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domenica 20 gennaio 2013

Il Summorum Pontificum applicabile al Rito Ambrosiano: al Circolo John Henry Newman di Seregno (MB) Don Marino Neri, il dott. Fabio Adernò e il dott. Andrea Sandri


La libertà Ambrosiana:
sull'applicabilità del Motu Proprio Summorum Pontificum
di Sua Santità Benedetto XVI
al Rito Ambrosiano


«Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande,
e  non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso.
Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede
e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto».
(Benedetto XVI)

Per uniformarsi alla mens del Santo Padre, il Circolo John Henry Newman ha organizzato – lo scorso 11 gennaio – un incontro pubblico sull’applicabilità del Motu Proprio Summorum Pontificum al Rito Ambrosiano. La tesi del Circolo (logica e di buon senso) è la seguente: il Motu proprio – essendo legge universale della Chiesa – deve essere applicato anche nella Diocesi di Milano.

Il dottor Andrea Sandri, presidente del Circolo, ha ripercorso le tappe fondamentali della mancata applicazione del Motu proprio nella Diocesi Ambrosiana: a solo un mese dalla promulgazione del documento papale, l'allora Vicario Episcopale per l'Evangelizzazione e i Sacramenti e Pro Presidente della Congregazione del rito Ambrosiano – mons. Luigi Manganini – pubblicava una lettera nella quale si affermava che il Motu proprio riguardava, «come è ovvio, le parrocchie e le comunità di Rito Romano presenti in Diocesi, dove peraltro in questi anni non ci sono state richieste per l'utilizzo della precedente concessione di Giovanni Paolo II, né risultano esistere gruppi stabili di fedeli per i quali potrebbero essere opportuni passi di riconciliazione».

Il secondo documento analizzato dal dottor Sandri è la lettera di mons. Perl (allora vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei), in risposta a don Jeffrey Moore. Il sacerdote chiedeva conferma dell'applicabilità del Motu proprio nella Diocesi di Lugano, nella quale viene celebrato sia il rito ambrosiano che quello romano. La risposta del monsignore è chiara: «mentre è vero che il motu proprio del Santo padre non cita esplicitamente il rito ambrosiano non esclude nemmeno gli altri riti latini; se la volontà del Sommo Pontefice vale per il rito romano, considerato il superiore in dignità, di conseguenza, tanto più per gli altri riti latini, incluso il rito ambrosiano». Basterebbero queste parole per chiudere la partita in favore dell'applicabilità del Motu proprio in terra ambrosiana, ma – si sa – alcune cattive idee sono difficili da estirpare.

Il dottor Sandri ha poi ceduto la parola a don Marino Neri, filologo e liturgista. Il sacerdote ha analizzato il rito ambrosiano dal punto di vista storico – evidenziando l'attacamento di sant'Ambrogio alla tradizione romana e, allo stesso tempo, il suo tentativo di andare incontro alla tradizione locale – e dal punto di vista filologico, confrontando sinotticamente il Canone romano e quello ambrosiano, e analizzando alcune opere di sant'Ambrogio, utili per comprendere la sua mens liturgica.

Il dottor Fabio Adernò – canonista ed avvocato ecclesiastico – ha analizzato la natura giuridica del Motu proprio, che è – allo stesso tempo – legge universale e, quindi, diretta a tutta la Chiesa, e legge speciale in quanto afferma l'esistenza di una forma "straordinaria" del Rito.
Adernò  ha poi dimostrato come l'espressione "rito romano" – in quanto espressione liturgica maggioritaria della Chiesa – possa esser considerata sinonimica di "rito latino", comprendente quindi anche il rito ambrosiano, ed ha altresì ribadito – al di là di queste interpretazioni – un principio base del diritto: l'autorità inferiore non può né abrogare, né modificare o ignorare quanto disposto dall'autorità superiore, ma solamente applicarlo.

L'incontro si è concluso con l'augurio che i responsabili diocesani tornino a scoprire il tesoro della Messa ambrosiana antica e che, soprattutto, applicando generosamente il Motu proprio Summorum Pontificum riaffermino con forza il loro attaccamento al Santo Padre.

Il giorno seguente, don Marino Neri ha celebrato una santa Messa in rito romano antico presso l'Abbazia dei monaci Olivetani di Seregno.

Date le numerose richieste, il Circolo John Henry Newman ha deciso di rendere disponibili, il prima possibile, le relazioni di don Marino Neri e del dottor Fabio Adernò.

Matteo Carnieletto

9 commenti:

  1. Non prendetemi per pazzo, ma io ricordo distintamente Manganini aver detto durante un'omelia a Sant'Ambrogio a Legnano che "Universae Ecclesiae si applica per analogia anche al rito ambrosiano", con riferimento all'art. 19, ovviamente.
    Come, Universae Ecclesiae sì e il MP no???
    Spero qualcuno possa confermare, altrimenti mi terrò per sempre l'impressione di essermelo sognato.

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  2. Sarebbe una buona notizia. Provi allora qualche parroco a celebrare a partire da domani liberamente (senza alcuna autorizzazione dell'Ordinario) con il Messale ambrosiano del 1959: se non ci saranno opposizioni, la questione sarà felicemente chiusa.

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    1. Era evidentemente voce dal sen fuggita quella del monsignore, che dove gli fa comodo invoca l'analogia con Roma mentre per altre questioni se ne dimentica...

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  3. Resta il fatto che la lettera di mons. Perl, con l'improvvida e offensiva affermazione che il rito romano sarebbe superiore al rito ambrosiano (????) è stato ciò che ha fatto il danno maggiore e la pietra tombale (speriamo solo provvisoria) sull'estensione del MP alla diocesi milanese.

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  4. Una certa superiorità del rito romano sugli altri riti ("praestantia" letteralmente)era già stata sostenuta da Benedetto XIV nella seconda metà del Settecento. Nel caso specifica si era stabilito che in caso di nozze tra due coniugi appartenenti a riti diversi si dovesse celebrare secondo il rito romano.
    Antiquario

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  5. Mi sembra che tale esempio abbia ben poco a che fare con il tema in causa. Per di più mi permetta di dubitare che se un matrimonio fosse avvenuto in una parrocchia di rito ambrosiano il prete abbia mai celebrato in romano se uno dei coniugi fosse provenuto da una parrocchia romana, fatto peraltro abbastanza facile stante la diffusione a macchia di leopardo dell'ambrosiano.

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    1. Benedetto XIV si riferiva ai riti orientali, che dai riti latini (romano, ambrosiano, etc) differiscono non solo quanto a liturgia, ma anche quanto a disciplina e spiritualita'. Nella legislazione della Chiesa oggi (ma anche quando ancora vigeva il Codice di Diritto Canonico del 1917) la supposta praestantia dei riti latini non e' piu' sostenibile

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  6. Ecco appunto.
    Figuriamoci se ci si può servire di certi argomenti (al di la del del fatto ch siamo inesatti,come ci ha spiegato Felice.
    Come potete immaginare, il card. Tettamanzi non e' in cima alle mie preferenze liturgiche, ma in questa occasione ha fatto quello che ogni arcivescovo di Milano degno di questo nome avrebbe fatto: alzare il telefono e fare il diavolo a quattro con Roma. E Roma ha fatto bene a mandare altrove il monsignore che si era permesso di scrivere certe sciocchezze in una lettera di una commissione pontificia.
    Detto questo, mi auguro che il card. Scola sistemi questa faccenda e accolga il MP anche nella nostra diocesi

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  7. In realtà Mons. Perl ha utilizzato un linguaggio impeccabile. Che nella Chiesa cattolica - che, con buona pace di Melloni, è "romana" - tutto ciò che è romano, a partire dal Vescovo di Roma, goda di una maggiore dignità è persino un'ovvietà. E non tanto perchè con ciò ci si riferisca alla qualità, bensì in quanto romano è universale e per ciò stesso cattolico. Improvvida e offensiva potè apparire la lettera dell'Ecclesia Dei soltanto a chi da qualche decennio si è abituato a considerare l'Arcidiocesi di Milano come una diocesi anglicana. Il Rito ambrosiano è un venerando patrimonio, ma piaccia o no l'Arcivescovo di Milano è un Arcivescovo della Chiesa Cattolica e non l'Arcivescovo degli Ambrosiani.

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La Redazione