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giovedì 6 luglio 2017

Conferenza Card. Burke: "Le sfide alla difesa della fede nel nostro tempo"

Ringraziamo gli amici  Maurizio e Fabio per la traduzione di questa bellissimo intervento.
L

Discorso tenuto il 10-2-2017 presso la St. James Academy a Lenexa, nello Stato del Kansas, in occasione della seconda “Annual Defense of Faith Lecture”, organizzata dalla Regione di Kansas City del Sovrano Militare Ordine di Malta (traduzione italiana a cura di Maurizio Brunetti e Fabio Petito).

Introduzione
È un piacere, in qualità di Cardinale Patrono del Sovrano
Militare Ordine di Malta, presentare alla Regione di Kansas City la seconda Annual Defense of Faith Lecture. In particolare, è un piacere potervi dare avallo e supporto in vista della vostra missione principale: la difesa della fede e la cura del povero, specialmente dell’infermo. Che si tratti dell’uno o dell’altro ambito, per la vostra missione vi trovate a fronteggiare una sfida particolarmente impegnativa: rimanere fedeli a Cristo in un mondo che patisce una confusione dilagante e l’errore. Giustamente, attraverso la preghiera, la devozione e, soprattutto, la partecipazione alla Sacra Liturgia, puntate alla conversione personale, per essere poi in grado di portare Cristo nella nostra cultura che, un tempo cristiana, sta via via acquisendo tratti sempre più pagani. Uniti al Cuore Immacolato della Vergine Madre di Dio, affidate i vostri cuori al glorioso Cuore trafitto di Gesù, cercando lì la purificazione e le forze necessarie per restaurare le fondamenta di una cultura cristiana: il rispetto della dignità inviolabile della vita umana innocente; il rispetto dell’integrità del matrimonio e il suo incomparabile frutto – la famiglia – che è la culla della vita umana; il rispetto, infine, della libertà religiosa, che di una vita felice è condizione insostituibile.

Nell’ambito della vostra preghiera e dell’opera per la trasformazione della nostra cultura, desidero riflettere su che cosa significhi essere un cattolico nel mondo di oggi. Per ispirare e informare la nostra preghiera, è importante esaminare la crisi della cultura cristiana nel nostro tempo. Dobbiamo prendere atto della situazione oggettiva in cui essa si trova. Al contempo, come cristiani, dobbiamo essere pieni di speranza e coraggio nella nostra missione di costruire una cultura cristiana forte nelle nostre case, nelle nostre comunità e nella nostra nazione. Dobbiamo confidare nel fatto che, con l’ausilio della divina grazia che ci viene dal glorioso Cuore trafitto di Gesù, trasformeremo l’odierna cultura popolare segnata da profonda confusione e dall’errore e, perciò, anche da una mancanza di fede e di coraggio.
Nella mia presentazione di stasera, intendo riflettere sulla crisi della cultura cristiana in Occidente, e sulla nostra chiamata a restaurarla, nella fedeltà alla vocazione e alla missione cui noi tutti siamo consacrati mediante i sacramenti del Battesimo e della Cresima e, per chi è sposato, del Santo Matrimonio: la vocazione e la missione di dare nel mondo una testimonianza fedele, generosa e disinteressata a Cristo. Questa è stata, naturalmente, la missione del nostro Ordine sin dal suo inizio: proteggere i pellegrini cristiani diretti in Terra Santa e accudire i malati, e – col passare del tempo – difendere il cristianesimo dalla ripetuta minaccia di una dominazione musulmana.
Per prima cosa, traccerò il contesto del vivere la nostra vocazione cristiana nel presente. Poi descriverò l’insegnamento della Chiesa sulla sacralità della vita come forma di nuova evangelizzazione della nostra cultura, e mi soffermerò in special modo sulla necessità di testimoniare le verità riguardanti la sessualità umana. Infine affronterò un argomento di fondamentale importanza per la famiglia intesa come agente primario per la trasformazione della cultura: la responsabilità dei genitori come primi educatori dei propri figli.
1. La crisi della cultura cristiana e le sue radici ideologiche
Papa Benedetto XVI (2005-2013), nell’allocuzione natalizia rivolta nel 2010 al Collegio Cardinalizio, alla Curia Romana e al Governatorato dello Stato Vaticano, si espresse con chiarezza e fermezza circa lo stato di profondo disordine morale della nostra cultura. Il Pontefice parlò dei gravi mali del nostro tempo, fra i quali, per esempio, gli abusi sessuali sui minori da parte del clero, il mercato della pornografia minorile, il turismo sessuale e il letale abuso delle droghe.
Riguardo ai gravi mali che affliggono il mondo nei nostri giorni, Papa Benedetto XVI dichiarò che essi sono tutti segni «[...] della dittatura di mammona che perverte l’uomo»[1], la quale ha la sua origine nel «[...] di un fatale fraintendimento della libertà, in cui proprio la libertà dell’uomo viene minata e alla fine annullata del tutto»[2]. Di sicuro si tratta di manifestazioni di un modo di vivere etsi Deus non daretur, «come se Dio non esistesse», per usare le parole di Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005)[3].
Sono manifestazioni del peccato alla sua radice, che è l’orgoglio.  È proprio a causa dell’orgoglio se l’uomo manca di riconoscere come venga dalla mano di Dio tutto ciò che egli è ed ha. Quel Dio che ci ha creato e che, dopo il peccato dei nostri progenitori, ci ha redenti col Sangue Preziosissimo del suo Figlio unigenito.
Sono manifestazioni della stoltezza di cercare la nostra libertà altrove che nella volontà di Dio, finendo così schiavi di realtà create. Questa stoltezza si rivela in modo particolarmente doloroso in una cultura fortemente caratterizzata da condotte di dipendenza. Non riuscendo a trovare – com’è naturale che non si trovino – la libertà e la felicità nelle cose create dove si era andati a cercarle, chiusi nel nostro orgoglio, invece di ritornare all’obbedienza a Dio, preferiamo farci ancora più schiavi di quella stessa cosa creata finché non ci distrugge.
2. Ragione e fede nella conoscenza dei principi morali oggettivi
Più avanti, nella stessa allocuzione, Papa Benedetto XVI ricordò il suo incontro nella Westminster Hall col mondo della cultura, durante la sua visita pastorale nel Regno Unito del settembre 2010. Le sue riflessioni, in quell’occasione, riguardarono il «[...] giusto posto che il credo religioso mantiene nel processo politico»[4]. Prendendo spunto dall’esempio di san Tommaso Moro (1478-1535), il Papa affrontò in maniera diretta i «fondamenti etici del discorso civile»[5]. Questi i termini in cui espose il punto di vista cattolico sull’argomento:
«La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi»[6].
Papa Benedetto XVI notava che il ruolo della religione nel discorso pubblico «non è sempre bene accolto»[7], per varie ragioni che includono l’esistenza di forme distorte della religione quali «il settarismo e il fondamentalismo».[8]
Egli osservava, tuttavia, che tali distorsioni non giustificano l’esclusione della religione dal discorso pubblico in quanto «la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana»[9]. Ciò che rimane vero e necessario è il giusto rapporto tra fede e ragione. «Per questo», concludeva il Santo Padre, «vorrei suggerire che il mondo della ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà»[10].
Il discorso di Papa Benedetto XVI terminava con un invito a salvaguardare e a far propria la giusta relazione tra fede e ragione, essenziale per il perseguimento del bene comune, del bene della società.
3. Discorso morale e sviluppo umano
Nell’Enciclica Caritas in Veritate, Papa Benedetto XVI espresse la stessa preoccupazione in termini di sviluppo umano, indicando il danno arrecato alla società in generale ove si escluda la religione dal discorso pubblico. Ecco come descrisse gli effetti deleteri dei due atteggiamenti estremi (l’esclusione della religione dalla vita pubblica e il fondamentalismo):
«L’esclusione della religione dall’ambito pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità. La vita pubblica si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente e aggressivo. I diritti umani rischiano di non essere rispettati o perché vengono privati del loro fondamento trascendente o perché non viene riconosciuta la libertà personale. Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità»[11].
Nella misura in cui sapremo ripristinare il rispetto per il rapporto essenziale tra fede e ragione, potremo sperare sul futuro di una cultura altrimenti destinata al declino.
I cristiani scoprono la vera relazione tra fede e ragione, il vero concetto di ethos, di norma morale, in Gesù Cristo; instaurando con Lui una relazione personale, giacché Egli viene a incontrarci e a farsi un tutt’uno con noi nel suo Corpo mistico, la Chiesa. La Madre del nostro Salvatore, nonché sua prima migliore discepola, ci conduce a Lui, specialmente quando Questi si fa presente nei Sacramenti o irrobustisce la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore in risposta alle nostre preghiere e devozioni, prima fra tutte il Santo Rosario.
In Gesù Cristo, Dio e Figlio fattosi uomo, il cielo è sceso sulla terra a dissipare l’oscurità dell’errore e del peccato, nonché a riempire le nostre anime con la luce della verità e della bontà. Se viviamo in Cristo, unendo il nostro al suo Sacratissimo Cuore, i fratelli e le sorelle tentati dalla disperazione, persi nel mondo irreale del relativismo morale, troveranno nell’incontrarci una guida per le loro vite e la speranza di cui erano desiderosi. Vivendo in accordo alla verità che solo Cristo insegna nella sua Chiesa, diventiamo luce per dissipare la confusione e l’errore all’origine dei molti e gravi mali morali del presente. Allo stesso tempo, diamo testimonianza alla verità e alla felicità che scaturisce dal vivere in accordo alla verità. In una lunga intervista che ho rilasciato a Guillame d’Alancon, delegato episcopale per i temi della vita e della famiglia nella diocesi di Bayonne in Francia, ho voluto dare testimonianza alla verità oggettiva che ci rende liberi e che sottende la nostra speranza[12]. Vivere in Gesù Cristo è il nostro modo di contribuire al vero sviluppo umano che ogni uomo, nel profondo del suo cuore desidera.
4. Sacralità della vita, il programma per una nuova evangelizzazione
Per affrontare la sfida di vivere da cristiani in un mondo totalmente secolarizzato, il beato Paolo VI e san Giovanni Paolo II ci hanno chiamati a una nuova evangelizzazione. Il che comporta insegnare la fede, celebrandola tanto nei Sacramenti quanto attraverso la preghiera e le devozioni, e viverla mediante la pratica delle virtù come se fosse la prima volta; vale a dire con lo stesso impegno ed energia dei primi discepoli e dei primi evangelizzatori delle nostre terre. Davanti alla gravità dell’attuale condizione del mondo, ci troviamo, come Papa san Giovanni Paolo II ci ricordava, nella stessa situazione dei primi discepoli i quali, dopo aver ascoltato il discorso di Pentecoste di Pietro gli chiesero: «Che dobbiamo fare?» (At 2,37). Come i primi evangelizzatori che affrontarono un mondo pagano che non aveva mai sentito parlare di Nostro Signore Gesù Cristo, così ci troviamo a fronteggiare una cultura incurante di Dio e ostile alla Sua legge, invero inscritta nel cuore di ogni uomo (Rom 2,15). Dinanzi alle grandi sfide del nostro tempo, Papa san Giovanni Paolo II ci ha ammonito sul fatto che non salveremo noi stessi e il nostro mondo scoprendo qualche «formula magica» o «inventando un nuovo programma»[13]. In termini inequivocabili dichiarava: «No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!»[14].
Ci ricordava, così, che il programma con il quale affrontare efficacemente le grandi sfide spirituali del nostro tempo è Gesù Cristo, vivo per noi nella Chiesa. «Il programma c’è già», spiegava, «è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace»[15].
In breve, il programma che conduce alla libertà e alla felicità è, per ciascuno di noi, la santità di una vita vissuta in Cristo. Papa san Giovanni Paolo II, infatti, pose l’intero piano pastorale per la Chiesa in termini di santità:
«In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: “Vuoi ricevere il Battesimo?” significa al tempo stesso chiedergli: “Vuoi diventare santo?”. Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della Montagna: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt, 5,48)»[16]. Proseguendo, san Giovanni Paolo II evocava il Concilio Ecumenico Vaticano II: «Questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità»[17].
Papa san Giovanni Paolo II voleva insegnarci la straordinarietà della nostra vita quotidiana, poiché, se vissuta in Cristo, produce in noi l’incomparabile bellezza della santità. Egli dichiarava: «È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione»[18].
Scorgendo in noi quella conversione quotidiana della vita tramite cui ci sforziamo di approdare a un elevato standard di santità, la misura alta della vita cristiana ordinaria, il nostro prossimo scoprirà il grande mistero della propria vita ordinaria, lungo la quale Dio concede quotidianamente il suo incessante e incommensurabile amore, chiamandoli alla santità della vita in Cristo, suo Figlio unigenito.
Nel novembre del 2010, in occasione del pellegrinaggio all’antico santuario spagnolo di san Giacomo il Maggiore a Compostela, Papa Benedetto XVI ha esortato gli europei a riconoscere il grande dono dell’amore di Dio al mondo, Gesù Cristo, e a seguirlo nella santità di vita. Le sue parole rivolte ai fedeli d’Europa, che si sono assuefatti all’incuranza nei confronti di Dio e persino all’ostilità alla Sua legge, possono applicarsi anche ad altre nazioni scristianizzate come la nostra. Le sue parole sono ulteriormente illuminate dal contesto del suo pellegrinaggio, in quanto il vero scopo di un pellegrinaggio è aprire i nostri occhi su quel grande mistero che è l’amore di Dio nelle nostre vite; in modo da accorgersi di quanto straordinaria sia la propria vita di tutti i giorni. Ascoltiamo le parole di Papa Benedetto XVI:
«Dio è l’origine del nostro essere e il fondamento e culmine della nostra libertà, non il suo oppositore. Come l’uomo mortale si può fondare su se stesso e come l’uomo peccatore si può riconciliare con se stesso? Come è possibile che si sia fatto pubblico silenzio sulla realtà prima ed essenziale della vita umana? Come ciò che è più determinante in essa può essere rinchiuso nella mera intimità o relegato nella penombra? Noi uomini non possiamo vivere nelle tenebre, senza vedere la luce del sole. E, allora, com’è possibile che si neghi a Dio, sole delle intelligenze, forza delle volontà e calamita dei nostri cuori, il diritto di proporre questa luce che dissipa ogni tenebra? Perciò, è necessario che Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa; che questa parola santa non si pronunci mai invano; che non venga stravolta facendola servire a fini che non le sono propri. Occorre che venga proferita santamente. È necessario che la percepiamo così nella vita di ogni giorno, nel silenzio del lavoro, nell’amore fraterno e nelle difficoltà che gli anni portano con sé»[19].
Le parole del Santo Padre chiariscono il dinamismo inerente alla vita dello Spirito Santo dentro di noi. Quello che sprona a dare testimonianza del mistero dell’amore di Dio nelle nostre vite, in modo che le nostre vite siano orientate ancor più pienamente verso Cristo e il nostro mondo si trasformi.
5. La santità della vita e l’importanza del testimoniare la verità sulla sessualità umana
Qui è importante fare chiarezza sulla relazione che c’è tra la crescita nella santità e la pratica delle virtù della purezza, della castità, della modestia, ovvero, il vivere la verità riguardo la sessualità e la vita umana. Che senso ha parlare del nostro amore verso Dio e verso il prossimo, quando non rispettiamo l’ordine che Dio ha posto nella natura e nei nostri cuori? È significativo che Papa Benedetto XVI, nella sua enciclica Caritatis in Veritate, abbia fatto uno specifico riferimento all’enciclica di Papa Paolo VI «per delineare il senso pienamente umano dello sviluppo proposto dalla Chiesa»[20]. Papa Benedetto ha precisato che l’insegnamento di Humanae Vitae non attiene semplicemente alla moralità individuale:
«Humanae Vitae indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale, inaugurando una tematica magisteriale che ha via via preso corpo in vari documenti, da ultimo nell’Enciclica Evangelium vitae»[21].
Papa Benedetto XVI ci ha ricordato quanto la retta comprensione della sessualità sia essenziale in vista della santità della vita, che è poi l’indice più genuino dello sviluppo umano. Nel trattare globalmente la questione della procreazione, Papa Benedetto XVI ha evidenziato il carattere decisivo di una retta comprensione della sessualità umana, del matrimonio e della famiglia:
«La Chiesa, che ha a cuore il vero sviluppo dell’uomo, gli raccomanda il pieno rispetto dei valori umani anche nell’esercizio della sessualità: non la si può ridurre a mero fatto edonistico e ludico, così come l’educazione sessuale non si può ridurre a un’istruzione tecnica, con l’unica preoccupazione di difendere gli interessati da eventuali contagi o dal « rischio » procreativo. Ciò equivarrebbe ad impoverire e disattendere il significato profondo della sessualità, che deve invece essere riconosciuto ed assunto con responsabilità tanto dalla persona quanto dalla comunità»[22].
Per il futuro della cultura occidentale sarà decisivo il ripristino del rispetto per l’integrità dell’atto coniugale e la promozione di una cultura della vita. «Diventa una necessità sociale», affermava Papa Benedetto XVI, «proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona»[23].
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che «la cosiddetta permissività dei costumi si basa su una erronea concezione della libertà umana», e che «la libertà, per costruirsi, ha bisogno di lasciarsi educare preliminarmente dalla legge morale»[24]. Come appare chiaro dalle considerazioni su esposte, la libertà individuale e la libertà della società in generale, dipende da una fondamentale educazione nella verità in merito alla sessualità umana e all’esercizio di quella verità in una vita pura e casta. Il Catechismo della Chiesa Cattolica prosegue osservando quanto segue: «È necessario chiedere ai responsabili dell’educazione di impartire alla gioventù un insegnamento rispettoso della verità, delle qualità del cuore e della dignità morale e spirituale dell’uomo»[25]. Per il cristiano, si tratta dell’educazione alla santità della vita alla sue reali fondamenta, al rispetto dovuto alla dignità inviolabile di sé, del corpo e dell’anima, e degli altri al pari di se stessi.
6. Il compito cruciale dei genitori quali primi educatori dei loro figli
L’educazione in casa e a scuola è l’insostituibile strada per guidare i nostri figli e la gioventù sulla via della felicità in vista della quale Dio ha creato ognuno di noi. Con l’aiuto di una sana educazione a casa e a scuola – l’unica capace di trasformare una cultura – i bambini sperimenteranno la felicità sia durante i giorni del pellegrinaggio terreno sia nell’eternità in Paradiso, che del loro pellegrinaggio è la meta. Luogo primo dell’educazione è la famiglia, poi viene la scuola, essenzialmente correlata alla prima. Nella Familiaris Consortio, l’Esortazione apostolica post-sinodale sulla famiglia del 1981, Papa san Giovanni Paolo II si espresse così riguardo al matrimonio cristiano, alla famiglia e alla chiamata all’evangelizzazione: «La famiglia cristiana, infatti, è la prima comunità chiamata ad annunciare il Vangelo alla persona umana in crescita e a portarla, attraverso una progressiva educazione e catechesi, alla piena maturità umana e cristiana»[26]. L’educazione cristiana nella famiglia e nella scuola instrada i bambini e la gioventù in modo vieppiù profondo verso la Tradizione, presenta loro il grande dono della nostra vita in Cristo tramandataci fedelmente in modo ininterrotto attraverso gli apostoli ed i loro successori. L’educazione, per dirsi sana, cioè finalizzata al bene dell’individuo e della società, dev’essere specialmente attenta ad armarsi contro gli errori del laicismo e del relativismo. Alto è il rischio di non riuscire a comunicare alle nuove generazioni la verità, la bellezza e la bontà della nostra vita e del nostro mondo, così come espresse nell’insegnamento immutabile della fede, nella sua più alta espressione tramite la preghiera, la devozione, il culto divino, e la santità della vita di coloro che professano la fede e l’amore per Dio «in spirito e verità» (Gv 4,24).
La Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum Educationis, promulgata nel corso del Concilio Vaticano II, puntualizza che la responsabilità primaria dell’educazione dei bambini appartiene ai genitori, i quali fanno affidamento su buone scuole per assisterli nel fornire ogni aspetto dell’educazione globale dei loro figli che essi non siano in grado di impartire a casa. Quando si cita la prole come a uno dei beni essenziali del matrimonio, ci si riferisce tanto alla procreazione quanto all’educazione del bambino. Cito dalla Gravissimum Educationis:

«I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell’atmosfera vivificata dall’amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l’educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società. Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e delle esigenze del matrimonio sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo, e ad amare il prossimo, conformemente alla fede che han ricevuto nel battesimo»[27].
Certamente anche la società in generale, e la Chiesa in particolare, hanno la responsabilità dell’educazione dei bambini e dei giovani, ma tale responsabilità deve essere sempre esercitata nel rispetto verso quella primaria dei genitori. Questi ultimi, da parte loro, dovrebbero essere pienamente coinvolti in qualunque tipo di servizio educativo fornito dalla società e dalla Chiesa. I bambini e i giovani non dovrebbero essere disorientati o condotti all’errore da un’educazione ricevuta al di fuori delle mura domestiche, che si ponga in conflitto con quella impartita in famiglia. Oggi i genitori devono essere particolarmente vigilanti visto che, purtroppo, in alcune località le scuole sono diventate strumento al servizio di un’agenda laicista nemica della vita cristiana. Si pensi, per esempio, alla cosiddetta educazione gender che, in alcune scuole, è obbligatoria. Si tratta di un attacco diretto alle basi su cui il matrimonio si fonda e, quindi, contro la famiglia. Lo scorso dicembre ho parlato con una giovane madre cattolica il cui figlio maggiore si è diplomato a maggio. Mi ha detto che su di un modulo d’iscrizione a una delle nostre università più prestigiose, viene chiesto: che genere hai scelto per il primo semestre? E c’erano ben venticinque opzioni.
Per il bene dei nostri giovani dobbiamo prestare particolare attenzione a questa espressione fondamentale della nostra cultura che è il sistema educativo. Buoni genitori e bravi cittadini dovranno vigilare sui programmi che le scuole intendono proporre, nonché la vita che, più in generale, si svolge al loro interno, al fine di assicurarsi che i nostri figli vengano formati alle virtù umane e cristiane e non deformati da un indottrinamento orientato alla confusione e all’errore concernente le principali verità fondamentali della vita umana e della famiglia. Tali errori conducono alla schiavitù del peccato causando, quindi, profonda infelicità e distruzione della cultura. Oggi, purtroppo, sentiamo per esempio il bisogno di parlare di «matrimonio tradizionale» come se fossero possibili altri tipi di matrimonio. In realtà, esiste solo un tipo di matrimonio. È quello che Dio ci ha donato al momento della creazione, e che Cristo ha redento con la sua passione salvifica e la morte.
L’educazione impartita prima di tutto a casa e poi arricchita e completata in via sussidiaria dalla scuola – soprattutto in quelle veramente cattoliche – è diretta in buona sostanza alla formazione di buoni cittadini e di buoni membri della Chiesa. In definitiva essa mira alla felicità della persona. Questa discende dalla rettitudine delle relazioni e trova il suo compimento nella vita eterna. Essa presuppone la natura oggettiva delle cose cui il cuore umano, se addestrato ad attenersi a una coscienza rettamente formata, rimane orientato. Essa punta a una conoscenza e un amore del vero, del bene e del bello sempre più profondi. Forma la persona a continuare questa ricerca fondamentale nel corso di tutta la sua vita.
7. Conclusione: Santità di vita e martirio per la fede
Testimoniare una santità di vita significa, in una forma o nell’altra, il martirio. Usando le parole della Sacra Scrittura, consiste nel morire a se stessi per vivere in Cristo (cfr. 2 Cor 5,15 e 1 Pt 2,24). Quando sentiamo la parola martirio, tendiamo a pensare esclusivamente a coloro che hanno versato il loro sangue per amore di Cristo, che sono stati uccisi per odio a Cristo e alla fede cristiana. I martiri di sangue danno la più alta possibile delle testimonianze e ci fanno da modelli per quella che diamo quotidianamente al nostro amore per Cristo, pur non essendo noi necessariamente chiamati a versare il sangue come hanno fatto loro. Il martirio li rende meritevoli di procurarci molte grazie per la nostra vita quotidiana. A fronte dell’avanzata di un’agenda contro la vita e contro la famiglia sempre più aggressiva, peraltro promossa da molti fra coloro che detengono le leve del potere, noi preghiamo, per intercessione della Vergine Madre di Dio, san Giuseppe e tutti i santi, affinché possiamo essere fedeli e coraggiosi nell’amare Cristo in ogni fratello e sorella, specialmente i più bisognosi, coloro che il Signore ha chiamato «i più piccoli» fra i suoi fratelli (Cfr. Mt 25, 40.45).
Dinanzi ai guasti nella vita familiare, all’attacco di massa alla vita umana innocente e indifesa, alla violazione dell’integrità dell’unione matrimoniale, nonché alla negazione dell’indispensabile libertà religiosa, la chiamata al martirio della testimonianza è ancora più pressante. Riflettendo in modo esteso sullo stato critico della cultura cristiana e su come dobbiamo reagire, in accordo alla chiamata alla santità della vita e al martirio della fede, per il bene della nostra stessa salvezza e la salvezza del mondo, riconosciamo che è grazie a Cristo che ci è possibile perseguire la salvezza ed essere veri martiri. È nel seguirlo con fede e senza riserve che portiamo la luce della verità del nostro mondo. Allo stesso tempo, Egli è con noi sempre (cfr. Mt 28,20) come ci ha promesso, per sostenerci con la Sua grazia, attraverso lo Spirito Santo. Questo è il senso fondamentale della natura militare del nostro ordine: essere, utilizzando le parole di san Paolo, soldati di Cristo, combattere la buona battaglia, correre la propria corsa fino alla fine e serbare la fede (cfr. Tm 4,7).
La vita del martire della fede trova il suo centro e la sua fonte nel sacrificio eucaristico, nell’adorazione e in tutte le altre forme di devozione eucaristica, specialmente le visite al Santissimo Sacramento e la comunione spirituale nel corso dell’intera giornata. La comunione con il Signore nel Sacrificio eucaristico viene esteso tramite la devozione eucaristica, a ogni aspetto e a ogni momento della nostra vita.
La Beata Vergine Maria è il nostro modello e anche nostro grande intercessore nel dare fedele e generosa testimonianza a Cristo. Lei è una di noi. Lei condivide pienamente la nostra natura umana, per volontà di Dio è stata preservata da qualunque macchia di peccato sin dal momento del suo concepimento. Lei è stata sin dal primo momento, ed è rimasta, sempre totalmente in Cristo. San Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Veritatis Splendor, ci ricorda l’insostituibile ausilio offertoci della nostra Beata Madre perché noi si dia quella testimonianza che, poi, è il martirio:
«Maria condivide la nostra condizione umana, ma in una totale trasparenza alla grazia di Dio. Non avendo conosciuto il peccato, ella è in grado di compatire ogni debolezza. Comprende l’uomo peccatore e lo ama con amore di Madre. Proprio per questo sta dalla parte della verità e condivide il peso della Chiesa nel richiamare a tutti e sempre le esigenze morali. Per lo stesso motivo non accetta che l’uomo peccatore venga ingannato da chi pretenderebbe di amarlo giustificandone il peccato, perché sa che in tal modo sarebbe reso vano il sacrificio di Cristo, suo Figlio. Nessuna assoluzione, offerta da compiacenti dottrine anche filosofiche o teologiche, può rendere l’uomo veramente felice: solo la Croce e la gloria di Cristo risorto possono donare pace alla sua coscienza e salvezza alla sua vita»[28].
Possa la Beata Vergine Maria intercedere per noi affinché ciascuno di noi possa essere vero e fedele testimone del Cristo vivo. Possiamo noi volgerci sempre a lei, così che possa condurci a suo Figlio con il suo materno consiglio, dato ai dispensatori del vino alla festa di matrimonio a Cana: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). Possa Egli trasformare le nostre vite e il nostro mondo. Possa Egli confermarvi nella vostra missione di promuovere e salvaguardare una cultura cristiana nelle vostre case, nelle vostre comunità e nella nostra amata patria.
Grazie per la vostra gentile attenzione. Che Dio benedica voi e le vostre case.




[1] Benedetto XVI, Discorso ai Cardinali, Arcivescovi, e Vescovi, Prelatura Romana, per la presentazione degli auguri natalizi, del 20-12-2010 (http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2010/december/documents/hf_ben-xvi_spe_20101220_curia-auguri.html).
[2] Ibidem
[3] Giovannni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale «Christifideles Laici» del 30-12-1988, n. 34.
[4] Benedetto XVI, Discorso in occasione dell’incontro con le autorità civili, del 17-9-2010 (https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2010/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20100917_societa-civile.html). 
[5] Ibidem
[6] Ibidem
[7] Ibidem.
[8] Ibidem. 
[9] Ibidem
[10] Ibidem
[11] Benedetto XVI, Lettera Enciclica «Caritas in veritate», del 29-6-2009, n. 56 (http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate.html).
[12] Cfr. Raymond Leo Burke e Guillaume d’Alançon, Hope for the World: To Unite All Things in Christ, trad. ing., Ignatius Press, San Francisco 2016.
[13] Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica «Novo millennio ineunte», del 6-1-2001, n. 29.
[14] Ibidem.
[15] Ibidem.
[16] Ibid. n. 31.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Benedetto XVI, Omelia del corso della Santa Messa celebrata in occasione dell’Anno Santo Compostelano nella Plaza del Obradoiro a Santiago de Compostela, del 6-11-2010.
[20] Idem, Lettera Enciclica «Caritas in veritate», doc. cit., n. 15. 
[21] Ibid., n. 22. 
[22] Ibid., n. 44. 
[23] Ibidem. 
[24] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2526. 
[25] Ibidem
[26] Giovanni Paolo II, Esortazione post-sinodale «Familiaris consortio», del 22-11-1981, n. 2. 
[27] Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sull’educazione cristiana «Gravissimum educationis», del 28-10-1965, n. 3.
[28] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Veritatis splendor», del 6-8-1993, n. 120.

3 commenti:

  1. In una Chiesa ormai divisa, divenuta un coacervo di sette e movimenti difformi, ognuna delle quali pretende di essere ispirata, vi sono ancora uomini coraggiosi che sfidando i regolamenti polizieschi bergogliani, vanno nel mondo a proclamare l'autentica dottrina cattolica. I tanti sacerdoti di vera fede si uniscano a loro e con coraggio confondano gli apostati; il popolo aprirà gli occhi e capirà di essere ingannato dal narcisismo sovversivo degli pseudo profeti.

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    1. Concordo. Però secondo me il popolo ha già "aperto gli occhi", e non ha alcun bisogno del clero per aprirli ulteriormente. La stragrande maggioranza del clero si è arresa: chi per fare più velocemente carriera, chi per codardia. Temo che l'iniziativa debba partire dai noi fedeli, "dall'alto" sarebbe già dovuta partire e non è successo nulla, ormai i sacerdoti hanno capito bene che Bergoglio sta cancellando la cattolicità, avrebbe già dovuto esserci un'iniziativa. Mi duole dirlo ma i vescovi hanno deluso, oltretutto Bergoglio è uno di quelli che "l'obbedienza non è più una virtù", per cui non si capisce perché i vescovi non si ribellino a costui. Il dato grottesco è che nelle altre religioni (chiamiamole così per capirci) c'è un irrigidimento, non ci si arrende alla modernità, e i relativi fedeli aumentano, gli unici pappamolle siamo noi cattolici. Comunque sia chiaro, chi ha tradito è il clero non il popolo cattolico, lo stesso Ratzinger si è dimesso, no, dico... dimesso!

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  2. Un cardinale firmatario dei Dubia e' scomparso ieri...rip.

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La Redazione