Post in evidenza

Elenchi dei Vescovi (e non solo) pro e contro Fiducia Supplicans #fiduciasupplicans #fernández

Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

lunedì 15 ottobre 2018

Giornata dell'Oblato di Minucciano: splendido intervento di Fra Lorenzo

Un regalo degli Eremiti del Santuario Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (QUI, QUI, QUI e QUI).
Ricordando il fraterno amico fra Claudio salito al Cielo lo scorso agosto (QUI e QUI).
Un invito ai nostri lettori a leggere e meditare.
L
Giornata dell’Oblato
1° ottobre 2017

Introduzione

     Una delle possibili chiavi di lettura del cosiddetto “fenomeno Jiadista”, che interessa ormai gran parte del mondo, Europa compresa, si può individuare nel nihilismo.
     L’intervento – omelia – tenuto nell’ultimo incontro annuale degli oblati della B. V. del Soccorso (Ottobre 2017), vuole essere un primo tentativo di analisi filosofico-teologica dello spirito nihilista.
     Alla scuola di due maestri del secolo scorso, lo statunitense Seraphim (Eugene) Rose e del russo Silvano del Monte Athos, entrambi monaci, si è tentato di leggere con il primo il nihilismo come radice della rivoluzione moderna (identificabile con la IV rivoluzione secondo la dottrina controrivoluzionaria) e con il secondo il rimedio a quella che si può chiamare una “malattia dello spirito”.
Fra Lorenzo   


     In questa circostanza, giornata annuale degli Oblati, vorrei fare il punto della situazione di quello che stiamo vivendo, ma soprattutto come dovremmo rispondere agli accadimenti: quello che si chiama il problema dell’ora presente.
     A questo mi spinge anche la scritta che c’è nell’icona dello ieromonaco Seraphim Rose, monaco americano che oggi ci accompagnerà un po’ in queste nostre riflessioni. Nella sua icona tiene in mano un libro con questa scritta: “È più tardi di quanto pensiate; affrettatevi pertanto a compiere l’opera di Dio”.
     San Paolo direbbe: “È ora di svegliarvi dal sonno perché il tempo si è fatto breve”.
     Da dove partire? Perché mi è venuto in mente di proporvi questi pensieri? Perché leggendo un’intervista rilasciata da un intellettuale francese esperto di islamismo, professore universitario: Olivier Roy, ho trovato questa sua risposta a una domanda puntualissima. E’ da qui infatti che sono partito per pensare per me stesso e poi per offrirvi queste cose. 
     Esperto di oriente e di Islam, Olivier Roy ha risposto alla domanda: “Professore, lei sostiene che l’attuale terrorismo jihadista in Europa è l’esito di un processo di islamizzazione del radicalismo e non di radicalizzazione dell’islamismo? In altri termini, continua l’intervistatore, non è l’origine religiosa ma il nichilismo che spiega la scelta della violenza”?
     Così ha risposto: “Ciò che del jihadismo affascina questi giovani è la morte; la morte degli altri, ma anche la propria. Infatti compiono attentati suicidi. In più, di fronte al vuoto della propria vita sono attirati da una strana estetica della violenza e della morte. Un’estetica moderna, alimentata dai mass media, sui quali imperversano violenza, spargimento di sangue, morte, tutto filmato spesso dal vivo, e trasmesso davanti agli occhi di tutti. Si crea veramente un’estetica così della violenza, della morte che rende attrattivo il gesto estremo del nichilista. Piace, c’è un fascino del male”. Continua il professore: “dicono, questi giovani, la mia vita era vuota e si ribellano. Sanno di non potere essere felici e mettono in risalto che alla base di tutto c’è una problematica esistenziale molto forte”.
     Molto importanti queste espressioni; questa problematica esistenziale dei giovani di oggi è totalmente diversa da quella che hanno vissuto i giovani degli anni 60 - 70 del secolo scorso; quelli in qualche modo della mia generazione, i quali tutto sommato si ribellavano, volevano la rivoluzione ma per degli ideali: politici, sociali, cambiare in vista di un’idea. No, oggi c’è una problematica esistenziale; il vuoto della vita. Il nostro professore dice che tra le cause di questo male di esistere c’è stata anche una mancanza di trasmissione, una rottura della tradizione che si è interrotta.
     Domanda l’intervistatore: “Come, ormai siamo quasi alla seconda generazione di islamici che sono emigrati in Europa, e sono proprio i figli di questi islamici, più o meno occidentalizzati che compiono questi attentati. In Siria, in Iraq ci sono molti gli europei che vanno ad incrementare le milizie jihadiste.
     Il “problema”, risponde Roy, “va posto in questi termini. Non è una guerra di religione; è una guerra dell’uomo sull’uomo”.
     Il nostro professore mette in risalto che la causa di questo è proprio il nichilismo; il nulla. Leggendo questa intervista mi è naturalmente venuto in mente il nostro monaco americano.
     Il nichilismo dunque è la lezione dello ieromonaco Seraphim Rose. È vissuto nel secolo scorso. Figlio di emigrati norvegesi, ha fatto parte della controcultura della beat generation del suo tempo. Un uomo con la intelligenza molto acuta, molto profonda, sempre alla ricerca della verità, e per questo ha patito grosse sofferenze interiori. Perché ci interessa? Perché i suoi scritti fanno parte dell’esperienza della sua vita. Il nichilismo lui l’ha vissuto sulla propria pelle.
     Vi leggo soltanto un brano breve della sua biografia per renderci conto di quello che ha sperimentato. Siamo negli anni 50 60 negli Stati Uniti d’America, in California. Cercava di raggiungere la verità con la sua mente, ma questi tentativi risultarono tutti un fallimento. «Era ridotto a tale stato di disperazione che quando più tardi gli chiedevano di descriverlo riusciva soltanto a dire: ero all’inferno. Si ubriacava; lottava con il Dio che egli aveva affermato che era morto, picchiando sul pavimento e urlandogli di lasciarlo in pace. Una volta ubriaco scrisse: sono ammalato, come sono ammalati tutti gli uomini privi dell’amore di Dio».
     Questo monaco dicevo, che ha sperimentato su di sé l’inferno e la morte, ci può insegnare qualche cosa. Cerchiamo di seguirlo piano piano perché lui arriva proprio al cuore del problema. Si convertì e divenne monaco. In questa sua ricerca entrò un giorno a S. Francisco in una chiesa dove si celebrava la divina liturgia. Era la chiesa russa all’estero. Americano, anche se conosceva già un po’ di lingue per la sua preparazione, entrò e racconta: «Non capivo quello che stava succedendo, ma capii che ero arrivato». Si convertì, divenne monaco, poi sacerdote. Non è il caso di raccontare la sua vita perché ci porterebbe fuori strada. Ci basta fermarsi qua.
     Dunque con Seraphim Rose andiamo così alla ricerca del fondamento del nichilismo. C’è un fondamento filosofico, ma a noi interessa il fondamento teologico. Una teologia capovolta e spirituale perché tocca lo spirito e non solo la mente filosofica, lo spirito dell’uomo. Per fare questo però, seguendo il nostro monaco, bisogna strappare una maschera spesso oscura per gli stessi nichilisti che non si rendono conto delle cose fino in fondo. Perché quella radice spirituale non sempre è evidente neppure per loro.
     Scrive il monaco Seraphim: «Nella sua forma filosofica si esprime nella frase non c’è verità; nella sua versione teologica si concretizza nell’annuncio sconvolgente Dio è morto. Dio però è morto nel cuore dell’uomo moderno. Questo è ciò che significa la morte di Dio - ed è tanto vero per gli atei e i seguaci di Satana che godono di questo fatto quanto è vero per le masse incolte nelle quali il senso della realtà spirituale è semplicemente scomparso». Mi fermo qui perché tra queste masse incolte ci siamo anche noi. Noi non siamo studiosi teorici del nichilismo; ma noi lo respiriamo volenti o nolenti; ci riguarda anche da vicino. L’uomo ha sempre più perduto la fede.
     Ricordo qui tra parentesi quell’espressione di Benedetto XVI (la desertificazione del cuore dell’uomo moderno); il deserto dell’ateismo, del secolarismo, del nichilismo che piano piano invade come polvere che si deposita su un mobile che non viene pulito. Poi ti accorgi: ma guarda com’è sporco. Troppo tardi spesso. Ma non vogliamo arrivare troppo tardi.
     Dice Seraphim Rose nell’icona: “Affrettatevi a compiere l’opera di Dio”. Dunque l’uomo ha perduto la fede, tuttavia la radice nichilista si situa ad un livello più profondo ancora e si presenta come una sorta di rivelazione. Così come c’è la rivelazione cristiana, c’è una rivelazione nichilista, una rivelazione vera e propria con il suo profeta le cui parole sono chiaramente intese come un attacco diretto alla rivelazione cristiana: il profeta è Zaratustra. Chi conosce gli scritti di Nietzsche comprende subito a cosa ci si riferisce. Dunque un attacco vero e proprio diretto alla rivelazione cristiana. Non una cosa capitata per caso. No, una volontà precisa. Continua Seraphim Rose: «Per coloro che accettano la nuova rivelazione si apre un universo spirituale completamente nuovo in cui Dio non esiste più, in cui più significativamente, gli uomini non vogliono che Dio esista».
     È un vero e proprio atto di volontà. Questo dobbiamo comprendere; non è una cosa che mi capita così per caso, magari perché sono un po’ distratto. C’è una volontà precisa.
     «È decisamente sbagliato - continua Seraphim Rose - allora considerare il nichilista moderno un agnostico (uno che dice: non posso arrivare a conoscere Dio). La morte di Dio non gli è capitata addosso come una specie di catastrofe cosmica; è lui che l’ha attivamente voluta».
     Il passo che segue è importante: «E’ il nichilista che l’ha attivamente voluta, non direttamente per la verità, ma in maniera ugualmente efficace preferendo qualcos’altro al vero Dio». Questo ci tocca direttamente. Tutte le volte che al Dio Trinità, al Dio amore, al Dio cristiano preferisco qualcos’altro ho già fatto spazio alla morte di Dio nel mio cuore: al nichilismo. Ogni volta che non metto Dio al primo posto, che trasgredisco il primo dei comandamenti anche nelle piccole cose, e non ha importanza il piccolo o il grande perché al diavolo basta un capello per tirarci dove vuole lui. Preferendo qualcos’altro al vero Dio.
     Qual’è allora la natura della fede nichilista? Dobbiamo andare più in fondo per quanto ci è possibile aiutati dal nostro monaco per comprendere: «È l’esatto contrario della fede cristiana e per questo motivo finisce che non può per nulla essere chiamata fede».
     Attenzione alle caratteristiche che elenca: «Mentre la fede cristiana è gioiosa, certa, serena, amabile, umile, paziente, sottomessa in tutto alla volontà di Dio, la sua controparte nichilista è piena di dubbio, di sospetto, di disgusto, di invidia, di gelosia, di orgoglio, di impazienza, di ribellione, di empietà con la predominanza di una o più di queste qualità a seconda delle caratteristiche personali di ciascuno.
     E’ un atteggiamento di scontento nei confronti di sé stessi, del mondo, della società, di Dio; non conosce che una sola cosa: che non vuole accettare le cose come sono».
     Appare evidente il desiderio di arrivare fino a voler capovolgere anche la creazione di Dio. Non voglio che le cose stiano così come sono. Insisto su questa volontà che non accetta le cose così come sono.
     Continua Seraphim Rose: «Il Nichilista deve dedicare le sue energie o a cambiarle o a fuggire da esse. È stato ben descritto da Bakunin (uno dei grandi teorici del nichilismo) come il sentimento di ribellione, questo orgoglio satanico che disprezza la sottomissione a qualsiasi padrone, sia essa di origine divina o umana».
     Così arriviamo finalmente al punto, all’autore principale di questo nichilismo. La ribellione nichilista come la fede cristiana è un atteggiamento spirituale definitivo e irriducibile avendo la sua fonte e la sua forza in sé stessa e naturalmente nell’autore preternaturale della ribellione: satana.
     Abbiamo a che fare direttamente con satana dentro il nostro cuore. Dalla ribellione, come ci ha detto Bakunin, alla violenza il passo è breve. Ecco spiegata la violenza di oggi, da dove viene è utile scoprirlo e saperlo anche per noi stessi.
     Ma andiamo ancora al cuore della lezione del ieromonaco Seraphim. Per l’uomo combattere contro il Dio ha delle conseguenze all’inizio insospettate. Non ci rendiamo conto subito quando combattiamo contro Dio, ma poi nessuno è così cieco da non averne coscienza, anche se non sempre riesce a spiegarselo.
     Ci si domanda: «Ma perché mi capita questo”? E ci si risponde: «Non lo capisco». E quali sono le conseguenze? L’ansietà e la paura.
     Quanti giovani, o meno giovani che accosto e vengono per confessarsi, e non manifestano altro che ansietà e paura: “Padre sono in ansia, padre ho paura”. E non è forse l’esito di quello che stiamo dicendo?
     Quando Seraphim Rose elencava le caratteristiche del nichilista: dubbio, sospetto, disgusto, invidia e gelosia, orgoglio, impazienza, ribellione, queste non possono non causare ansia o paura.
     Scrive Seraphim Rose: “L’ansietà senza nome…”.
     Perché alla domanda: «di che cosa sei in ansia, di che cosa hai paura»? Rispondono: “Non lo so”.
     È molto interessante questo: si ha paura di solito di qualche cosa. Ho un esame da affrontare: sono in ansia, è normale. Ma quando sei in ansia e non sai perché… L’ansietà senza nome dei tanti uomini di oggi testimonia la loro partecipazione passiva al programma del nichilismo; non sono attivi, ma passivi, e partecipano inconsapevolmente di questo programma.
     Va avanti Seraphim Rose: «Una sorta di abisso sembra essersi aperto nel cuore dell’uomo. Questa ansietà e questo abisso sono esattamente il nulla dal quale Dio ha chiamato all’esistenza ciascun uomo e nel quale l’uomo sembra riprecipitare quando nega Dio. Si va a contatto col nulla».
     È veramente infernale questo programma. Quel nulla dal quale Dio ha chiamato all’esistenza ciascun uomo e nel quale l’uomo sembra riprecipitare quando nega Dio, di conseguenza la sua origine e il suo essere: vengo da Dio, il mio essere è da Dio.
     Avanti ancora: questa paura di precipitare fuori dall’essere e di arrivare ai margini del nulla, questa sensazione si trasforma in una frenesia di energia satanica che spinge l’uomo a infierire contro l’intera creazione e a trascinarla se possibile nell’abisso con sé.
     Queste cose andrebbero profondamente meditate. C’è veramente un’attrattiva: quell’estetica di cui ci ha parlato il professor Roy. Inspiegabilmente si è attratti da questo male che nasce nel cuore, questa energia satanica che ti porta a voler distruggere tutto: dalla ribellione, alla violenza si passa alla disperazione: l’uomo disperato di oggi.
     Disperazione, disperare è un atto positivo di volontà. Così ci avviamo all’ultima parte di questa riflessione. Disperare infatti anche teologicamente vuol dire scendere nell’inferno.
     San Tommaso d’Aquino quando parla dei peccati contro la spe-ranza e parla della disperazione di chi ha peccato contro la speranza, cita dalle etimologie di S. Isidoro proprio questa espressione. “Disperare è scendere all’inferno”; i medievali già avevano compreso queste cose.
     Ma cos’è questo disperare? Disperare come volontaria decisione è un vero e proprio atto dello spirito; volere che le cose e l’uomo in particolare finisca male. Ecco che non è un puro sentimento, o qualcosa che mi accade. Arrivo a volerlo direttamente. Certo, io non vado a mettere le bombe o a riempirmi di bombe per fare scoppiare chi è intorno a me e suicidarmi, ma quante piccole disperazioni, quante piccole ribellioni, quanta volontà di distruggere anche una piccola cosa, mosso da tutto questo mondo interiore di cui spesso ahimè ho vaga conoscenza.
     Siamo arrivati così al cuore del problema. Ma un problema, quando presenta i dati poi cerca la soluzione, e infatti non possiamo fermarci qui. Cosa fare allora; come rispondere a questa minaccia che coglie tutti? Innanzitutto, quello che cerchiamo di fare, è di avere sempre più coscienza che questo male riguarda veramente anche noi; non dobbiamo pensare solo a quel giovane disperato che si butta giù dal ponte, cosa accaduta anche qui in Garfagnana. E’ qualcosa che riguarda tutti noi.
     Una cosa che mi colpì i primi tempi del mio ministero, è quando mi dicevano: “Padre ho il pensiero di suicidarmi”. E non è raro avere questi pensieri. Ma non sappiamo da dove vengono; è tutto questo mondo interiore nichilista che ce li procura. E chi non si oppone a questi pensieri può arrivare veramente a seguirli fino a togliersi la vita.
     La prima cosa di cui dobbiamo avere coscienza è che il male prende tutti noi. Poi, soprattutto per noi, per riscoprire per ricordare la nostra vocazione di monaci, eremiti, oblati, amici dell’Eremo, tornare continuamente alla nostra chiamata quale atto d’amore di Dio.
     Dio mi ha creato come atto d’amore.
     Il filosofo Joseph Pieper, nel suo libro sull’amore, dice che quando Dio crea soprattutto l’uomo ha un’espressione bellissima. Dio quando ci crea mettendoci nel mondo dice: “E’ bene, è bello che tu ci sia”. Dunque tornare alla nostra chiamata quale atto d’amore di Dio.
     Dobbiamo avere coscienza che la scienza divina consiste essenzialmente, e qui veniamo direttamente a noi, nel comprendere tutta la potenza delle parole di Cristo «Imparate da me che sono mite e umile di cuore».
     Questo, e solo questo è l’antidoto al nichilismo. Ma facciamo attenzione alle parole pronunciate. Non si tratta della parola evangelica che ti dice: “Impara da me che sono mite e umile di cuore”. Questa espressione va letta bene: prendere coscienza della potenza di queste parole; non lette così tanto per leggere, e non meditate così tanto per meditare, ma comprendere che siccome è parola di Dio esce da questa parola una potenza divina che mi investe, mi guarisce, mi protegge da questo male. “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. La mitezza che converte la ragione.
     Dice infatti San Giacomo: “L’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio”, perché acceca la ragione. Dunque la mitezza converte la ragione e l’umiltà converte il cuore.
     Allora adesso bisogna andare alla scuola di un altro maestro, colui che Thomas Merton ha definito il Monaco più autentico del 20º secolo e che Don Divo Barsotti ha definito colui che forse compendia in modo pieno tutta la tradizione monastica orientale: San Silvano del Monte Athos.
     Perché ci è particolarmente utile la sua lezione a questo punto? Siamo giunti con l’analisi del ieromonaco Seraphim Rose alla condizione di disperazione quale discesa nell’inferno.
     Ebbene San Silvano ha vissuto questa condizione spirituale sulla propria pelle; anzi è meglio dire nella sua anima. È uno che ha vissuto in monastero sul Monte Athos con la disperazione descritta da Seraphim Rose quale discesa all’inferno. Ecco perché può darci delle indicazioni importantissime, su come affrontare questo tempo, questa battaglia che si situa nel fondo del cuore. Provò infatti in modo lacerante l’abbandono della presenza del Cristo amore e attraversò un estremo “stato di abbandono” che è propriamente infernale. Ha delle preghiere appassionate e drammatiche insieme. Per esempio, in momento di particolare disperazione: “Ti cerco Dio con le lacrime agli occhi e di nuovo ti perdo; ancora il mio spirito desidera la tua dolcezza, ma tu non mostri il tuo volto che la mia anima desidera giorno e notte e io piango come un bambino che ha perduta la madre”.
     Una volta lo spirito di disperazione si abbatté su di lui e si sentì definitivamente scacciato da Cristo.
     Devo aprire qui una parentesi, per comprendere meglio. Silvano, all’inizio del suo cammino monastico sull’Athos ebbe la visione di Cristo, del volto dolce, amante, compassionevole del Cristo. Lo conobbe nello Spirito Santo.
     Possiamo comprendere meglio ora queste sue preghiere, queste sue sofferenze, quando si sentì scacciato da quel Cristo dolce, compassionevole che aveva incontrato. Si ritrovò al punto di non essere più in grado di pregare. Lui stesso raccontò: “Nel mio intimo sentii la voce del Signore: «le anime orgogliose soffrono sempre a causa dei demoni» e dissi «Signore fammi comprendere quali devono essere i miei pensieri affinché la mia anima trovi l’umiltà» e ricevetti la seguente risposta: «Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare»”.
     Ecco l’esperienza del nichilismo letta da Cristo stesso. E racconta San Silvano: “Da quel momento ho cominciato a fare così e la mia anima ha trovato la pace in Dio”.
     «Tieni il tuo spirito negli inferi e non disperare» è la parola straordinaria e straordinariamente attualissima.
     Tutti noi attraversiamo o abbiamo attraversato i nostri momenti di discesa agli inferi che viviamo come condizione negativa, e che desideriamo fuggire, per poi cadere da un inferno all’altro. Sappiamo bene, ciascuno di noi conosce bene quel proprio momento di difficoltà: malattia, incomprensione, calunnia, fallimento, di discesa agli inferi, di disperazione e si vuole fuggire.
     E Cristo ti dice: “Stai lì”. Veramente una parola unica. Cristo dice: “Tieni il tuo spirito agli inferi”. Rimani, perché solo rimanendo lì puoi riacquisire l’umiltà. È veramente una conversione della mente che dobbiamo fare. Noi fuggiamo dai nostri momenti di inferno e così fuggiamo la possibilità di diventare umili.
     Cerchiamo di comprendere ancora meglio questa medicina. Per noi la questione si deve porre in altri termini che sono quelli che costituiscono la seconda parte della risposta di Cristo a San Silvano: “Non disperare”. Va presa insieme questa frase.
     Non disperare perché nei tuoi inferni, se stai lì, incontri Cristo, incontri quel Cristo che vi è disceso prima di te. E vi è disceso spogliando sé stesso di tutto, fatto umile, obbediente fino alla morte. Abbiamo visto anche domenica scorsa commentando l’omelia del Vangelo: spogliato di tutto.
     Anche tu ti senti spogliato di tutto, ma sappi che Lui poi ti riveste, ti vuole nudo per rivestirti. Infatti Cristo vi è disceso spogliando sé stesso di tutto, per poi risorgere pieno di grazia per te, non per lui, per risvegliare prima di tutto la speranza: che non trovi in altri vissuti. Se la cerchi da altre parti senti la ribellione infernale dentro di te. Se la cerchi lì, la trovi.
     Cristo assume le tenebre di coloro che ama e comunica con la grazia la luce, la pace e la gioia. Qui si situa anche il comprendere nel senso del prendere con, insieme, tutta la potenza salvifica di quella parola: “imparate da me che sono mite e umile di cuore”.
     Solo lì lo comprendi, lo fai tuo. E’ questa l’umiltà vissuta o trasmessa dal monaco russo San Silvano. Si parla tanto di umiltà ma la si capisce poco.
     Si citano i 12 gradi di San Benedetto, i 3 gradi di Sant’Anselmo d’Aosta, i 3 di Sant’Ignazio di Loyola, ma l’umiltà che insegna San Silvano, secondo i suoi commentatori, è l’umiltà a somiglianza di Cristo.
     È questa la scienza divina, e qui San Silvano si incontra con Sant’Isacco il Siro il quale, quando parla dell’umiltà, cosa ti dice? “L’umiltà è la veste di Cristo, e la sua carne”.
     Perché si è rivestito spogliandosi. Dunque ha assunto la carne, cioè l’umiltà. L’umiltà a somiglianza di Cristo. E la sua carne la trovi nell’Eucarestia.
     L’ultimo passaggio, perché non siamo ancora arrivati a comprendere quello che vuole comunicarci San Silvano. L’umiltà quale discesa e permanenza agli inferi è direttamente e indissolubilmente collegata, legata alla preghiera di intercessione. Perché quando tu sei lì e rimani lì, entri in comunione con tutti i disperati e non giudichi più, non critichi più perché sei fatto simile a loro.
     Nasce a quel punto la preghiera di intercessione. Preghi con com-passione per quelli che sono come te, perché sei anche tu così. Non trovi fuori di questa condizione e questo luogo la preghiera d’intercessione. Puoi fare delle intercessioni, ma non diventi tu intercessione.
     Questo per il monaco, l’eremita, l’oblato, ma per chiunque, per noi in modo particolare. Intercessione per tutti gli uomini buoni o cattivi, amici o nemici ricchi o poveri, pezzenti, straccioni, per tutti.
     Perché questa è la forma di preghiera che sgorga dal cuore che ha quella compassione amorosa, riflesso dell’amore di Gesù Cristo stesso e che richiede - ecco siamo arrivati - il prezzo del sacrificio più alto: il martirio interiore, il martirio del cuore.
     Il nostro, in modo particolare, se non saremo chiamati al martirio di sangue. A questo siamo comunque tutti chiamati.
     E concludo veramente con la conferma della Madonna - oggi è la sua festa. Il Monaco Parfenij anziano del monastero delle Grotte di Kiev che fu uno degli eletti della Purissima, riflette molto per scoprire che cosa fosse l’essenza della vita del monaco e della consacrazione monastica. Un giorno davanti all’icona della Sempre Vergine presente nella sua cella, mentre pregava perché le rivelasse che cosa fosse la consacrazione monastica udì da lei le parole: “E’ consacrare se stessi alla preghiera per tutto il mondo”. Amen.