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giovedì 28 marzo 2013

Triduo pasquale 2013 nel Verbano

Gli orari del Triduo Pasquale 2013
secondo la forma tradizionale del Rito Romano
nella chiesa di VOCOGNO (VB)





GIOVEDI' SANTO 28 marzo 2013 ore 20.30 
Santa Messa in Cena Domini

VENERDI' SANTO 29 marzo 2013 ore 20.30 
Liturgia della Passione

SABATO SANTO 30 marzo 2013 ore 20.30 Solenne Veglia Pasquale


Prima Santa Messa di Pasqua
PASQUA
31 marzo 2013




a VOCOGNO
ore 10.30
Santa Messa cantata

cappella dell'Ospedale di DOMODOSSOLA
ore 10.30
Santa Messa cantata

Il Sommo Pontefice prima di essere un uomo è un'istituzione


papa-francesco-e-papa-benedetto-XVI

La rinuncia di Benedetto e l'elezione di Francesco. Domanda: chi è il Papa?

di Roberto de Mattei

La domanda “chi è il Papa?” sorge spontanea ogni qual volta è eletto un nuovo Pontefice, soprattutto quando il suo nome o la sua storia personale sono ignoti al grande pubblico. Tale non fu il caso del cardinale Joseph Ratzinger, romano di adozione, dopo tanti anni passati come prefetto della congregazione per la Fede, ma tale fu il caso di Karol Wojtyla, venuto da Cracovia, e lo è oggi di Jorge Mario Bergoglio, giunto da una diocesi ancora più lontana, ai confini del mondo, come egli stesso ha detto il giorno della sua elezione.È comprensibile che nei primi giorni e settimane successivi all’elezione si cerchi di scandagliare il passato prossimo o remoto del nuovo Pontefice, di conoscerne le idee, le tendenze, le abitudini, per dedurre dalle parole e dai gesti del passato il programma del nuovo pontificato. Il volume El jesuita. Conversaciones con el cardenal Jorge Bergoglio (Vergara, Buenos Aires 2010, a cura di Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti), delinea già il volto di un papabile, e merita di essere conosciuto.
Meno nota è la reazione indignata che a quel volume ha dedicato uno studioso argentino di orientamento tradizionale, Antonio Caponnetto (La Iglesia traicionada, Editorial Santiago Apostol, Buenos Aires 2010). Né si potrà capire chi è il nuovo Pontefice, senza conoscere il giudizio che di lui dà il padre Juan Carlos Scannone, un gesuita, discepolo di Karl Rahner, che lo ha avuto come allievo e che ascrive l’arcivescovo di Buenos Aires alla “scuola argentina” della teologia della liberazione (la Croix, 18 marzo 2013).
L’“opzione preferenziale dei poveri” del card. Bergoglio si radica in particolare nell’insegnamento di Lucio Gera e Rafael Tello, gli esponenti di una “teologia del popolo”, caratterizzata dalla sostituzione della prassi della povertà alla ideologia della rivoluzione armata. Carlos Pagni, analizzando, sulla Nación del 21 marzo il “Método Bergoglio para gobernar”, spiega la ragione teologica per cui la “periferia” occupa il posto centrale nel paesaggio ideologico dell’arcivescovo Bergoglio.
I poveri per lui non sono una realtà sociologica da aiutare, ma un soggetto teologico da cui apprendere: “Questa attitudine pedagogica ha una radice religiosa: la relazione del popolo con Dio sarebbe più genuina perché manca di contaminazioni materiali”. Anche Maurizio Crippa sul Foglio del 23 marzo (La povertà è un segno teologico, non sociologia) sottolinea questo aspetto, ricordandone le remote ascendenze: “La posta in palio è sempre trasformare la chiesa nel popolo dei poveri in cammino, meglio se autoconvocato: dai Poveri di Lione, detti poi valdesi, a tutte le correnti ortodosse o ereticali che attraversano il Medioevo, gli Umiliati e Fra’ Dolcino, con deviazioni che arrivano fino a Tolstoj, e su su in un percorso di spoliazione e rigenerazione che ritorna identico dalle ‘Cinque piaghe della santa chiesa’ di Antonio Rosmini – la quinta è proprio ‘La servitù dei beni ecclesiastici’ – alle teologie della chiesa povera conciliari”. Si tratta di temi che sarebbe utile approfondire. Ma in fondo non è questo il punto. La vita di un uomo, anche di un Papa, non si misura con i gesti del passato, cambia ogni giorno e ogni giorno può essere azzerata da svolte, maturazioni, direzioni di cammino nuove e impreviste.
Ogni svolta di pontificato, piuttosto che sollecitare quegli interrogativi a cui solo il futuro può rispondere, dovrebbe offrire l’occasione per meditare su ciò che il nuovo eletto rappresenta; di riflettere sul papato come istituzione, più che sul Papa come personaggio. E questo soprattutto in un momento in cui, tra l’11 febbraio e il 13 marzo del 2013, sembra essere stata profondamente ferita la stessa costituzione del papato.
Il primo colpo di questa flagellazione è stato la rinuncia al pontificato da parte di Benedetto XVI, un evento canonicamente legittimo, ma dall’impatto storico devastante. “Un Papa che si dimette – ha osservato Massimo Franco – è già un avvenimento epocale, nella storia moderna. Ma un Pontefice che lo fa nel pieno delle proprie facoltà mentali, indicando come motivazione semplicemente la fragilità che deriva dall’età, spezza una tradizione plurisecolare” (“La crisi dell’impero vaticano”, Mondadori, Milano 2013, p. 9).
Un secondo colpo all’istituzione è stata la scelta, da parte di Benedetto XVI, di autodefinirsi “Papa emerito”, conservando il nome e la veste pontificia e continuando a vivere in Vaticano. Canonisti autorevoli, come Carlo Fantappiè, hanno rilevato la novità del gesto, sottolineando come “la rinuncia di Benedetto XVI ha posto gravi problemi sulla costituzione della chiesa, sulla natura del primato del Papa nonché sull’ambito ed estensione dei suoi poteri dopo la cessazione dell’ufficio” (Papato, sede vacante e “Papa emerito”. Equivoci da evitare, in chiesa.espresso.repubblica.it/articolo 1350457).
La coesistenza di un Papa che si presenta come vescovo di Roma e di un vescovo (perché tale è oggi Joseph Ratzinger) che si autodefinisce Papa offre l’immagine di una chiesa “bicefala” ed evoca inevitabilmente le epoche dei grandi scismi. Non si comprende, a questo proposito, il risalto mediatico che le autorità vaticane hanno voluto dare all’incontro dei due papi, il 23 marzo a Castel Gandolfo. L’immagine che ha fatto il giro del mondo e che lo stesso Osservatore Romano ha pubblicato in prima pagina il 24 marzo è quella di due uomini che il linguaggio dei simboli pone su un piano di assoluta parità, impedendo di discernere in maniera immediata, chi di essi è l’autentico Papa.
L’evento contrasta inoltre con l’assicurazione, data dalla sala stampa della Santa Sede, secondo cui, dopo il 28 febbraio, Benedetto XVI avrebbe rinunciato al palcoscenico mediatico, ritirandosi nel silenzio e nella preghiera. Non sarebbe stato più saggio se l’incontro si fosse svolto lontano dai riflettori? Oppure esiste, dietro la scelta mediatica, una lucida strategia, e quale? Uno studioso di Storia del cristianesimo, Roberto Rusconi, ha descritto da parte sua lo scenario dell’enciclica incompiuta di Joseph Ratzinger sulla fede, dopo quelle già promulgate sulla carità e la speranza. “L’enciclica non terminata, – osserva Rusconi – potrebbe essere in seguito pubblicata alla stregua di qualsiasi altro testo di Joseph Ratzinger, il quale durante il pontificato ha ripetutamente sostenuto che i propri ultimi volumi in nessun modo dovessero essere ritenuti espressione diretta del suo magistero pontificio” (Roberto Rusconi, Il gran rifiuto. Perché un papa si dimette, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 143-144).
Se ciò dovesse accadere, il risultato sarebbe quello di minare alla base l’autorevolezza non solo dei precedenti documenti promulgati da Benedetto XVI, ma anche quelli emanati dal successivo Pontefice, perché si dissolverebbe la percezione di ciò che è atto magisteriale e ciò che non lo è, frantumando quel concetto di infallibilità, di cui tanto a sproposito spesso si parla. Esistono fautori dichiarati di un ridimensionamento del papato, che si richiamano generalmente a un passo di Giovanni Paolo II, nella enciclica Ut Unum sint del 25 maggio 1995, in cui Papa Wojtyla si dice disposto a “trovare una forma di esercizio del Primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova” (n. 88). Da qui la distinzione, fatta da Giuseppe Alberigo e dalla scuola di Bologna, tra l’essenza immutabile del papato e “le forme di esercizio” in cui esso si è espresso nella storia (Forme storiche di governo della chiesa, in “Il Regno”, 1° dicembre 2001, pp. 719-723). Il nemico di fondo è l’idea della “sovranità pontificia”, nata nel Medioevo, che sarebbe all’origine della deviazione del papato dal suo spirito originario.
Dalla metà del Quattrocento, secondo un altro storico bolognese, Paolo Prodi, si è avviata una metamorfosi del papato che ha toccato l’istituzione nel suo complesso, portando non solo ad un mutamento dei connotati istituzionali dello stato pontificio, trasformato in principato temporale, ma anche ad una riformulazione del concetto di sovranità ecclesiastica, plasmata su quella politica. Vittorioso sul conciliarismo, il papato viene però sconfitto dallo stato moderno, poiché, mentre la chiesa si secolarizza, lo stato si sacralizza (Il sovrano Pontefice, Il Mulino, Bologna 1983, p. 306).
A partire dalla Rivoluzione francese. però, la chiesa, in fruttuoso rapporto dialettico con il mondo moderno, avrebbe iniziato a liberarsi dalle pastoie del passato. Malgrado alcune fasi regressive, rappresentate soprattutto dai pontificati di Pio IX, Pio X e Pio XII, il Concilio Vaticano II segna finalmente, secondo Alberigo e i suoi discepoli, il momento della “svolta”, liquidando la dimensione giuridico- istituzionale della chiesa e aprendosi a una nuova visione di essa fondata sul concetto di “comunione” e di “popolo di Dio”.
Queste tesi sono state riproposte, sul piano teologico, in un recente libro che il decano degli ecclesiologi italiani Severino Dianich ha dedicato al ministero del Papa (Per una teologia del papato, Cinisello Balsamo, San Paolo 2010). Il centro del discorso è il passaggio da una visione giuridica della chiesa, basata sul criterio di giurisdizione, a una concezione sacramentale, basata sull’idea di comunione. Il nodo del problema risale alla discussione che si ebbe in concilio sulla interpretazione del n. 22 della Lumen Gentium e sulla Nota praevia che a questo documento seguì durante quella che i progressisti definirono la “settimana nera” del Vaticano II. I rapporti tra il Papa e i vescovi, dopo il Vaticano II, secondo Dianich, non possono più essere improntati alla delega e alla subordinazione. Il Papa non governa “dall’alto” la chiesa, ma la guida nell’ordine della comunione.
 Il suo potere di giurisdizione verrebbe infatti dal sacramento e, sotto l’aspetto sacramentale, il Papa non è superiore ai vescovi. Egli, prima di essere pastore della chiesa universale, è vescovo di Roma, e il primato che sulla chiesa universale esercita non è di governo ma di amore, proprio perché, ontologicamente, come vescovo, il Papa è sullo stesso piano degli altri vescovi. Per questo Dianich vorrebbe attribuire maggior potere al collegio episcopale attribuendo a esso la possibilità di legiferare autorevolmente. Il Papa dovrebbe esercitare il suo primato in maniera nuova, associando al suo potere organi deliberativi o consultivi, quali possono essere conferenze episcopali, sinodi, o comunque organismi permanenti, che lo coadiuvano nel governo della chiesa.
Si tratterebbe di un primato di “onore” o di “amore”, ma non di governo e di giurisdizione della chiesa. Queste tesi però sono, in primo luogo, storicamente false. La storia del papato non è infatti la storia di forme storiche diverse e tra loro confliggenti, ma l’evoluzione omogenea di un principio di suprema giurisdizione presente nelle parole di Gesù Cristo che a san Pietro e a lui solo disse: Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia chiesa (Mt. 16, 14-18).
 Quando san Clemente (92-98 o 100), terzo successore di Pietro come vescovo di Roma, agli inizi dell’impero di Nerva (circa il 97), intervenne per ristabilire l’unità nella chiesa di Corinto, sconvolta da una violenta discordia, si richiamò al principio di successione stabilito da Cristo e dagli apostoli, esigendo obbedienza e minacciando persino sanzioni qualora le sue disposizioni non venissero eseguite (Lettera Propter subitas ai Corinzi, in Denz-H, nn. 101-102). Il tono autorevole della lettera e la venerazione con cui essa fu accolta sono una prova chiara del Primato del vescovo di Roma alla fine del primo secolo.
Circa dieci anni dopo, sant’Ignazio, vescovo di Antiochia, durante il viaggio da Antiochia a Roma, dove fu martirizzato, scrisse una lettera ai romani in cui riconosce alla chiesa di Roma una posizione di preminenza sull’intera chiesa universale, affermando: “Voi avete istruito gli altri ed io desidero che restino ferme quelle cose che voi prescriveste col vostro insegnamento” (Epistula ad Romanos, 3, 1). La sua affermazione, tanto spesso citata a sproposito, secondo cui la chiesa di Roma “presiede all’agape”, va intesa nel suo retto senso. L’“agape”, non è generica “carità”, ma è, per Ignazio, la chiesa universale (che egli per primo chiama cattolica), unita dal vincolo dell’amore.
Nel corso dei secoli il Primato pontificio, concepito come principio attivo e centrale di governo della chiesa universale, rimase la nota caratteristica del papato, così come la Costituzione monarchica e gerarchica continuò a caratterizzare la chiesa nel corso dei secoli. Nelle epoche che la chiesa attraversò, ogni qual volta il pontificato è stato debole, assente o inefficace, si sono prodotti scismi, eresie, sconvolgimenti religiosi e sociali. Al contrario, le grandi riforme e la rinascita della chiesa si sono avute con papi che hanno esercitato il loro governo nella pienezza dei loro poteri, da san Gregorio VII a san Pio X.
Il munus specifico del Sommo Pontefice non consiste nel suo potere di ordine, che egli ha in comune con tutti gli altri vescovi del mondo, ma nel suo potere di giurisdizione, che lo distingue da ogni altro vescovo, perché solo nel suo caso questo potere è pieno ed assoluto ed è fonte del potere degli altri vescovi. Il potere di Magistero fa parte del primato di giurisdizione e l’infallibilità costituisce l’espressione più alta e perfetta del Primato pontificio, una sovranità ancor più necessaria di quella delle società temporali.
Il potere di giurisdizione è eminentemente potere di governo. Il Papa è tale perché governa la chiesa esercitando una giurisdizione dottrinale e disciplinare che non può delegare: non esiste infatti una differenza tra il potere di governo e il suo esercizio, quasi immaginando la possibilità di un governo la cui caratteristica sia quella di non governare. L’essenza del papato ha in questo senso caratteristiche immutabili: è un governo assoluto, che non può essere delegato ad altri, né in tutto né in parte. Il papato è una monarchia assoluta in cui il Sommo Pontefice regna e governa e non può essere trasformato in una monarchia costituzionale, in cui il sovrano regna ma non governa.
Un cambiamento di tale governo non toccherebbe la forma storica, ma l’essenza divina del papato. Non si tratta di un’astratta diatriba, ma di un problema teologico dalle concrete ricadute storiche. L’epoca della mondializzazione dei mercati e della rivoluzione informatica ha visto il tracollo degli stati nazionali, sostituiti da nuovi poteri, finanziari e mediatici. Ma il caos e la frammentazione e la conflittualità dei nuovi scenari derivano proprio da questa perdita di sovranità, di cui è eloquente esempio l’Unione Europea nata dai Tratti di Maastricht, che non si presenta come un “super-Stato” europeo, ma come un non-stato, caratterizzato dalla moltiplicazione dei centri di decisione, e dalla confusione dei poteri L’autorità e la forza degli Stati nazionali e delle democrazie rappresentative si sbriciola e il vuoto è occupato da lobby ideologiche e finanziarie, visibili e occulte.
La chiesa cattolica dovrà modellarsi su questo processo di polverizzazione, autodemolendosi? Di fronte al relativismo, la chiesa dovrà accantonare l’infallibilità, come chiede il pastore valdese Paolo Ricca (il Foglio, 19 marzo 2013), per presentarsi al mondo debole e rinunciataria o non piuttosto servirsi di questo carisma, che essa sola possiede, per contrapporre la sua sovranità religiosa e morale alle macerie della modernità? L’alternativa è drammatica, ma ineludibile.
Quel che è certo è che la domanda “chi è oggi il Papa?”, prima che ai mass media va rivolta alla teologia, alla storia e al diritto canonico della chiesa. Essi ci rispondono che, dietro le persone di Benedetto XVI e di Francesco, esiste un trono pontificio istituito da Cristo stesso. Papa san Leone Magno, che può essere considerato il teologo più completo del papato nel primo millennio, spiegò con chiarezza il significato
della successione petrina, riassumendola nella formula: “Indegno erede di san Pietro”. Il Papa diveniva l’erede di san Pietro per quanto riguardava il suo status giuridico e i suoi poteri oggettivi ma non per quanto riguardava il suo status personale e i suoi meriti soggettivi.
La distinzione tra l’ufficio e il detentore dell’ufficio, tra la persona pubblica del Papa e la sua persona privata è fondamentale nella storia del papato. Il Papa è il vicario di Cristo che in suo nome e per suo mandato governa la chiesa. Prima di essere una persona privata, egli è una persona pubblica; prima di essere un uomo è un’istituzione: prima di essere il Papa è il papato, in cui si riassume e concentra la chiesa che è il Corpo mistico di Cristo.

Fonte:  Il Foglio del 28-03-2013

Roma: Triduo Pasquale nella Chiesa di Santa Maria Annunziata

Riceviamo e pubblichiamo
" Diamo avviso che a Roma nella chiesa Santa Maria Annunziata in Lungo Tevere Vaticano sarà celebrato il Sacro Triduo Pasquale nell’antico rito.
Questi gli orari :
Giovedì Santo, Missa “ In coena Domini “ ore 18,00

Venerdì Santo , ufficio delle Tenebre ore 7,15 
12 , 00 Hora Matris 
15 Passio D.N.J.C. 

Sabato Santo 
Il Coro delle Suore Francescane dell’Immacolata curerà il commento musicale delle Sacre Funzioni ".

mercoledì 27 marzo 2013

Eccezionale: S.Messa Crismale in rito antico a Vaduz. Celebra ilVescovo Haas. Caso unico da 40 anni!

Leggiamo dal sito della Fraternità Sacerdorale San Pietro

Notizia interessante e importante per i fedeli affezionati alla forma extraordinaria: domani, Giovedi Santo, mons. Haas, arcivescovo di Vaduz (Liechtenstein) celebrerà la Messa Crismale nella forma extraordinaria, alla presenza del suo clero.
Questa lunga e suggestiva cerimonia (l'unica che nel rito antico consentiva la concelebrazione: dodici preti, sette diaconi e sette suddiaconi che partecipano alla consacrazione dei sacri Olii) celebrata nell'antica forma è un evento significativo).

Mons. Haas è senza dubbio il primo vescovo diocesano al mondo a celebrare in tal modo dopo più di 40 anni (ci sono notizie di un precedente identico nella diocesi di Campos in Brasile, negli anni 70).
I seminaristi della San Pietro si recheranno a Vaduz il giovedì Santo per assicurare il servizio all'altare.
Sarà presente anche il Superiore della F.S. San Pietro.

***
Français:
Nouvelle intéressante et importante pour les fidèles attachés à la forme extraordinaire: dans quelques jours, Monseigneur Haas, archevêque du diocèse de Vaduz, célèbrera la Messe chrismale en présence de son clergé dans cette forme extraordinaire.
Cette longue etimpressionnante e (douze prêtres en chasuble, sept diacres et sept sous-diacres revêtus des ornements sacrés participent à la consécration des saintes huiles) accomplie dans la forme extraordinaire est un évènement significatif.
Monseigneur Haas est sans aucun doute le premier évêque diocésain dans le monde à faire ainsi depuis probablement plus de quarante ans (hormis le cas du diocèse de Campos dans les années 70 au Brésil). Les séminaristes du Séminaire Saint-Pierre se rendront à Vaduz le jeudi-saint pour assurer le service de l’autel. Notre Supérieur général sera également présent.

Corretto lo stemma di Papa Francesco e altre curiosità e considerazioni

lo stemma di Papa Francesco
"corretto"

Questo che vedete raffigurato di lato è lo stemma ufficiale di Papa Francesco, come appare sul sito della S. Sede
Si è pensato -opportunamente- di modificare la stella (da 5 a 8 raggi; quella a 8 raggi è tipica della tradizione mariana, e non si presta a errate interpretazioni...) e il fiore di nardo non sembra più un grappolo d'uva.
Chi ha lavorato, l'ha fatto con saggezza e lungimiranza, nel tentativo anche di risollevare un po' la situazione da un'apparenze sciatteria (travestita da umiltà e povertà) in cui certi ambienti stanno inesorabilmente scivolando.Bene e complimenti.
Molti di noi, lo ammetto, avrebbero preferito anche un'altra "piccola" modifica...

E' notizia di questi giorni -e pare proprio confermata- che il Papa voglia rimanere ad abitare in una stanza della Domus Sanctae Martae, insieme ai sacerdoti dipendenti della Curia (officiali, consultori, ecc) e ai sacerdoti o prelati ospiti della S. Sede. Papa Francesco avrebbe inoltre espresso il desiderio di voler pranzare e cenare nella mensa con gli altri ospiti.
(speriamo solo che non aggiunga il suo appartamento del terzo Piano del Palazzo Apostolico ai Musei Vaticani...)

Se pur queste ultime scelte non consistano in atti ufficiali del Magistero Petrino, di certo un po' ci fanno temere.
Non tanto per questioni di infranto cerimoniale (che comunque ha un motivo e uno scopo): non vorremmo che questo atteggiamento da "compagnone" (che ben si potrebbe anche comprendere da parte di un animo latino e da sempre poco avvezzo al formalisto curiale) si traducesse poi anche in scelte, quelle sì importanti, che vadano a toccare il primato petrino o altri istituti di governo della Chiesa Cattolica (nel senso etimologico del termine). 
Inoltre se il "capo" si livella troppo al piano dei sottoposti, si corre il rischio che poi quelli non sentano più quel dovere riverenziale di obbedienza ai richiami (in campo dottrinale ed etico, ma anche disciplinari) di un loro superiore "amicone", mentre nel primo potrebbe insorgere l'imbarazzo di dover prendere spiacevoli provvedimenti nei confronti di "compagni di merenda".(Mia nonna -ebbene sì, cito anche io la mia nonna- diceva sempre: "la troppa confidenza toglie la riverenza")
Insomma: un conto è fare l'Arcivescovo di una Chiesa particolare del Sud America (con le peculiarità e necessità), un altro è dover governare tutta la Chiesa universale.

Parlando un amico, che mi ha raccontato una sua esperienza militare, ho riflettuto però sul fatto che potrebbe anche accadere il contrario: i soldati semplici potrebbero comprendere meglio, ed obbedire con più facilità, gli ordini di ufficiali che abbiano conservato uno spirito cameratesco e di fratellanza con i compagni di squadra o di battaglione piuttosto che rimarcare i privilegi  e l'autorità delle stellette. Il paragone con l'ambito marziale non pare neanche inopportuno e fuori luogo, visto che il nuovo papa appartiene alla "militaresca" Compagnia di Gesù.

Conoscendo però l'andazzo della Curia e lo spirito dei suoi molti prelati, non crediamo, ingenuamente, che si possa verificare questa seconda ipotesi. Anzi: temiamo che i legacci dei rapporti da "allegra brigata" che si potrebbero instaurare durante la coabitazione del Papa con i suoi -inevitabilmente- subalterni possano impedire a quello una completa riforma e purificazione della Curia, che passa, a nostro avviso, anche attraverso un allontanamento di moltissime vecchie figure che da anni ne hanno fatto una sordida casa di vizi e una dispensatrice di propri interessi e carriere. 

C'è da augurarsi che la forte determinazione del Papa superi questi imbarazzi, e la sua fortissima e ben nota avversione al carrierismo ecclesiastico -sin da subito denunciato dal neoeletto- non si affievolisca e, al contrario, si  rafforzi proprio grazie alla frequentazione in prima persona degli ambienti curiali reformandi.

Speriamo. E preghiamo.
Roberto

Sacro Triduo Pasquale a Tolentino ( MC) : “ a Dio tutta la gloria “

Tolentino ( Macerata )
Chiesa del Sacro Cuore ( detta dei sacconi) 
Centro Storico 
- Giovedì Santo ore 16,30 
Giovedì Santo ore 20,45 : Processione per adorare il Santissimo Sacramento in tutte le chiese cittadine;  
Giovedì Santo ore 23 : recita del Santo Rosario e delle devozioni eucaristiche nella chiesa dei sacconi 
- Venerdì Santo ore 16,30 
- Sabato Santo ore 18 ( con inizio nel cortile delle Suore accanto alla chiesa del Sacro Cuore ) 
Possibilità di confessarsi prima delle Sacre Funzioni. 

La Divina Provvidenza ci dona ancora una volta la gioia di vivere intensamente i momenti più importanti dell’Anno Liturgico e di tradurre nella vita quotidiana la bellezza liturgica . 
Dalla preghiera nasce un fecondo zelo devozionale .
" La povertà sia una vostra costante quotidiana : a Dio tutta la gloria " il Cardinale Giuseppe Siri ( di v.m. )  era solito esortare in questo modo i suoi sacerdoti in un momento difficile per la Chiesa quando l’ideologia marxista, all’epoca  predominante, cercava di inquinare la Liturgia e la spiritualità cattolica  nel nome di un pauperismo ipocrita e formale . 
Auguri a tutti i gruppi fedeli alla tradizione liturgica della Chiesa : splendenti per vera povertà evangelica e per la dedizione all’Ideale della bellezza liturgica . 
La nostra “missionarietà” era già stata preannunciata nel 1977 dal Ven.Papa Paolo VI : “ Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia » . 
Auguri a tutti  ! 
A.C. 

Foto : Messa Domenica delle Palme 2013, celebrata dal Parroco don Andrea Leonesi, realizzate dal confratello Bruno Fianchini che ringraziamo. 

Giovedì 25 aprile 2013 : Festa di San Marco Evangelista. Grottammare ( AP ) Chiesa di San Giovanni Battista ( città alta ) Giornata di spiritualità vocazionale con i  PP. Francescani dell'Immacolata  organizzata dai fratelli dei gruppi abruzzesi. Ore 11 Santa Messa cantata.

lunedì 25 marzo 2013

Altari velati a San Remo, santuario della Madonna della Costa

Le immagini rappresentano la velatura della croce e delle pale d'altare nel Santuario della Madonna Assunta (pro vulgo Madonna della Costa) a San Remo (diocesi di Ventimiglia-San Remo) in occasione della II Domenica di Passione c.d. "delle palme".

presbiterio
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altar maggiore
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altare dei Grimaldi


*

Altare del Crocefisso


sabato 23 marzo 2013

Settimana Santa alla Parrocchia della SS. Trinità dei Pellegrini a Roma

 
 
Vi alleghiamo di seguito gli orari della Settimana Santa 2013 segnalatici dagli amici della Fraternità Sacerdotale di S. Pietro di Roma che gestiscono la Parrocchia Personale della SS. Trinità dei Pellegrini in Roma (in Piazza SS. Trinità dei Pellegrini, vicino a Piazza Farnese). Consigliamo a tutti i nostri lettori che passano per Roma di frequentare le loro meravigliose funzioni.

Domenica delle Palme (24 Marzo)
Ore 9.00 S. Messa

ore 10.30 Benedizione delle Palme, Processione e S. Messa con il canto della Passione

ore 18.30 S. Messa

 
Mercoledì Santo (27 Marzo)
ore 20.30 Tenebrae


Giovedì Santo (28 Marzo)
ore 18.30 S. Messa In Cena Domini

ore 20.30 (dopo la S. Messa) Tenebrae


Venerdì Santo (29 Marzo)
ore 15.00 Via Crucis

ore 18.30 Solenne Commemorazione della Passione e Morte di N. S. G. C.

ore 20.30 (dopo la Liturgia) Tenebrae


Sabato Santo (30 Marzo)
ore 22.30 Veglia Pasquale

 
Domenica di Pasqua (31 Marzo)
ore 9.00 S. Messa

ore 11.00 S. Messa Solenne

ore 18.30 S. Messa


Lunedì di Pasqua (1 Aprile)
ore 18.30 S. Messa

Chiesa di S. Maria di Rivara (Mo)



La chiesa di Santa Maria di Rivara (MO)

sarà riaperta al culto?


 La chiesa di Santa Maria di Rivara (MO) dovrebbe essere aperta al culto secondo le parole della soprintendenza regionale per il Santo Natale del 2013. Visto quanto accade speriamo almeno per il Santo Natale del 2014 o per Santo Natale del 2015 di poter celebrare il Santo Natale in Chiesa e non sotto la tenda O forse quando? O forse mai?



La  Chiesa di Santa Maria di Rivara, è una delle nove chiese dell'Arcidiocesi di Modena-Nonantola, che rientra  nell'ordinanza n.83 del 05/12/12 del Commissario delegato alla ricostruzione (Errrani), nella quale si dava atto della copertura finanziaria per i lavori di riapertura al culto dell'edificio.

Dal 20 dicembre il progetto preliminare è depositato presso la Direzione Regionale per i BBCC e presso il Servizio Geologico e Difesa dei Suoli della Regione.

Aspettiamo da mesi i pareri di questi due enti i quali nel caso emettessero i 2 pareri concordi  positivi al progetto preliminare non costituirebbero l'immediata autorizzazione ma bisognerà procedere con un successivo progetto esecutivo una volta ricevuti da loro e dalla Regione i pareri di competenza e i suggerimenti.

Non avendo ad oggi nemmeno i due pareri positivi  al progetto preliminare dalla Direzione Regionale per i BBCC e dall Servizio Geologico e Difesa dei Suoli della Regione non è minimamente possibile fare previsioni della apertura al culto della Chiesa di Santa Maria di Rivara (MO). Non certamente prima  del 2014.

Cordiali saluti Franco Rebecchi.

tel 0535-81426  cell 3471109043 


venerdì 22 marzo 2013

La velatura della croce. Per saperne di più



 SI VEDA UN ALTRO NOSTRO POST sulla storia e sul significato della Velatio della Croce e delle immagini dei santi durante la Settimana Santa.


Il colore per la velatura della croce 
Risponde padre Edward McNamara, L.C., professore di Teologia e direttore spirituale
da Zenit del 22.03.2013
 
Roma, 22 Marzo 2013

Velatio a Ss.ma Trinità dei Pellegrini
roma
Un lettore statunitense ha presentato la seguente domanda a padre Edward McNamara:

Nel nuovo Messale Romano il colore per coprire la croce è viola, ma il colore dei paramenti è rosso. Ho notato che varie chiese usano il rosso e un po’ il  viola, e anche il Vaticano utilizza il rosso. Qual è il colore corretto per velare la croce il Venerdì Santo? -- M.P., St. Petersburg, Florida (USA)


Pubblichiamo di seguito la risposta di padre Edward McNamara:

Per quanto riguarda la velatura delle immagini il Messale Romano dice testualmente quanto segue:

Per la quinta Domenica di Quaresima: “L’uso di velare le croci e le immagini della chiesa può essere osservato, se la Conferenza episcopale lo decide. Le croci rimangono coperte fino alla fine della Celebrazione della Passione del Signore il Venerdì Santo, ma le immagini rimangono coperte fino all’inizio della Veglia pasquale”. 

Nessun colore specifico viene menzionato qui, ma si può ragionevolmente presumere che sia il viola, perché questo è il colore tradizionale e corrisponde anche al tempo liturgico. 

Il messale è più netto per quanto riguarda il primo modo di mostrare la Croce il Venerdì Santo: “Il diacono accompagnato da ministranti, o da un altro ministro idoneo, va alla sacrestia, dalla quale, in processione, accompagnato da due ministri con i ceri accesi, porta la croce, coperto da un velo viola, per la navata al centro della chiesa”. 

Nella forma straordinaria, il viola è prescritto sia per il Venerdì Santo che per la velatura di tutte le immagini e croci esposte alla pubblica venerazione, prima dei vespri che precedono la prima domenica di Passione (la quinta Domenica di Quaresima nel calendario attuale). Immagini, come la Via Crucis, vetrate, così come dipinti, mosaici e altre opere d’arte che coprono vaste aree dei muri, non vengono velate. 

Come fa notare il nostro lettore, tuttavia, durante la celebrazione del Venerdì Santo, da parte del Santo Padre è stato usato un velo di colore rosso negli ultimi anni. 

Questo potrebbe essere un’usanza particolare della liturgia papale, simile a quella tradizione secondo la quale i paramenti rossi vengono anche usati  per il funerale di un papa. 

Secondo il grande storico della liturgia monsignor Mario Righetti, l’origine storica della prassi di velare le immagini deriva probabilmente da una consuetudine, in uso in Germania dal IX secolo, di stendere un grande panno davanti all’altare dall’inizio della Quaresima.

Questo tessuto, chiamato Hungertuch (stoffa della fame), nascondeva  interamente l’altare ai fedeli durante la Quaresima e non veniva rimosso, se non durante la lettura della Passione il Mercoledì Santo alle parole “il velo del tempio si squarciò in due”. 

Alcuni autori dicono che c’era un motivo pratico per questa usanza, in quanto i fedeli, spesso analfabeti, avevano bisogno di un modo per sapere che si era in tempo di Quaresima. 

Altri invece sostengono che si trattava di un residuo dell’antica pratica della penitenza pubblica, durante la quale i penitenti venivano ritualmente espulsi dalla chiesa, all’inizio della Quaresima. 

Quando successivamente il rito della penitenza pubblica cadde in disuso - l’intera assemblea simbolicamente entrò nell’ordine dei penitenti, ricevendo le ceneri Mercoledì delle Ceneri - non era più possibile espellerli dalla chiesa. Piuttosto, l’altare o “Santo dei Santi” veniva celato alla loro vista fino a quando non si erano riconciliati con Dio a Pasqua. 

Per motivi analoghi, più tardi, nel Medioevo, anche le immagini di croci e santi venivano velate sin dall’inizio della Quaresima.

La regola di limitare la velatura al tempo della Passione è venuta più tardi e non appare prima della pubblicazione del Cerimoniale dei Vescovi nel XVII secolo.

Dopo il Concilio Vaticano II ci sono state delle mosse per abolire la velatura di tutte le immagini, ma la pratica è sopravvissuta, anche se in una forma mitigata.


(22 Marzo 2013) © Innovative Media Inc.

Don Bux a Milano sulla liturgia



Venerdì 8 marzo 2013, invitato dall’Associazione Alessandro Maggiolini e da Alleanza Cattolica, è stato presente a Milano don Nicola Bux, noto teologo e liturgista dell’Arcidiocesi di Bari.

I due appuntamenti pubblici, da tempo organizzati e attesi, hanno visto una numerosa ed attenta partecipazione tra i fedeli intervenuti ma anche – e ciò ha suscitato grande gioia negli organizzatori – da parte di numerosi sacerdoti.

La Santa Messa, celebrata a mezzogiorno presso l’Università Cattolica di Milano – dove si celebra regolarmente nella Forma Straordinaria del Rito Romano: per maggiori informazioni è attivo l’indirizzo messatridentina.unicatt@gmail.com – è stata offerta per l’Elezione del nuovo Pontefice, affinchè «lo Spirito Santo – ha affermato nell’omelia don Bux - orienti le volontà e le libertà dei cardinali: è lo Spirito Santo che guida la Chiesa e la rende perciò indefettibile nei turbamenti del mondo». Don Nicola Bux, riferendosi alle letture del giorno, ha poi ricordato che Gesù «imparò l’obbedienza dalle cose che ha sofferto, con forti grida e lacrime»: egli, vero Dio e vero Uomo, ci insegna quanto, nella Chiesa, l’obbedienza sia importante e difficile da praticare; e che è necessario offrire nella nostra carne ciò che manca ai patimenti di Cristo. È infatti in noi – la carne indica tutta la persona - che manca qualcosa: offrire noi stessi, specialmente durante la Sacra Liturgia. È certamente faticoso questo: ma proprio per questo ogni anno giunge la Quaresima: fare penitenza, assumere su di noi il giogo di Cristo. In questo compito dobbiamo seguire il Papa, che è il primo a portare la croce. In conclusione, don Nicola Bux ha ricordato come la Sacra Liturgia sia la forma principale e la vera rete di evangelizzazione, anche nella nostra epoca: come testimoniano i numerosi casi di conversione, vocazione e le persecuzioni – anche recenti – subite dai cristiani nelle varie aree geografiche.

Anche la conferenza della sera, tenuta insieme al dott. Nigro, ha visto la sala colma di gente, venuta anche da altre città o – addirittura – regioni.

Daniele Nigro ha tenuto il suo intervento sottolineando il forte legame esistente tra la Sacra Liturgia e il diritto; legame spesso affievolitosi negli anni del post-concilio. La Liturgia – e specialmente la S. Messa – essendo “proprietà di Dio”, non deve essere soggetta ai mutamenti arbitrari di sacerdoti o laici. In un’epoca storica in cui si proclamano con forza i diritti degli uomini – giustamente – e del creato (ha suscitato un’amara risata l’episodio del divieto in Spagna della sperimentazione su embrioni e feti dei gorilla, che evidentemente vengono giudicati più importanti degli esseri umani abortiti), occorre ribadire con forza che anche Dio ha i suoi diritti. È stato poi evidenziato come, prima ancora della creatività nel rito, sia importante tutelare la creatività del rito, inteso come la capacità del rito stesso di trasformare coloro che vi partecipano – poiché esso veicola il Mistero. Ma questa consapevolezza sembra affievolirsi sempre più, specialmente da parte del clero: ecco nascere, dunque, la figura dell’animatore liturgico, ossia di qualcuno che “animi” un rito, evidentemente ritenuto incapace di parlare e trasformare.

«Perché occuparsi di Liturgia in questi tempi? Non ci sono altri problemi più importanti?»: così ha esordito nel suo intervento don Nicola Bux. Il culto divino è il rapporto con Dio, che deve essere coltivato per il semplice motivo che a noi conviene. Il rito, anche un rito profano come quello giudiziario, conserva e tramanda la verità: tant’è vero che un processo con un vizio può essere impugnato. Numerosi sono stati gli argomenti trattati: il senso del sacro, che ragionevolmente si esprime anche attraverso segni esteriori, quali i sacri paramenti (che, è stato ribadito, «servono per Dio, non per i sacerdoti», come ci insegnano gli orientali); la necessità di lasciar parlare il rito, che al contrario viene invaso dalle nostre didascalie («la liturgia non è una conferenza, ma è fondamentalmente preghiera, che per sua natura richiede compostezza», ha affermato citando san Cipriano), dagli applausi, come fossimo a teatro. Per tentare di “correggere il tiro”, Benedetto XVI ha deciso di rimettere in campo il rito antico, che spesso viene promosso dai giovani: ciò vuol dire che quella realtà non è “passata di moda”.

Il testo di questi interventi, così come gli altri del ciclo di incontri “Rottura o Continuità” (www.rotturaocontinuita.tk), verranno prossimamente pubblicati. I prossimi due incontri si terranno il 5 aprile, con p. Giovanni Cavalcoli OP, che tratterà il tema della Riforma nella Continuità, e il 17 maggio, quando Sua Eminenza card. Raymond Leo Burke tratterà il tema dell’importanza del Diritto nella vita della Chiesa. Entrambi si terranno alle ore 18 presso la “Casa card. Schuster”, in via S. Antonio 5 a Milano.

Daniele Premoli

giovedì 21 marzo 2013

Illecita e sacrilega comunione self service al seminario di Pisa

La Comunione self service del fedele, che prende direttamente l'Ostia consacrata dalla patena e la intinge nel calice con il Preziosissimo Sangue è contrarissima ad ogni norma liturgica, sacrilega e... snatura ogni senso di adorazione alla Presenza Reale.  
"Ma certo!" -direte voi- "bellla scoperta .. Lo dovete venire a dire voi?" 
Invece a Pisa è accaduto!! E... udite udite... proprio nella cappella del Seminario!
Di seguito presentiamo un "memorandum" per quel sacerdote (e non aggiungo aggettivi): una pur incompleta citazione dei documenti normativi che ESCLUDONO in maniera chiara, concorde e assoluta, che i fedeli possano prendere da se stessi il pane consacrato direttamente dalla patena e che possano intingerlo nel calice del Vino.
Delle parole "NON è permesso", "NON è consentito", "NON è ammesso"... cosa non è chiaro al celebrante nel seminario di Pisa? Ma S. E. mons. Benotto ne è al corrente?

ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO II ed typ. 2000
n. 160. " Poi il sacerdote prende la patena o la pisside e si reca dai comunicandi, che normalmente si avvicinano processionalmente.
Non è permesso ai fedeli prendere da se stessi il pane consacrato o il sacro calice, tanto meno passarselo di mano in mano. I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale. Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme."


ISTRUZIONE SULLA COMUNIONE EUCARISTICA della CEI  56/1989
1861 -  n. 16. "In ogni caso è il ministro a dare l'ostia consacrata e a porgere il calice. Non è consentito ai fedeli di prendere con le proprie mani il pane consacrato direttamente dalla patena, di intingerlo nel calice del vino, di passare le specie eucaristiche da una mano all'altra. (cf. sopra n. 12; Cfr. Istruzione Inaestimabile donum, 9 della Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino, C4/1857; V7/297)".
(Istruzione sulla Comunione eucaristica, delibera n. 56, della CEI -cfr NCEI 1989, 7/195-201; emanata con Decreto della Conferenza Episcopale Italiana 19.07.1989; cfr. can. 925 Codice di Diritto Canonico).

ISTRUZIONE Inaestimabile donum, Congr. per i Sacramenti e il Culto Divino: 
n. 9. "Comunione eucaristica. La Comunione è un dono del Signore, che viene dato ai fedeli per mezzo del ministro a ciò deputato. Non è ammesso che i fedeli prendano essi stessi il pane consacrato e il sacro calice; e tanto meno che li facciano passare dall'uno all'altro."


ISTRUZIONE Redemptionis Sacramentum Congr. per i Sacramenti e il Culto Divino:
n. 94. Non è consentito ai fedeli di «prendere da sé e tanto meno passarsi tra loro di mano in mano» la sacra ostia o il sacro calice. In merito, inoltre, va rimosso l’abuso che gli sposi durante la Messa nuziale si distribuiscano in modo reciproco la santa Comunione.  
n. 104. "Non si permetta al comunicando di intingere da sé l’ostia nel calice, né di ricevere in mano l’ostia intinta. Quanto all’ostia da intingere, essa sia fatta di materia valida e sia consacrata, escludendo del tutto l’uso di pane non consacrato o di altra materia."

Di seguito i fatti. 
Roberto

Comunione pseudo-cattolica nel seminario diocesano di Pisa

Pisa, Piazza Santa Caterina. Entrata del seminario diocesano.
piazza S. Caterina, entrata del seminario diocesano

Pisa.

Dopo la “cacciagione” dedicata a come veniva amministrata la Santa Comunione nel primo millennio cristiano, mi sono arrivate moltissime testimonianze da tutta Italia sugli abusi liturgici che succedono in quasi tutte le diocesi. Ne ho scelto una in particolare, che pubblicherò quasi integralmente, in cui si racconta un modo veramente peculiare di amministrare la Santa Comunione, sicuramente non conforme all’ortodossia cattolica. Il “fattaccio” è avvenuto a Pisa – la mia arcidiocesi, potete capire perché ho scelto proprio questa testimonianza – nel seminario diocesano.
Il mercoledì, infatti, le messe celebrate in seminario sono aperte anche ai laici e tutti, ovviamente, possono prendervi parte. Dopo aver letto la seguente lettera, mi sono sentita felice di non aver mai avuto il desiderio di partecipare alle “messe del mercoledì” del seminario.


[...] È di questo punto che vorrei parlare, le Messe celebrate nel seminario di Pisa. Il mercoledì sono aperte anche ai laici perché all’interno del seminario la pastorale giovanile organizza le “scuole della parola” che, durante i tempi forti, è un incontro sulla Parola di Dio spiegata dal vescovo ai fedeli [...]. La cappella, come mi è stato detto, non è quella del seminario ma è quella del complesso che ospita anche un dormitorio universitario dedicato al beato Giuseppe Toniolo. Personalmente non ho mai visto cappella più brutta. Non saprei come descriverla, da quanto è brutta, c’è persino l’ambone che sembra una biga romana e un crocifisso, sul muro, che sembra di un uomo “spaventato”. Per non parlare dell’altare che, in mezzo alle panche che fanno da anfiteatro – ti pareva – sembra il tavolo per le autopsie dell’ospedale. 
Ma passiamo alla celebrazione.  
La Messa inizia con uno “schitarramento”  forte accompagnato dal bongo (suonato da un tipo che non mi sembra italiano) di canti classici del repertorio progressista. Vedo, con sgomento, che i seminaristi – alla Messa vi è solo uno che fa servizio con il diacono – non portano la talare, ma orrendi camici da far sbalordire persino un mons. Ravasi. Arrivati alla Sede, il Celebrante e gli altri cominciano i salmi dei Vespri di cui non tutti sono abituati a dire, men che meno nella Messa (pratica assai scomoda e sconsigliata perché appesantisce il tutto, meno male che i progressisti sono quelli del “sobrio”). Seguono le letture, il Vangelo e l’omelia. [...].
La Messa prosegue abbastanza normalmente – nella norma, niente di eccezionalmente eretico ma neanche niente di eccezionalmente ortodosso – anche se ho notato una certa velocità nel recitare il canone (a differenza dell’omelia) e una strana simpatia per la Preghiera Eucaristica V, ma nulla di particolare.
Al momento della Santa Comunione avviene l’imprevisto, l’incredibile, il deprecabile. Il “celebrante” invita i presenti, chierici e laici, a prendere la Sacra Particola così: “La Comunione la si prende sotto le due specie: prima con il Pane e poi col Vino. Voi dovete da me prendere l’Ostia consacrata e poi intingerla nel calice che tiene il diacono”. Rimango allibito dalle sue parole, non ho mai visto una cosa simile! A parte il fatto che la folla è enorme e il rischio di far cadere le Particole che si tengono in mano è grande, c’è anche gente che va al posto con la propria Particola che “gronda”, scusate il termine, del Sangue di Cristo e si mette a consumarla lì seduto. 
È possibile ricevere la Santa Comunione come al self service? È mai possibile che questo modo informe e spregiudicato di concepire il Sacro sia così forte nella nostra Chiesa? Me ne vado sconsolato, pensando a quei giovani che un giorno diventeranno sacerdoti. LETTERA FIRMATA


Uno dei più grandi liturgisti italiani, don Nicola Bux, ripete continuamente che abbiamo perduto il senso del sacro. E il senso del ridicolo, aggiungo io.

Il Papa piacione

Le virtù del nuovo Papa sono occasione di qualche facezia da oratorio
Papa Francesco piace. Moltissimo, e pressoché a tutti, suscitando un entusiasmo generale che supera perfino quello di Giovanni Paolo II nei suoi periodi migliori.

Diciamo la verità: è simpatico ed estroverso. Certo, dopo un papa studioso, timido, indebolito dall'età e, soprattutto, tedesco, l'accento e il calore latini di un pontefice italo-argentino non possono che sembrare una boccata d'aria fresca. E si deve ammettere di buon grado, anzi con piacere, che ha un bello stile nei contatti umani: si ferma a salutare i fedeli, abbraccia i malati, parla a braccio intercalando aneddoti e racconti personali. Non v'è traccia di affettazione in tutto ciò: è dono di natura, e non c'è motivo di pensare che si tratti di una studiata impostazione, anche se certe trovate sembrano suggerite da qualche p.r.: come quella di telefonare all'edicolante di Buenos Aires per disdire l'abbonamento al giornale, o insistere per pagare il conto dell'albergo (che, per inciso, ormai appartiene a lui). I suoi primi discorsi sono improntati ad una semplicità da buon parroco di campagna, ma sono nondimeno - o forse proprio per questo - efficaci e ricordano verità molto ortodosse: mi hanno in particolare colpito i concetti (scontati finché si vuole, ma espressi con ottima sintesi) che se non si confessa Gesù Cristo, si confessa il demonio, riducendo la Chiesa ad una ONG; o che Iddio non si stanca mai di perdonare, ma siamo noi a stancarci di chiederGli il perdono.

Nondimeno, non sono sopite del tutto le nostre inquietudini in merito al nuovo Papa (si è finalmente definito così alla Messa di inaugurazione, seppure per una sola volta; possiamo quindi accantonare la sua insistita, quanto riduttiva, autodefinizione di vescovo di Roma). E partono essenzialmente da tre considerazioni:

1) Alcuni precedenti dell'allora cardinal Bergoglio sono poco rassicuranti. Non ha mostrato mai simpatia per la liturgia tradizionale. E' vero che, dopo l'emanazione del motu proprio, ha concesso immediatamente un luogo di culto ai richiedenti, ma con le classiche modalità autodistruttive: un celebrante piuttosto ostile e l'imposizione del nuovo lezionario e perfino calendario. La Messa era stata 'terminata' dopo un certo tempo. Insomma: le classiche modalità 'gesuitiche' di applicazione del motu proprio, non a caso seguite, fin dai tempi degli indulti giovanpaolini, dal suo confratello card. Martini. Peggio ancora, però, la sua attitudine nei confronti di alcuni dei più significativi atti di Benedetto XVI: le aperte critiche al discorso di Ratisbona (quello in cui Papa Ratzinger criticò l'islamismo e sviluppò quel meraviglioso approfondimento sulla essenzialità della filosofia ellenica nella comprensione del messaggio cristiano) e le riserve contro l'Anglicanorum coetibus, ossia l'istituzione di un Ordinariato per favorire le conversioni in massa degli anglicani al cattolicesimo. Quest'ultimo punto è forse il più inquietante perché sembra deporre per una visione dell'ecumenismo che nega l'unicità della Chiesa cattolica come unico veicolo sicuro di salvezza; sotto questo profilo, la famosa fotografia in giro per internet, che lo ritrae mentre si inginocchia a ricevere la benedizione di un telepredicatore evangelico, ha ben poco di rassicurante.

2) Il secondo aspetto fastidioso è vedere quali sono alcuni dei suoi più entusiasti ammiratori. Da un lato, i tanti corifei del modernismo che vivono la "nuova gestione" come una rivincita e una liberazione dopo i rospi che ha fatto ingoiare loro Papa Ratzinger. I vari don Farinella, Hans Kueng, Enzo Bianchi, i liturgisti d'assalto, non lesinano superlativi. Il card. Mahony (persona non grata nemmeno nella sua diocesi per la copertura dei pedofili) si eccita su twitter per le scarpe nere di Bergoglio, o per la liturgia sobria e senza trappings: come se potessero definirsi sobri i rituali sardanapaleschi che il cardinale di Los Angeles celebrava con gusto. Leonardo Boff (lo spretato teologo della liberazione) diventa elegiaco scrivendo che il nuovo papa "sarà primavera, dopo il duro inverno". Ma forse ancor più inquietante è vedere qual è l'altra categoria dei sostenitori del nuovo Papa: quella "vecchia curia" di potere tanto screditata (i Sodano, i Re - colui che ha riempito il mondo di vescovi mediocri, quand'era Prefetto della relativa Congregazione - i Sandri, i Bertone). Tutti suoi grandi elettori, come raccontano i giornali. E si conferma quello che avevamo scritto prima del Conclave: che i marpioni di Curia hanno architettato una manovra da Gattopardi, ossia far cambiare tutto perché in realtà non cambi niente. Un Papa esotico che viene 'dalla fine del mondo' e sembra cambiar tutto d'improvviso sol perché non usa la mozzetta, bacia le presidentesse e parla di poveri e di umiltà cinque volte al giorno, sarà poi in grado di cambiare le cose che contano per davvero e che necessitano di seria riforma, ossia il sistema di governo della Chiesa?

3) E infine, il terzo motivo di inquietudine deriva da alcuni dei primi gesti del nuovo Papa. Molte delle sue decisioni così abilmente sciorinate nei primi giorni, pur riferentisi ad aspetti in sé marginali (il rifiuto della mozzetta e delle scarpette rosse, l'altare posticcio in Sistina, l'anello in argento, ecc.) gli hanno sì acquistato simpatia, tanto quella (interessata) dei progressisti, quanto quella, puerile, del popolo bove, che pensa che tenere una croce d'oro nel cassetto anziché sul petto sia un gesto di povertà evangelica (un po' come se gli Uffizi esibissero croste di artisti di strada anziché capolavori del Rinascimento, per fare sobrietà e umiltà). Ma Bergoglio, che è persona intelligente, non può non essersi reso conto che in questo modo è stato percepito, e probabilmente ha voluto essere percepito, come l'antitesi del suo predecessore. Tutti, infatti, hanno colto una volontà di marcare la differenza e, come titola ad esempio questo articolo della Reuters, lo stile del nuovo papa è una critica implicita del pontificato di Benedetto. E questo è chiaramente condannabile e fastidioso. Metter contro due papi è sempre detestabile, ma quando il confronto è coscientemente alimentato da uno dei due, la cosa è ancor più grave.

Ma forse, dopo una settimana dalla nomina, Papa Francesco comincia a rendersi conto di questo aspetto poco cattolico. Dopo un inizio burrascoso, di cui vi abbiamo riferito, col cerimoniere Guido Marini, che rappresenta l'epitome del benedettismo liturgico, domenica alla Messa nella parrocchia del Vaticano ha provveduto ad abbracciarlo e ringraziarlo pubblicamente. E ora vedremo se saprà porsi più in continuità con il grande insegnamento del grande Dottore della Chiesa che l'ha appena preceduto, pur nella diversità dei carismi.

Perché da Papa Bergoglio tutti ci attendiamo moltissimo. Pare avere l'energia per prendere in mano le redini di una Curia troppo abbandonata a se stessa. Ed ha un (meritato) capitale di simpatia presso il popolo cristiano, nonché uno stato (momentaneo?) di grazia con i media, che può agevolmente sfruttare per ribadire quelle verità di fede e di morale che sono oggi battute in breccia dal mondo secolarizzato. Papa Benedetto, considerato conservatore e retrivo, non ha potuto superare il muro del pregiudizio. Ma se è vero, come è vero, che le riforme di destra devon farle i governi di sinistra, Papa Francesco potrà, se lo vorrà, far passare più agevolmente messaggi che il mondo d'oggi rifiuta; sia nella morale, sia ancor più nell'ecclesiologia, a cominciare dalla necessaria tutela del sacerdozio contro le tendenze contrarie al celibato - fatte proprie dai suoi amici Hummes, Schoenborn e Lehmann, tra l'altro - o per forme di sacerdozio femminile.

Se Francesco riuscirà in questo, sarà davvero un Pontefice non solo Sommo, ma pure Magno. Anche se, naturalmente, è così umile che non se lo lascerebbe mai dire.

Enrico