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mercoledì 3 maggio 2017

Come cardinali leaders in Usa e in Vaticano aprono alla comunità Lgbt



Il tradimento dei chierici continua.
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Le Formiche, Andrea Mainardi
Come cardinali leader in Usa e in Vaticano aprono alla comunità LgbtDi accoglienza degli omosessuali con “rispetto, compassione e delicatezza” scrive già il Catechismo. Come di evitare ogni “ingiusta discriminazione”. Ma è piuttosto inedito che la Chiesa ad alto livello accompagni quelle parole all’acronimo Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender). Lo fa quella americana, con due cardinali e un vescovo di primissimo piano. Prelati che occupano ruoli chiave negli Stati Uniti e in Vaticano per volere di Papa Francesco. I cardinali Kevin Farrell e Joseph Tobin, e il vescovo Robert McElroy, sdoganano un termine che per il suo connotato movimentista enfatizza la diversità delle culture omosessuali. Quel termine nei documenti ufficiali sul tema mai compare in positivo. Ora il tabù si infrange nelle recensioni editoriali firmate dai vertici dell’episcopato al nuovo libro del gesuita James Martin che, ancora in attesa di uscire in libreria, già promette di infiammare il dibattito. Il volume si intitola Building a bridge “Costruire un ponte”. Esplicita il sommario: “Come la Chiesa e la comunità Lgbt possono entrare in una relazione di rispetto, compassione e delicatezza”. Le ultime tre parole sono le stesse del Catechismo. “Comunità Lgbt”, no. Ma i tre monsignori gli aprono la porta sulla via indicata da Martin, definendo il suo lavoro “coraggioso”, “necessario” e “ispiratore”.


COSA C’È DIETRO LA NOVITÀ LESSICALE


Per David Gibson, del Religion News Service, un linguaggio così “positivo ad alti vertici è straordinario ed è un segnale di come Francesco sta riorientando la Chiesa verso un focus più pastorale”. Nel libro, che uscirà a metà giugno, Martin non pare sostenere esplicitamente una modifica della dottrina. Ma fin dal titolo promuove quel termine: Lgbt. Questione controversa: per molti nella Chiesa è una sigla che non andrebbe usata per quanto è definitoria. Nei documenti si preferiscono espressioni come “persone attratte dallo stesso sesso”.
IL BENVENUTO DEL CARDINAL FARRELL
Il cardinal Farrell dà il “benvenuto” a un “tanto necessario libro che aiuterà vescovi, sacerdoti, collaboratori pastorali” ad avere un atteggiamento compassionevole “per la comunità Lgbt”. E aiuterà “anche i cattolici Lgbt a sentirsi più a casa nella Chiesa”. Farrell passa per essere un bergogliano di ferro. È al top in Vaticano. È stato Francesco nell’agosto 2016 a chiamarlo a Roma dalla diocesi di Dallas, per farlo prefetto del nuovo Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. In novembre lo ha creato cardinale. Nel dibattito su Amoris laetitia e la possibilità di accesso alla comunione per i divorziati risposati, si è schierato con gli aperturisti e ha criticato i firmatari dei dubia che chiedono chiarimenti: “Non capisco come e perché alcuni sembrano pensare che occorra interpretare questo documento”.
TOBIN E LE DISCRIMINAZIONI
Anche all’arcivescovo Tobin di Newark il Papa ha imposto la berretta all’ultimo concistoro. “In troppe parti della nostra Chiesa le persone Lgbt sono state messe a disagio, escluse, screditate”, ha detto del libro di Martin, che ha presentato come “ispirato”. Criticissimo verso Donald Trump “che vuole dividere la Chiesa”, Tobin si è scagliato contro i colleghi cardinali che domandano chiarezza su Amoris laetitia, definendoli “fastidiosi” o, nella migliore delle ipotesi, “ingenui”.
LE DIFFICOLTÀ DEL VESCOVO MCELROY
Infine, e non ultimo, il libro del padre gesuita è applaudito dal vescovo McElroy di San Diego. Lui lo definisce una sorta di vademecum per applicare il vangelo che stabilisce “che i cattolici Lgbt sono parte della Chiesa come qualsiasi altro cattolico”. Il vescovo è stato promosso a San Diego da Francesco nel 2015. In giugno aveva affermato che etichettare gli atti omosessuali come “intrinsecamente disordinati” – come fa il Catechismo“è un linguaggio molto distruttivo che non si dovrebbe usare”. Ha inoltre invitato i parroci della sua diocesi ad abbracciare “le famiglie Lgbt”. Abbinamento lessicale inusuale sulla bocca di un vescovo.
IL PAPA E I GAY
Il termine “gay” Francesco lo ha usato spesso. Di ritorno dal Brasile (2013), con il famoso “chi sono io per giudicare?”, e dall’Armenia (2016). In quest’ultimo, nei giorni successivi alla strage al night club di Orlando, ha affermato che i cristiani devono chiedere scusa ai gay, ma ha voluto precisare di non dire nulla di diverso rispetto a quanto riporta il Catechismo: gli omosessuali “non vanno discriminati, devono essere rispettati, accompagnati pastoralmente”. E ha ammesso: “Si possono condannare, non per motivi ideologici, ma per motivi di comportamento politico” e per “certe manifestazioni un po’ troppo offensive per gli altri”. Quindi ha ripetuto esattamente le stesse parole di tre anni prima: “Se il problema è una persona che ha quella condizione, che ha buona volontà e che cerca Dio, chi siamo noi per giudicarla?”.
FRANCESCO CONTRO IL GENDER
“Dobbiamo accompagnare bene, secondo quello che dice il Catechismo. È chiaro il Catechismo!”, insisteva Francesco nel giugno 2016. Il mese dopo in Polonia ha arringato contro le “colonizzazioni ideologiche”. Citando il Papa emerito, ha rubricato il gender a “peccato contro Dio creatore”. Stesso, durissimo fraseggio, in ottobre, nel viaggio in Georgia e Azerbaijan. Ci è tornato sopra due volte nel giro di poche ore. Per molti nella Chiesa dietro la sigla Lgbt stanno anche i difensori di quella cultura gender che il Papa condanna senza appello, perché, diceva, “distrugge con le idee”. Rispondendo ai giornalisti Francesco ha precisato la necessità dell’accoglienza di tutte le persone con tendenza e pratica omosessuale: “Le ho avvicinate al Signore, alcuni non possono (vivere in castità, ndr), ma le ho accompagnate e mai ho abbandonato qualcuno”. Ma ha ribadito “quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender”.
PONTE O PONTI. DISCUSSI PRECEDENTI
Seguito commentatore per la rivista dei gesuiti America, autore di bestseller, molto attivo sui social, James Martin da tempo chiede alla Chiesa maggiore apertura verso le persone omosessuali. A modo suo. In ottobre ha accettato il premio del New Ways Ministry, un gruppo per i cattolici Lgbt fondato da suor Jeannine Gramick e padre Robert Nugent. Entrambi hanno avuto guai con Roma e i loro vescovi che hanno più volte ricordato che le posizioni sostenute dall’associazione non rappresentano la dottrina della Chiesa. Negli anni Novanta i due fondatori furono “indagati” dalla Congregazione per la dottrina delle fede. Nel 1999 l’associazione fu condannata ufficialmente: l’ex Sant’Uffizio era giunto alla conclusione che entrambi dimostravano “una chiara comprensione concettuale della dottrina della Chiesa sull’omosessualità, ma si astenevano dal professare qualsiasi adesione a questo insegnamento”. La notifica ai due religiosi di divieto di qualsiasi lavoro pastorale con omosessuali fu firmata dall’allora prefetto, Joseph Ratzinger, e sottolineava come, nonostante i frequenti richiami, entrambi avessero “continuato a mantenere e promuovere posizioni ambigue”. Tra i lavori messi all’indice si ricordava il loro libro Building Bridges. Praticamente lo stesso titolo di quel Building Bridge scelto oggi da Martin. Nuovo libro che suor Jeannine – che ha ignorati i richiami e continua a svolgere il suo servizio tra gli omosessuali – elogia: “Dimostra come il rosario e la bandiera arcobaleno possono tranquillamente incontrarsi”.
COSA PENSANO IL GESUITA MARTIN E IL MAGAZINE AMERICA
Per Martin, la Chiesa deve rapportarsi alle persone Lgbt usando il termine con cui si definiscono. Quindi via libera all’acronimo Lgbt anche nel linguaggio ecclesiastico, perché la Chiesa deve riconoscerle come “comunità che porta doni peculiari alla Chiesa”. Oggi con benedizione cardinalizia. Pur evitando di calarsi direttamente nell’intricato ginepraio di definire cosa sia “cultura gay”, il padre non è apparso particolarmente entusiasta della nuova istruzione vaticana emanata in dicembre sui seminari che ha confermato quella del 2005. Documento che ha ripetuto il divieto di ammettere al sacerdozio “coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”. Thomas Reese, suo confratello, ex direttore della stessa rivista America su cui scrive Martin, ha rivendicato la non discriminazione dei preti gay: “L’idea che non possano essere buoni sacerdoti è stupida, umiliante e ingiusta”.

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