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Elenchi dei Vescovi (e non solo) pro e contro Fiducia Supplicans #fiduciasupplicans #fernández

Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

venerdì 28 febbraio 2014

Tommaso Moro e Giovanni Fisher

Il sangue versato per l’indissolubilità del matrimonio
San Giovanni Fisher e san Tommaso Moro
di Cristiana de Magistris da “ilconciliovaticanosecondo.it”




Anche l’indissolubilità del matrimonio ha i suoi martiri, che la santa Chiesa di Dio celebra ogni anno col fasto dovuto ai suoi figli più illustri. Il 22 giugno, nel martirologio romano si legge: “Santi Giovanni Fisher, vescovo, e Tommaso Moro, martiri, che, essendosi opposti al re Enrico VIII nella controversia sul suo divorzio e sul primato del Romano Pontefice, furono rinchiusi nella Torre di Londra in Inghilterra. Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, uomo insigne per cultura e dignità di vita, in questo giorno fu decapitato per ordine del re stesso davanti al carcere; Tommaso More, padre di famiglia di vita integerrima e gran cancelliere, per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica il 6 luglio si unì nel martirio al venerabile presule”. San Giovanni Fisher e san Tommaso Moro furono decapitati per aver difeso l’indissolubilità del matrimonio contro il divorzio di Enrico VIII da Caterina d’Aragona. In tal modo rimasero fedeli al papa come a capo supremo della Chiesa, negando il giuramento di fedeltà al re Enrico VIII che si era proclamato “Capo supremo della Chiesa d’Inghilterra”.
In un momento storico come quello attuale in cui par si voglia mettere in discussione anche l’indissolubilità del matrimonio, occorre rispolverare il passato e meditare a fondo sullo scisma d’Inghilterra, originato da un divorzio, e sul sangue dei suoi martiri, che ancor oggi continua a proclamare che il sacramento del matrimonio è di diritto divino.
La questione dell’indissolubilità del matrimonio si pose nel 1525 quando il re d’Inghilterra Enrico VIII, non avendo avuto eredi maschi da Caterina d’Aragona, si preoccupò della sua discendenza. Enrico era ancora cattolico al punto di aver meritato dal papa Leone X, nel 1521,  il titolo di “defensor fidei” per la sua apologia dei sacramenti della Chiesa cattolica contro l’eresia luterana, titolo che – con ironica incongruenza – rimane coniato tuttora sulle monete inglesi.
Poiché Caterina era la vedova di suo fratello, Enrico pensò di poter metter in dubbio la validità del matrimonio. La storia mostrerà che – più che la preoccupazione per il trono – fu la sua passione per Anna Bolena, per altro cortigiana della moglie, che lo condusse al divorzio da Caterina  e al susseguente scisma. Infatti, quando papa Clemente VII si rifiutò di annullare il matrimonio, Enrico gli disobbedì e si proclamò “Capo Supremo della Chiesa d’Inghilterra”, incorrendo nella scomunica. Ecco il succedersi degli eventi.
Nel 1527 il re aveva consultato – tra gli altri – Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, circa lo stato del suo matrimonio con Caterina d’Aragona che Enrico riteneva essere invalido. Fisher assicurò il re che non vi era il minimo dubbio sulla validità del matrimonio e che era pronto a difendere tale asserto davanti a chiunque. Per descrivere l’atteggiamento di Giovanni Fisher, il segretario del cardinal Campeggio, legato pontificio, nel 1529 così scrisse di lui: “Per non mettere in pericolo la sua anima, e per non essere sleale col re o mancare al dovere verso la verità in una materia così importante, egli dichiarò, affermò e dimostrò con ragioni probanti che il matrimonio del re e della regina non poteva essere sciolto da nessun potere umano o divino e per questo era disposto a dare la vita”.
Nel 1525, il vescovo di Rochester aveva scritto: “Una riflessione che mi colpisce profondamente circa il sacramento del matrimonio è il martirio di san Giovanni Battista, che morì per aver rimproverato la violazione del matrimonio. C’erano crimini in apparenza molto più gravi per la cui condanna il Battista poteva esser giustiziato, ma non c’era crimine più adatto dell’adulterio che potesse causare lo spargimento di sangue dell’amico dello sposo, poiché la violazione del matrimonio non è un insulto di poco consto a Colui che è lo Sposo per antonomasia”. A quel tempo, il problema del divorzio del re e della regina non era ancora stato sollevato. Ma le circostanze della morte di Fisher lo avvicineranno non poco alla sorte del Battista. Entrambi imprigionati, entrambi decapitati, entrambi vittime di donne impure. Ma ciò che Erode fece a malincuore, Enrico VIII compì con piena e crudele deliberazione.
Giovanni Fisher scrisse diversi libri in difesa di Caterina. I vescovi, che temevano l’ira del re – indignatio regis mors est, solevano dire –, lo invitarono a ritrattare, ma invano. Egli non poteva negare ciò che sapeva essere la verità.
La situazione, intanto, lungi dal sedarsi diveniva sempre più scottante. Il re, con le sue manie dittatoriali, non aveva alcuna intenzione di cedere. Roma aveva inviato i suoi legati per risolvere la complessa vicenda. Il clero inglese – salvo il vescovo di Rochester – era tristemente compatto nella resa, ossia nella desistenza all’autorità del re che finì col proclamarsi “Capo supremo della Chiesa d’Inghilterra”, atto, questo, reso possibile proprio dalla capitolazione dei vescovi con quella che è passata alla storia come la “sottomissione del Clero” del 15 maggio 1532. Il giorno dopo, Tommaso Moro, fino a quel momento gran cancelliere d’Inghilterra, rassegnò le sue dimissioni. Piuttosto che scendere a compromessi, preferì ritirarsi. Nel 1533 Enrico sposò Anna Bolena e nel 1534, attraverso il cosiddetto “Atto di Supremazia”, si proclamò “capo supremo sulla terra della Chiesa d’Inghilterra”.
Tutti i vescovi prestarono il loro giuramento sulla supremazia del re in campo religioso tranne uno, Giovanni Fisher, il quale fu subito imprigionato nella torre di Londra, dove, durante i lunghi mesi di cattività, scrisse tre opere, due in inglese (A spiritual consolation e The ways of perfect religion) ed una in latino sulla necessità della preghiera. Nel medesimo giorno, il 13 aprile del 1534, venne fatto arrestare anche Tommaso Moro.
Durante la prigionia di Giovanni Fisher e Tommaso Moro (aprile 1534-giugno 1935), Enrico VIII proseguì con tenacia l’organizzazione d’una chiesa nazionale indipendente da Roma. Il re tentò di conquistare Giovanni Fisher alla sua causa attraverso la mediazione di alcuni vescovi che lo visitarono nella sua prigione. Durante uno di questi colloqui, Giovanni Fisher esortò i presuli ad essere uniti “nel reprimere l’intrusione violenta ed illegale fatta ogni giorno contro la comune madre, la Chiesa di Cristo” piuttosto che nel promuoverla. Fu quella l’occasione per pronunciare il suo storico giudizio sui suoi fratelli nell’episcopato: “La fortezza (ossia la Chiesa, ndt) è tradita da coloro stessi che dovrebbero difenderla!”.
Il 7 maggio il re inviò uno dei suoi consiglieri per tentare ancora una volta di piegare Fisher al compromesso. Il santo Vescovo ribadì senza mezzi termini che “secondo la legge di Dio, il re non è né può essere il Capo supremo della Chiesa d’Inghilterra”. Enrico non aveva bisogno d’ulteriori prove, e quando papa Paolo III – nella speranza di salvare la vita al vescovo di Rochester – lo nominò cardinale di Santa Romana Chiesa, Enrico VIII, alludendo all’imminente decapitazione del Santo, disse che il Sovrano Pontefice poteva ben inviare la berretta rossa, ma questa non avrebbe trovato più la testa su cui posarsi. 
La sentenza venne eseguita alle 10 del 22 giugno 1535 nella Torre di Londra: la sua testa rimase esposta all’ingresso del ponte di Londra fino al 6 luglio, quando venne gettata nel Tamigi e sostituita da quella di Tommaso Moro, che nella sua autodifesa, dopo la condanna a morte, disse che la vera causa della sua accusa di tradimento era stato il rifiuto di accettare l’annullamento del matrimonio di Enrico con Caterina.

Prima di morire, mentre nella torre di Londra Fisher meditava sull’incredibile cambiamento di scena avvenuto in Inghilterra negli ultimi 10 anni. “Guai a noi – scrisse nel suo libro sulla necessità della preghiera – che siamo nati in questi tempi maledetti, tempi – e lo dico piangendo – in cui chiunque abbia il minimo zelo per la gloria di Dio [... ] sarà mosso al pianto vedendo che tutto va alla rovescia, il bell’ordine delle virtù è capovolto, la luce spendente della vita è estinta, e della Chiesa non è rimasto nulla se non palese iniquità e falsa santità. La luce del buon esempio è spenta in coloro che dovrebbero brillare come lucerne in tutto il mondo […]. Purtroppo da loro non viene alcuna luce, ma solo tenebre oscure e inganno pestilenziale per cui innumerevoli anime si perdono”. Queste parole erano indirizzate anzitutto ai vescovi che, mancando gravemente al loro dovere di pascere il gregge di Cristo, invece di opporsi, con l’esempio e la predicazione, alla tirannia di Enrico, avevano tristemente cooperato all’apostasia con il loro silenzio colpevole.
San Tommaso Moro, nella stessa prigione e nel medesimo tempo, scriveva il suo “De tristitia Christi”, la sua opera sull’infinito amore e l’inesausta misericordia di Dio. Anche lui, riflettendo sull’apostasia dei vescovi inglesi, scriveva: “Se un vescovo è sopraffatto da uno stupido sonno che gli impedisce di compiere il suo dovere di pastore delle anime – come il capitano pauroso di una nave che, atterrito dalla tempesta, si nasconde e abbandona l’imbarcazione alle onde – se un vescovo agisce in questo modo, io non esito a paragonare la sua tristezza a quella che conduce all’inferno. Anzi, la considero assai peggiore poiché tale tristezza in questioni religiose sembra derivare da una mente che dispera dell’aiuto di Dio”.
Giovanni Fisher e Tommaso More furono giustiziati e, cogliendo la palma d’un glorioso martirio, volarono dalla prigione terrena ai gaudi dell’eterna beatitudine. Con san Giovanni Battista, essi sono i martiri dell’indissolubilità del matrimonio come non mancò di affermare Pio XI in occasione della loro canonizzazione: essi morirono perché non desistettero di “illustrare, provare e difendere coraggiosamente la santità del casto connubio”.
Ma quale fu la sorte di Enrico VIII dopo il suo divorzio da Caterina d’Aragona?  Il re “sposò” Anna Bolena che, tre anni dopo, egli stesso fece giustiziare con l’accusa di alto tradimento, incesto e adulterio. Il giorno dopo l’esecuzione, il re “sposò” Jane Seymour, che morì nel 1537, un anno dopo, per complicazioni sopravvenute nel dare alla luce l’unico erede maschio alla corona, Edoardo VI. Enrico sposò allora, nel 1540, Anna di Cleves da cui divorziò pochi mesi dopo per sposare Caterina Howard, anch’essa fatta giustiziare dal re, nel 1542. L’ultima moglie fu Caterina Parr, che scampò alla morte perché questa colse prima Enrico, nel 1547.
Durante il suo ultimo connubio, il corpo di Enrico VIII, obeso, iniziò ad essere coperto di ulcere purulente. Morì all’età di 55 anni, nel 1547. Le sue ultime parole furono: “Monaci, monaci, monaci”, che probabilmente manifestavano il suo rimorso per aver espulso tanti monaci dai loro monasteri ed usato i loro beni per le sue guerre.
Un frate francescano gli aveva predetto che, come accadde al re Acab che fu maledetto da Dio, anche il suo sangue, dopo la morte, sarebbe stato leccato da cani. E così avvenne. Dalla bara di Enrico VIII fuoriuscì del liquido che subito divenne la bevanda di un cane.
A questa macabra fine si aggiunge un fatto storico degno di nota. Enrico VIII aveva giustificato il suo divorzio da Caterina col pretesto di voler dare un discendente maschio alla corona inglese. Ma, nonostante i suoi 5 successivi “matrimoni”, il re – morto l’unico erede maschio a meno di 18 anni – non riuscì a perpetuare la dinastia dei Tudor che, infatti, terminò con Elisabetta I, la quale, rimasta nubile, fece sì che la corona passasse agli Stuart. A chiudere la dinastia dei Tudor fu dunque l’unica figlia di Anna Bolena, colei che Enrico – divorziando da Caterina – aveva sposato per assicurare la discendenza alla corona.
Lo scisma anglicano è fondato su un divorzio. Se l’indissolubilità del matrimonio venisse negata, occorrerebbe per logica revocare la scomunica di Enrico VIII e a tutta la chiesa anglicana da lui fondata. Ma rimarrebbe il sangue dei martiri di quell’indissolubilità a testimoniare che il matrimonio è di diritto divino e  nessuno, neppure “la Chiesa ha su di esso alcun potere”  ..
I Vescovi inglesi del XVI secolo mancarono gravemente al loro dovere per quella pusillanimità di cui spesso si macchiano gli uomini di Chiesa. Lo scisma della Chiesa inglese fu dovuto non tanto alla forza malvagia di Enrico VIII quanto alla loro desistenza, solennemente manifestata con l’inglorioso Atto di “sottomissione del Clero” del 15 maggio 1532.
L’indissolubilità del matrimonio è nell’ora attuale al centro di un acceso dibattito. Memori di ciò che avvenne nel XVI secolo in Inghilterra, non ci stupiremo di trovare nella Chiesa vescovi pavidi e pronti alla resa. Confidiamo che la divina Provvidenza susciti miracolosamente anime generose, pronte a difendere i diritti di Dio, vescovi e laici emuli di san Giovanni Fisher e Tommaso Moro. Ma soprattutto speriamo che, nello scenario decadente che è sotto i nostri occhi, non ci tocchi la cattiva sorta di trovare nelle gerarchie ecclesiastiche qualche novello Erode o Enrico VIII: quod Deus avertat!

E' morta la mamma di don Alfredo

I nostri amici e fratelli ci hanno comunicato che è morta la madre di Don Alfredo Morselli. 
 I funerali si svolgeranno domani Sabato 1 Marzo alle ore 09.00 presso la Parrocchia di S. Venanzio Martire a Stiatico (BO) . 
Stasera  , Venerdi 28 Febbraio, nella medesima chiesa dalle ore 19 ci sarà la veglia funebre. 
Tutti ci stringiamo con grande affetto in preghiera al carissimo Don Alfredo. 

In Jesu et Maria 

N.B.

giovedì 27 febbraio 2014

Hanno chiuso il Cielo

Hanno chiuso il Cielo 
  È la liturgia che si deve adattare al tempo degli uomini, o è il tempo degli uomini che deve prendere la forma della liturgia cattolica?

  Ci sembra che la questione cruciale sia tutta qui.

  Un cristianesimo “modernistico” che vede le verità di fede emergere dal profondo della coscienza degli uomini, vorrebbe che la liturgia prendesse le mosse dal vissuto antropologico, dalla vita degli uomini, per celebrare la consapevolezza umana del proprio rapporto con Dio. In fondo è stata questa la linea vincente di questi anni: la liturgia ha sempre di più celebrato l'uomo, anche quando ha celebrato la fede dell'uomo. Insomma, la liturgia si è adattata alla vita del tempo. Risultato? Una tragedia! Dio e le cose eterne praticamente scomparse dalle chiese, per far posto alla fede dei credenti, che esprimono, commentano, interpretano quello che loro vivono nei confronti di Dio. La liturgia riformata parla nel migliore dei casi della Chiesa, ma quasi mai di Dio. E quando parla della Chiesa, lo fa più secondo l'ottica di “Popolo di Dio in cammino” che come “Corpo Mistico di Cristo”.
  E guardate che non stiamo parlando di quelle sfacciate para-liturgie tutte sociali e umanamente impegnate dei catto-comunisti degli anni '70... parliamo piuttosto di quelle liturgie, di quelle messe, che oggi vanno per la maggiore nell'ufficialità delle diocesi, dove si parla di fede, di comunità credente, di popolo attorno al suo vescovo; di liturgie che celebrano questa comunità, ma nelle quali non si adora Dio presente e non ci si inabissa nel mistero della redenzione. È una sorta di neomodernismo liturgico che ha superato la tentazione marxista del solo impegno del mondo, ma che parlando di fede si sofferma sui credenti, ma non arriva mai a Dio, a Nostro Signore, alle verità eterne, alla questione della salvezza. È come se ci si fosse accorti che non si poteva andare avanti, come anni fa, in un cristianesimo orizzontale, e si è così approdati all'impegno sociale ecclesiale, per edificare la comunità dei credenti. In ogni caso l'errore è sempre lo stesso: partire dall'uomo e chiudere il Cielo.
  Ma l'uomo ha proprio bisogno di questa auto-celebrazione della propria fede, o non è fatto piuttosto per inabissarsi in Dio?
  No, la liturgia cattolica è cosa totalmente diversa: è l'irruzione del Cielo sulla terra ed è la porta aperta tra il Cielo e la terra!
  Se volete tentiamo di dare due eloquenti immagini contrapposte, che dicono due concezioni diverse, molto diverse del culto: quella di un semplice prete che in una delle tante chiese sparse nell'orbe cattolico celebra, nella quiete della preghiera, rivolto al Crocifisso, l'eterno sacrificio che salva le anime, assistito dalla orante e adorante attenzione dei fedeli, e quella di una rumorosa e festosa comunità, che andando alla messa è preoccupata di “fare comunità esprimendo i propri carismi” (in verità facendo qualcosa perché nelle nuove messe mal si sopporta lo stare fermi) e di mettersi al passo con le direttive dell'operatore pastorale... e che in ultimo farà certo anche la comunione. Sono due concezioni opposte, inconciliabili. Una, quella tradizionale, fa spazio all'azione di Dio, l'altra si sofferma... ma forse, osiamo dire, si ferma all'azione della comunità!
  Vedete, le verità di fede non nascono dalla coscienza profonda degli uomini, dal vissuto della comunità che reinterpreta il proprio vissuto alla luce di Dio, ma sono comunicate dalla reale rivelazione di Dio che la Chiesa custodisce e trasmette: la rivelazione discende dal Cielo, non germoglia dalla terra come vorrebbero i modernisti. Così la liturgia porta il Cielo in terra e porta la terra al Cielo. É azione di Dio innanzitutto, e non primariamente azione della Chiesa. La Chiesa riceve l'azione di Dio, la custodisce, la esprime utilizzando certamente tutte le possibilità umane adeguate; salvaguardia la liturgia dalle modifiche errate che possono confondere l'opera di Dio e la trasmette fedelmente custodendola, perché il Cielo resti aperto sugli uomini.
  Tutti, praticamente tutti, quando si parla di Movimento Liturgico amano rifarsi a dom Guéranger, il grande abate benedettino che rifondò il monachesimo in Francia dopo la tempesta rivoluzionaria. Con lui si dà inizio al Movimento Liturgico, cioè a quella rinascita dello spirito cristiano che dalla liturgia prende le mosse. Autore prolifico, pensiamo all'Anno Liturgico da lui pubblicato ma non solo, partecipe di tutti i drammi e le battaglie della Chiesa del XIX secolo, ascoltato consigliere di Pio IX... fondatore dell'abbazia di Solesmes.
  Ma cosa voleva veramente dom Guéranger? E cosa chiedeva San Pio X, riprendendo con autorevolezza il lavoro del grande benedettino e dando così nuovo vigore proprio al Movimento Liturgico? Volevano che il popolo avesse l'intelligenza delle cose divine (che capisse la liturgia della Chiesa), perché queste penetrassero di nuovo la vita del popolo cristiano. Volevano una grande opera di educazione perché le cose del Cielo tornassero a dare forma alla vita degli uomini.
  Ma citiamo dom Guéranger: “I misteri del grande sacrificio, dei sacramenti, dei sacramentali, le fasi del ciclo cristiano così feconde in grazia e in luce, le cerimonie, questa lingua sublime che la Chiesa parla a Dio davanti agli uomini; in una parola tutte queste meraviglie torneranno familiari al popolo fedele. L’istruzione cattolica sarà ancora per le masse il grande e sublime interesse che dominerà tutti gli altri; e il mondo tornerà a comprendere che la religione è il primo dei beni per l’individuo, la famiglia, la città, la nazione e per la razza umana tutta intera” (Institutions liturgiques - seconda ediz., t. III cap. 1, pag. 13).
  Guéranger, e con lui Pio X con la sua troppo mal citata “partecipazione attiva”, volevano l'esatto contrario di quello che si è fatto dal Concilio in poi. Nel post-concilio la liturgia è stata trasformata per aderire alla vita degli uomini, la Chiesa nel passato ha invece sempre desiderato che la vita degli uomini prendesse forma dalla liturgia cattolica.
  Non volevano un abbassamento della liturgia alla vita meramente naturale degli uomini, ma volevano un innalzamento del popolo ai sublimi misteri.
  Cosa se ne fa un uomo di una liturgia che gli parla solo delle sue speranze e delle sue fatiche, che gli parla del suo “senso religioso”, ma che non gli parla mai del Cielo? E’ su questo equivoco che tragicamente è fallito il Movimento Liturgico.
  Occorre tornare a Guéranger e al vero San Pio X. Ma, a quando questo ritorno?

mercoledì 26 febbraio 2014

Lettera di Benedetto XVI a Tornielli (LaStampa): "Vi spiego perchè non sono più il Papa)


Nella lettera inviata a Tornielli, che gli aveva inviato alcune domande a proposito di presunte pressioni e complotto che avrebbero provocato le dimissioni, Benedetto XVI usa una carta intestata: "Benedictus XVI, papa emeritus".
Non chiosiamo il testo con nostre impressioni nè con commenti: un nodo ci stringe la gola. Rileviamo solo una circostanza, pur banale, però molto eloquente: quello regnante non si firma papa, mentre a farlo è solo quello emerito. E per di più in latino.  Ci piange il cuore. E non solo per affetto.

Roberto

Ratzinger: la mia rinuncia è valida, assurdo fare speculazioni 
Benedetto XVI risponde con una lettera ad Andrea Tornielli:
il nostro vaticanista gli aveva inviato alcune domande a proposito
di presunte pressioni e complotti che avrebbero provocato le dimissioni
di A. Tornielli, da Vatican Insider del 26.02.2014

 «Non c'è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino» e le «speculazioni» in proposito sono «semplicemente assurde». Joseph Ratzinger non è stato costretto a dimettersi, non l'ha fatto a seguito di pressioni o complotti: la sua rinuncia è valida e oggi nella Chiesa non esiste alcuna «diarchia», nessun doppio governo. C'è un Papa regnante nel pieno delle sue funzioni, Francesco, e un emerito che ha come «unico e ultimo scopo» delle sue giornate quello di pregare per il suo successore.
Dal monastero "Mater Ecclesiae" dentro le mura vaticane, il Papa emerito Benedetto XVI ha preso carta e penna per stroncare le interpretazioni sul suo storico gesto di un anno fa, rilanciate da diversi media e sul web in occasione del primo anniversario della rinuncia. Lo ha fatto rispondendo personalmente a una lettera con alcune domande che gli avevamo inviato nei giorni scorsi, dopo aver letto alcuni commenti sulla stampa italiana e internazionale riguardanti le sue dimissioni. In modo sintetico ma precisissimo, Ratzinger ha risposto, smentendo i presunti retroscena segreti della rinuncia e invitando a non caricare di significati impropri alcune scelte da lui compiute, come quella di mantenere l'abito bianco anche dopo aver lasciato il ministero di vescovo di Roma.

martedì 25 febbraio 2014

Finalmente, è stato Lui ad avere l'ultima parola


Unico maschio di una famiglia di cinque figli, i miei genitori si sono sempre sforzati di darmi una sana educazione cristiana. Ancora piccolo, ho avuto la grazia di assistere agli inizi della comunità tradizionale a Colmar, crescendo alla sua ombra e investendomi poco a poco come ministrante e poi nello scoutismo. Mediante il servizio all’altare, mi sono immerso nel cuore della liturgia, quest’azione divina che fa scendere un po’ di Cielo sulla terra, e ho percepito una viva attrazione per il sacro. Dallo scoutismo ho appreso il dono e il superamento di sé, come pure lo spirito di équipe che rispetta la debolezza del più piccolo e si appoggia sui più valorosi in un ambiente di sana fraternità: una vera piccola scuola di vita monastica! Verso l’età dei cinque anni visitavo con la mia famiglia il monastero benedettino di Le Barroux, situato in un bel paesaggio della Provenza, immerso tra il Mont Ventoux e le Dentelles de Montmirail. In questo monastero a quel tempo ancora in costruzione, la vita monastica era vissuta nella sua purezza originale e io ne fui davvero colpito. All’età di dodici anni ebbi una convinzione interiore che Dio mi chiamava a condurre la vita monastica in questo monastero e quattro anni più tardi inoltrai molto seriamente la mia domanda di ammissione… che poté essere accettata solo dopo il mio diciottesimo anno. 
Leggendo queste righe si potrebbe pensare che il mio itinerario è avvenuto molto semplicemente… niente affatto. Durante i cinque anni che hanno preceduto la mia entrata nella vita religiosa, sono stato ininterrottamente combattuto dal desiderio di fondare una famiglia, di avere un mestiere appassionante o di fare qualcosa di straordinario, al punto di dimenticare talora completamente questo desiderio di donarmi a Dio; una lotta interiore spesso pesante da sopportare. Finalmente, è stato Lui ad avere l’ultima parola: ero nelle sue mani. A una persona desiderosa di donare la propria vita a Dio, o che non si è mai posto seriamente il problema della vocazione, io proporrei di prendersi il tempo di fare silenzio nel proprio cuore, per ascoltare il Signore, che ha tante cose da dirci. 
Una visita quotidiana in una chiesa; dopo la comunione, un’azione di grazie non abbreviata dalle mondanità in uso sul sagrato; un tempo breve nel corso della giornata per leggere la Sacra Scrittura… Prendere sul serio la propria vita cristiana e compiere con amore il proprio dovere di stato attuale, è la preparazione per eccellenza alla vita consacrata. 
La santa Vergine è la Madre di tutte le vocazioni: non dimentichiamoci mai di porci sotto la sua protezione. La Chiesa ci dà il dovere di scoprire la nostra vocazione di figli di Dio. Scriveva Guy de Larigaudie: «La vita ideale è quella in cui Dio ci vuole, individualmente, monaco, avventuriero, poeta, calzolaio o assicuratore». 
Noi tutti abbiamo la vocazione all’eterna beatitudine. Onde permetterci di corrispondervi, il Signore propone a ciascuno lo stato di vita mediante il quale, nel suo piano divino, noi potremo rendergli gloria nel modo migliore. «Non abbiate paura di Cristo – ci diceva Benedetto XVI –, colui che si dona a Lui riceve il centuplo». Non abbiamo paura di camminare controcorrente nella società attuale! 
Dopo otto anni di vita monastica, se mi chiedessero «saresti pronto a ricominciare?», forse vi rifletterei un istante… poiché, non bisogna nasconderlo, se la vita monastica fosse una situazione comoda, i monasteri sarebbero brulicanti di vocazioni! Al contrario, il Signore non risparmia le prove a coloro che diventano suoi amici. San Benedetto parla bene di «tutta la durezza e l’asperità del cammino che conduce a Dio». 
Ancor più, non basta avere la vocazione affinché una vita consacrata sia vissuta in una facile quiete. Essere fedele all’appello divino è la battaglia di tutta una vita, e il privilegio di vivere in un ambiente protetto, separato dal mondo, al riparo da numerose preoccupazioni, in una comunità ove tutto è perfettamente organizzato, talora può diventare un autentico purgatorio…
 Queste considerazioni sono certamente gravi, ma non devono farci dimenticare che la vocazione religiosa è una chiamata puramente gratuita e senza alcun rapporto con i nostri meriti. La ragione umana non lo può spiegare, se non per un misterioso scambio d’amore del Creatore verso la sua creatura, quest’ultima non avendo altro che la propria fiducia da presentare quale cantico di azione di grazie. 
Cosa sono le nostre croci paragonate a quella di Cristo, gravata da tutte le nostre sofferenze e infedeltà riunite, assunte in uno slancio di misericordia per essere offerte al Padre? Perciò, alla domanda posta più in alto, risponderei – non senza rimpiangere di avere esitato – «sì, di tutto cuore!».
 Un sapiente diceva che i monaci sono gli uomini più felici sotto il sole. Nell’attesa di pronunciare i miei voti definitivi, qualche anno di apprendistato monastico mi permette di dirvi che questo sapiente era davvero un gran saggio! 

[C’est Lui qui eut le dernier mot, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

La Giunta dell’Andalusia «studia» l’esproprio della Cattedrale di Cordoba

La basilica è unica al mondo perché contiene al suo interno anche una moschea. 
Un gruppo laicista spagnolo ne ha chiesto la nazionalizzazione, un membro socialista della Giunta gli ha dato retta cordoba-cattedrale-esproprioLa Giunta dell’Andalusia ha commissionato ufficialmente uno studio per sapere se è nelle sue prerogative espropriare alla Chiesa cattolica la Cattedrale di Cordoba. 
Sembra uno scherzo da Rivoluzione francese ma non lo è. 
L’esecutivo che governa la comunità autonoma andalusa ha «commissionato uno studio giuridico per sapere se è in suo potere reclamare che il bene diventi proprietà pubblica». 


PATRIMONIO DELL’UMANITÀ. 
La Cattedrale, inserita nella lista dell’Unesco come “Patrimonio dell’umanità”, è famosa perché accoglie al suo interno anche una moschea musulmana di rara bellezza. 
La basilica è stata costruita in origine nel 550 e nel 714 occupata per metà dai musulmani, che avevano conquistato la città, i quali nel 786 distrussero la basilica per costruirci sopra una moschea. 
Nel 1236 re san Ferdinando III riconquistò la città, restituì il tempio al culto cattolico donando il terreno alla Chiesa, che nel 1523 costruì una basilica rinascimentale mantenendo però al suo interno l’architettura della moschea. 


DUE PETIZIONI. 
Due settimane fa un gruppo laicista spagnolo ha lanciato una petizione su internet (che ha raggiunto 88 mila firme) per chiedere l’esproprio della Cattedrale, la sua “nazionalizzazione” e laicizzazione. 
Farebbe così la fine di Santa Sofia a Istanbul. 
La petizione non avrebbe alcun valore se Isabel Ambrosio, delegata socialista della Giunta dell’Andalusia per Cordoba, non l’avesse firmata «a titolo personale» e non avesse commissionato lo studio di fattibilità per l’esproprio. 
Per fermare l’iniziativa, in Spagna è stata lanciata due giorni fa anche una contro-petizione per chiedere al governo, «invece che pensare a rubare e a espropriare cattedrali alla Chiesa», di occuparsi dei veri problemi degli andalusi. 

Leone Grotti


 Fonte : Tempi

lunedì 24 febbraio 2014

Le giuste rimostranze a "Radio Maria"


Padre Livio ha deluso moltissime persone
di Marco Bongi
"La nostra emittente si è impegnata ad evangelizzare non solo attraverso l'obbedienza al Magistero e alla Dottrina, ma anche con il sostegno alle concrete iniziative pastorali del S. Padre".
Con queste parole, più o meno sempre le medesime, p. Livio Fanzaga stronca regolarmente in partenza ogni dibattito o protesta a riguardo dei vergognosi licenziamenti posti in essere, negli ultimi mesi, a Radio Maria, la radio di cui è direttore.
E' il tipico atteggiamento di chi non vuole confrontarsi, perché non ha evidentemente ragioni da addurre: E' così..., perché è così... e basta. Non importa se il regolamento è giusto o meno; quì comando io, questa è casa mia e chi non accetta le mie condizioni, se ne deve andare.  
Il discorso è chiuso.
Egli non si rende neppure conto dell'assurdità del suo ragionamento. Laddove infatti egli mette esplicitamente in contraddizione il Magistero e la Dottrina, con le concrete iniziative pastorali del S. Padre, egli ammette, cosa davvero inaudita, che ci possa essere opposizione fra questi elementi dell'azione ecclesiale.
In altre parole: p. Livio dà per scontato, e non si scandalizza minimamente di tale fatto, che ci possano essere situazioni nelle quali il Magistero e la Dottrina dicano una cosa..., e le concrete iniziative pastorali del S. Padre ne presentino un'altra diversa.
Se così infatti non fosse..., tanto per fare un esempio, il prof. De Mattei, nel momento in cui difende il Magistero e la Dottrina, dovrebbe, più o meno automaticamente, esporre anche l'atteggiamento pastorale del Papa. Quest'ultimo, del resto, cosa dovrebbe forse fare di diverso se non "Confermare i fratelli nella Fede, pascere gli agnelli e le pecorelle del Signore"?   
Ma il Fanzaga sembra non comprendere, o forse finge di non comprendere, o forse ancora è costretto a non comprendere.
Ascoltando inoltre questa nuova versione di p. Livio francescano (ovviamente non nel senso di discepolo del poverello d'Assisi), mi viene alla mente, con sconsolante tristezza, il giorno in cui, poco prima del Conclave 2005, fu proprio lui a farmi conoscere una famosa citazione di S. Vincenzo di Lerins:
"Ci sono Papi che Dio dona alla Chiesa, altri li tollera, altri infine li infligge".
E la medesima citazione fu più volte ripetuta, nella rassegna stampa e nella Catechesi giovanile, anche prima del Conclave 2013. Già solo far riferimento a tali parole dunque presuppone il fatto che ci possano essere nella storia Pontefici non santi, i cui comportamenti non possono costituire esempio per i cristiani.
Perchè allora il p. Fanzaga non si auto-licenzia dalla sua radio?
Ma le contraddizioni del direttore di Radio Maria si moltiplicano in questi ultimi mesi.
Egli, tanto per fare un esempio, oggi si affanna a sostenere che: "Non serve a nulla condannare chi si comporta male..., è più utile presentare positivamente la bellezza della famiglia cristiana, della vita nascente o del matrimonio"
All'epoca però del referendum abrogativo radicale sulla legge 40, fu proprio lui ad impegnarsi con forza a favore dell'astensione e diede molto spazio ad importanti bioeticisti che esposero con chiarezza la dottrina morale cattolica indicando, senza ambiguità, ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
Ma probabilmente erano altri tempi...
Naturalmente poi..., e la cosa sfiora il grottesco, a suo dire tutti i pronunciamenti e comportamenti di Papa Francesco sono, più o meno esplicitamente, in perfetta sintonia con i presunti messaggi della Madonna di Medjugorje.
In questo articolo non intendo occuparmi di tali messaggi, anche perché non spetta al sottoscritto giudicarne l'autenticità. Noto tuttavia, non senza stupore, come la medesima "piena sintonia" veniva regolarmente dichiarata anche all'epoca dei pontificati precedenti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. 
Chissà allora che non sia proprio la S. Vergine, ad aver ispirato prima il Summorum Pontificum e poi... qualche anno dopo, il commissariamento dei F.I., con il relativo divieto della celebrazione V.O.
In conclusione devo purtroppo esprimere, ancora una volta, la mia tristezza e delusione di fronte al nuovo corso dell'emittente di Erba. In tanti ci avevamo creduto, in tanti pensavamo che p. Livio fosse davvero un sacerdote, magari non di impostazione tradizionale, ma comunque  coraggioso.
Scrivere queste righe dunque mi costa davvero molto ma la Verità è assai più importante e non si può tacere. Chiedo allora a tutti gli ascoltatori di Radio Maria di vincere i timori e di far sentire il loro sconcerto, alto e forte, alla direzione.
Marco Bongi

sabato 22 febbraio 2014

Il Papa: “La Chiesa ha bisogno della nostra preghiera...”

"Diversamente dai discepoli di allora, noi sappiamo che Gesù ha vinto, e non dovremmo avere paura della Croce, anzi, nella Croce abbiamo la nostra speranza.
Eppure, siamo anche noi pur sempre umani, peccatori, e siamo esposti alla tentazione di pensare alla maniera degli uomini e non di Dio. 
E quando si pensa in modo mondano, qual è la conseguenza? 
Dice il Vangelo: «Gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni» (v. 41). 
Si sdegnarono. 
Se prevale la mentalità del mondo, subentrano le rivalità, le invidie, le fazioni…" 

(Dall’ Omelia del Santo Padre Francesco nel Concistoro ordinario pubblico per la creazione di nuovi Cardinali, Basilica Vaticana Sabato, 22 febbraio 2014

In questo giorno la Chiesa non celebra le cattedre dei vescovi e delle conferenze episcopali, ma la Cattedra di Pietro.

"Non c'era nulla di umanamente insensato nelle risposte che gli Apostoli diedero a Gesù quando chiese loro di riferire cosa pensasse la gente. 
Eppure quelle risposte non erano la verità. 
Soltanto Dio può rivelare se stesso e la sua volontà. Soltanto il Padre può rivelare il Figlio a coloro che accettano di riconoscerlo come l'Unigenito pieno di grazia e di verità. 
Soltanto lo Spirito Santo può donare di essere partecipi, per mezzo del Figlio, alla vita di Dio nella nuova dignità filiale acquistata per noi con il sacrificio della Croce. 
Per questo soltanto Pietro, raggiunto da una speciale rivelazione del Padre, ha ricevuto il potere di confermare nella fede, che significa anche la prerogativa di non far ragionare secondo le aspettative umanamente sensate, bensì secondo le insondabili ricchezze del mistero che ci è stato rivelato e donato. 
In questo giorno la Chiesa non celebra le cattedre dei vescovi e delle conferenze episcopali, ma la Cattedra di Pietro. 
Senza di essa, come è avvenuto moltissime volte nella storia, anche gli apostoli possono essere condotti sulle vie dell'umanamente sensato o piacevole. 
Perché soltanto insieme, e soltanto con Pietro, hanno ricevuto il carisma certo della verità per la Chiesa Universale loro affidata. 
Nelle loro chiese particolari, che sono composte di uomini concreti, e che camminano nella storia, non vive una Chiesa pensata a immagine loro o dei battezzati che la compongono, ma l'unica Chiesa di Cristo, che professiamo Una, Santa, Cattolica e Apostolica. 
Con la stessa fede crediamo e professiamo che Cristo oggi parla per bocca di Francesco. 
Sosteniamo il Papa con la nostra preghiera. 
E chiediamo che i nostri pastori siano uniti a lui nella confessione dell'unica fede. 
Che corrispondano al carisma divino della verità e non alla moda del consenso. 
Preghiamo anche per i vescovi che non ricercano il plauso del mondo, ma che edificano l'unica Chiesa con l'umile e paziente dedizione a Cristo e al loro ministero". 
" Concistoro: il Papa emerito Benedetto XVI incontra papa Francesco " Repubblica.it

Palmaro e Gnocchi invitano a sottoscrivere l’articolo di Roberto de Mattei


Le epurazioni a Radio Maria.
L’articolo di Roberto de Mattei è integralmente cattolico?

"Vogliamo considerare quel suo articolo che tanto ha inquietato padre Livio Fanzaga come se l’avessimo scritto anche noi, dalla prima all’ultima riga, titolo compreso e sotto ci mettiamo anche la nostra firma.

Anzi, a questo proposito, vogliamo lanciare una piccola iniziativa: lo firmino tutti coloro che lo ritengono integralmente cattolico": per leggere tutto l'articolo di Gnocchi e Palmaro vai su "Riscossa Cristiana".

Scissione dall'Istituto del Buon Pastore



La Segnatura, in qualche modo, ha risposto. 
E noi pure 

Sabato 22 febbraio 2014, Cattedra di San Pietro

I fondatori dell’Associazione chierici “San Gregorio Magno”
1) La risposta della Segnatura e altri due segni analoghi 

A chi in questi mesi ci ha chiesto notizie sulla situazione nell’Istituto del Buon Pastore, sulla battaglia identitaria dei resistenti dell’IBP e su eventuali novità, abbiamo spesso risposto di seguire questa rivista, nella quale si potevano trovare non poche risposte. Avevamo scritto che quando avessimo avuto dati certi e completi ne avremmo parlato pubblicamente nella medesima sede. Lo ricordiamo perché, anche per la comprensione dei recenti sviluppi, è importante non perdere di vista quanto già esposto, ed eventualmente rileggerlo.
Ciò premesso, abbiamo ora ulteriori elementi di cui dare comunicazione, possiamo infatti considerare che il Tribunale della Segnatura abbia ormai risposto. Ad esso erano stati inoltrati quattro ricorsi, da parte di tre sacerdoti dell’Istituto, inerenti vari aspetti oggetto di obiezione. Due di questi non hanno ancora avuto alcuna risposta; ma la comparazione dei tempi di scadenza ci fa ragionevolmente considerare - con un buon margine ormai, avendo noi ad cautelam ulteriormente atteso - che la procedura sia ormai completa. Vediamo dunque i due ricorsi che una qualche riposta esplicita l’hanno ricevuta.
Un primo ricorso - contenente soprattutto la domanda di conoscere alcuni documenti inerenti la vicenda - ha avuto una risposta negativa (Prot. n. 48339/13 CA PICTAVIEN, Electionis, Rev.dus St. Carusi - Pontificia Commissio Ecclesia Dei, del 17 settembre 2013). Si trattava peraltro di una risposta contenente qualche elemento interessante e tutt’altro che rassicurante quanto all’integrità degli Statuti: “Dalle risposte della Segnatura già qualche conferma”.
L’altro ricorso, incentrato sul rifacimento ad usum Delphini del corpo elettorale che ha proceduto alla nuova elezione (così sfacciata che anche in Burchina Faso avrebbero reagito), è stato inizialmente ammesso dal Tribunale (cfr. l’articolo in questione, “Dalle risposte della Segnatura già qualche conferma”): fattore già di una certa importanza, per i motivi esposti in parte nell’articolo appena citato e in parte in quello del 6 dicembre 2013 (cfr. “Le ragioni di una battaglia”).
Successivamente, con lettera datata 30 novembre e pervenuta al ricorrente l’11 dicembre 2013, è stato risposto che il ricorso era “peremptum” (decaduto, archiviato), adducendo motivi – si noti – di patrocinio economico e di decorrenza dei tempi. Infatti il ricorrente, non percependo più da mesi l’importo fisso dal suo Istituto (come peraltro ha dimostrato, trasmettendo alla Segnatura le buste paga vuote), ha fatto domanda di ricorso alla modalità, prevista dal regolamento del Tribunale, dell’assegnazione dell’avvocato d’ufficio. Possibilità rifiutata. Il rifiuto dell’avvocato d’ufficio è stato comunicato dopo i trenta giorni di scadenza e dicendo contestualmente che ormai erano passati i tempi ed il ricorso era ormai decaduto anche pagando (sicché non si poteva più nemmeno organizzare una colletta). Cosa che da una parte fa un po’ ridere, vista la famosa “Chiesa dei poveri”, e dall’altra vuol dire che ragioni più decenti per rifiutare il ricorso, di principio riconosciuto possibile, evidentemente non ne avevano.
A ciò si sono aggiunti altri due segni, che vanno nella stessa direzione: 

a) è stato ufficialmente comunicato ai sacerdoti dell’Istituto, con lettera circolare dell’11 novembre 2013, che il Card. Ricard sarà il nostro «Cardinale-consiglio» (?). Si tratta del Porporato che recentemente ha confermato (cfr. Franc-Maçonerie Magazine n. 26, sett.-ott. 2013, p. 22) di andare a riunioni della Massoneria, argomentando ai suoi sacerdoti che sarebbe una “periferia esistenziale” (e noi che pensavamo fosse “il Padrone del mondo”…). Una certa “messa sotto tutela” dell’IBP, ad esito e prolungamento del Commissariamento (cfr. Lettera dell’Ecclesia Dei annunciante la nomina dell’abate Forgeot a Commissario)? 

b) Di per sé, la presenza d’una sorta di visitatore permanente non costituirebbe per noi problema. Ma il tempo della nostra resistenza interna ha palesato che la posizione maggioritaria nell’Istituto è purtroppo quella, da “palude”, che possiamo riassumere come segue: 
«non sono d’accordo con l’insieme delle richieste del segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei (pur suscettibili in sé di qualche discussione interna, come anche la Commissione rispose alle nostre critiche, ndr), 
né con l’elogio che ne ha fatto l’abbé Laguérie, secondo cui tali massicce richieste sarebbero addirittura una «buona Provvidenza» (cfr. Mail collective aux prêtres du Bon Pasteur, 29 mars 2012, 10 h 52, “Document officiel”), 
né con la sua ondivaga disponibilità al cambiamento statutario (cfr. Monde&Vie, 20 octobre 2012, Intervista all’abbé Laguérie), 

…però non sono disposto a rischiare di compromettermi». 

E se in maggioranza non si è disposti a combattere in difesa delle proprie specificità, che da quel progetto risulterebbero demolite, come si può pensare che la nomina di un “Cardinale-consiglio”, sommata al prepotente insediamento forzato dall’esterno del Superiore Generale, non costituirà un pericoloso condizionamento? Purtroppo le verità scomode si possono rimuovere (per un po’ di tempo), ma se il fattore prevalente fosse la volontà mondana di sicurezze umane ad ogni costo, stando «presso la pentola della carne» (Es. 16,1), perché mai avremmo fatto la scelta dell’IBP? Per quale motivo? Perché a noi piace il rito liturgico antico? Una questione di gusti, così come a uno piace il vino e ad un altro lo champagne? 


2) La nostra risposta 

Abbiamo presentato ricorso sia per utilizzare tutte le cartucce a nostra disposizione, volendo fare questa battaglia sino in fondo, sia per rimetterci, in ordine al nostro futuro, ai segnali che la Provvidenza ci avrebbe dato tramite il ricorso.
Avuti questi segnali, li abbiamo accettati. Grati alla Provvidenza innanzitutto perché - a differenza dei commissariamenti della Fraternità San Pietro e dei Francescani dell’Immacolata - stavolta una parte che agli abusi di autorità ha detto di “no” c’è stata. E alla buona Provvidenza siamo grati anche per la chiarezza della risposta (infatti ciò in cui speravamo non era né il “sì” né il “no”, ma un chiaro “sì” o un chiaro “no”).
Abbiamo verificato le eventuali disponibilità, abbiamo anche riflettuto e scelto uno per uno: e dopo essere finora rimasti ciascuno al proprio posto, abbiamo quindi preso atto che era l’ora di partire. Ma partire senza disgregarci e annullarci altrove (come stanno facendo altri, che prima non hanno voluto fare la battaglia interna sino in fondo): bensì restando uniti, sulla medesima linea.
Siamo partiti nella serena evidenza che non si tratta di questioni personali, ma di linea: noi ci rifiutiamo di prendere la strada dei prigionieri del “complesso da allineati” e della imprudente velleità di essere assolutamente “integrati” (così come respingiamo il carcere mentale di quel vortice ideologico ed estremista, da cui Mons. Lefebvre nel 1979 metteva in guardia). Alle appariscenti sicurezze mondane preferiamo il serbare la giusta libertà per la buona battaglia.

venerdì 21 febbraio 2014

Trento: “Quando l’Alleluja diventa reggae”

Le devote e sagge parole  pronunciate ieri da Mons. Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, sulla Liturgia che : " Non dev'essere spettacolarizzazione, ma sobria. Si riscopra il dinamismo silenzioso " purtroppo in Trentino non hanno trovato la doverosa e giusta accoglienza . 
Un Fedele di Trento, afflitto, ci ha mandato infatti un articolo  ...

“Trento, domani ( 22 febbraio 2014 N.d.R. ) alla Chiesa di San Carlo, in Clarina, la prima messa sui ritmi di Bob Marley 
di Katja Casagranda
TRENTO. Dopo la messa rock (fedeli e  cultori della Musica Sacra, ridotti ad una specie di razza aliena dalla disobbedienza dei chierici , commentarono con le parole del Magistero immutabile della Chiesa quel tristissimo "evento"  QUI , QUI , QUI  e QUI  N.d.R.) della Chiesa di Albiano in Valle di Cenbra, arriva nel cuore della città la Messa Reggae, o meglio il progetto Reggae Worship, sigla con cui da circa un mese sta girando il tam tam nei social per l’evento in Chiesa di San Carlo. 
Non una band promotrice dell’evento, ma un’idea nata all’interno del Gruppo giovani della Parrocchia assieme a Don Lino Zatelli che in Clarina ha adottato una pastorale di innovazione e modernamento, capace di attirare i giovani, tanto da animare la messa con canti reggae. ( Da internet effettivamente apprendiamo che lo stesso Parroco aveva proposto " la prima Misa Flamenca che sia mai stata svolta in Italia nella sua forma completa di canto, chitarra e danza" N.d.R.)  
Ore 20,30 sabato tutta la funzione religiosa sarà accompagnata dai canti liturgici adattati in chiave reggae di cui Don Lino dice «L’Alleluja suonato e adattato in musica reggae è bellissimo, così come il Santo e tutti i canti. 
E’ da un mese che tutti i mercoledì vengono fatte le prove qui in parrocchia dalle 20 a mezzanotte e posso assicurare che la musica reggae è godibile, allegra, gioiosa e ballabile.
Abbiamo lavorato sodo e abbiamo trascritto tutti i canti della messa con questo ritmo che ne ha dato un valore aggiunto in dolcezza e armonia. 
Lo scopo è quello di arrivare ai giovani, di portare il messaggio cristiano fuori dalle mura della chiesa, adottare linguaggi diversi per trasmettere un pensiero di fede in linea con le ultime lettere di Papa Francesco (quali sarebbero queste " lettere " del Santo Padre ??? N.d.R.) e della Pastorale Giovanile della Diocesi». 
Il progetto è nato dal gruppo giovani della chiesa di San Carlo in Clarina che hanno coinvolto amici musicisti, che arrivano anche dalle valli del Trentino, nonché coristi di altre parrocchie per un organico di chitarra, pianola, piano,basso, batteria e chitarra elettrica, di cui Mauro Iseppi, Luca Raffaelli, Piero Giacomuzzi, Matteo Conci, Andrea Conci, Francesco Lanzingher, le voci di Franco Lacchin, Aura Zanghellini e Sara Bertò a cui si somma un coro di una trentina di coristi che hanno scelto il reggae quale musica a cui affidare i testi della liturgia cantata e poi sempre il reggae per il concerto a fine messa. 
Dopo la funzione infatti le mura della chiesa di San Carlo ospitano il concerto di cover della reggae band americana Cristafari. 
Band che dal 1990 ruota attorno alla personalità del ministro religioso Mark Tansoback Mohr, rasta fino all’età di 17 anni che dopo incontro con la fede cristiana promuove attraverso la sua musica il messaggio e la fede cristiana a tutte le persone compresi i rastafariani, ossia i seguaci del credo rasta. 
«Il messaggio reggae - dice don Lino- è un messaggio positivo di pace e amore che ben si sposa con la fede cristiana. 
Pensare che il reggae sia un mondo dove si spinella e si ciondola è da persone bigotte culturalmente, così come è successo con il rock della Messa rock ad Albiano, dove solo chi è chiuso mentalmente può aver associato la musica rock al satanismo o al male». 
I quarantacinque minuti di messa avranno sabato sera otto brani cantati in ritmo a levare cui seguirà un ulteriore concerto di quarantacinque minuti. 
«Il grande lavoro attorno a questo progetto ha già l’invito di altre parrocchie per un bis, e immagino che ci sarà una registrazione della serata visto che la chiesa sarà preparata con tutta l’attrezzatura per la riuscita del concerto compresa amplificazione e fonico». 
21 febbraio 2014  Trentino Corriere 

A.C.

Parolin sulla Liturgia "Non dev'essere spettacolarizzazione, ma sobria. Si riscopra il dinamismo silenzioso".

La liturgia non è spettacolarizzazione
Il Segretario di Stato vaticano sottolinea il valore della liturgia, richiamandone la sobrietà e il dinamismo silenzioso
di Michelangelo Nasca,
da Vatican Insider del 20.02.2014

Celebrazione liturgicaSi sta svolgendo in questi giorni, alla Pontificia Università Lateranense di Roma, un convegno dedicato alla Sacrosanctum Concilium, una delle quattro grandi costituzioni conciliari generate dal Concilio Vaticano II nel 1963, e che si occupa nello specifico della riforma e della promozione della liturgia. L’arcivescovo Pietro Parolin, segretario di Stato, in occasione di tale ricorrenza, ha celebrato una Messa nella Basilica di San Pietro sottolineando, nel corso della sua omelia, gli aspetti importanti del rinnovamento liturgico della Chiesa proposti dal documento conciliare sulla Sacra Liturgia.
"La liturgia – ha dichiarato Parolin, nella sintesi raccolta da Radio Vaticana – custodisce e apre la porta della grazia e va, dunque, a sua volta, coltivata e custodita nella sua verità. Essa permette e realizza la santificazione dell’uomo attraverso “segni sensibili”, “in un tempo e in uno spazio nuovi”, attraverso l’azione del popolo (etimologia del termine “liturgia”) caratterizzata dalla sobrietà dei gesti cultuali e celebrativi. “Sempre ci stupisce – sottolinea Parolin – la sproporzione tra la semplicità dei segni e la portata sovrumana degli effetti. La vita trinitaria ci è offerta nell’acqua del Battesimo; Dio ci offre se stesso in cibo nell’Eucaristia; il suo perdono ci raggiunge attraverso il gesto e le parole di un sacerdote”.
Il particolare legame tra Dio e l’uomo, e il dialogo che attraverso i segni liturgici viene intrapreso, trova realizzazione nell’ordinarietà della vita quotidiana. Parolin sottolinea questo particolare aspetto della ferialità nell’esistenza umana, suggerendo così l’identità di un Dio presente in ogni istante della vita dell’uomo: “Si direbbe quasi che il Signore ci voglia incontrare e risanare e rinnovare in un contesto di disarmante normalità, che ci voglia raggiungere e trasformare nella ferialità della nostra esistenza, nello stesso modo in cui scelse i dodici, chiamandoli dalle loro occupazioni quotidiane e proiettandoli verso l’orizzonte della sequela e della missione”.
I gesti che Gesù compie nei racconti dei Vangeli sono presentati con estrema sobrietà e semplicità, Egli non cerca la spettacolarizzazione, poiché – precisa il Segretario di Stato – “il bene compiuto possiede un suo inarrestabile dinamismo interno di crescita e di diffusione”; un dinamismo potente, costante, delicato e silenzioso.
"
A conclusione del suo discorso, Parolin, salutando tutti i partecipanti al Convegno sulla Sacrosanctum Concilium, ha ricordato il compito importante della liturgia, quello cioè di custodire e rendere presente - nella sua verità e nella sua autentica finalità – il dono della grazia: “Il mistero della vita di Cristo si attualizza nella vita della Chiesa con l’azione dello Spirito ed è la liturgia il canale principale, sempre aperto, in cui scorre l’acqua pura che promana dal mistero pasquale di Cristo. La liturgia custodisce e apre la porta della grazia e va, dunque, a sua volta, coltivata e custodita nella sua verità e nella sua autentica finalità”. 

Riflessione teologica ed escatologica sulla crisi della Chiesa


I segni dei tempi
di Paolo Pasqualucci da Conciliovaticanosecondo.it del 21.02.2014


Mi propongo di approfondire alcuni fra i temi illustrati dall’importante e coraggioso articolo Motus in fine velocior del prof. Roberto de Mattei, che condivido in pieno.  Il  merito principale di quest’articolo, a mio avviso, è quello di inquadrare l’attuale crisi della Chiesa nella prospettiva teologica ed escatologica che le compete.  Cosa che nessuno si è finora azzardato a fare. 
Confusione accoppiata a tendenze distruttive.   Le inaspettate e sconcertanti dimissioni di Benedetto XVI, seguite dall’elezione al Sacro Soglio di un Pontefice “teólogo popular”, e dalla straordinaria istituzione della figura del “Papa emerito” pensionato in Vaticano, ha mostrato, oltre ad una situazione di caos, un’improvvisa “accelerazione del tempo, conseguenza di un movimento che si sta facendo vertiginoso.  Viviamo un’ora storica che non è necessariamente la fine dei tempi, ma è certamente il tramonto di una civiltà e la fine di un’epoca nella vita della Chiesa”.  Parole forti ma assolutamente pertinenti.   Il carattere “vertiginoso” del movimento da cosa risulta?  Da una duplice connessione.  Da un lato l’aumentare improvviso della confusione che (dall’inizio del Vaticano II) affligge la Chiesa; dall’altro il consolidarsi improvviso di una  tendenza distruttiva che mira apertamente e decisamente al cuore del dogma e della morale cristiana.  Questa tendenza ha assunto di colpo il volto e l’eloquio aggressivi del cardinale honduregno Oscar Maradiaga, con le sue ormai celebri dichiarazioni contro il neocardinale Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottina della Fede.  La confusione è stata poi ulteriormente accresciuta da certe ambigue dichiarazioni del Papa, come quella famosissima sull’omosessuale in cerca di Dio che lui, il Pontefice, “non si sente di giudicare” (quando avrebbe dovuto dire, invece, che, proprio come Papa giudicava ossia condannava fermissimamente il suo grave peccato ma non il peccatore, invitandolo, in nome della misericordia divina che viene in soccorso di tutti quelli che si pentono, alla conversione e al mutamento di vita).  
Tendenza distruttiva dunque, dato che essa vuole far accettare alla Chiesa il modo di vivere peccaminoso ed anticristiano del Secolo, affermando che, con l’elezione di Papa Francesco, si sarebbe addirittura aperta una “nuova èra”, caratterizzata per l’appunto in primo luogo dalle “aperture” cui quella tendenza aspira.  E se così fosse, allora bisognerebbe concluderne che la supposta “nuova èra” è quella dell’Anticristo in persona.  Sappiamo che l’accelerazione che si produce in certi momenti cruciali del processo storico appare all’improvviso ma rappresenta in realtà la maturazione di tendenze e di forze già ben presenti e all’opera da tempo.  E nemmeno in modo tanto discreto.  Ciò che ha detto il cardinale Maradiaga l’aveva già detto il defunto cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, quello che si metteva “in ascolto dei non-credenti” invece di cercare di convertirli a Cristo, e  negli ultimi tempi della sua vita sragionava gridando che la Chiesa era rimasta indietro di circa 200 anni sul mondo moderno [sic], ragion per cui avrebbe dovuto finalmente aprirsi al riconoscimento dei costumi e della mentalità di questo mondo.  Insomma:  fare esattamente il contrario di ciò che hanno insegnato Nostro Signore e gli Apostoli (“voi siete nel mondo ma non del mondo”; “il mondo è il regno del Principe di questo mondo”; “fuggite il mondo e le sue concupiscenze” etc.).   E concetti simili a quelli propagandati da Martini non li troviamo, prima di lui, nella nebulosa teologia di Karl Rahner, gesuita anche lui, uno dei padri spirituali dei testi finali del Vaticano II?  E non troviamo in quei testi, di contro a tutto l’insegnamento del Magistero pre-conciliare, le aperture al femminismo e all’educazione sessuale pubblica “per i giovani”, naturalmente “prudente”?  Aperture delle quali hanno fatto notoriamente buon uso l’aitante Schillebeeckx ed i suoi sodali fiamminghi, nella loro opera di distruzione del cattolicesimo in Olanda e Belgio, coronata come sappiamo da grande successo, tant’è vero che a Bruxelles, cuore della cosiddetta Unione Europea, il nome più diffuso tra i giovani è oggi “Muhammad” (Maometto) mentre chiese e conventi ormai vuoti si svendono a centinaia. 
Il cardinale Maradiaga predica contro la morale cristiana, cioè contro Cristo.  Tendenza distruttiva della fede, dunque, e della retta dottrina e pastorale.  In quale altro modo si può definire l’azione di un principe della Chiesa che attacca all’improvviso e in modo persino arrogante i difensori ufficiali della dottrina della Chiesa, incitandoli a far presto a cambiare mentalità, ad adeguarsi, perché si devono trovare “soluzioni pastorali” per il modo di vivere dell’uomo contemporaneo, notoriamente in preda alle peggiori aberrazioni?  Naturalmente, ci viene a dire il porporato, le soluzioni pastorali “nuove” non intaccherebbero mai la dottrina, che non si tocca.  Quante volte abbiamo sentito ripetere questo ritornello, dal “pastorale” Concilio ecumenico Vaticano II in poi, per giustificare ogni sorta di deviazione dottrinale e pastorale?  Ma valga il vero:  una pastorale “nuova”, che contraddica apertamente la dottrina ossia il deposito della fede, considerandosi essa stessa “dottrina” (come nota il prof. de Mattei) è la pastorale di una dottrina “altra”, che non è e non può essere quella cattolica.  Nostro Signore e gli Apostoli hanno detto e ripetuto che “gli adulteri e i fornicatori” non vedranno il Regno di Dio.  Se ne andranno, invece, “in perdizione” ossia alla dannazione eterna, perché non si può prendere in giro Dio e pretendere che Egli non sappia o non voglia esercitare la giustizia da Lui stesso stabilita e a noi rivelata sin nei particolari da Gesù Cristo Nostro Signore.  Verso costoro, l’azione della Chiesa, ad imitazione di Cristo e degli Apostoli, è sempre stata quella di condannare in primo luogo e nel modo più fermo il loro peccato (perché il peccato, quale che sia, va sempre condannato in quanto tale e senza distinguo), proprio per poterli in tal modo indurre all’opera della conversione e salvezza della loro anima.  La condanna del peccato è la prima opera della divina Misericordia, si è sempre detto, poiché essa mette il peccatore di fronte alle sue responsabilità; lo scuote, lo mette di fronte a se stesso e a Dio, lo instrada verso la Grazia, che gli farà vedere tutto l’orrore del peccato (e finché non lo vedrà, quest’orrore, non potrà liberarsi dal peccato e non riuscirà a resistere alle tentazioni).  Solo sulla base di questa condanna è  dunque possibile iniziare l’opera della  conversione del peccatore.
 Ma se coloro che dovrebbero condannare il peccato e convertire il peccatore, invece mostrano di approvare il peccato e non si curano minimamente di convertire il peccatore, e per di più esortano tutti gli altri sacerdoti a fare lo stesso, allora…?  Ma il cardinale Maradiaga ha approvato esplicitamente il peccato dei divorziati risposati, delle coppie di fatto, delle coppie omosessuali, dei rapporti prematrimoniali, dello stile lascivo di vita di gran parte della nostra gioventù?  No, come avrebbe potuto? Tuttavia l’ha approvato implicitamente già con il dire che la Chiesa deve trovare una pastorale che in qualche modo riconosca queste situazioni ormai diffuse, che soddisfi la pretesa di costoro (arrogante e persino blasfema) di ricevere Sacramenti come la Comunione, pur mantenendosi nella loro condizione di peccato!  Così la pastorale della Chiesa cattolica, fondata da Nostro Signore Gesù Cristo per custodire ed insegnare a tutti le verità da Lui rivelate, dovrebbe piegarsi alle richieste di pubblici peccatori  di ogni tipo e mettersi addirittura alla loro scuola!
L’abominio della desolazione nel luogo santo.  Di fronte ad una “pastorale” del genere, come non pensare alla famosa frase della profezia di Daniele, citata anche da Nostro Signore, quando predisse il castigo che si sarebbe abbattuto su Gerusalemme che l’aveva rigettato e tradito e profetizzò sugli ultimi tempi?  “Quando adunque vedrete l’abominazione della desolazione predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo – comprenda chi legge – allora quelli che saranno nella Giudea fuggano ai monti…”(Mt 24, 15-16).   Non è forse spettacolo “abominevole” vedere un cardinale proporre una “pastorale” che sembra addirittura venire dal Maligno, poiché esige che i sacerdoti riconoscano evidenti situazioni di peccato quali modi di vita che meritano in quanto tali rispetto e tutela da parte della Santa Chiesa?  La “predicazione” di una “pastorale” che provoca la “desolazione del luogo santo”:  ovvero, come della retta dottrina e della retta pastorale si stia facendo un luogo desolato, una rovina completa.
E come non temere che il castigo divino, per altri aspetti già all’opera da tempo, colpisca la Santa Chiesa, allo stesso modo in cui ha colpito l’apostasia di Israele nei confronti del  Messia, che i capi del popolo consegnarono ai Romani, dopo un processo irregolare, facendolo condannare a morte con false accuse, per sostenere le quali mentirono e bestemmiarono, affermando di “non avere altro Dio che Cesare” (Gv 19, 12-15)?   Stia attento il cardinale Maradiaga e lo stiano tutti quelli che  nella Gerarchia lo seguono, non si scherza con il vero Dio, Uno e Trino.  Tanto più giustamente si abbatte la sua ira sui sacerdoti che tradiscono la loro missione, prostituendo la vera e santa dottrina alle ignominie del Secolo.
“Quando Io dirò all’empio:  tu morrai! se tu non lo ammonisci, e non lo avverti di abbandonare la sua via perversa, affinché possa vivere, egli morrà nella sua iniquità; ma del sangue di lui io chiederò conto a te.  Se invece tu avrai ammonito l’empio ed egli non si sarà convertito dal male e dalla sua via perversa, egli morrà nella sua iniquità, ma tu avrai salvato te stesso” (Ez., 3, 18-19).
Per i traditori della fede non vi è  misericordia, da parte di Dio.
“Poiché, se noi cadiamo nel peccato [di apostasia] volontariamente, dopo aver ricevuto la piena conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio [di espiazione e misericordia] per tali peccati, ma solo l’attesa angosciosa del giudizio e la vampa del fuoco [infernale], che consumerà i ribelli (Eb 10, 26-27)”. 
  Come ha giustamente rilevato il prof. de Mattei, la direzione nella quale va la cosiddetta pastorale della nuova èra professata dal cardinale Maradiaga, “è una strada verso lo scisma e l’eresia, perché si negherebbe la fede divina e naturale che nei suoi comandamenti non solo afferma l’indissolubilità del matrimonio, ma proibisce gli atti sessuali al di fuori di esso, tanto più se commessi contro natura.  La Chiesa accoglie tutti coloro che si pentono dei propri errori e peccati e si propongono di uscire dalla situazione di disordine morale in cui si trovano, ma non può legittimare, in alcun modo, lo status di peccatore”.   “Scisma ed eresia” :  parole forti, anche qui, ma più che giuste.  Una Gerarchia che imponesse questa nuova “pastorale”, diventerebbe ipso facto eretica e quindi scismatica,  si separerebbe di fatto dalla vera Chiesa.  E legittimare lo “status di peccatore” concedendo l’uso di Sacramenti come la Comunione a pubblici e non pentiti peccatori o inventando cavilli giuridici per far dichiarare nullo un matrimonio cattolico validamente celebrato, sì da legittimare le seconde nozze dei divorziati, tutto ciò non costituirebbe per un sacerdote un’apostasia implicita dalla vera fede?
L’accanimento persecutorio di omosessuali e femministe.  [omissis] 
L’emarginazione e la persecuzione dei sacerdoti fedeli alla Tradizione della Chiesa.  Altro segno angoscioso dell’accelerazione dei tempi verso l’ora della Giustizia divina, è sicuramente costituito dalla chiusura rapida e chirurgica della notevole apertura effettuata da Benedetto XVI nei confronti dei cattolici rimasti fedeli alla Tradizione della Chiesa, in particolare per ciò che riguarda la liturgia.  E la sollecita emarginazione di quei cardinali dal taglio “conservatore” che Papa Ratzinger aveva voluto a capo di importanti dicasteri romani (Piacenza, Burke). 
Il prof. de Mattei non si spiega per qual motivo si sia voluto dissolvere un ordine fiorente come quello dei Francescani dell’Immacolata, ricco di belle vocazioni maschili e femminili.  “Oggi soffrono la decadenza tutti gli ordini religiosi e se tra questi uno ne appare ricco di promesse, viene inspiegabilmente soppresso.  Il caso dei Francescani dell’Immacolata, esploso a partire da luglio, ha portato alla luce una evidente contraddizione tra i continui richiami  di Papa Francesco alla misericordia e il bastone assegnato al commissario Fidenzio Volpi per annichilire uno dei pochi istituti religiosi oggi fiorenti”.  Inspiegabilmente, si capisce, dal  punto di vista di chi ha a cuore soprattutto il bene della Chiesa, non di chi vuole sviluppare sino in fondo le novità rivoluzionarie del Vaticano II, costi quel che costi.
Dal punto di vista della Gerarchia “ecumenista” attuale, i Francescani dell’Immacolata hanno commesso due peccati molto gravi, irreparabili:  dimostrato un’amplissima preferenza per la Messa di rito romano antico, sdoganata da Benedetto XVI; impostato nelle loro pubblicazioni una revisione critica, anche se moderata e rispettosa, del Concilio Vaticano II, in particolare su impulso di Padre Serafino Lanzetta, figura emergente di giovane e preparato studioso cattolico.  In questi ultimi anni, sulla spinta delle opere meritorie e fondamentali di Mons. Brunero Gherardini, che hanno iniziato una vasta revisione critica del Vaticano II se non di demolizione per alcuni aspetti (l’illustre teologo ha dimostrato, per esempio, che il concetto di “tradizione vivente” penetrato nei testi del Concilio non concorda affatto con quello di Tradizione sempre sostenuto dalla Chiesa), sembrava si stesse sviluppando un gruppo qualificato di studiosi e critici del Concilio proprio attorno alla figura di Padre Serafino Lanzetta, gruppo sorretto dalle belle iniziative editoriali dei Francescani dell’Immacolata.
Bisognava evidentemente intervenire e con la necessaria energia.  Bisognava stroncare sul nascere sia il diffondersi del ritorno alla Messa tradizionale, quella sicuramente cattolica; sia lo sbocciare, sia pure ancora modesto e di taglio sostanzialmente accademico, di una critica al Concilio dall’interno della Gerarchia.  Nessuna confusione o incertezza, dunque:  con estrema rapidità e determinazione l’ordine è stato “disciplinato” e disperso nel modo che sappiamo.  Per la verità, la brutalità dell’operazione mi ricorda le modalità di quella messa in atto nel maggio del  1975  contro il Seminario di Écône della Fraternità Sacerdotale San Pio X, regnante Paolo VI, che fallì perché dovette misurarsi con un vescovo e della tempra di Mons. Marcel Lefebvre, il quale ingaggiò una dura battaglia giuridica con l’apparato romano e alla fine si rifiutò giustamente di obbedire all’ordine illegittimo, viziato da una procedura gravemente irregolare.   Nella triste  vicenda dei Francescani, colpisce, tra le altre cose, e proprio come segno particolarmente infausto dei tempi, il divieto impartito ai francescani di celebrare la Messa di rito romano antico.  Secondo me questo divieto, se imposto in modo formale, è illegittimo e costituisce un abuso di potere perché nemmeno il Papa può proibire ad un sacerdote (e con quale motivazione?) di celebrare una Messa consacrata da tutta la tradizione liturgica della Chiesa, il cui canone risale addirittura ai tempi apostolici, e che non è mai stata abrogata né avrebbe potuto esserlo. Se invece il divieto è stato imposto solo di fatto, di sua iniziativa dal Commissario Padre Volpi, l’abuso di potere risulterebbe in modo ancor più evidente:  se il Papa non ha il potere di proibire la celebrazione di quella Messa tantomeno ce l’ha il Padre Volpi.  Oltre a quest’aspetto giuridico, da non sottovalutare ai fini di una legittima resistenza all’azione illegittima dell’autorità (che io spero i Francescani vorranno prima o poi intraprendere, se continuerà l’ingiusta loro repressione), appare  grave l’evidente ostilità dimostrata finora dal presente Pontificato nei confronti della Messa tradizionale.  Nemmeno Paolo VI aveva osato proibirne espressamente la celebrazione.  Quest’ostilità, se sarà mantenuta, apporterà le più gravi sciagure alla Chiesa.

Il cavallo rosso.  Questi sono dunque  “i segni dei tempi.  Forse dunque della “fine dei tempi”?  Verrebbe da pensarlo, guardando alla corruzione generale e in particolare a quella diffusasi nella Chiesa visibile.   Non si può negare che stiamo vivendo “nel tramonto di una civiltà” e “nella fine di un’epoca della Chiesa”.  ... 

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