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martedì 30 giugno 2015

Sulle orme di Benedetto : Pellegrinaggio Cœtus Fidelium Summorum Pontificum a Norcia 3 – 5 luglio

Sulle orme di Benedetto  
Si avvicina il Pellegrinaggio Nazionale dei Cœtus Fidelium del Summorum Pontificum a Norcia, da venerdì a domenica prossimi (3 – 5 luglio). 
Nelle scorse settimane abbiamo cercato di conoscere i Monaci di San Benedetto, che guideranno la nostra preghiera, per prepararci ad entrare nell’intenso clima spirituale che respireremo insieme a loro. 
Ora, nell’impaziente attesa del pellegrinaggio, e per invitare tutti a partecipare (anche chi non avesse ancora aderito: è sempre possibile farlo, anche all’ultimo momento!), ci rivogliamo ad un altro Benedetto – Benedetto XVI – che ha dedicato al Santo di Norcia più d’un importante intervento. 
Ve ne proponiamo, due, che risalgono ad alcuni anni fa, ma che sono ancora – e forse sempre più – attuali.

Eccoli:
ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 10 luglio 2005

Cari fratelli e sorelle!
Domani ricorre la festa di San Benedetto Abate, Patrono d’Europa, un Santo a me particolarmente caro, come si può intuire dalla scelta che ho fatto del suo nome. 
Nato a Norcia intorno al 480, Benedetto compì i primi studi a Roma ma, deluso dalla vita della città, si ritirò a Subiaco, dove rimase per circa tre anni in una grotta – il celebre “sacro speco” – dedicandosi interamente a Dio. 
A Subiaco, avvalendosi dei ruderi di una ciclopica villa dell’imperatore Nerone, egli, insieme ai suoi primi discepoli, costruì alcuni monasteri dando vita ad una comunità fraterna fondata sul primato dell’amore di Cristo, nella quale la preghiera e il lavoro si alternavano armonicamente a lode di Dio. Alcuni anni dopo, a Montecassino, diede forma compiuta a questo progetto, e lo mise per iscritto nella “Regola”, unica sua opera a noi pervenuta. 
Tra le ceneri dell’Impero Romano, Benedetto, cercando prima di tutto il Regno di Dio, gettò, forse senza neppure rendersene conto, il seme di una nuova civiltà che si sarebbe sviluppata, integrando i valori cristiani con l’eredità classica, da una parte, e le culture germanica e slava, dall’altra.
C’è un aspetto tipico della sua spiritualità, che quest’oggi vorrei particolarmente sottolineare. Benedetto non fondò un’istituzione monastica finalizzata principalmente all’evangelizzazione dei popoli barbari, come altri grandi monaci missionari dell’epoca, ma indicò ai suoi seguaci come scopo fondamentale, anzi unico, dell’esistenza la ricerca di Dio: “Quaerere Deum”. Egli sapeva, però, che quando il credente entra in relazione profonda con Dio non può accontentarsi di vivere in modo mediocre all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Si comprende, in questa luce, allora meglio l’espressione che Benedetto trasse da san Cipriano e che sintetizza nella sua Regola (IV, 21) il programma di vita dei monaci: “Nihil amori Christi praeponere“, “Niente anteporre all’amore di Cristo”. 
In questo consiste la santità, proposta valida per ogni cristiano e diventata una vera urgenza pastorale in questa nostra epoca in cui si avverte il bisogno di ancorare la vita e la storia a saldi riferimenti spirituali.
Modello sublime e perfetto di santità è Maria Santissima, che ha vissuto in costante e profonda comunione con Cristo. Invochiamo la sua intercessione, insieme a quella di san Benedetto, perché il Signore moltiplichi anche nella nostra epoca uomini e donne che, attraverso una fede illuminata, testimoniata nella vita, siano in questo nuovo millennio sale della terra e luce del mondo.

UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 9 aprile 2008
Cari fratelli e sorelle, 
vorrei oggi parlare di san Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontificato. Comincio con una parola di san Gregorio Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36). 
Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. 
La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. 
Non è una biografia nel senso classico. 
Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. 
Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione. 
San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo.
Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. 
Con la presentazione di san Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). 
Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”.
La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. 
Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. 
Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazione. 
Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. 
Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. 
E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé. 
Solo allora decise di fondare i primi suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco.
Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. 
Alcuni hanno spiegato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiastico locale. 
Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a ritornare (II Dial. 8). 
In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. 
Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo.
Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. 
Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. 
Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). 
Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). 
In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.
All’obbedienza del discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto nel secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto, poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse” (DialII, 36). 
L’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta “il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore” (3,3).
Questa disposizione rende sorprendentemente moderna una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta.
Benedetto qualifica la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. 
Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi. Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultura europea. Oggi l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. 
Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58). 
Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. 
Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero.

"Ci uccideranno ma guardate la mia faccia : vi sembro spaventato?" Sanguis Martyrum, semen Christianorum

Senza timore della morte e del martirio 
di Riccardo Cascioli 

«…Non vorrei soffermarmi sulle atroci, disumane e inspiegabili persecuzioni, purtroppo ancora oggi presenti in tante parti del mondo, spesso sotto gli occhi e nel silenzio di tutti. Vorrei invece oggi venerare il coraggio degli Apostoli e della prima comunità cristiana; il coraggio di portare avanti l’opera di evangelizzazione, senza timore della morte e del martirio, nel contesto sociale di un impero pagano». 
Vale la pena soffermarsi su queste parole pronunciate ieri da papa Francesco nell’omelia della messa celebrata nella festa dei Santi Pietro e Paolo. 
Quando parliamo di cristiani perseguitati non basta denunciare, seppure anche questo sia necessario; non basta ricordarli nella preghiera, per quanto sia questa la prima arma a usare per correre in loro difesa; dobbiamo soprattutto imparare da loro, dobbiamo guardare alla testimonianza di Cristo che rendono a noi e al mondo intero chiedendo a Dio di darci la stessa forza e la stessa fede. 
«Penso che finiranno per distruggere la nostra comunità. 
Ci uccideranno – ha detto poche settimane fa padre Douglas Bazi, sacerdote iracheno e parroco a Erbil, parlando a degli studenti in Brianza -. 
Ma guardate la mia faccia: vi sembro spaventato? 
Anche la mia gente ha lo stesso volto: non abbiamo paura. 
La nostra fede è così importante che non ci arrenderemo». 
È questo il volto odierno di chi porta avanti «l’opera di evangelizzazione, senza timore della morte e del martirio»
Sono questi i volti su cui fissare lo sguardo per imparare la stessa passione e la stessa saldezza nella fede. 
«La presenza qui dei sacerdoti è una grande grazia - dice il vicario apostolico di Aleppo (Siria) Georges Abou Khazen, in un'intervista a Tempi, mentre descrive l'inferno che questa città è diventata - : nessun vescovo o parroco o religioso ha lasciato il suo posto. 
Questo per la gente è importante, è un segno di speranza e incoraggiamento. 
Quando mi chiedono che cosa dovremmo fare, io rispondo: non lo so, non ho una risposta, ma sono qui e resterò qui. Per costruire». 
Ognuno al posto in cui Dio ci ha chiamati, come dice Claudel nell'Annuncio a Maria: «Santità non è farsi lapidare in terra di Paganìa o baciare in bocca un lebbroso, ma fare la volontà di Dio, con prontezza, si tratti di restare al nostro posto, o di salire più alto». 
Fare la volontà di Dio, con prontezza; portare avanti l'opera di evangelizzazione, senza timore della morte e del martirio. 
Dovunque noi siamo, a qualunque compito Dio ci chiami. 
Come fu per Pietro e Paolo; come è oggi per tanti cristiani perseguitati; come deve essere per noi, qui, in una società che invece di eliminarci con la forza ci ha narcotizzati. 

Fonte : La nuova Bussola Quotidiana

lunedì 29 giugno 2015

Il Pallio anche ai Sacerdoti ?

Avendo fra le mani il Libretto della  Cappella Papale, da poco conclusa,  della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo ci siamo accorti che quest'anno il Pallio è stato consegnato anche  al nuovo Arcivescovo eletto  di Modena-Notantola Mons.Erio Castellucci che non ha ancora ricevuto l'Ordinazione Episcopale.
Forse, come ci hanno fatto sommessamente notare, " la "consegna" del Pallio ad un'Arcivescovo eletto potrebbe essere una conseguenza della nuova prassi che a Roma i nuovi Metropoliti ricevono soltanto il pallio dalle mani del Papa, mentre saranno investiti liturgicamente solo al ritorno nelle loro arcidiocesi dal nunzio apostolico (leggere articolo Vatican Insider QUI)... quindi: con questa prassi è possibile che uno riceva  il Pallio (= se lo porta a casa), tanto ne sarà investito con esso solo a ordinazione ricevuta (ovvero durante la Messa d'ordinazione, come successo già l'anno scorso a Friburgo)".
Stando al ragionamento di cui sopra, riflettendo sui fondamenti liturgici e la cognizione stessa del Pallio,  ci domandiamo se non sarebbe stato più opportuno e più significativo consegnare il Sacro Pallio nelle mani del Nunzio Apostolico in Italia che avrebbe poi provveduto ad "imporlo"  al nuovo Arcivescovo Metropolita dopo la "presa di possesso" della sua Cattedrale.
Mons. Castellucci difatti riceverà l'Ordinazione Episcopale a Forlì differentemente da quel che avvenne lo scorso anno a Friburgo quando il nuovo Arcivescovo venne  ordinato   nella sua stessa Cattedrale .
Secondo alcuni attenti osservatori di "cose vaticane" fino a pochi giorni fa il nome dell'Arcivescovo-eletto di Modena-Notantola sembrava risultare assente dalla lista del libretto in pdf pubblicato nel sito vaticano per la Cappella Papale ordierna... il nome è poi comparso  dopo la stampa del libretto cartaceo.
D'altronde pare che il futuro Arcivescovo fosse stato convocato telefonicamente, suo malgrado, solo una decina di giorni fa ...
Umilmente e senza spirito polemico chiediamo  spiegazione all'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

La liturgia al tempo degli Apostoli? Incenso, sfarzo e merletti!

Riproponiamo un nostro vecchio post, pubblicato il 28 giugno 2009. 
Sempre attuale e potrebbe aiutare a far zittire i soliti che si riempono la bocca con le solite solfe sul pauperismo liturgico. Si andassero a studiare la storia della Chiesa dei primi cristiani, invece di sparare cavolate! Altro che povertà e semplicità: nella liturgia era riservato il meglio: lino prezioso, incenso, la porpora imperiale. Tutto a maggior gloria del Re dei Re. 
Roberto



 da MiL del 28.06.2009

Nell'omelia dei primi vespri della Festa dei SS. Pietro e Paolo, il Papa ha comunicato al mondo l'esito dell'ispezione scientifica della tomba attribuita all'Apostolo delle genti, rinvenuta sotto la basilica di S. Paolo fuori le Mura dopo l'incendio di questa nel 1823. Ci informa Benedetto XVI: “Nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. E’ stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo".


Lino prezioso di colore porpora (il colore degl'imperatori); lamine addirittura di vello d'oro; grani di incenso rari... chi glielo spiega questo, a tutti quei tristi liturgisti che hanno massacrato i riti della Chiesa, spogliato gli altari, bruciato le pianete e i broccati (imperativamente sostituiti da casule-gellabà in misto terital, con pàmpini, spighe e pagnotte appiccicati sopra), e tutto questo sostenendo che si doveva tornare all'essenzialità liturgica e alla povertà dei tempi apostolici?


Sentito il Papa? Visto che cosa han trovato in una tomba "mai aperta prima" in 19 secoli e mezzo, di uno dei primi seguaci di Gesù Cristo, apostolo per giunta, morto appena trent'anni dopo di Lui e in epoca di sanguinose persecuzioni?


E allora, o pseudo-liturgisti malati di archeologismo: ci dite per favore quando mai i cristiani hanno celebrato i loro riti nel modo squallido e povero a cui ci avete voluto far "ritornare"?

domenica 28 giugno 2015

Sei nuovi Sacerdoti della Fraternità San Pietro " Il centro è la chiesa e nella chiesa il tabernacolo con a lato il confessionale"

Nella Vigilia della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo pubblichiamo alcune foto delle Ordinazioni Sacerdotali del 27 giugno scorso a Lindenberg vicino Wigratzbad conferite dal Vescovo di Tarbes e Lourdes S.E.R.Nicolas Brouwet a sei Diaconi della Fraternità Sacerdotale San Pietro ( FSSP ).
I novelli Sacerdoti sono : don Joseph de Castelbajac, don Louis Le Morvan, don Xavier Proust, don Côme Rabany, don Elvis Ruiz Silva, e don Jean de Léon-Gomez.
Don Dolindo Ruotolo , fervido apostolo delle vocazioni sacerdotali, aveva scritto : 
" Gesù all’anima: 
Se consideri la tua dignità sacerdotale, pensa che Dio si è donato a te, pensa che mi rappresenti e, nella profonda umiltà, dal tuo cuore, ripeti con Maria: Dio ha guardato la piccolezza del suo servo, e nel mondo io sono beato. 
La tua professione è felicità; la tua dignità è grande; la tua attività è grande potenza, riflesso della potenza divina, effusione della sua santità infinita.
E tu, invece di smarrirti nelle tue deficienze esclama con Maria, mamma tua: Ha fatto in me cose grandi Colui che è potente, ed il cui nome è santo.
Sei ministro di amore della misericordia di Dio sulla umana progenie: 
se battezzi, vivifichi
se perdoni, risusciti
se parli, illumini
se conforti, pacifichi
se mi offri, rinnovi nel mondo la misericordia che redime; 
se mi doni, nutrisci le anime di me
se benedici, le fecondi
se le rimproveri, le sani, riequilibrandole nei loro smarrimenti; 
se le soccorri, passi beneficando.

Sei luce del mondo e sale della terra, sole che splende nella Chiesa sul candelabro, condimento che attira le anime nella dolcezza delle cose divine ed eterne". (IL MAGNIFICAT DEL SACERDOTE GRANDE LA TUA DIGNITÀ, MERAVIGLIOSA LA TUA POTENZA)

Assicuriamo ai novelli Sacerdoti la nostra preghiera a Maria Santissima, Madre della Chiesa, a tutti i Santi ed in modo speciale a San Giovanni Maria Vianney che  «aveva ugualmente compreso che " il sacerdote prima di tutto dev'essere uomo di preghiera". (Cfr San Giovanni XXIII Enciclica SACERDOTII NOSTRI PRIMORDIA )
Difatti «Ognuno conosce le lunghe notti di adorazione che, giovane curato di un villaggio allora poco cristiano, egli trascorreva davanti al Santissimo Sacramento.
Il tabernacolo della sua chiesa divenne presto il focolare della sua vita personale e del suo apostolato, al punto che non si saprebbe richiamare meglio la parrocchia di Ars al tempo del Santo, che con queste espressioni di Pio XII sulla parrocchia cristiana: "Il centro è la chiesa, e nella chiesa il tabernacolo con a lato il confessionale; dove ritrovano la vita le anime morte e le malate riacquistano la sanità.
... il sacerdote, per quei poteri che egli solo ha ricevuto, offre il divino sacrificio nel quale Gesù stesso rinnova l'immolazione unica compiuta sul Calvario per la redenzione del mondo e la glorificazione del suo Padre.
E' allora che i cristiani riuniti offrono al Padre Celeste la Vittima divina per mezzo del sacerdote e imparano ad immolare se stessi come " ostie vive, sante, gradite a Dio " (Rm 12,1). 
E' là che il popolo di Dio, illuminato dalla predicazione della fede, nutrito del corpo di Cristo, trova la sua vita, la sua crescita e, se ve ne è bisogno, rinsalda la sua unità. 
E' là in una parola che per generazioni e generazioni, su tutte le plaghe del mondo, si costruisce nella carità il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa.» ( San Giovanni XXIII Enciclica cit.)




“O Sacerdoti, ceri accesi per illuminare le anime, 
la vostra luce non si offuschi mai!” 
S. Faustina Kowalska 

Foto : FSSP (QUI il servizio completo)

AC

venerdì 26 giugno 2015

S.Messa in rito romano antico fra i ruderi di un'antica abbazia scozzese "sacra cornice al sommo Sacrificio dell’Altare"

Speranza fra le rovine. 
La Chiesa di Cristo vive per sempre, anche quando vediamo solo dei ruderi 
tratto da: Il Timone (via Rorate caeli )
Lo scorso 20 giugno si è tenuta una celebrazione eucaristica in rito romano antico fra i resti della Crossraguel Abbey, Ayrshire, in Scozia.
Qui è possibile vedere le foto suggestive.
L’abbazia fu fondata alla metà del XIII secolo e fu poi saccheggiata dall’esercito inglese. 
Ricostruita, fu chiusa e quindi abbandonata quando la tempesta delle riforma protestante si abbatté sulle highlands scozzesi. 
Grazie allo zelo di Una Voce-Scozia, la sezione locale dell’associazione internazionale che da decenni promuove il recupero nella Chiesa della liturgia romano-gregoriana, quelli che a tutti sembrano ormai solo i ruderi, vestigia di un passato morto, continuano a fare da sacra cornice al sommo sacrificio dell’altare. 

Faieto adieu! Ultima Messa Domenica 28 giugno

COMUNICATO
Ave Maria! 
Comunichiamo, che Domenica 28 Giugno 2015, Quinta dopo la Pentecoste “'Exaudi Domine, vocem meam”, nella Chiesa Sant'Andrea di Faieto (Teramo) alle ore 18.00 sarà celebrata dal Rev.do Don Gaston l'ULTIMA Santa Messa in Vetus Ordo.
Ringraziamo il Reverendo Don Gaston per la cura pastorale che ha avuto in questi anni, sostituendo nella celebrazione della Messa Ritus Antiquior i carissimi Francescani dell'Immacolata, purtroppo tristemente commissariati. 
Rimettiamo tutto nelle mani del nostro Vescovo Mons. Michele Seccia, a cui chiediamo una soluzione in merito alla celebrazione della Messa in Rito Romano antico secondo il Motu Proprio Summorum Pontificum
In Corde Matris. 
Coetus Fidelium "San Massimiliano Maria Kolbe"




Immagini: SS Messe nella gloriosa regione francese della Vandea  "terra di martiri e di testimoni della Fede"  coraggiosamente celebrate anche  durante la terribile e sanguinosa persecuzione dei fedeli Cattolici per mano dei "libertari" rivoluzionari francesi ( stampe XIX sec.)


QUI l'articolo di MiL sulla desolante vicenda accaduta ai Fedeli teramani.

giovedì 25 giugno 2015

“Alla scuola del canto gregoriano. Studi in forma di manuale”a cura di Fulvio Rampi, i Cantori Gregoriani

"Mentre tutto sembra sfaldarsi e precipitare nel caos, contribuiamo a conservare il buon seme."
 

Un libro di canto gregoriano come non s’è mai visto né udito 
di Sandro Magister, da : Espresso Settimo Cielo del 07.07.2015

Per i visitatori di Settimo Cielo e di www.chiesa i “Cantori Gregoriani” sono da tempo una voce amica. 
Una voce, proprio così. 
Di domenica in domenica, nell’Avvento e Natale del 2013 e nella Quaresima e Pasqua del 2014 abbiamo potuto ascoltare e gustare le loro esecuzioni di introiti, graduali, communio del grande repertorio gregoriano. 
 Qui c’è l’indice cronologico di tutte le pagine di www.chiesa con le loro splendide esecuzioni: 
Non solo. 
Assieme al canto ci sono in ognuna di queste pagine lo spartito musicale e una guida all’ascolto, scritta dal direttore dei “Cantori”, il Maestro Fulvio Rampi, di Cremona, gregorianista di fama internazionale. 
Ed era questa come una piccola anticipazione di quel monumento editoriale che ha visto oggi finalmente la luce: un volume di quasi mille pagine che è la “summa” di tutto ciò che occorre sapere su quel canto “principe” della liturgia latina che è anche matrice dell’intera musica occidentale: Cantori Gregoriani, 
Alla scuola del canto gregoriano. Studi in forma di manuale”, a cura di Fulvio Rampi, Musidora editore, Parma, 2015, pp. 980, euro 70,00. 
Autori dell’opera sono proprio i “Cantori Gregoriani” col loro Maestro. 
Con l’apporto di altri studiosi che hanno creduto nell’impresa. 
Perché ogni capitolo di questo libro, o meglio, data la dimensione, ogni libro di questa biblioteca, porta la firma di qualcuno di loro. 
Come si può vedere dall’indice: 
Cap. 1 – Il canto gregoriano. Itinerario storico-giuridico di Giannicola D’Amico 
Cap. 2 – Liturgia. La messa e l’ufficio divino di Alfio Giuseppe Catalano O.S.B. 
Cap. 3 – La melodia gregoriana di Angelo Corno e Giorgio Merli 
Cap. 4 – Il ritmo gregoriano di Fulvio Rampi 
Cap. 5 – L’ufficio divino. Il canto come lettura ermeneutica del testo di Angelo Corno e Giacomo Frigo O.S.B. 
Cap. 6 – Tropi, sequenze, prosule. Ornamento ed espansione del canto gregoriano di Enrico De Capitani 
Cap. 7 – Il canto gregoriano e la sua voce di Roberto Spremulli 
Cap. 8 – Itinerario bibliografico. 
Il fenomeno e l’essenza di Alessandro De Lillo 
L’imponente volume, aggiornato sugli studi più avanzati di semiologia gregoriana, ha lo scopo dichiarato di offrire un nuovo e completo strumento didattico per chi voglia andare alla scoperta di questo tesoro: studenti di conservatorio, musicologi, direttori di coro, cantori, organisti, liturgisti. 
Ma anche il non specialista può immergersi in questa appassionante avventura, sfogliarne le pagine, osservarne le figure, soffermarsi sull’uno o sull’altro dei capitoli che più l’attraggono. 
Con un occhio, naturalmente, alle vicissitudini di questo canto al quale il Concilio Vaticano II ha ordinato che “si riservi il posto principale” ma che nei fatti è precipitato in un quasi generale abbandono. 
Ma sempre con la speranza che la luce si riaccenda, come scrive Giannicola D’Amico nelle ultime righe del suo excursus storico: “Confidiamo che le straordinarie capacità di reviviscenza del canto gregoriano anche questa volta lo salvino dalla fine. E salvino anche noi”. 

*Il volume è in vendita da giugno ed è stampato da Musidora editore, via F. Nullo 11, 43125 Parma, 0521.252564, musidora.libri@libero.it 


mercoledì 24 giugno 2015

Musica Sacra :« La lode sonora porta noi egli altri al timore riverenziale».

LA MUSICA LITURGICA POSTCONCILIARE E LA BATTAGLIA DI BENEDETTO XVI 
 di Nicola Bux, da Il Timone
Nell'introduzione al libro di Benedetto XVI Lodate Dio con arte , Riccardo Muti menziona la di lui denuncia del basso livello della musica nelle nostre chiese. 
La battaglia per riformare la musica sacra, egli l'ha condotta guardando alla tradizione ortodossa , ma anche alla storia antica: 
« Quello che Platone e Aristotele hanno scritto sulla musica, mostra che il mondo greco si era trovato, ai loro tempi, di fronte alla scelta tra due tipi fondamentalmente diversi di musica. 
Da un lato la musica che Platone riconduce mitologicamente ad Apollo, dio della luce e della ragione, una musica che riporta i sensi all'interno dello spirito e, in questo modo, conduce l'uomo alla totalità; una musica che non supera i sensi, ma li colloca nell'unità della creatura umana. 
Essa innalza lo spirito proprio nel momento in cui li fa essere una sola cosa con lo spirito; essa esprime così proprio la posizione particolare dell'uomo nell'intero edificio dell'essere.
Poi c'è la musica che Platone ordina a Marsia e che noi, dal punto di vista della storia della cultura, potremmo anche definire “dionisiaca” . 
Essa trascina l'uomo nell'ebbrezza dei sensi, calpesta la razionalità e sottomette lo spirito ai sensi. 
Il modo in cui Platone (e con più misura, Aristotele) distribuisce gli strumenti e le tonalità da una parte e dall'altra è superato e sotto molti aspetti può forse apparirci sorprendente.  
Ma questa alternativa, in quanto tale, percorre tutta la stori a religiosa e ancor oggi ci sta davanti in maniera del tutto reale. 
Quindi, non ogni forma di musica può entrare a far parte della liturgia cristiana. 
Esso esige un criterio e questo criterio è il Logos » : così Joseph Ratzinger ( Introduzione allo spirito della liturgia , San Paolo, pag. 147 ). 
La Chiesa, che non trasmette solo dottrina, ma indica anche i modi, mutevoli secondo i tempi, con cui trasmettere la fede, insegna che la musica è, per dir così, tra questi modi fondamentali, ma deve essere dotata di santità, universalità e bontà di forme per essere degna del culto divino, come stabilì san Pio X nel Motu proprio Inter sollicitudines del 1903. Sessant'anni dopo, il Concilio Vaticano II ha dichiarato che « la tradizione musicale di tutta la Chiesa costituisce un patrimonio di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria e in tegrante della liturgia solenne» (Costituzione sulla Sacra Liturgia, n 112). 
A questo patrimonio liturgico appartiene il canto gregoriano: una varietà dei testi, propri di ogni celebrazione dell'anno liturgico, sgorgati dalla meditazione sui testi sacri della primitiva Chiesa, ed ornati melodicamente lungo secoli di esperienza viva de lla celebrazione dei misteri della vita di Cristo, che costituisce la lode più perfetta e il patrimonio più prezioso della pietà liturgica. 
Testo e musica costituiscono il più elevato poema della lode divina, che la letteratura antica non esitava ad attrib uire alla ispirazione angelica. 
Tutto questo è il canto gregoriano che il Vaticano II definisce «canto proprio» della Liturgia Romana: « perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale» (Ivi, 115). 
Dal culto giudaico, il gregoriano ha attinto la proclamazione in canto della Parola di Dio, che si è via via adattata alle diverse situazioni liturgiche, a cantori e a momenti rituali differenti. 
Il coinvolgimento dell’assemblea ha dato origine alle forme di salmodia responsoriale e antifonica, sillabica per l’Ufficio delle Ore, e fiorita per la liturgia eucaristica. 
Per i momenti di  contemplazione spirituale si è sviluppato il melisma, un lungo vocalizzo melodico, dove Dio sembra affermare la sua presenza, comunicando al credente quanto le parole e la stessa Parola biblica non sono in grado di esprimere, e durante il quale si richiede l’apertura totale del cuore e l’attenzione viva della mente, nell’ascolto docile che si fa obbedienza di fede: è il momento musicale dove, più che mai, si manifesta l'aspetto paradossale del canto liturgico: esso diventa pura rivelazione della Parola. 
Giovanni Paolo II ha confermato la “legge generale” formulata da san Pio X: « tanto una composizione per Chiesa è più sacra e liturgica, quant o più nell’andamento, nell’ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel suprem o modello si riconosce difforme» (Chirografo nel centenario del Motu proprio sulla musica sacra Inter sollicitudines , 2003 , n . 12). 
Infatti, come il rito è “ordo” , così il canto e la musica per essere sacre, ossia idonee alla liturgia, devono seguire l'ordine testuale e rituale, cosa che è declinata nelle norme, prescrizioni e rubriche dei libri liturgici, tra i quali vi sono il Salterio, l'Antifonario, l'Innario, il Graduale. 
Gli stessi Messali, Rituali e Cerimoniali contengono, come parte integrante, i testi con notazione musicale ad uso in primis del sacerdote celebrante e degli altri ministri sacri, non ché le risposte dei fedeli. 
La musica sacra è tale perché partecipa del medesimo principio che regola la sacra liturgia: è di competenza divina, è in gioco il diritto di Dio di essere adorato come egli ha stabilito. 
Il dibattito postconciliare circa l’attuazione della riforma liturgica è stato contraddistinto, senza dubbio, dalla tensione tra l’esigenza dell’arte e la semplicità della Liturgia. 
Oggi però constatiamo come « il ripiegamento sull’usuale non ha reso la liturgia più aperta, ma solo più povera» – concludeva Joseph Ratzinger – « La necessaria semplicità non la si p uò 4 ottenere con l’impoverimento» ( La festa della fede , Jaca Book, p ag. 89). 
E successivamente, parafrasando san Tommaso, riporta il pensiero di sant’Agostino aggiungendo: « Glorificazione è il motivo centrale per cui la liturgia cristiana dev'essere liturgia cosmica e il mistero del Cristo deve per così dire, intonarsi con le voci della creazione». San Tommaso dice testualmente (sempre in Ratzinger), « con la lode tributata a Dio l’uomo si eleva fino a Dio... tale ascesa strappa l’uomo da ciò che è contro Dio». 
« La lode sonora porta noi egli altri al timore riverenziale» (Ivi, pp. 103 - 105). 
La musica liturgica deve essere sommessa, il suo scopo non è l’applauso ma l’edificazione, come osservava san Girolamo, quando rimproverava non il carattere estatico di una musica cultuale, ma la vanità e la ricerca di effetti nell’esibizione degli artisti ( ivi, pag. 109). 
Nella crisi presente non vanno smarriti alcuni principi: la liturgia esiste per tu tti, cioè è cattolica; ma la cattolicità non significa uniformità; la actuosa participatio non significa solo “discorrere”, ma anche ascoltare, cioè percepire con i sensi e con lo spirito commuoversi. 
« L’arte che la Chiesa ha espresso è, accanto ai santi che vi sono maturati, l’unica reale “apologia” che ess a può esibire per la sua storia» (Ivi, p ag. 114). 
Più che mai oggi urge una riforma del canto e della musica per la liturgia; ma si stenta a rendere operativi i principi codificati dalla Costituzione liturgica, ed esplicitati dalle più recenti e autorevoli dichiarazioni. 
Nell’Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis Benedetto XVI esprimeva un desiderio, che ha la dolcezza di una supplica e il valore di un comando (cfr. Emidio Papinutti in Rinascita Gregoriana , giugno 2007, pag.9): «Desidero, come è stato chiesto dai padri sinodali, che venga adeguatamente valorizzato il canto gregoriano, in quanto canto proprio della liturgia romana» (n.42). 
E chiede che « i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminari o, siano preparati a celebrare la santa Messa in latino, nonché ad utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano»; e che gli stessi fedeli « siano educati a cantare in  Gregoriano certe parti della liturgia» (n. 62). 
L’opposizione al canto gregoriano ha principalmente due motivazioni, facilitare la partecipazione dei fedeli alla liturgia post - conciliare, eliminando ogni ostacolo quale, a prima vista, sembra essere la lingua latina; e di conseguenza il canto gregoriano che non corrisponderebbe più a lla sensibilità musicale del nostro tempo; in secondo luogo, un’irrazionale e quindi non controllabile presa di posizione contro il fantasma del passato, dove il canto gregoriano assurge a cifra/simbolo di un mondo dal quale si possono prendere “finalmente ” le distanze. 
In realtà, dal secolo XIX si son prese le distanze dall'interpretazione cosmica della musica, perché si è ritenuta superata la metafisica. 
Hegel ebbe a interpretare la musica come espressione della soggettività, mentre Schopenhauer ha soste nuto che il mondo non è più ragione, ma «volontà e rappresentazione» : vuol dire che, se la volontà precede la ragione, la musica non deve legarsi alla parola. 
L 'esito, riconducibile a questa “svolta antropologica”, è il primato del fare, tradotto nella Chi esa contemporanea col primato del “pastorale” , del sociale, del pragmatico, sul pensare e il contemplare, con la conseguente destituzione del valore dell'ortodossia in favore dell' ortoprassi; tutto questo è riassumibile così: «In principio era l'Azione» , invece che la Parola (cfr . Introduzione allo spirito della liturgia , p ag. 151). 
Ora, il soggettivismo è giunto a configurare la teoria anarchica dell'arte. 
Di conseguenza, si comprende perché siamo in piena “anomia” – l'inosservanza di qualsiasi norma – anche nella musica sacra. 
Né vi pone rimedio il tentativo di “musealizzare” il gregoriano e la polifonia attraverso i concerti, in quanto « ciò che nei musei può essere solo testimonianza del passato, ammirata con nostalgia, nella liturgia continua ad essere presente vivo» (Ivi, p ag. 152).
È necessario, dunque, anche nel campo della musica sacra cristiana, illustrato da insigni maestri come il compianto benedettino Anselmo Susca e Valentino Miseracs Grau, incrementare il nuovo movimento liturgico inaugurato dal pensiero e dall'insegnamento di Benedetto XVI. 


Immagine: Bento Coelho da Silveira " La glorificazione del Santissimo Sacramento fra angeli musicanti",  Franca de Xira (Portogallo)

S. Messa antica in forma solenne in Università Cattolica a Milano, nella festa del Prez.mo Sangue di Gesù

Mercoledì 1º luglio a Milano, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore sarà celebrata la Messa in forma solenne nella Festa del Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo a chiusura delle celebrazioni di quest'anno.
La santa Messa sarà celebrata alle ore 17:45 da don Jean-Cyrille Sow FSSP, e sarà preceduta dalla recita del Rosario e delle litanie del Preziosissimo Sangue.

Si veda qui al profilo ufficiale https://www.facebook.com/events/1602280983362497/

martedì 23 giugno 2015

Parroco rimosso: non c’è pace per i Fedeli teramani rifugiatisi a Faieto

Ad esser troppo buoni ci si rimette”… il famoso adagio, trasposizione nel gergo del popolo dell’esortazione evangelica “prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”, si addice appieno al gruppo dei fedeli della Messa in latino e al Sacerdote loro assistente spirituale in quel di Teramo. 
Dopo la riapertura della “chiesa di San Domenico nel centro storico… (già) officiata dai Francescani dell'Immacolata, i tanti fedeli di uno dei gruppi stabili più numerosi d'Italia hanno dovuto prendere la "via della montagna" per lodare Dio con le indicazioni liturgiche del Magistero immutabile della Chiesa disciplinate di recente dal Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI”. ( MiL QUI) 
"Nel paesino montano di Faieto… la maggior parte dei fedeli presenti sono in missione. 
Manipolo di cattolici costretti alla macchia, perchè per loro non c’è posto in una delle sempre più vuote chiese cittadine. 
Mi commuovo pensando a loro, al loro impegno, mentre in questi mesi le priorità decisive della Chiesa paiono (si dice) ben altre. 
Lo slogan “periferie della Chiesa” che qualcuno ha lanciato non è mai stato così concreto e tangibile." (Cfr. Coordinamento Naz. Summorum Pontificum QUI
Da due anni Don Gaston assiste spiritualmente con particolare dedizione e generosità il gruppo teramano in “ perfetta attuazione dell’ideale “cor unum” di cui tanti parlano ma che pochi riescono ad attuare” (MiL QUI) prima a San Domenico, quando ai Frati Francescani dell’Immacolata fu impedito di celebrare la Santa Messa nell’antico rito,  poi, dopo la mancata promessa del vescovo di far ritornare i fedeli in quella centralissima chiesa , accogliendo con profondo zelo pastorale  nella sua parrocchia montana di Faieto (pure abbellita a proprie spese) quegli “sfortunatiche nessun prete dentro le mura cittadine... vuole ospitare “perché non c'era posto per loro”, mentre vengono inaugurati in pompa magna dei "centri" per i seguaci di altre religioni. (MiL QUI) 
Il Vescovo Diocesano ha revocato pochi giorni fa improvvisamente l’incarico di Parroco a Don Gaston.
A suo posto Faieto arriverà Padre Giovanni Manelli FI a cui i Superiori hanno tassativamente impedito di celebrare la Santa Messa “more antiquo”. 
E i fedeli del Coetus
Di nuovo in mezzo la strada nonostante, o forse a causa, della  troppo bontà dei Fedeli interpretata come un'apparente arrendevole sudditanza. 
Eppure essi avevano ricevuto diverse promesse "in verbis et in scriptis" purchè non avessero  rivelato nulla  circa la loro triste vicenda …
Come "ricompensa" quei bravi e semplici Fedeli si ritrovano assieme al loro prete:  “catholiques a la rue” di francese memoria …
Attenzione! Non va mai confusa la supina sottomissione con la cattolicissima SANTA OBBEDIENZA che deve caratterizzare ogni buon cattolico: sono due cose assai differenti e spesso contrapposte!
In conclusione sarebbe spiritualmente edificante assistere alla Santa Messa "more antiquo" celebrata all’aperto, avendo come sfondo le bellissime montagne abruzzesi: ad perpetuam rei memoriam

Επίσης, σε μας τους αμαρτωλούς ( A.C.) 

Foto : 
- Processione della Festa del Corpus Domini 2015 a Faieto 
- Lettera di commiato di Don Gaston dai suoi parrocchiani 
- Santa Messa a Faieto nella festa di Sant'Antonio di Padova


lunedì 22 giugno 2015

Mons.Negri sull'autoconvocazione dei cattolici a piazza San Giovanni: "Il popolo giustamente ha seguito l’instinctus fidei"

«Il mio primo sentimento è di gratitudine al Signore che ha permesso una cosa grande per la vita della Chiesa italiana e per la vita del popolo italiano». 
Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, tra i primissimi vescovi a sostenere l’idea di una manifestazione pubblica a difesa della famiglia e dei bambini, è particolarmente soddisfatto della grande festa della famiglia che si è celebrata sabato 20 giugno in Piazza San Giovanni. 
Ha seguito tutto il giorno lo svolgersi della manifestazione, stando al telefono con gli amici presenti a Roma. 
«È una cosa grande che è potuta accadere perché ha trovato un milione di uomini grandi, un milione di cuori grandi, cioè disponibili ad agire senza farsi frenare dalle piccole alchimie delle valutazioni scientifico-politiche».

Una manifestazione preparata in 18 giorni, senza sponsor istituzionali, nel silenzio dei media. C’erano legittimi timori sull’esito e anche sull’efficacia reale dal punto di vista politico. 
Già, come se la grande battaglia di Lepanto fosse stata fatta sulla previsione della vittoria. 
Fu fatta prevedendo che sarebbe stata una sconfitta. 
Tutti, dal re di Polonia fino all’ultimo servente di mulo ricevettero la comunione in articulo mortis
O come se quelli che hanno manifestato contro il comunismo nelle piazze di Danzica, di Varsavia, di Cracovia avessero valutato che c’era una certa previsione che il comunismo cadesse. 
Avessero ragionato come tanti ecclesiastici e uomini di cultura oggi in Italia, avrebbero detto che era inutile fare la manifestazione perché il comunismo non sarebbe caduto. 
Come invece cadde, anche per queste manifestazioni.

Fortunatamente non sono stati fatti questi calcoli. 
Il popolo giustamente ha seguito l’instinctus fidei, quell’istinto della fede per cui il popolo attese all’uscita i vescovi che partecipavano al Concilio di Efeso del 431 imponendo quasi manu militari la dichiarazione della Madonna come Theotokos, madre di Dio.
Ecco questa a me pare la grande esperienza di un popolo cattolico e laico che ritrova il senso della propria dignità, il senso della propria cultura, il senso del proprio servizio al bene comune, per il quale fa un gesto magari piccolo ma che diventa significativo nel contesto della vita sociale.

Non tutti nella Chiesa hanno aderito, ci sono state anche pressioni contrarie. 
Di fronte a questo popolo credo che stia la meschinità di tante valutazioni culturali, politiche, ecclesiastiche che non hanno saputo cogliere la domanda che sale dal basso. 
Comunque certamente mancavano in piazza cattolici di varia estrazione a cui forse è bastato l’elogio di un difensore appassionato della Chiesa e della libertà quale è Alberto Melloni (cfr. articolo sul Corriere della Sera del 19 giugno, ndr). 
Ma quando si ricevono elogi di quel tipo lì, se si aguzza bene l’orecchio si sente ancora il tintinnare dei 30 denari.

Qualche polemica c’è stata anche a proposito di certe posizioni nella Conferenza episcopale. 
Credo sia molto importante chiarire che la responsabilità pastorale è esplicitamente delegata agli ordinari, ai singoli vescovi nelle loro diocesi, e non alla Cei. 
La Cei al massimo può dare direttive che poi sono sottoposte alla discrezionalità degli ordinari locali. 
Mi sembra quindi giusto dare onore a quel gruppo di cardinali, arcivescovi e vescovi che si sono assunti pienamente la responsabilità di indicazioni a favore della manifestazione. 
Il popolo, dove è stato guidato, ha trovato il conforto dei pastori e ha saputo utilizzare questo confronto per fare una cosa significativa per sé, per la Chiesa e per la società.

Continua QUI

Cfr. La Nuova Bussola Quotidiana

Foto : Panorama

Segnaliamo anche l'Articolo di Marco Tosatti su La Stampa : Stilum Curiae dopo S.Giovanni

domenica 21 giugno 2015

20.06.2015 Il popolo della famiglia è più vivo che mai e manda un messaggio a politici e vescovi


20.06.2015 Il popolo della famiglia è più vivo che mai e manda un messaggio a politici e vescovi

http://www.lanuovabq.it/mobile/articoli-il-popolo-della-famiglia-e-piu-vivo-che-maie-manda-un-messaggio-a-politici-e-vescovi-13028.htm#.VYarnVJoac1

Di R. Cascioli

Contro tutto e contro tutti. Contro il maltempo che a due ore dall’evento ha scatenato un nubifragio che ha fatto temere l’annullamento della manifestazione; e contro i Galantini di ogni specie che hanno tentato in tutti i modi di sabotare questo evento di popolo. 

Ma alla fine il popolo, un popolo formato da famiglie, dai nonni ai bambini più piccoli, ha risposto ben oltre le più rosee previsioni: un milione di persone che hanno riempito piazza San Giovanni e le vie limitrofe soltanto per dire «Ci siamo, e siamo decisi a difendere con le unghie e con i denti i nostri figli, e con essi il futuro della nostra società». In decine di migliaia, che erano arrivati presto in piazza, hanno sopportato stoicamente anche il nubifragio, miracolosamente cessato poco prima dell’inizio previsto e ripreso violento appena cessate le ultime parole del portavoce di “Difendiamo i nostri figli” Massimo Gandolfini. È come se anche il Cielo si fosse commosso davanti a questa voglia insopprimibile di esserci e avesse infine ceduto sospendendo il diluvio per consentire che questa voce si sentisse forte e facesse tremare anche i sordi palazzi della politica.

Del resto, miracoloso è stato anche l’evento in sé.Deciso il 2 giugno, in soli 18 giorni si è realizzata una mobilitazione incredibile: da ogni parte d’Italia, dalla Val d’Aosta fino alla Sicilia e alla Sardegna decine e decine di migliaia di famiglie hanno organizzato e realizzato il viaggio a Roma nel silenzio dei media, nella discreta ostilità di una parte dei vertici dell’episcopato italiano, nella mancanza di sostegni istituzionali, nella assoluta assenza di finanziamenti da qualsivoglia organizzazione e istituzione. Un popolo si è davvero autoconvocato: non per esprimere rabbia, non per reclamare privilegi, ma consapevole di rappresentare il fondamento della nostra società e per riaffermare quindi con decisione la propria esistenza contro i tentativi di distruggerla. Tentativi – lo abbiamo detto tante volte - che si chiamano disegno di legge sulle Unioni civili (Cirinnà), riforma della scuola con l’inserimento obbligatorio di lezioni sul genere, progetto di legge contro l’omofobia (Scalfarotto). Il dialogo può ripartire solo riconoscendo la dovuta dignità a questo popolo, che – la piazza lo dimostra - non è affatto minoranza. Si può anzi dire che quello di ieri sia stato un successo ancora maggiore del Family Day del 2007, che bloccò i Di.Co proposti da Rosy Bindi: sia quantitativamente sia qualitativamente visto che è nato tutto dal basso.

Se ieri un messaggio è stato lanciato forte e chiaro dalla piazza è stato il no assoluto al disegno di legge Cirinnà, la prima minaccia da affrontare (in ordine di tempo). E no assoluto anche all’introduzione dell’ideologia di genere nelle scuole. Ieri, la prima reazione degli esponenti dei partiti di sinistra è stata di irritazione e di rabbia: una folla così, difficile ignorarla, mette quel granellino di sabbia nell’ingranaggio che potrebbe bloccare quella “gioiosa macchina da guerra” che è la lobby gay. D’altra parte la semplice convocazione della manifestazione ha provocato la nascita di un gruppo di lavoro di parlamentari sulla famiglia, e tanti di loro ieri erano in piazza mescolati in gran parte nel pubblico. Otterrà dei risultati politici? Difficile dirlo, e però è un fatto nuovo che non va sottovalutato.

Ma un messaggio chiaro deve essere arrivato anche alla Conferenza episcopale italiana (Cei): per la prima volta, finalmente, si è realizzato un evento voluto e gestito da laici senza l’ingombrante presenza di “vescovi-pilota”, come li ha definiti papa Francesco. Anzi, il principale “vescovo-pilota”, il segretario della Cei Nunzio Galantino, ha fatto di tutto per impedire che l’evento si realizzasse e che poi, una volta deciso, non avesse successo. Ha “pilotato” il Forum delle Associazioni Familiari verso la non adesione, ha “pilotato” Avvenire – il quotidiano di proprietà della Cei - verso il silenzio-stampa: minimo il risalto dato alla preparazione della manifestazione, scandaloso il tentativo di mitigarne gli effetti. 

Mentre tutti i giornali oggi danno ampio risalto in prima pagina al Family Day, l’Avvenire oggi in edicola (e nelle chiese) apre il giornale con questa sconvolgente notizia: «Lotta all’azzardo: il “bluff” del governo» (visto ieri sera in tv nell’anteprima delle prime pagine dei giornali). Ebbene sì, le polemiche intorno alla legge sul gioco d’azzardo sono la notizia del giorno per il quotidiano dei vescovi: neanche la Pravdadei tempi d’oro raggiungeva vette simili per nascondere le vere notizie. Ma non basta, la «folla grande e bella» di Roma è solo la terza notizia, dopo anche l’annuncio – che va avanti da giorni – della visita del Papa a Torino, che avverrà soltanto oggi. Una vergogna che non rende purtroppo ragione dell’impegno di quei vescovi – seppur minoranza – che invece hanno da subito sostenuto la manifestazione non facendo mancare il loro giudizio di pastori.

Certo è che la Cei nel suo insieme non ha proprio dato l’idea di «pastori che sentono l’odore del gregge», per usare l’efficace espressione di papa Francesco; il gregge è andato per la sua strada e i pastori l’hanno abbandonato. Una mancanza di direzione che coinvolge anche i movimenti ecclesiali: per la manifestazione di ieri si deve un grande grazie a Kiko Arguello (che ieri dal palco non ha mancato di lanciare una freccia appuntita a mons. Galantino) e al suo movimento Neocatecumenale, ma per il resto nessuno ha voluto metterci la faccia e si è arrivati ad esempio a situazioni paradossali, come quella di Comunione e Liberazione: tantissimi i militanti in piazza ieri malgrado il parere contrario dei vertici. È una ulteriore dimostrazione che, nel suo insieme, fosse dipeso dai vertici della Chiesa e dei gruppi ecclesiali ieri piazza San Giovanni sarebbe stata semideserta. E invece il popolo si è mosso, percependo con chiarezza la gravità del momento storico che stiamo vivendo. In tanti, ai piani alti della Chiesa dovrebbero riflettere. 

«Difendiamo i nostri figli».Grandissimo successo dell'autoconvocazione dei cattolici italiani : un chiaro messaggio ai politici e ai Vescovi


Clamoroso successo ieri a Roma di "Difendiamo i nostri figli", la manifestazione a difesa della famiglia e contro l'ideologia del gender e la proposta di legge sulle unioni civili. 
Un milione di persone, che hanno sfidato il maltempo e le posizioni incerte se non ostili di parte dell'episcopato e dei leader di alcuni gruppi ecclesiali. 


All’inizio si era messa male, perché a poco più di un’ora dall’inizio della manifestazione "Difendiamo i nostri figli", in piazza San Giovanni a Roma iniziava a scendere un vero e proprio diluvio. 
Ma è durato poco perché, mano mano che si avvicinavano le 15.30, ora dell’inizio della kermesse, la pioggia cessava, il cielo si apriva e, addirittura, ogni tanto si sentiva “il mormorio di un vento leggero” (1Re 19,12), anche piuttosto rinfrescante. 
Finito il silenziatore, ora inizia la falsificazione mediatica. 
Il milione di partecipanti, radunati dal Comitato promotore in soli 18 giorni, ha fatto schiumare di rabbia gli “antipatizzanti” di questa iniziativa interconfessionale, apartitica ed assolutamente di popolo, che si batte contro l’educazione gender nelle scuole e per il futuro della famiglia fondata sul matrimonio nel nostro Paese. 
Il Corriere della Sera si è esibito persino nel falsificare i dati metereologici, riportando come la pioggia abbia «funestato parte del Family Day a Roma, […] a nulla è servita l’invocazione “Signore abbi pietà” e l’augurio “Speriamo che non piova” lanciati dal palco»
La piazza era stracolma già prima dell’inizio della manifestazione, tanto che la vicina stazione della metropolitana San Giovanni ha continuato per ore a far uscire gente che si avviava in piazza, «per riaffermare il diritto di mamma e papà a educare i figli e fermare la colonizzazione ideologica della teoria Gender nelle scuole e nel Parlamento e bloccare sul nascere il ddl Cirinnà che consentirebbe in prospettiva adozione e utero in affitto per le coppie dello stesso sesso», spiegano i promotori del Comitato «Difendiamo i nostri figli», costituito a Roma il 2 giugno con portavoce il neurochirurgo Massimo Gandolfini. 
Fra gli striscioni colorati, i palloncini, i cartelli e le bandiere, l’età media è molto bassa, proprio come raccomandato dagli organizzatori: niente sigle ma solo famiglie, zii, nonni e, insomma, italiani che hanno a cuore il nostro futuro. 
Apologia della famiglia numerosa. 
Moltissimi erano i bambini come tanti, naturalmente, le mamme ed i papà presenti. 
La cosa bella è che fra di loro non mancavano i giovani. Tanto che fra le prime testimonianze significative apparse sul palco di San Giovanni c’è quella di Vincenzo e Sarah Aquino, genitori quarantenni di ben undici figli, che parlano con allegria della loro famiglia e della «Provvidenza, che è la mano generosa di Dio, che non ci ha mai fatto mancare nulla, dai vestiti al pane, dai pannolini ai giocattoli». 
Sono madri, padri e figli che, per lo più, sventolano bandiere in piazza ed espongono gli striscioni che sintetizzano i motivi ispiratori e gli obiettivi della manifestazione: «Ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società, difendete le vostre famiglie», «Giù le mani dai nostri figli», «Dio maschio e femmine li creò», «DDL Cirin-NO!». ... 
( continua) 

Dall'Articolo di Giuseppe Brienza, La Nuova Bussola Quotidiana 


Un nostro Lettore ci ha inviato la foto della schermata  di TELEVIDEO di ieri sabato 20 giugno : emblema del silenzio dei media ( = atti d'informazione guidata ) sul grande successo spontaneo dei cattolici di ieri a Piazza San Giovanni.
QUI il servizio del TG1