali, sotto la presidenza del Prefetto, operano secondo le proprie norme. Ad essa era stata strettamente collegata – così si legge fino ad oggi nell’Annuario Pontificio – la Commissione “Ecclesia Dei”.

​Da oggi, invece, la Commissione smette di esistere e le sue competenze vengono riassorbite dal Dicastero madre, presso il quale si istituirà un’apposita Sezione.

​In via analogica riteniamo pacifico sia da intendere col nome di «Sezione» l’equipollenza a uno degli Uffici di cui al profilo della Congregazione dell’Annuario Pontificio, e cioè l’ufficio Dottrinale, quello Disciplinare e quello Matrimoniale, rientranti in quelle competenze che la Cost. Ap. Pastor Bonus sulla Curia Romana affida alla CDF agli artt. 48-55.

​Onde sfatare le polemiche e le paure che hanno contraddistinto le ultime settimane, nelle quali si era già diffusa la notizia dell’imminente soppressione della Commissione, riteniamo sia opportuno affermare che quest’ultima disposizione del Pontefice sia da intendere come un atto di giurisdizione interno alla Curia Romana volto solo a riorganizzare più compiutamente secondo quanto la stessa Congregazione ha richiesto le sue stesse competenze, rivendicando la gestione diretta dell’affaire dei rapporti con la Fraternità S. Pio X.

​Dal testo, infatti, restano illesi i diritti acquisiti dagli Istituti e le Comunità finora dipendenti dalla Ecclesia Dei, così come pure non è affatto messa in discussione la vigenza e il valore normativo vincolante del M.P. Summorum Pontificum.

​Il can. 38 ricorda, infatti, che «L’atto amministrativo, anche se si tratta di un rescritto dato Motu proprio, è privo di effetto nella misura in cui lede un diritto acquisito oppure è contrario a una legge o a una consuetudine approvata, a meno che l'autorità competente non abbia aggiunto espressamente una clausola derogatoria.».

​La soppressione della Commissione – sebbene il nostro sia un giudizio “a caldo” – ha dunque un valore prettamente e meramente “organizzativo”, assicurando peraltro che le competenze dell’organismo soppresso non evaporano, ma vengono affidate ad unacostituenda Sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede.

​Si potrebbe discutere sull’opportunità di sottoporre alla giurisdizione della CDF le questioni ordinarie afferenti agli Istituti e alle Comunità che si rifanno al Rito Antico, ma d’altra parte va anche ammesso che, de facto, è stato da sempre così.

​La Pontificia Commissione oggi soppressa, infatti, era già collegata alla Congregazione, peraltro in modo “stretto” come affermano i documenti ufficiali; il Presidente della Commissione era il Prefetto della Congregazione, e ne firmava ogni disposizione, solo controfirmata dal Segretario; i membri della Commissione erano già Officiali di quel Dicastero, così come la Commissione si è sempre avvalsa – nonostante avesse una propria configurazione – delle attività dei Consultori della CDF.

​De facto, dunque, nihil innovatur. Certo, de jure cambia l’assetto della Commissione, che oggi sarà detta Sezione e non avrà più un Segretario, ma al massimo potrà avere un Capo Ufficio.

​Le competenze restano le medesime, e non sono messi in discussione i diritti delle Comunità e degli Istituti che finora hanno dipeso dall’Ecclesia Dei.

​Peraltro, nel testo del MP il Papa dichiara che «gli Istituti e le Comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria, hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita».

​Il termine «stabilità» unito alle espressioni «numero» e «vita» riteniamo sia da intendere come sicurezza organizzativa e strutturale. La quasi totalità degli Istituti, infatti, ha degli Statuti approvati definitivamente o ad experimentum, hanno una propria vita religiosa, sono ben inseriti nei tessuti diocesani e alcuni di essi hanno un vero e proprio profilo internazionale riconosciuto e apprezzato (si pensi, ad esempio, alla Fraternità S. Pietro, all’Istituto del Buon Pastore, all’Istituto Cristo Re) dalle Autorità Ecclesiastiche e dai fedeli.

​In considerazione del fatto, però, che «le finalità e le questioni trattate dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sono di ordine prevalentemente dottrinale» il Papa dispone che esse siano chiaramente affrontate dalla Congregazione che è preposta alle questioni dottrinali, «desiderando – scrive – che tali finalità si rendano sempre più evidenti alla coscienza delle comunità ecclesiali».

​Il mutamento strutturale dell’assetto della Congregazione probabilmente s’inserisce nell’ottica di riforma della Curia Romana, di cui però ad oggi, a parte qualche accorpamento di Pontifici Consigli, non ha prodotto nessuna modifica significativa.

​Riteniamo, dunque, pur facendo un giudizio a caldo, che il MP che sopprime la Pont. Commissione “Ecclesia Dei” non sia da intendere in modo negativo per quanti sono legati all’antica forma rituale, ma sia solo la presa d’atto di una realtà oggettiva.

​Oltretutto, non si può dimenticare che i dialoghi tra la Santa Sede e la Fraternità S. Pio X – la cui cura, lo ribadiamo, è stata sempre la finalità fondamentale e primaria della Commissione – ad oggi non hanno prodotto grossi risultati.

​Tutti i provvedimenti in favore della Fraternità finora sono stati emessi direttamente dal Papa con graziose concessioni (Benedetto XVI ha rimesso la scomunica ai quattro Vescovi consacrati da Mons. Lefebvre, e Francesco ha riconosciuto pieno vigore alla giurisdizione in foro interno dei sacerdoti della Fraternità); fanno eccezione le sole disposizioni in materia di assistenza al sacramento del Matrimonio emesse dall’Ecclesia Dei con Lettera circolare del 27 marzo 2017.

​Per usare un’espressione tranchant si può forse dire che l’unica cosa che cambia, da oggi, è la carta intestata.

​Non ci sono buone ragioni per ritenere come irrazionale l’odierna disposizione, perché essa rientra – con buona pace dei contestatori del Summorum Pontificum – nell’orbita della fase – discutibile o meno che sia – di normalizzazione avviata sotto il Pontificato di Benedetto XVI.

​Già in tempi non sospetti il sottoscritto notava che se il Rito Antico, nella definizione che ne dava nel Summorum Pontificum, è una «forma» dell’unico Rito, giocoforza non avrebbe senso avere una giurisdizione “speciale” per quanti legittimamente la usano.

​Dalla promulgazione del MP Summorum Pontificum, infatti, il Rito latino, nella sua forma più antica, si conferma come de facto inabrogabile e imperituro, e acquista il riconoscimento d’un carattere giuridico di esigibilità, ben diverso dalla (errata) concezione indultista.

​Sono queste, riteniamo, le «mutate condizioni» a cui si riferisce il Pontefice nel MP che oggi commentiamo.

​Il Rito antico è un diritto della Chiesa, perché appartiene, nella ontologica gradualità di funzioni, a tutti i fedeli (ordinati e non) e non può più essere neanche analogicamente considerato una concessione paterna e graziosa della benevolenza dell’Autorità, poiché, per l’appunto, non è una “grazia”.

​Ora, posto che la teoria fondamentale insegna che, come in natura, anche in diritto vale l’assioma dell’ontologia tomista per cui «Agere sequitur esse», e che «Accessorium sequitur principale», è logico ipotizzare che le competenze ratione materiae non possano e non debbano essere più riservate ad una Commissione che ha per suo scopo primario e fondativo quello di trattare questioni dottrinali, poiché – è bene ribadirlo con forza – il Rito antico, specialmente dopo il Summorum Pontificum, non è una questione dottrinale.

​Naturalmente questa interpretazione potrà far discutere, ma riteniamo che sia quella di più logica coerenza con gli indirizzi del concluso pontificato ratzingeriano e, di fatto, anche con le intentiones del regnante Pontefice più volte esternate.

​Si potrà obiettare: se è così, se cioè non esiste più il “problema” del Rito antico, perché continua ad occuparsene la CDF? La risposta è semplice. A ragione della complessità e dell’esigenza di competenze specifiche per affrontare questioni liturgiche e normative sarebbe inimmaginabile che nelle Congregazioni potenzialmente interessate (segnatamente: Culto Divino, Religiosi, Clero ed Educazione Cattolica) vi fossero “esperti in materia” siccome esige la natura delle questioni che possono sorgere, quanto a Liturgia e disciplina interna, avendo il Rito antico come riferimento.

​Opportunamente, dunque, si razionalizza la presenza di una Commissione con quella di una Sezione, che avrà gli stessi compiti dell’organismo soppresso, ma agirà direttamente come Congregazione.

​E tale scelta integra meglio, pensiamo, il giudizio di valore sul Rito antico che, appunto, non ha più bisogno di una giurisdizione “speciale”, ma “ordinaria”, nonostante il suo carattere di dichiarata “straordinarietà”; straordinarietà che, nella mens legislatoris di Benedetto XVI non è un plus (accessorio) ma un quid pluris (necessario), atteso che ne postula la «reciproca integrazione» con la c.d. forma ordinaria.

​A ciò si aggiunga, magari, l’attesa di una auspicabile e più coerente erezione d’un dicastero specifico che possa occuparsi di tali realtà, ma non già come ha fatto o farebbe una Commissione – che ha carattere “settoriale” e speciale – quanto, piuttosto, all’interno del quale, come già avviene in via analogica nella Congregazione per le Chiese Orientali, il discrimen iurisdictionis sarebbe il Rito Antico siccome in questa sono le famiglie dei Riti Orientali.

​Tale soluzione, crediamo, risolverebbe tanto il problema della giurisdizione nei confronti degli Istituti e delle Comunità religiose legate all’antica Tradizione liturgica latina, quanto il problema “dottrinale”, sottraendo così a fallaci interpretazioni l’esistenza d’una Sezionespecifica della Congregazione per la Dottrina della Fede.

​C’è poi da notare che l’idea più volte ventilata dell’erezione di una Prelatura personale – auspicabile forse come forma iuris per la Fraternità – non è però del tutto la soluzione migliore alle questioni sopra riportate, poiché, a modestissimo avviso di chi scrive, trascinerebbe il Rito antico ad essere “monopolio” caratterizzante d’una specifica e definita istituzione gerarchica, quando invece esso è patrimonio indiscusso di tutta la Chiesa Universale e segnatamente della Chiesa Latina, di tutti i sacerdoti – diocesani, secolari e regolari – e di tutti i fedeli, indipendentemente che possano essere ascritti ad un Prelatura.

​Al di là, dunque, di mere ipotesi de iure condendo, all’oggi il giudizio che si può esprimere in ordine alla soppressione della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” è certamente prudenziale, ma, al tempo, non negativo, poiché, di fatto, riconduce nell’alveo suo proprio le questioni di natura dottrinale che già Benedetto XVI aveva esplicitato nel MP Ecclesiae unitatem, e, costituendo un’apposita nuova Sezione con le medesime competenze ma in seno alla Congregazione – che è la prima Congregazione della Curia Romana – sottolinea il valore giuridico di quelli che potremmo chiamare i diritti «al» e «del» Rito Antico, sviando così ogni interpretazione porzionistica, indultista e specialistica circa quell’argomento e quella giurisdizione.

​Oltretutto, far rientrare all’interno della CDF le competenze giurisdizionali sugli Istituti e le Comunità legate alla Tradizione offre una maggiore garanzia alle decisioni in materia contenziosa, di cui al capo II dell’Istr. Universae Ecclesiae del 30 aprile 2011, sottraendo tra l’altro, così, in modo attento e prudenziale quelle realtà ad azzardate discrezionalità distanti, se non opposte, a certe altre sensibilità.

​Resta chiaro, comunque, che quanto finora stabilito dalla Pontificia Commissione continui ad avere vigore (cfr. can. 9) e riteniamo che non vi siano motivi per ipotizzare una riforma delle decisioni fin qui adottate, non foss’altro perché esse sono già qualificabili come atti della Congregazione – se non in senso proprio, almeno in senso analogico – attesa la stretta connessione funzionale e formale tra l’oggi soppressa Commissione e la Congregazione stessa.

​Il presente giudizio di commento va assunto, certamente, in modo prudenziale e ci si riserva di poterlo ampliare e migliorare alla luce di quelli che potranno essere gli sviluppi di questa nuova fase.

avv. Fabio Adernò

7 commenti:

  1. Vi segnalo il mio commento:
    https://opportuneimportune.blogspot.com/2019/01/lex-orandi-senza-lex-credendi-commento.html

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  2. Cosa cambia se un matrimonio tra omosessuali viene celebrato con il Novus Ordo oppure con il Rito tridentino ?
    Volete la forma ? Francesco ve la dà. Ma la sostanza la sta sovvertendo e voi la dovrete subire.

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  3. Subdolo ed equivoco documento, fondato sul falso nel più perfetto stile bergogliano, per pugnalare alle spalle il MP di papa Benedetto. A chi potranno ricorrere i fedeli che vogliono il VO, quando osteggiati ed emarginati dai caporal maggiori con la mitria, in maggioranza faziosi nemici del rito millenario ? Intorno alla dottrina ed alla tradizione della Chiesa si continua ad allargare l'isolamento. In un momento tragico della Chiesa cattolica ci si diverte a far dispetti da ' sacrestia', cambiando le carte in tavola, invece di occuparsi di diffondere e difendere il Vangelo come Cristo comandò ai discepoli.

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  4. Lasciate perdere i codicilli dell'avvocato e i sospetti di pacta scelera. Francesco fa di testa sua, se ne frega degli avvocati e non fa patti e, se li fa, poi non li rispetta. Leggete il commento di Cesare Baronio e avrete contezza del vostro (e nostro) futuro.

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  5. il rischio anzi, la possibilità di un pactum sceleris tra Santa Marta e Fraternità Sacerdotale San Pio X, paventata da Luigi, mi pare fantascienza, non ce lo vedo proprio Papa Bergoglio flirtare con una realtà scismatica come la San Pio X

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  6. Mi rallegro della soppressione della Ecclesia Dei per i seguenti motivi:La commissione Ecclesia Dei era nata per rispondere e rimediare ad una afflizione,ma forse era diventata essa stessa motivo di afflizione. Nella storia di 31 anni di vita (1988-2019), la vicenda della Commissione aveva assunto, progressivamente, aspetti del tutto paradossali. Nata per rimediare alla frattura con i lefebvriani, era diventata, progressivamente, un settore della Curia romana nel quale si costruiva una “identità parallela” del cattolicesimo tradizionalista e con il pretesto di un
    immaginario “accordo con lefebvriani”, si pretendeva di spostare continuamente verso di loro la barra della identità cattolica, soprattutto con un progressivo svuotamento della comprensione e della efficacia del Concilio Vaticano II. Ma soprattutto a partire dal 2007, con il Motu proprio “Summorum Pontificum” la Commissione aveva conosciuto il suo massimo successo, garantito dall’aver accentrato in sé il “controllo universale” sull’uso del “rito romano in forma straordinaria”. Quando poi, due anni dopo, la Istruzione “Universae Ecclesiae” aveva stabilito nel dettaglio i margini,per me troppo ampi, di manovra attribuiti alla Commissione, era facile immaginare che questo provvedimento avrebbe aperto la via ad un processo inarrestabile di sempre più ampie concessioni,fatte non dalla Chiesa di Roma, ma dai tradizionalisti della Curia romana, che avevano ottenuto una pericolosa e troppo ampia autonomia. Sarà utile ricordare un solo punto di questa follia tradizionalista installata nella Curia romana. Infatti “Universae Ecclesiae” definiva la entità sufficiente per determinare un “gruppo” avente titolo per chiedere una celebrazione in “rito antico”. E lo stabiliva nel numero di “tre richiedenti”, anche se appartenenti a diocesi diverse. Così, tre soggetti, appartenenti a tre diocesi diverse, potevano “aprire”, in tre diocesi, tre gruppi “validamente costituiti”. Ma le bugie, come si sa, fanno allungare il naso e accorciare le gambe. Ora, secondo il motu proprio che entra oggi in vigore, tutte le competenze di Ecclesia Dei sono spostate ad una Sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede. Sarebbe logico che, innanzitutto, la Istruzione “Universae Ecclesiae”, essendo destinata ad una Commissione che non esiste più, venisse abrogata. Per riportare un poco di buon senso e di onestà in un mondo in cui la fiction ha raggiunto, da troppo tempo, livelli di guardia. Ad ogni modo, questo passaggio inaugura una nuova fase nel rapporto con i lefebvriani, ma soprattutto nella applicazione del Motu Proprio “Summorum Pontificum”, che sta alla radice di questa grande messa in scena, giunta oggi, finalmente, al sipario finale. Ma forse è solo il sipario del primo atto della commedia.

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  7. Ottimo articolo, ma trovo avventato sostenere la possibilità di un "pactum sceleris tra S. Marta e FSSPX" poiché, essendo la FSSPX animata da un sincero proposito di restauro dell'Ortodossia e della Tradizione, ragionevolmente sarà condizione necessaria di qualsivoglia accordo, la possibilità per tutti i sacerdoti che lo desiderano di usufruire dell'Antico Rito.
    (Facoltà teoricamente già prevista in Summorum Pontificum)

    Se non vado errando, esiste già qualche intervista/dichiarazione in merito.
    Ad ogni modo, al di là di alcune disposizioni palesemente inserite a scopo diplomatico (leggi: per evitare uno scisma, che danneggerebbe moltissime anime), non trovo negativa la posizione di FSSPX nei confronti di SP.

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