Un commento teologico di Mag. theol. MicheleGurtner
La parola humilitas, cioè “umiltà” ha attraversatoi secoli del cristianesimo fino ad oggi. Ma il suo significato è cambiato,specialmente negli ultimi anni e decenni e come tante cose anch’essa ha subitouna secolarizzazione anche all’interno della Chiesa stessa.
Parlandodell’umiltà in un contesto ecclesiastico necessita una vista piuttostoteologica: l’umiltà non sta al di fuori delle cose divine, ma anzi, è propriol’umiltà uno dei princìpi della teologia e di ogni teologo. Quest’umiltà sideve riflettere nel modo di fare non solo del clero, ma di ogni cristiano, deveriflettersi nel parlare e nel scrivere dei teologi, e anche nella sacraliturgia bisogna poter vederla. Dicendo e soprattutto mettendo in praticaquesto, bisogna avere una vista limpida e chiara di ciò che è il verosignificato teologico dell’umiltà.
L’umiltà nella Chiesa deve essere un’umiltàteologica
Come accennatoprima, per le esigenze della Chiesa non può bastare assumere un concettodell’umiltà profanato come lo conosciamo da contesti politici e sociologici,che non ha altro significato che “la persona non conta niente, la comunitàinvece tutto”. Di conseguenza alcune esigenze e desideri del tutto naturali,purché non diventino i contenuti più importanti della propria vita, come peresempio possesso, successo, onore, educazione ecc., sono visti male,soprattutto da coloro che non ne hanno. Così, detto in parole brevi, larichiesta di umiltà divenne il mezzo per nascondere il tentativo di stabilireuna specie di una società neo-marxista, in cui non ci dovrebbero più esisteredelle differenze fra i vari soggetti sella società, perché la richiesta umiltàdi cui si parla tanto non è tale nel suo senso vero e profondo, perché è stataprivata dal suo fondamento che è Dio. L’umiltà di cui si parla oggi non è piùbasata nel creatore, ma nell’invidia e nella superbia di chi non ha e non è.Bisogna stare più che attenti, che questo sbagliatissimo concetto di umiltà nonpenetri anche nella Chiesa!
Sarebbe troppobanale e superficiale pensare che l’umiltà consistesse nel privarsi del bello,nell’eliminare le varie distinzioni, nel banalizzare e impoverire la liturgia ela cultura ecclesiastica. Non è umile far finta che non ci sia una diversitànei ministeri e compiti, livellando il grande fingendo che non lo fosse. Cosìcadremmo proprio in quella visione neomarxista che vuole indebolire i“regnanti” facendone compagni, oppure esprimendo la stessa cosa in terminiecclesiastici: che vuole passare da una Chiesa guidata da Cristo tramite lagerarchia che rispecchia la sua sacra provenienza divina a una Chiesademocratizzata (“collegiale” e “comune”), che in fondo è guidata dall’uomo edel suo pensiero del momento. Chi si apre a queste idee, è elogiato “umile”,mentre gli altri, che ribadiscono la teocentricità della Chiesa, la quale miraverso l’Eucaristia e l’adorazione della Santissima Trinità, sono spessoaccusati di essere “al di sopra”, di rinchiudersi nelle sagrestie e nei SacriPalazzi. Spesso ci ritroviamo di fronte a una non sana contro posizione “o Dioo la gente”: la vera pastorale invece è il cattolico “et – et”, sia il culto divino, anche nei segni esteriori, sia lacarità verso gli uomini, anch’essa nei segni esteriori e concreti. Mettendol’uno contro l’altro, l’onorare Dio anche per mezzo della bellezze e laproclamazione della sua verità, contro la carità concreta rivolta alle creaturedi Dio, non si può mai essere in grado di corrispondere in pieno alla volontàdi Dio e quindi alle esigenze della Chiesa. Mettere al centro l’uomo, mentre sitrascura il culto e la cultura di Dio, non avrebbe niente a che fare con lavera ed autentica umiltà, come è richiesta da ciascun cattolico.
L’umiltà vera edautentica invece è una categoria teologica. Come tale deve essere assolutamenteintesa in vista a Dio e dedotta dal Creatore di tutte le cose, quelle visibilicome anche quelle invisibili. La humilitasrimane tale soltanto fintantoché rimane radicata in Dio e mira verso Egli.
Humilitas èil restare nella veritas
L’umiltà, siccomecategoria teologica, non è altro che è il mettere in pratica la verità, che nonpuò essere tale se non proveniente da Dio. Essere cristiani non consistesemplicemente in gesti esteriori senza un contenuto più profondo: non sarebbealtro che ipocrisia. In quanto virtù, la vera umiltà deve essere sequela diCristo. C’è chi dice che l’umiltà consistesse nell’abbassare se stessi. Questoè solo vero quando è relazionato con Gesù: l’abbassarsi come tale non è unvalore di per sé, ma lo assume soltanto, quando diventa un sottostare erimanere sotto la verità divina. La verità è la misura della nostra vita e delnostro fare, essa è il vero motivo del grande valore dell’umiltà. Umile è, chiubbidisce alla verità del Signore, chi la mette in pratica e chi sopporta anchele umiliazioni a causa di essa.
Non è l’applausoper gesti che piacciono che rende umili, ma la vera umiltà si dimostra insituazioni di persecuzione, in momenti d’insulti a causa di Cristo e nelrestare fermi quando bisogna decidere ciò che alle masse e ai mass-media nonpiace. Dove ci sono troppi applausi e elogi per scelte dette umili bisognaporsi con grande sincerità la domanda, se si tratti davvero di un’autentica umiltà.Non è escluso che fosse così, l’applauso e l’autentica umiltà non si escludonoautomaticamente a vicenda, anche questo è chiaro, ma nei giorni di oggi la veraumiltà fa piuttosto scomodo, perché chi va con Dio, va controcorrente, e lagente tende ad applaudire più le facilitazioni e ciò che trasgredisce la veritàdivina che non il difendere, lo stare e il rimanere nella e sotto verità diDio.
L’umiltà consistenel piegarsi davanti a Dio, non nella soddisfazione di uomini o dei media.Verità e umiltà non possono essere staccati l’una dall’altra, perché la veritàè il fondamento dell’umiltà, la quale si realizza soltanto nell’attualizzazionee nel mettere in pratica della volontà divina.
Molto spesso,quando un politico, un vescovo oppure un altro portatore di un’incaricaimportante si dimette, se lo definisce un atto umile, perché rinuncia a uncerto potere. In realtà però non ha niente a che fare con umiltà; lo sarebbe alimite, se l’uomo fosse la misura dell’umiltà.
Detto con altreparole: non il farsi piccoli è umile, ma il riconoscere il proprio esserepiccolo davanti a Dio. L’autentica umiltà nasce proprio dal realismo dell’uomoin confronto al suo creatore.
Il rischio diconfondere l’umiltà con la popolarità è eminente. Per concretizzare ciò cheabbiamo appena detto possiamo fare un esempio: se una persona gravemente malatasi decidesse di ricorrere all’eutanasia per non pesare sui suoi parenti e per non essere causa ai costisanitari statali non indifferenti, potrebbe essere – con la mentalità di oggi- interpretato come un gesto moltoaltruista, perché non mette se stesso e non dà troppo importanza alla suaproprio esistenza, ma pensa agli altri e alle conseguenze. Una persona umileallora, si potrebbe pensare. Invece sarebbe il contrario: proprio perché non sisottomette alla decisione del Signore, che dà la vita e che la toglie, non èumile, perché mette al centro l’umano e la propria decisione. Certamente sitratta di un esempio estremo in cui si accumulano altri fattori morali, ma ilprincipio del discernimento fra umiltà vera e umiltà presunta è lo stesso: lateocentralità, il sottostare alla volontà divina e l’essere pronti a sopportareverità e sofferenze scomode e forseanche difficili pure in momenti di difficoltà.
L’umiltà nella Liturgia
Cerchiamofinalmente di applicare ciò che abbiamo appena detto anche alla Sacra Liturgia.Come deve essere una liturgia che si può chiamare “umile”? Di certo non è ilpauperismo che la rende umile!
Per la SacraLiturgia, che è nient’altro che il culto divino, che si rivolge al Signore enon all’uomo, vale lo stesso quanto abbiamo detto finora: la Liturgia è umile,quando mette Dio al suo centro, quando si rivolge esclusivamente a Lui (il sacerdote si rivolge insieme ai laici a Dio, e non ai laici), e quandorispecchia la verità, la bontà e la bellezza di Dio. Un sacerdote, il qualecerca di non mettere se stesso, la sua propria persona al centro dellacelebrazione, ma che sa sparire come persona per mettere al centro Cristo cheagisce nella sua Chiesa tramite il suo sacerdote. Dato il fatto che tutte levarie azioni liturgiche sono rivolte al Signore, rispecchiando allo stessotempo qualcosa della sua verità, bontà e bellezza, bisogna anche tenerci contonel modo da fare e nello stile liturgico. La liturgia è umile, proprio quandosi sottomette alla dignità e alla grandezza di Dio, che non deve mai nasconderedietro il banale, il brutto oppure il profano, ma è umile quando non teme diparlare anche nei suoi segni esteriori della maestà di Dio, anche quando daqualche parte interessata (e i mass-media) viene attaccata proprio per questo.Non dimentichiamo che oggi più che mai ci sono anche coloro, che sonointeressati a far sparire ogni simbolo sacro e di privare la liturgia della suasacralità per danneggiare tramite questi segni esteriori, di cui l’uomo habisogno, la dottrina della Chiesa e la fede degli uomini.
Un parroco,oppure un qualsiasi altro chierico, che toglie i segni sacri della liturgia,toglie i ponti che collegano l’uomo con il cielo divino. Se cominciamo abanalizzare e rimpoverire la liturgia e la cultura cattolica, allora rischiamodi mettere da parte Dio e il suo insegnamento, e di sostituirli con il nostropovero Io.
Tali gesti sì chevedrebbero grandi applausi e forti elogi. Ma proprio perché tante persone,anche tanti di coloro che magari frequentano le nostre chiese, non sono piùinteressati nel rendere la necessaria gloria a Dio, ma di festeggiare sestessi, e quindi l’uomo.
Certo, la fedecome tale non dipende né da pizzi né da merletti, e non in tutti i paesi lafede è una antica presenza come nei paesi dell’Europa, e di conseguenza nonaveva ancora il tempo necessario di sviluppare una cultura ricca come neinostri paesi. E nessuno dubiterà che anche lì si possa trovare una vera edautentica fede cattolica. Ma non si tratta soltanto di valori assoluti, mabisogna anche tener conto dello suo sviluppo: fa una grande differenza se unacosa non è mai esistita, oppure se viene abolita. Perché ogni abolizionetrasmette un cambiamento anche nella percezione della fede, perché la forma sicambia se cambia ciò che esprimeva e viceversa.
È sbagliatopensare colui fosse umile, che abolisce tutti i segni di venerazione e tuttociò che richiama un’atmosfera del sacro, che si distingue anche nettamente dalprofano. Esso eventualmente non è umile ma superbo, perché non sa sottostare alciò che non si è inventato lui, ma che i suoi antenati hanno sviluppato per unprofondo rispetto verso il Sacro e verso ciò, che rimanda l’uomo al divino.
Non si puònemmeno porre il culto verso Dio contro la carità umana, perché la fede e lasensibilità per la verità e la volontà di Dio sono la migliore garanzia per ilmantenimento delle opere della carità e della diaconia, perché chi rispetta lasantità di Dio nella Liturgia non potrà mai non rispettare allo stesso tempoanche la sua volontà di fare buone opere anche verso il prossimo. Chi invece èpronto a limitare il culto, cominciando magari dai segni esteriori divenerazione, sostiene un atteggiamento che favorirà un domani la prontezza alimitare anche le opere di carità verso il prossimo, perché la loroobbligatorietà è proprio radicata nel sottomettersi a Dio. Dove Dio e il cultoverso di lui spariscono dal primo posto, il prossimo e il suo bene sparirannodal secondo!
Già il SacroVangelo secondo Giovanni ci narra nel suo dodicesimo capitolo dalla tentazionedell’uomo, di porre i poveri contro il culto verso Dio:
“Sei giorni primadi Pasqua Gesù andò a Bethania, dove abitava Lazzaro, che egli avevarisuscitato dai morti. Là gli prepararono una cena. Marta serviva a tavola eLazzaro era uno dei commensali. Maria prese una libbra di unguento profumato dinardo autentico, molto costoso, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con isuoi capelli. Il profumo dell'unguento si sparse per tutta la casa. Allora unodei discepoli, Giuda Iscariota, quello che stava per tradirlo, disse: Perchénon si è venduto questo profumo per trecento denari da dare ai poveri? Dissequesto non perché avesse a cuore i poveri, ma perché era ladro e, approfittandodel fatto che gli era stata affidata la borsa, rubava quello che ci mettevanodentro. Gesù rispose: Lasciala, ciò che fa è in vista della mia sepoltura. Ipoveri li avete sempre con voi, ma non avrete sempre me”.
Cerchiamo alloradi non cadere anche noi in questa tentazione ma di starci alla larga, perché alungo termine, quando una prima euforia è svanita, tratteremo i poveri allostesso modo in cui abbiamo trattato Dio nel culto liturgico e in tutta lacultura ecclesiastica: perché nel prossimo vedremo sempre ciò, che abbiamovisto in Dio. Se togliamo a lui, che è il creatore, quanto più toglieremo poianche alle sue creature!
Quanto usiamo dibello per Dio, tanto useremo di nutriente, caloroso, salificante, coprente e diconsolante per Egli, che incontriamo proprio nel nostro prossimo.