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venerdì 16 agosto 2013

"Nella vita si tratta di scegliere da che parte stare" - "Il Foglio" - 15 agosto - 2013

Jean Madiran e la “Storia della Messa interdetta”
di Roberto de Mattei

madiranNon è forse un caso che Jean Madiran sia scomparso, il 31 luglio 2013, all’età di 93 anni, proprio mentre nella Chiesa esplodeva il “caso” dei Francescani dell’Immacolata. I Frati francescani di padre Stefano Manelli si trovano infatti a vivere oggi un dramma che Madiran ed altri pionieri della resistenza cattolica al progressismo vissero negli anni Settanta del Novecento, all’indomani della promulgazione del Novus Ordo Missae di Paolo VI.
Jean Madiran, pseudonimo di Jean Arfel, nacque il 14 giugno 1920 a Libourne nel dipartimento della Gironda e fin da giovanissimo si mise in luce per i suoi talenti di scrittore e giornalista. Fu vicino a Charles  Maurras, ma una conversione intellettuale profonda lo portò a riscoprire il pensiero di san Tommaso d’Aquino, alla scuola di maestri come Etienne Gilson e Charles de Koninck. A 36 anni, nel 1956, creò la rivista “Itinéraires”, destinata ad essere per quasi quarant’anni, il punto di riferimento del mondo della Tradizione in Francia e nel 1982, fondò il quotidiano “Présent” su cui ha continuato ha pubblicare i suoi lucidi editoriali, fino a poche settimane prima della morte. Fu, con Augusto Del Noce, Alain Besançon e pochi altri, uno degli studiosi più acuti delle radici ideologiche del comunismo (in particolare con La vieillesse du monde, Dominique Martin Morin, 1966), ma fu soprattutto osservatore impietoso del processo di autodemolizione della Chiesa con opere come L’Héresie du XX siècle (Nouvelles Editions Latines, 1968) e  La révolution copernicienne dans l’Eglise (Editions de Paris, 2004).
L’eresia del XX secolo è il primo libro di Madiran pubblicato in Italia, nel 1972 dall’editore Giovanni Volpe. In quest’opera, in cui disse di avere espresso tutte le ragioni della battaglia intellettuale della sua vita (“Présent”, 13-14 maggio 1988), Madiran  denuncia l’allontanamento dalla dottrina sociale della Chiesa dell’episcopato francese, vedendovi una delle cause principali della crisi del proprio tempo. Nel 2011 sono state tradotte altre due sue significative opere: L’accordo di Metz tra Cremlino e Vaticano (Editore Pagine) e La destra e la sinistra (Fede e Cultura). In quello stesso anno Jean Madiran è stato in Italia, ospite della Fondazione Lepanto, sorprendendo chi lo incontrò, per il suo vigore intellettuale e per la conoscenza che aveva delle opere critiche sul Concilio Vaticano II appena apparse nel nostro Paese.
Ma in questi giorni Madiran merita di essere ricordato anche per la sua indomita difesa della Messa tradizionale, di cui nella Histoire de la Messe interdite ( 2 voll.,Via Romana, 2007 e 2009) ha tracciato la storia. Dopo la Costituzione apostolica Missale Romanum con cui Paolo VI, il 3 aprile 1969, aveva introdotto la nuova Messa, il 12 novembre dello stesso anno apparve in Francia  un decreto, firmato dal cardinale Marty, presidente della Conferenza episcopale, con la quale si stabiliva l’uso obbligatorio, in lingua francese, del nuovo Ordo Missae a partire dal 1 gennaio 1970. Ne seguiva che la Messa tradizionale, in vigore da secoli, sarebbe stata proibita a partire dal 31 dicembre 1969.  Fu allora che iniziò una battaglia non ancora conclusa.
Fin dagli anni cinquanta del Novecento, se non prima – ricorda Madiran – i vescovi e i teologi francesi avevano preso le distanze dalla Chiesa di Roma, accusandola di essere prigioniera di una scuola teologica e giuridica repressiva. Il Vaticano II fu l’occasione per sferrare un attacco a fondo alla scuola teologica romana e per contribuire al capovolgimento liturgico di Paolo VI, sensibile, fin da giovane, alle suggestioni degli ambienti progressisti francesi. Quando il Concilio Vaticano II si aprì, nell’ottobre 1962, il padre Yves Congar, futuro cardinale, lo definì con giubilo “la Rivoluzione d’ottobre della Chiesa” (con riferimento alla Rivoluzione d’ottobre leninista del 1917): una Rivoluzione che non ebbe il suo punto culminante nei documenti del Concilio, ma nella Riforma liturgica che ad essi seguì.
Quando, nell’aprile 1969, il nuovo Ordo Missae entrò in vigore, alcuni membri eminenti della gerarchia ne svolsero una serrata critica. I cardinali Ottaviani e Bacci presentarono a Paolo VI un Breve esame critico del Novus Ordo Missae redatto da uno scelto gruppo di teologi di varie nazionalità, in cui si affermava che “il Novus Ordo Missae (…) rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i ‘canoni’ del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del mistero”. La critica del Novus Ordo venne successivamente svolta da molti studiosi laici, tra i quali il francese Louis Salleron, l’inglese Michael Davies, il brasiliano Arnaldo Xavier da Silveira. In Francia Jean Madiran fu un ardente diffusore del Breve esame critico e raccolse su “Itinéraires” le voci di tutti coloro che, in coscienza, ritenevano di non potere accettare la Nuova Messa. Un eminente canonista, l’abbé Raymond Dulac ripubblicò nell’ aprile 1972, con un suo accurato commento, la bolla Quo primum (1570) di san Pio V, dimostrando come la costituzione Missale Romanum di Paolo VI non aveva abrogato e non poteva abrogare la bolla tridentina, che garantiva alla Messa restaurata da Papa Ghislieri un perpetuo indulto-privilegio.
Nel gennaio 1973 apparve sulla rivista “Itinéraires” una Lettera-appello di Madiran a Paolo VI, del 21 ottobre 1972, che iniziava con queste parole: “Beatissimo Padre, ridateci la Scrittura, il catechismo e la Messa, che ci vengono sottratte, ogni giorno di più, da una burocrazia collegiale, despotica ed empia che, a torto o a ragione, ma senza essere smentita, pretende imporsi in nome  del Vaticano II e di Paolo VI. Ridateci la Messa cattolica tradizionale, latina e gregoriana, secondo il Messale romano di san Pio V.  Voi fate dire che l’avreste proibita. Ma nessun pontefice potrebbe, senza abuso di potere, interdire il rito millenario della Chiesa cattolica, canonizzato dal Concilio di Trento. Se tale abuso di potere si fosse effettivamente prodotto, l’obbedienza a Dio e alla Chiesa sarebbe di resistere e non di subirlo in silenzio”. La lettera fu successivamente co-firmata e commentata da illustri personalità come Alexis Curvers, Marcel De Corte, Henri Rambaud, Louis Salleron, Eric de Saventhem, Jacques Trémolet de Villers, in un volume, di estrema attualità, dal titolo Réclamation au Saint-Père (Nouvelles Editions Latines, 1974).
Per Madiran il problema della Messa era strettamente  legato a quello del catechismo e della Sacra Scrittura. La proibizione della Messa era stata preceduta infatti dall’interdizione generale nelle diocesi francesi di tutti i catechismi pre-conciliari, e soprattutto dell’aureo catechismo di san Pio X. Per 27 anni, dal 1965 al 1992, anno in cui fu promulgato da Giovanni Paolo II il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, la Chiesa francese rimase senza catechismi e, di fatto, senza istruzione religiosa dei bambini. Queste proibizioni si accompagnavano e si accompagnano tuttora ad un vandalismo esegetico che stravolge la Sacra Scrittura. Basti dire che i commentatori della Bibbia in lingua francese ritengono che tutte le parole di Gesù nei Vangeli sono state inventate dopo la sua morte.  Dal 1965, inoltre, la parola “consustanziale”, introdotta nel linguaggio dogmatico dal concilio di Nicea (325), è stata messa al bando dai vescovi francesi. Da circa cinquant’anni, quando si recita il Credo, non si dice “della stessa sostanza”, ma “della stessa natura”, con l’assurdo pretesto che il termine “sostanza” avrebbe cambiato di significato nel tempo. Il che porta a vanificare il dogma centrale del Cristianesimo, espresso dal termine transustanziazione“.
La protesta di Madiran e dei teologi di “Itinéraires” si saldò con l’appello a Paolo VI sottoscritto il 6 luglio 1971 da cinquantasette esponenti del mondo culturale inglese, tra i quali la nota scrittrice Agatha Christie (si veda il saggio di Gianfranco Amato, L’indulto di Agata Christie, Come si è salvata la Messa tridentina in Inghilterra, Fede e Cultura, 2013). Essi chiedevano alla Santa Sede “di voler considerare con la massima gravità a quale tremenda responsabilità andrebbe incontro di fronte alla storia dello spirito umano se non consentisse a lasciar vivere in perpetuità la Messa tradizionale”. Tra i firmatari, erano cento eminenti personalità di tutto il mondo, tra i quali, oltre agli scrittori inglesi Agatha Christie, Robert Graves, Graham Green, Malcolm Mudderidge, Bernard Wall, figuravano Romano Amerio, Augusto Del Noce, Marcel Brion, Julien Green, Yehudi Menuhin, Henri de Montherlant, Jorge Luis Borges.  Gli appelli di fedeli di ogni nazionalità che chiedevano il ripristino, o almeno la “par condicio” per la Messa tradizionale, iniziarono a moltiplicarsi soprattutto per iniziativa dell’associazione “Una Voce”. Tre pellegrinaggi internazionali di cattolici si svolsero a Roma per riconfermare la fedeltà alla Messa e al catechismo di san Pio V.
Questo ampio movimento di resistenza si sviluppò tra il 1969 e il 1975, ben prima dell’esplosione del cosiddetto “caso Lefebvre”, scoppiato il  29 giugno 1976, quando l’arcivescovo francese conferì il suddiaconato e il sacerdozio a 26 suoi seminaristi, incorrendo nella “sospensione a divinis”. L’anno successivo, in una memorabile conferenza tenuta  a Roma, a Palazzo Pallavicini, mons. Lefebvre pose delle domande che ancora non hanno avuto risposta: Come può essere che continuando a fare quello che io stesso ho fatto per 50 anni della mia vita, con le congratulazioni, con gli incoraggiamenti dei Papi, e in particolare del Papa Pio XII che mi onorava della sua amicizia, che io mi ritrovi oggi ad essere considerato quasi un nemico della Chiesa? /…) Non credo che una simile cosa sia possibile e concepibile. C’è dunque qualche cosa di cambiato nella Chiesa, qualche cosa che è stato cambiato dagli uomini della Chiesa, nella storia della Chiesa. Mons. Lefebvre, a torto presentato come il “capo” dei tradizionalisti, fu in realtà solo l’espressione più visibile di un fenomeno che andava ben al di là della sua persona e che aveva le sue radici e la sua causa prima nei problemi sollevati dal Concilio Vaticano II e dalla sua applicazione.
Nei 14 anni di pontificato di Paolo VI (1963-1978) il “partito montiniano” occupò tutti i posti di potere, dai vertici della Curia romana alla presidenza delle conferenze episcopali. Il processo di autodemolizione della Chiesa si fece drammatico e Giovanni Paolo II ereditò una situazione ingovernabile. A partire dal suo pontificato però, l’ostilità contro la Messa tradizionale cominciò a diminuire impercettibilmente. Il Papa formò una commissione segreta di 8 cardinali per studiare la questione liturgica. Essi conclusero che non esistevano ragioni, né teologiche né giuridiche, che consentissero di proibire il Rito tridentino. Il 3 ottobre 1984, la lettera Quattuor abhinc annos, indirizzata dalla Congregazione del Culto divino ai presidenti delle conferenze episcopali, decretò un indulto, per  permettere le celebrazioni della Messa tridentina, fino ad allora considerata interdetta. La stragrande maggioranza dei vescovi rifiutò di applicare questo provvedimento e Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Ecclesia Dei del 2 luglio 1988, successiva alla rottura tra Roma e la Fraternità San Pio X, ingiunse di rispettare “ l’animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un’ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede apostolica, per l’uso del Messale Romano secondo l’edizione tipica del 1962”.
Anche il risultato di questo provvedimento fu profondamente deludente, per il sordo ostruzionismo dei vescovi. Il cardinale Ratzinger, che aveva sempre messo la liturgia al centro dei suoi interessi (si veda: La questione liturgica. Atti delle “giornate liturgiche di Fontgombault”, 22-24 luglio 2001, Nova Millennium, 2010), una volta eletto Papa decise di regolare personalmente la questione e il 7 luglio 2007 promulgò il Motu Proprio Summorum Pontificum, con cui restituiva libera e piena cittadinanza al Rito Romano antico. I “resistenti” degli anni Settanta, dopo quasi quarant’anni,  vedevano finalmente premiati i loro sforzi. “Domenica scorsa – scriveva Jean Madiran  il 6 settembre 2007 – sono tornato, e non ero il solo, nella chiesa che è a qualche passo da me, invece di fare venti chilometri all’andata e venti al ritorno. L’importante, certo, non è che siamo tornati noi, ma che sia tornata la Messa. Che grazia!” (Chroniques sous Benoît XVI, Via Romana, 2010, p. 197).
La Chiesa a cui Benedetto XVI ha restituito la Messa tradizionale è una Chiesa malata, occupata ai più alti vertici da prelati progressisti, che continuano a servirsi del Concilio Vaticano II come di una clava per colpire i loro nemici. E’ questo il caso dei Francescani dell’Immacolata, ingiustamente colpiti per il loro attaccamento alla Messa tradizionale con un decreto che rappresenta una violazione delle leggi universali della Chiesa, in particolare del motu proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI, mai abrogato, che concede, ad ogni sacerdote, la libertà di celebrare la Messa secondo la forma detta ‘straordinaria’.
Madre Maria Francesca delle Suore francescane di Città di Castello, in un suo scritto su Le origini apostolico-patristiche della Messa cosiddetta “tridentina” (in Il Motu proprio “Summorum Pontificum” di S.S. Benedetto XVI. Una speranza per tutta la Chiesa, vol. 3, a cura di P. Vincenzo Nuara O.P., Fede e Cultura, 2013, pp. 93-135), ha esaurientemente documentato come il Rito in vigore fino al 1969 risale, nei suoi elementi essenziali a Papa san Gregorio Magno e da lui, senza cesure, ai tempi apostolici, per riannodarsi all’Ultima Cena e al sacrificio cruento di Gesù Cristo, di cui ogni Messa è incruenta ripresentazione. Nel volume La Réforme liturgique en question che, nella sua edizione francese (Editions Sainte-Madeleine, 1992) ha la prefazione del card. Josef Ratzinger, mons. Klaus Gamber, il grande liturgista tedesco verso cui papa Benedetto ha sempre nutrito grande ammirazione, afferma che nessun Papa ha il diritto di mutare un Rito che risale alla Tradizione Apostolica e che si è formato nel corso dei secoli, quale è la cosiddetta Messa di san Pio V. Alla plena et suprema potestas del Papa sono chiaramente posti dei limiti e Gamber arriva a scrivere, richiamandosi ai teologi Suarez e Cajetano, che “un Papa diventerebbe scismatico se non volesse mantenersi, come è suo dovere, in unione e collegamento con l’intero corpo della Chiesa, al punto di tentare di scomunicare l’intera Chiesa o di mutare i Riti confermati dalla Tradizione Apostolica”  (ivi, p. 37).
Il Motu proprio di Benedetto XVI ha reso chiaro che il Rito romano tradizionale della Messa non è mai stato (e non poteva essere) abrogato e che la nuova Messa di Paolo VI è facoltativa: in quanto tale la si può criticare e respingere. Nessun sacerdote può essere obbligato a celebrare la nuova Messa o a non celebrare liberamente quella tradizionale. Qualsiasi decreto od ordinanza che volesse imporlo sarebbe un abuso da denunciare e rifiutare. Jean Madiran, ha mostrato, con il suo esempio intellettuale, quanto ampio e legittimo sia lo spazio della resistenza cattolica agli ordini ingiusti. Egli non fu una voce isolata.  Alle sue esequie, celebrate secondo il Rito “straordinario” dal padre abate del Barroux, Dom Louis Marie, erano presenti gli esponenti delle principali comunità tradizionali, dalla Fraternità San Pietro all’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, dall’Istituto del Buon Pastore alla Fraternità San Pio X.  Jean Madiran, che si è definito un “testimone a carico contro il proprio tempo” (Intervista dell’abbé Guillaume de Tanoüarn, in “Certitudes”, luglio-settembre 2002) fu innanzitutto un cattolico militante. Fino agli ultimi giorni della sua vita, rivendicò con fierezza la sua ascendenza culturale e spirituale, riconoscendosi in quella scuola cattolica contro-rivoluzionaria, detta “ultramontana”, per il suo attaccamento al Primato Romano, che in Francia ha tra i suoi principali rappresentanti Louis Veuillot, dom Guéranger, il cardinal Pie. Di questa scuola di pensiero, non solo francese, egli ha riassunto i princìpi e ha tracciato un’ampia genealogia (L’école (informelle) contre-révolutionnaire, “Présent” 18 febbraio 2011). Chi critica con sufficienza il mondo tradizionale italiano, come hanno fatto , il 6 agosto, Gianni Gennari su “Il Foglio” e Paolo Rodari su “La Repubblica”, non si rende conto che questo mondo ha radici intellettuali profonde e mostra la sua vitalità proprio in occasione di controversie, come quella in corso sui Francescani dell’Immacolata e sulla Messa tradizionale. Ognuno di noi del resto, che ne sia consapevole o meno, appartiene a un partito, a una scuola, a una famiglia di anime. Nella vita si tratta di scegliere da che parte stare. Jean Madiran sarebbe stato dalla parte di tutti coloro che oggi continuano a manifestare con fermezza la loro incrollabile fedeltà al Rito Romano antico.

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