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Elenchi dei Vescovi (e non solo) pro e contro Fiducia Supplicans #fiduciasupplicans #fernández

Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

mercoledì 29 febbraio 2012

Avviso da Massa e Carrara: riunione costitutiva di gruppo stabile


AVVISO
Il Coordinamento toscano informa tutti i fedeli interessati che in data 5 marzo, ore 21, presso il bar "Il giardino" a Marina di Carrara, si terrà una riunione operativa del gruppo in formazione per l'applicazione del motu proprio Summorum Pontificum nella diocesi di Massa-Carrara-Pontremoli e la conseguente celebrazione della S. Messa secondo i libri liturgici del 1962. La riunione è aperta a chiunque intenda collaborare.

Trento. Riapre santa Maria Maggiore ( la chiesa della terza sessione del Concilio ). Ma mancano gli inginocchiatoi



Da : Libertà e persona

Quanta gioia può esserci nel cuore di un parrocchiano quando viene riaperta la chiesa nella quale ha vissuto i momenti più importanti della propria vita di fedele! E quanta gioia si somma alla precedente se tale chiesa è un gioiello dell’architettura italiana sotto la cui pavimentazione hanno trovato le vestigia della prima chiesa episcopale cittadina oltre che le tracce dell’antecedente foro municipale!

Il cuore si riempie di gioia e orgoglio per il lavoro sapiente e paziente degli studiosi che per lungo tempo si sono dedicati, incuranti del freddo, nel riportare alla luce tracce di una storia che ci qualifica come il Paese con il maggiore tesoro architettonico del mondo.

Poi però arriva alle orecchie una notizia, rumors per lo più, che ci lascia perplessi.

Santa Maria Maggiore, la chiesa della terza sessione del Concilio di Trento, quello che ha ridato solidità e stabilità al mondo cattolico durante la bufera luterana, sarà sprovvista di inginocchiatoi perché l’atto del genuflettersi è stato considerato un gesto vetusto.

Non è questione di lana caprina. Stiamo parlando di un gesto con il quale testimoniamo la nostra devozione alla regalità di Cristo, con il quale veneriamo la reale presenza del Salvatore nel Santissimo Sacramento. È un gesto che esprime la nostra umiltà.

Certo, l’Ordinamento generale del Messale Romano, strumento che fornisce le indicazioni liturgiche necessarie al culto, è molto chiaro in merito: non c’è costrizione alcuna.

“S’inginocchino poi – dice il documento riferendosi ai fedeli – alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute,la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri ragionevoli motivi. Quelli che non si inginocchiano alla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione.”

Il linguaggio della Chiesa, lo si evince, è materno: educa con dolcezza indicando il Giusto, conoscendo tuttavia la fragilità umana, morale e fisica. Una Chiesa che, accogliente come una madre appunto, lascia lo spazio alle varie Conferenze Episcopali di “adattare i gesti e gli atteggiamenti del corpo, descritti nel Rito della Messa, alla cultura e alle ragionevoli tradizioni dei vari popoli secondo le norme del diritto”.

Ora, dato che il concetto della desuetudine dell’inginocchiarsi pare essere stato affermato addirittura dal parroco, ci si chiede quale ragionevole tradizione popolare trentina abbia ispirato la sua decisione.

Non è forse, come al solito, il tentativo, fallimentare in partenza, di volersi uniformare allo spirito dei tempi rendendo accattivante e meno ostica la liturgia? Ma sarà poi davvero più affascinante un culto svuotato di quei pii gesti di partecipazione del fedele al compiersi, hic et nunc, del Sacrificio di Cristo, sacrificio dal quale dipende la nostra salvezza? E l’adattarsi al lassismo imperante del nostro tempo, alla ricerca spasmodica di comodità, non significa accondiscendere al mondo? Non significa impoverire una tradizione liturgica secolare? Non significa rinunciare all’impegnativo intento educativo delle nuove generazioni?

Mentre queste riflessioni si affastellano nella nostra mente, la lettura di un bellissimo breve saggio di mons. Marco Agostini, cerimoniere pontificio e cultore di liturgia e arte sacra, ci apre nel cuore uno spiraglio di soluzione. Riflettendo sulla cura che l’architettura ha riservato all’impiantito delle chiese antiche e moderne, ma non di quelle nostre contemporanee, e scorrendo con l’immaginazione su quei tappeti marmorei ricchi di pietre ed intarsi, il nostro afferma che tali pavimenti, lungi dall’essere un tentativo di esibizione di sfarzo, non erano stati realizzati per essere coperti dai banchi, “questi ultimi introdotti in età relativamente recente allorquando si pensò di disporre le navate delle chiese all’ascolto comodo di lunghi sermoni” […] Questi pavimenti sono principalmente per coloro che la liturgia la vivono e in essa si muovono, sono per coloro che si inginocchiano innanzi all’epifania di Cristo. L’inginocchiarsi è la risposta all’epifania donata per grazia a una singola persona. Colui che è colpito dal bagliore della visione si prostra a terra e da lì vede più di tutti quelli che gli sono rimasti attorno in piedi. Costoro, adorando, o riconoscendosi peccatori, vedono riflessi nelle pietre preziose, nelle tessere d’oro di cui talvolta sono composti i pavimenti antichi, la luce del mistero che rifulge dall’altare e la grandezza della misericordia divina.”

Ebbene, come novelli Magi, come il cieco nato, come la Maddalena nel giardino il mattino di Pasqua, anche noi, espropriati degli antichi banchi con gli inginocchiatoi, ci genufletteremo molto umilmente sul semplice tappeto di pietra di Santa Maria Maggiore.

A.C.

"Fortem virili pectore" o "donne in cerca di guai"? La vicenda di Corfinio


lldebrando Pizzetti nel libretto dell'Opera “ Assassinio nella Cattedrale” , tratto dal dramma di T. S. Eliot “Murder in the Cathedral”, ha affidato al coro femminile e a due corifee ( le donne di Canterbury) la congiunzione di tutta la vicenda dall’inizio alla fine, come in una tragedia greca.
“Siamo noi trascinate dal pericolo, e dal senso che qui siamo al sicuro? Ma quale mai pericolo può esservi per noi, povere donne, noi, le povere donne di Canterbury?...Solo il presagio certo d’un evento che i nostri occhi dovran testimoniare forzato ha i nostri piedi”...
La Divina Provvidenza ha realmente consegnato alle Donne, in diverse occasioni, la “salvaguardia” dei sacri depositi.
Numerose testimonianze storiche narrano, ad esempio, che durante l’occupazione napoleonica in Italia, diversi oggetti di culto vennero salvati dalla distruzione da intrepide donne, mentre gli uomini se ne stavano nascostamente tremanti.

Nei nostri giorni purtroppo impera l’ indifferentismo religioso : per questo l’episodio narrato fa molto riflettere.
Da un lato ci fa molto piacere apprendere che il Vescovo di Sulmona e la Congregazione per le Cause dei Santi vogliono donare alla Parrocchia di Durazzo una piccola Reliquia di San Pelino, nativo di quella Città "dall'altra parte del Mare Adriatico", per promuoverne il culto; dall’altro suscita stupore che le donne di Corfinio, dove sono conservati alcuni resti del Santo Patrono, si oppongono con tanta determinazione fino al punto di volersi recare, se necessario, in Vaticano.
Il video, allegato, è eloquente : le donne di Corfinio ritengono, erroneamente, il prelievo della Reliquia del loro santo Patrono una "profanazione" ed una di esse grida al Vescovo : " Cattolicizzate anche noi ! ".
Peccato che il coraggio delle donne di Corfinio rimanga confinato in Abruzzo !
Quelle brave donne sarebbero state assai gradite a via Labicana a Roma, al Teatro Franco Parenti di Milano ma anche a Reggio Emilia, ad Albiano di Trento, a Civitanova Marche ecc.ecc. ( quanti "eccetera"...) in quei luoghi cioè dove Nostro Signore Cristo, la Santissima Vergine Maria e la Liturgia della Santa Chiesa vengono offesi.
Se le donne di Corfinio dovessero fare delle “trasferte”per difendere le tradizioni dei nostri padri, dovrebbero viaggiare assai spesso in Italia …

La notizia, con video.
SULMONA – Si è arreso il vescovo di Sulmona Valva che, di fronte a proteste e lacrime degli agguerriti corfiniesi, ha dovuto risistemare la statua al suo posto e i frammenti delle reliquie non sono stati portati via. "Dio ce lo ha dato guai chi lo tocca!" Si sono opposti con tutte le forze, urlando e protestando con quanto fiato avevano in gola per circa due ore i fedeli della parrocchia di San Pelino a Corfinio bloccando così il vescovo di Sulmona Valva, pronto a prelevare parte delle spoglie per inviarle in un santuario a Durazzo in Albania, patria natìa del santo confermata da studi storici. Si tratta di ossa custodite nel braccio d’argento e frammenti che furono prelevati nel 700 e inseriti nel medaglione che spilla il mantello della statua. Le intenzioni del vescovo hanno il nulla osta del della congregazione delle cause dei santi con tanto di marchio del Vaticano, fortemente contrastate dagli agguerriti corfiniesi, che hanno ostacolato in tutti i modi l’operazione, tra lacrime, urla e mani che nervosamente si agitavano in segno di protesta anche nel momento in cui il vescovo, dopo aver colloquiato con loro fuori l’antico duomo, si è raccolto in preghiera. Di fronte agli animi che si stavano scaldando sempre più, il vescovo non ha potuto fare altro che decidere di “sospendere per ora”, forse su suggerimento anche del prete avezzanese missionario in Albania, presente oggi. Si attenderanno, probabilmente, tempi migliori e più opportuni, quando le ire saranno placate.
Di poche parole monsignor Spina, non ha rilasciato tante e dettagliate spiegazioni, affermando solo “Visto il momento c’è bisogno anche di calma e serenità perché è bene forse per ora sospendere”. A chi chiedeva di un futuro confronto con i cittadini ha risposto con diplomazia “io vengo sempre in questa chiesa”.
Oggetto del malcontento per i fedeli è la mancata concertazione da parte del vescovo con loro, i quali sostengono di sentirsi privati di beni che non solo appartengono al loro piccolo paese dalla grande e illustre storia, ma al loro patrono. Incontrerà domani i cittadini per discutere del caso il sindaco, Massimo Colangelo, presente questa mattina, preoccupato anche per il patrimonio culturale, convinto che certe operazioni andrebbero eseguite con delicatezza e non in tutta fretta. “ha vinto il buon senso” ha detto “Non approvo la mancanza di comunicazione e condivisione con una comunità che anche se con eccesso di sentimenti ha espresso dissenso e non credo che meriti frustrazione. Domani incontrerò la gente anche se queste azioni non competono ad un’autorità laica”. Oltre a un documento sottoscritto dai fedeli che attesta la loro contrarietà, è partita una petizione "Non ci fermiamo qua" hanno gridato alcune signore "siamo disposti ad andare anche in Vaticano se il vescovo dovesse tornare a prelevare le reliquie". g.s. http://centroabruzzonews.blogspot.com/2012/02/tra-lacrime-e-proteste-fedeli-bloccano.html

Abbiamo chiesto lumi della vicenda ad uno storico locale che ci ha voluto gentilmente spiegare il motivo del particolare attaccamento dei corfinesi per le rimanenti Reliquie del loro Santo :
Per la verità delle cose bisogna precisare che il santo Vescovo di Brindisi di nome Pelino fu deportato dall'imperatore di Costantinopoli a Corfinio e vi trovò il martirio nella metà del sec. VII. Il Santo divenne patrono della Diocesi che aveva sede in Valva (l'antica Corfinium, che oggi ha ripreso l'antico nome).
Dal sec XIII la sede vescovile della cattedrale valvense fu unita "aeque principaliter" a quella di Sulmona, con sede del Vescovo a Sulmona. La rivalità tra le due città fu sempre ardua, fino a sfociare nel XVIII sec. all'atto esecrando dei sulmonesi che diedero fuoco alla cattedrale valvense e incenerirono il corpo del Martire san Pelino, così da dare priorità a San Panfilo Vescovo venerato nella loro città dove gli è dedicata la cattedrale.
A Corfinio rimase in possesso dei fedeli solo un piccolo osso di san Pelino, che era racchiuso nel reliquiario argenteo del braccio benedicente. Da quel reliquiario fu asportato un pezzetto di reliquia per collocarlo nel busto ligneo che si vede nel video. Da qui l'attuale Vescovo vorrebbe prelevare un ulteriore frammento, che andrebbe a scapito della già poca quantità di reliquie del Santo; reliquie che il popolo corfinese, a questo punto possiamo capire perchè, conserva e venera gelosissimamente".
A.C.

martedì 28 febbraio 2012

La Gran Pretagna


unavoceitalia  24 febbraio 2012


Nel “Congedo” del volume Altare deserto (Roma, Volpe, 1983, pp. 120 ss.), Carlo Belli racconta un visita al card. Ottaviani in compagnia di Cristina Campo. Possiamo chiederci se c’è ancor oggi la “potente Consorteria di preti” contro la messa, non sono ancora tutti morti?

Nei primi anni della nostra battaglia, Cristina Campo, la nostra indimenticabile Cristina, vero pilastro di “Una Voce”, mi portò in Vaticano a far visita al cardinale Ottaviani e poi al Card. Bacci, i firmatari della storica lettera a Paolo VI, circa “l’impressionante allontanamento della teologia cattolica della Santa Messa”. Entrati nell’appartamento di Ottaviani, vedemmo il cardinale, seduto su una poltrona a rotelle, presso la finestra, coperte le gambe da un plaid rossastro. Non stava bene. La salute lo aveva abbandonato. Era piuttosto gravemente infermo. Ma non lo spirito. Che spirito! Polemizzava con un’acutezza di argomenti che oltre a rivelare il vasto sapere, era qua e là punteggiata da schizzi di lampante ironia. Credendo di svelargli chissacché, gli dissi che il Vaticano era ormai “occupato” da una torma di progressisti indemoniati, presenti nelle varie Congregazioni, infiltratisi nei Sinodi, in ogni ufficio del Vaticano e ciò che faceva più impressione era il fatto che non si trattava di laici, ma di una potente Consorteria di preti…

OTTAVIANI: – Potente sì, tant’è vero che noi, qua dentro, la chiamiamo la Gran Pretagna…

Ricordo ancora la risata squillante di Cristina. Sarebbe lungo descrivere le emozioni provate in quelle due visite indimenticabili. Perché, anche durante la visita al cardinale Bacci, toscano ed è detto tutto, scoppiarono frequentemente frizzi e botti di ironia, al fondo della quale vi era una grande tristezza.

Tristezza per un tesoro perduto e ancor oggi tenacemente tenuto nelle fauci di una minoranza di esaltati, eretici e infedeli, fagocitati dal mondo anziché essere ispirati dal Soprannaturale. potente consorteria alla quale non riesce a far fronte nemmeno il Papa.

E allora?

Allora preghiamo per queste anime morte che si illudono di essere vive, mentre hanno volontariamente spento dentro a se stessi lo Spirito che davvero li faceva fratelli di Cristo. Dio li perdoni per tutto il male che hanno prodotto e li faccia rinsavire prima che ne compiano dell’altro.

Carlo Belli

Turoldo e il mito del profeta inascoltato


Da La Bussola di Antonio Livi


25-02-2012

È stato ricordato da molti organi di stampa la figura e l’opera di padre David Maria Turoldo, religioso Servita, a vent’anni dalla morte, avvenuta a Milano il 6 febbraio 1992. Nel corso delle esequie il cardinale Carlo Maria Martini, che aveva consegnato a padre Turoldo, pochi mesi prima della morte, il primo "Premio Giuseppe Lazzati", ebbe a dire che «la Chiesa riconosce la profezia troppo tardi».

Trovo assurda questa maniera di elogiare un fedele defunto denigrando l’autorità ecclesiastica (Martini, ex arcivescovo di Milano si riferisce ai suoi predecessori e anche alla Santa Sede), la quale non avrebbe saputo riconoscerlo e ascoltarlo come “profeta”, ossia come maestro della fede e giudice della condotta pastorale di vescovi e Papi. Si tratta di un’assurdità, dal punto di vista teologico, perché il biblista Martini applica abusivamente alla comunità cristiana, che è gerarchica e carismatica allo stesso tempo (dice la Scrittura: i vescovi, con a capo il Papa, «sono posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa»), le categorie storiche dell’Antico Testamento, quando i profeti inviati da Javeh erano talvolta disconosciuti e osteggiati dai capi del popolo di Israele. Con la Nuova alleanza, il carisma profetico sussiste, ma è semplicemente la partecipazione dei fedeli, in grado e in modi diversi, al munus docendi di Cristo, il Verbo Incarnato, che è il solo Maestro. E solo nei legittimi Pastori il carisma della profezia è garantito da Cristo stesso, il quale assicura alla Chiesa docente la “infallibilitas in docendo”.

Se la Chiesa riconosce in alcuni fedeli (ad esempio, nei fondatori di ordini e congregazioni religiose) dei particolari carismi è perché constata che essi sono utili alla santità di tutto il Corpo Mistico; se poi non approva i progetti e le iniziative di qualcun altro, ciò non vuol dire che essa sia sorda ai richiami di un “profeta”; si tratta piuttosto di giudizi e di decisioni prudenziali che non godono della prerogativa dell’infallibilità ma che nemmeno possono essere giudicati da altre istanze private che si arrogano questa infallibilità. Dicevo che, dal punto di vista teologico, si tratta di assurdità, perché pretendono di costruire un’ecclesiologia arbitraria, dove l’opinione (più o meno plausibile, e quindi sempre criticabile) viene spacciata per dogma, mentre il dogma è considerato come se fosse una mera opinione (da criticare perché recepita come espressione di un’ideologia avversa).

È una dialettica che ho illustrato nel mio trattato su Vera e falsa teologia, ma qualunque fedele cristiano adeguatamente formato è in grado di smascherare coloro pretendono di imporre le proprie posizioni ideologiche come se fossero una rivelazione diretta di Dio alla quale dovrebbero adeguarsi anche i Pastori della Chiesa. La commemorazione di Padre David Maria Turoldo è stata l’occasione per ripresentarlo come un’icona del profetismo progressista, ossia di quella “Chiesa del dissenso” che si rivolge all’opinione pubblica cattolica con false ragioni teologiche malamente mascherate dai clichés retorici.

La retorica è l’arma principale delle ideologie. È per questo che, a partire dagli anni del Concilio Vaticano II, certa religiosità cattolica “di sinistra” si è costruita i suoi idoli, i suoi oggetti di culto e i suoi riti. Ai riti cattolici “di sinistra” è essenziale presentare i propri esponenti non solo come “profeti”, cioè come autentici araldi del vangelo, ma anche come “martiri”, come “preti scomodi” che sono stati vittime della repressione da parte del potere ecclesiastico. Come già padre Balducci e don Milani e oggi don Gallo (ma l’elenco è lungo, e comprende anche l’ex abate di San Paolo, dom Franzoni), anche la figura e l’opera (soprattutto poetica) di padre Turoldo sono stati utilizzati dalla propaganda ideologica. Le sue iniziative pastorali e culturali sono state presentate come se questo buon religioso fosse davvero soltanto la “voce degli oppressi”, un paladino della lotta di classe all’interno della società civile e della comunità ecclesiale.

Antonio Borrelli, in Santi, beati e testimoni, ha scritto di lui: «Uomo di grande sensibilità, combatté con sdegno le ingiustizie, rifiutando ogni compromesso con il potere; gli aggettivi che meglio lo qualificarono furono, “ribelle” (nel senso nobile del termine), “impetuoso” (nelle sue reazioni ed atteggiamenti), “drammatico” (per le sue vicissitudini), “fedele” (a Dio, alla sua vocazione, alla sua origine)». Già il fatto di distinguere tra fedeltà a Dio e fedeltà alla propria vocazione e alle proprie origini è nonsenso teologico. Ma per la retorica tutto fa brodo.

In effetti, le origini di Giuseppe Turoldo (così si chiamava prima della professione religiosa) sono un tutt’uno con la sua dedizione al servizio di Dio nella Chiesa di Cristo. Nono di dieci fratelli, nacque a Coderno, nel Friuli, da una famiglia contadina. A soli tredici anni fece il suo ingresso nel convento dei Serviti a Isola Vicentina, nel 1935 emise la sua prima professione religiosa e nel 1938 pronunciò i voti solenni. Nel 1940, dopo l’ordinazione presbiterale, si trasferì a Milano, dove l’arcivescovo cardinal Ildefonso Schuster gli affidò la predicazione domenicale nel Duomo. Durante l'occupazione nazista di Milano (8 settembre 1943 - 25 aprile 1945) collaborò con la resistenza antifascista, creando e diffondendo dal suo convento il periodico clandestino l'Uomo. Completò poi i suoi studi in filosofia all'Università Cattolica di Milano, dove si laureò nel 1946 con Gustavo Bontadini, il quale lo volle poi suo assistente alla cattedra di Filosofia Teoretica.

Il suo impegno a cercare un confronto di idee deciso e talvolta duro, ma sempre dialettico, si tradusse nella fondazione, col suo fedele collaboratore fra' Camillo De Piaz, del centro culturale “Corsia dei Servi”. Fu uno dei principali sostenitori (anche con un’ingente raccolta di fondi) del progetto “Nomadelfia”, il villaggio nato per accogliere gli orfani di guerra «con la fraternità come unica legge», fondato da don Zeno Saltini. Fondò una piccola comunità, "Casa di Emmaus", presso la quale istituì il Centro di studi ecumenici "Giovanni XXIII", aperto anche agli islamici e agli atei dichiarati. Nel 1968 curò una prima edizione degli scritti di Benedetta Bianchi Porro.

Nel 1974, in occasione del referendum abrogativo della legge sul divorzio, si schierò per il "no" a fianco dei radicali e dei comunisti e contro i cattolici del “sì”. Ebbe sempre molti amici tra gli intellettuali di sinistra (come Pier Paolo Pasolini, friulano e poeta come lui, e il rettore di Urbino, Carlo Bo), tra i politici (come il sindaco di Firenze Giorgio La Pira) e tra gli ecclesiastici più in vista (come l’attuale cardinal Gianfranco Ravasi). Tra il 1948 e il 1952 si rese noto al grande pubblico con due raccolte di liriche: Io non ho mani (che gli valse il Premio letterario Saint Vincent) e Gli occhi miei lo vedranno.

La sua fu, insomma, la vita di un religioso stimato, di uomo di cultura politicamente impegnato, di un poeta più volte premiato. Solo strumentalizzandola può presentarsi come la vita di un profeta inascoltato. Turoldo non poteva essere ed effettivamente e non fu un “profeta”: fu semplicemente un uomo di fede, con iniziative pastorali e proposte teologiche che qualcuno potrà giudicare positivamente (ma senza canonizzarle), mentre altri possono legittimamente criticarle. Io, ad esempio, nei discorsi di Turoldo vedo i limiti teologici di quel “biblicismo” che è stato esplicitamente stigmatizzato da Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio. Come molti teologi del tempo egli riduceva la “Parola di Dio” non alla Rivelazione proposta infallibilmente dalla Chiesa ma alla sola Scrittura recepita con il “libero esame”, e quindi filtrata attraverso le precomprensioni suggerite dalle categorie ideologiche delle filosofie di moda. La più insidiosa di queste categorie filosofiche è quella hegeliana della negatività in Dio, assurdità logica che si ritrova spesso nel linguaggio dei pretesi “mistici” e anche in questi versi di Turoldo: «Dio e il Nulla – se pur l’uno dall’altro si dissocia… / Tu non puoi non essere / Tu devi essere, / pure se il Nulla è il tuo oceano».

lunedì 27 febbraio 2012

Veterum Sapientia


by unavoceitalia 23 febbraio 2012

La Costituzione apostolica “Veterum sapientia” sullo studio e l’uso del latino, emanata dal beato Giovanni XXIII, ha cinquant’anni. Nel X anniversario il bollettino nazionale di Una Voce Italia pubblicava una nota al proposito, che nella sostanza è ancora oggi attuale. È finita l’autodemolizione? c’è già una ricostruzione, e che cosa si ricostruisce? Sono questioni aperte. ”Veterum sapientia” ha un momento duplice, da un lato le idee sul latino come lingua della Chiesa, dall’altro le disposizioni di diritto riguardanti soprattutto gli studi ecclesiastici e i seminari diocesani. Quello che appare certo è che l’inosservanza non è finita: la costituzione continua a essere disapplicata. Ma si potrà fare studiare il latino ai preti come e più di prima se non lo usano più per la messa e l’ufficio? Cominciare ad applicare questa legge non osservata presuppone la restaurazione del latino nella liturgia.

X Anniversario della Costituzione Apostolica “Veterum Sapientia

Lo scorso 22 Febbraio si è compiuto il X Anniversario della promulgazione della “Veterum Sapientia”, la Costituzione Apostolica di Papa Giovanni XXIII concernente lo studio e l’incremento della Lingua Latina nella Chiesa. Tutti ricordano la solennità con la quale il Pontefice volle fosse nota la sua volontà di Legislatore nell’atto di apporre la sua autentica all’eccezionale documento. Al rito presenziavano, nel Massimo Tempio della Cristianità, il Sacro Collegio dei Padri Cardinali, la Curia Romana coi suoi vari Dicasteri, la Commissione Centrale preparatoria del Concilio Vaticano II, le Autorità Accademiche delle Università e Atenei Ecclesiastici con gli alunni dei Collegi e Seminari dell’Urbe, con grande moltitudine di fedeli “ex omni lingua et natione “. Il giorno prescelto della Cattedra del Principe degli Apostoli, la firma all’Altare della Confessione, la consegna del documento per l’esecuzione al Cardinale Prefetto della S. Congregazione per gli Studi mentre la Cappella Giulia intonava il canto del “Tu es Petrus”, parve al mondo un quadro degno ad esprimere la rinnovata volontà del Pontificato Romano di restituire alla lingua del suo Culto, del suo Magistero, delle sue Leggi tutto il vigore che le conviene per l’esercizio del Primato.
Le parole con cui lo stesso Pontefice sottolinea il suo atto meditato – “En igitur Vobis nova Apostolica Constitutio ‘Veterum Sapientia’, latinae linguae studio et usui consecrata. Aestimationis honorisque causa ei subscribere voluimus in hoc solemni conventu, qui impendens praenuntiat Concilium” – bastano da sole a smentire la leggenda messa in giro dai nemici del Latino, che il “buon Papa Giovanni” sia stato costretto a quell’atto e a quel gesto. In realtà Giovanni XXIII amava e venerava la lingua Latina, il cui studio e uso non solo raccomandò in altri documenti, i cui meriti, utilità e necessità difese non soltanto parlando a gruppi qualificati di ascoltatori, ma pure improvvisando “ex abundantia cordis” in Udienze a semplici fedeli. Si può dunque essere certi che egli non avrebbe mai tollerato gli eccessi della rivoluzione attuale.
Qualcuno potrebbe dire, oggi, a dieci anni di distanza, che i nobilissimi intenti di Giovanni XXIII in favore del Latino sono stati frustrati proprio da quel Concilio Vaticano II al quale Egli offriva come “fausta primizia” la Costituzione Apostolica “de latinitatis studio provehendo”. E la riflessione può essere giusta se si considerano i frutti del postconcilio. Non si può negare tuttavia un fatto di grande importanza per il valore e l’efficacia futura del documento, quando cioè, superato il folle periodo dell’ “autodemolizione” post-conciliare, esso si presenterà alla rinnovata coscienza dei cattolici come opera esclusiva del Primato. È risaputo infatti che Giovanni XXIII, nonostante che il Concilio fosse alle porte, ha voluto legiferare da solo sulla lingua ufficiale della Chiesa; ed è parimenti noto che egli – istinto o preveggenza? – ordinò il ritiro di uno schema conciliare sul Latino giudicando l’argomento definitivamente concluso dalla “Veterum Sapientia”. Con ciò non soltanto veniva evitato il certo pericolo che nell’Aula conciliare il solenne documento venisse giudicato e stemperato nei suoi principii costitutivi e nelle sue norme, ma anche la stessa ipoteca di equivoco e compromesso che grava su non pochi atti conciliari, che tanto danno sta provocando. La Storia della Chiesa insegna che “in necessariis” vale molto meglio una posizione netta e precisa, anche se esposta per l’iniquità dei tempi all’inosservanza, che il venire a patti e il compromesso. Così, per esempio, del celibato ecclesiastico durante la Riforma Gregoriana, così ancora, fortunatamente, ai giorni nostri. Verrà anche l’ora della restaurazione del Latino come dei valori cui esso serve e ai quali è strettamente congiunto: il Primato romano, l’universalità e l’unità del Rito, la religiosa osservanza della tradizione dogmatica e disciplinare, l’obbedienza alla Legge.

da «Una Voce Notiziario», 8 (1972), 8-9.

OGGI E' IL 150° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI SAN GABRIELE DELL'ADDOLORATA

San Gabriele dell'Addolorata

Battezzato con il nome di Francesco dai genitori, Sante Possenti e Agnese Frisciotti, Gabriele dell'Addolorata nacque ad Assisi il 1° marzo 1838. A motivo dei frequenti spostamenti del padre, governatore dello Stato Pontificio, Francesco poté risiedere a lungo a Spoleto solo dal 1841 al 1856; qui frequentò prima l'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane e poi il Collegio dei Gesuiti. per gli studi superiori, dove arricchì la sua educazione cristiana, già trasmessa con sollecitudine in famiglia.
A diciotto anni, salutò il padre e i fratelli (la madre era morta quando Francesco aveva quattro anni) e partì per Morrovalle (Mc) per seguire il noviziato presso i Padri Passionisti: qui scelse il nome di Gabriele dell'Addolorata. Tuttavia la vocazione che il santo sentì già nell'adolescenza non si poté compiere: Gabriele morì prematuramente a soli 24 anni, il 27 febbraio 1862, a Isola del Gran Sasso (Te), ricevendo solo gli ordini minori.
Il santuario che ne accolse la salma riceve da allora migliaia di pellegrini ogni anno. Il 13 maggio 1920 fu annoverato tra i santi da papa Benedetto XV e successivamente fu eletto a compatrono dell'Azione Cattolica; nel 1959 Gabriele dell'Addolorata fu dichiarato patrono principale dell'Abruzzo.
Gli Atti del processo di beatificazione lumeggiano con precisione le caratteristiche della sua santità, fatta di fedeltà incondizionata alla Regola e alla memoria della Passione del Signore, di completo dono di sé senza riserve, di spirito di orazione e penitenza, di particolarissima devozione a Maria Santissima Addolorata. Ai nostri giorni la figura del "santo del sorriso", caratterizzata da una genuina pietà cristiana, sta conquistando il cuore di molti giovani.


La testimonianza di una miracolata dal Santo del 1975.

Nel giugno del 1975 il santo opera uno dei suoi miracoli più strepitosi. Si tratta della guarigione istantanea di Lorella ..., una bambina di Montesilvano (Pescara), che così racconta il prodigio. "Fin dalla prima elementare ho cominciato a sentirmi male. Quando avevo 8 anni, la cosa peggiorò e così i miei genitori mi portarono da vari medici. A 10 anni quasi non potevo più camminare, inciampavo sempre. I medici non riuscivano a capirci molto. Fui ricoverata all'ospedale di Ancona, dove scoprirono che avevo la leucoencefalite, una malattia allora incurabile, che impediva appunto l'uso delle gambe.
Un giorno, eravamo a metà giugno 1975, venne ad Ancona mia zia, per assistermi. Una domenica tutti quelli della mia camerata, compresa la zia, erano andati a messa. Ad un certo punto io vidi una luce intensa, da cui uscì un frate che indossava una tunica nera, un mantello e i sandali ai piedi. Aveva anche uno stemma a forma di cuore. Capii subito che era San Gabriele. Stava davanti a me sorridente, un viso luminosissimo, occhi limpidi e scuri. Con quel sorriso mi disse: "Lorella, vieni da me, ti addormenterai sulla mia tomba e tornerai a camminare". Mi guardò, sorrise, si voltò e sparì.
Immediatamente non raccontai niente a mia zia. Ma da quel giorno (era il 16 giugno) per una settimana intera ho rivisto San Gabriele in sogno. Mi accadeva sia di giorno che di notte, bastava che mi addormentassi. Lui mi ripeteva sempre la stessa cosa: "Lorella, vieni, ti addormenterai sulla mia tomba e tornerai a camminare". Ma dal terzo giorno in poi il santo non mi sorrideva più, cominciava ad essere triste. Finché, la quinta volta mi disse: "Lorella, vieni, perché non vieni? Ti addormenterai sulla mia tomba e tornerai a camminare". L'ultima volta che sognai San Gabriele, aveva il volto triste e mi disse: "Lorella, vieni, prima che scada il tempo".
Intanto mia madre era tornata ad Ancona e a lei raccontai tutto. Mi credette subito, tanto che andò dal primario a chiedere il permesso di andare a San Gabriele. Il primario disse che non era il caso, viste le mie condizioni di salute. Mia madre insistette e alla fine il primario diede il permesso, ma prima mi fece scrivere su un foglietto quello che mi era accaduto.
Così tornammo a casa a Montesilvano e il 23 giugno ci recammo al santuario di San Gabriele. Arrivati, mia madre chiese ad un frate se poteva mettermi sulla tomba del santo. Il frate acconsentì, io mi addormentai subito e ad un certo punto mi apparve una luce intensa in cui vidi San Gabriele sorridente, con un crocifisso di legno in mano. Mi disse: "Adesso, Lorella, alzati e cammina". Aprii gli occhi, guardai intorno, vidi tanta gente che prima non c'era. Ero confusa, pensavo che dovessi andare a scuola. Mi alzai come se nulla fosse, scavalcai il piccolo recinto in ferro, mi trovai innanzi mio padre che, appena mi vide, prima restò muto, poi gridò: "Reggetela, perché cade" e si mise a piangere e a ridere nello stesso tempo. Gli dissi di non preoccuparsi perché non sarei caduta. Quindi andai nella cappella del santo a ringraziarlo". (A.C.)

http://www.youtube.com/watch?v=oz4N-otqAaI&feature=share

sabato 25 febbraio 2012

Livorno: Conferenza del prof. De Mattei


Parrocchia di San Simone e dell’Immacolata Concezione
Associazione “Cristo Re” Livorno

Chiesa di San Simone - Piazza San Simone, Ardenza - Livorno
Giovedì 6 Marzo 2012 - ore 21.00 presentazione del libro
APOLOGIA DELLA TRADIZIONE
Poscritto a Il Concilio Vaticano II – Una storia mai scritta
*****
Alla presenza dell’Autore, prof. ROBERTO DE MATTEI Presidente Fondazione Lepanto, Docente di Storia del Cristianesimo e della Chiesa all'Università Europea di Roma.
Apre l’incontro il saluto di
S.E. Rev.ma Mons. Simone Giusti, Vescovo di Livorno
***
Introducono il Dr. Massimo Ciacchini ed il Dr. Piero Mainardi
La S.V. è invitata

venerdì 24 febbraio 2012

Di Mani in peggio?



S.E. Mons. Arrigo Miglio



Sarà a breve resa nota (molto probabilmente domani, sabato) l'ultima nomina episcopale di rilievo: quella del nuovo Arcivescovo di Cagliari.

I nostri affezionati lettori ricorderanno come sulla principale cattedra dell'isola sieda attualmente l'arcivescovo Giuseppe Mani, che a pieno diritto figura nella nostra hall of infamy (La trahison des clercs, nella colonna a destra di questo blog) per avere proibito, senza alcuna plausibile motivazione che non fosse l'avversione per la tradizione liturgica della Chiesa, un convegno sul motu proprio (leggi qui).

Ora al posto di Mani arriverà mons. Arrigo Miglio, attuale vescovo di Ivrea.

Miglio, da tempo, è in predicato per una sistemazione più importante della diocesi eporediese ove attualmente risiede. Considerato un bertoniano, il suo nome era circolato a suo tempo per la sede di Torino e poi perfino di Milano. A consolazione, ora arriva a Cagliari: per lui un ritorno nell'isola, visto che la sua prima nomina era stata ad Iglesias.

Che si può dire di mons. Miglio? Qualcosa di disturbante c'è: innanzi tutto, il fatto di essere il pupillo del famigerato 'vescovo rosso' Bettazzi, ultraprogressista all'estremo quale è raro trovarne - almeno così scopertamente - in Italia. Miglio, infatti, era vicario generale del Bettazzi, è stato da lui consacrato e, per insistenza sempre di Bettazzi, è a quest'ultimo succeduto ad Ivrea. Va anche detto, peraltro, che il nuovo arcivescovo cagliaritano è un po' più moderato del vescovo 'esiste-solo-il-concilio' Bettazzi (anche se, a dire il vero, rispetto a quest'ultimo ci vuole poco): si può leggere qui come un prete mestatore della diocesi di Ivrea si dolga dell'approccio più rigoroso di Miglio rispetto al predecessore.

Sempre il vescovo Miglio è particolarmente benvoluto negli ambienti omosessualisti per avere 'temperato', diciamo così, alcune dichiarazioni dell'on. Buttiglione giudicate troppo aspre nei confronti dei gay. In realtà le affermazioni del presule (leggibili su Gaynews) sono rimaste nell'ambito dell'insegnamento della Chiesa, che condanna la pratica omosessuale e non la tendenza; ma, certo, con una buona dose di reticenza e melliflua ambiguità, che rende il messaggio non del tutto chiaro: tanto da meritare l'entusiastica accoglienza delle associazioni omosessuali.

Ancor meno opportuna, poi, ci pare la sua partecipazione personale ad un convegno della rassegna "Ivrea la Gaya", dedicato ai rapporti tra Chiesa e omosessualità, per sorbirsi la lezione del presidente dell'Arcigay e dell'ex prete di comunità di base (ridotto punitivamente allo stato laicale) Franco Barbero.

Anche alcuni suoi interventi di natura politica, sui quali preferiamo non addentrarci, gli hanno attirato critiche perché in almeno apparente contrasto con la tutela dei cosiddetti valori non negoziabili (v. qui).

Per quanto concerne la sua posizione in merito all'antica liturgia, possiamo citare un suo comunicato ufficiale di poco successivo alla promulgazione del motu proprio Summorum Pontificum. Formalmente corretto, anche questo; ma chi sa leggere le involute pieghe del clericalese, capisce al volo quale sia la vera mens di Sua Eccellenza:

Non è inutile forse precisare che tali disposizioni non mettono alcun limite all’uso del Messale promulgato da Paolo VI nel ’70 e riconfermato in due edizioni successive da Giovanni Paolo II: questo messale rimane la forma ordinaria della celebrazione eucaristica per la chiesa latina [..]

Per la mia generazione, e per quella già più avanti, può sembrare un ritorno a prima del Concilio, e così hanno scritto molti giornali; per le generazioni più giovani, che non hanno vissuto la liturgia pre conciliare, c’è piuttosto una comprensibile curiosità, che forse alla prova dei fatti resterà alquanto delusa, perché, come precisa il Papa, non si tratta di un altro Rito, ma di una forma, oggi lasciata in uso come straordinaria, dell’unico Rito Romano. [..]
È bene ricordare che l’uso del Messale più antico viene permesso non per soddisfare curiosità o altre esigenze personali ma per il bene spirituale dei fedeli, come precisa in più punti Benedetto XVI. Non vuole dunque essere, e non deve diventare, una sconfessione del Concilio Vaticano II e delle riforma liturgica approvata da Paolo VI, e io vorrei aggiungere che dobbiamo grande rispetto per tutti coloro che si sono impegnati con entusiasmo, e non senza fatica, all’attuazione della riforma post conciliare. Non sono mancate le esagerazioni e le deformazioni, ma non possiamo trascurare le motivazioni che hanno ispirato sia la costituzione conciliare sulla liturgia sia la riforma liturgica successiva [..]

Enrico (tornato all'opera)

Genova 25-26 febbraio : " Cantus Gregoriani, le molte voci del canto liturgico cattolico : un'introduzione"





















Genova, 25-26 febbraio e 14-15 aprile 2012, Oratorio di San Filippo: Cantus Gregoriani, con G. Baroffio, M. Gozzi, G. Milanese, A. Rusconi, L. Scappaticci.

Perché UN NUOVO SEMINARIO GREGORIANO?

Che senso può avere un nuovo seminario gregoriano? Cantus Gregoriani, al plurale: in questo seminario ci proponiamo di presentare un'idea non archeologica del canto gregoriano: se il Gregoriano del IX-X secolo è sicuramente un momento essenziale nella storia della cultura liturgica e musicale dell'Occidente, è giunto il momento di riprendere contatto con la tradizione ininterrotta del canto liturgico: prima di tutto le tradizioni locali (l'ambrosiano, l'ispanico…) spesso rimaste vive fino ai primi del Novecento; poi il gregoriano che si adattò ai linguaggi musicali delle varie epoche, con il canto fratto, le riscritture ritmiche, e soprattutto l'esecuzione a più voci del repertorio, che ha per altro origini antichissime.
Gregoriano non archeologico vuol dire un canto che vive nel suo luogo naturale, la pratica liturgica. Per questo proponiamo in ambedue le occasioni la Compieta o il Vespro eseguiti secondo la tradizione benedettina e una Messa cantata. In queste occasioni non eseguiremo solo canti gregoriani del repertorio che abitualmente si chiama così, ma anche canti delle tradizioni «intorno al gregoriano» (ambrosiano, ispanico, canto fratto…)

Programma, date, docenti, iscrizioni

Le date previste sono due fine-settimana: il 25-26 febbraio e il 14-15 aprile, rispettivamente I domenica di Quaresima e Domenica in Albis. Il corso si svolge a Genova, presso l'Oratorio di San Filippo, vicinissimo alla zona dell'Acquario, a 10 minuti a piedi dalla stazione ferroviaria di Genova Piazza Principe (oppure a 2 minuti dalla stazione Darsena della metropolitana, prima stazione da Principe in direzione Deferrari).
I docenti saranno Guido Milanese (Università Cattolica, direttore del Gruppo Vocale Ars Antiqua di Genova), Marco Gozzi (Università di Trento), Giacomo Baroffio (Università di Pavia--Cremona), Leandra Scappaticci (Ministero dei Beni Culturali), Angelo Rusconi (Res Musica).
Il seminario non gode di alcun sostegno economico pubblico e si svolgerà se gli iscritti saranno sufficienti per coprire le spese. Il contributo richiesto per l'iscrizione ad ogni seminario è di 25 euro per studenti di Università, Conservatori, Scuole di ogni livello, cantori di cori (documentando l'attività). I cori che iscriveranno più di 4 cantori potranno effettuare un'iscrizione forfettaria da concordare. Ai partecipanti non appartenenti a queste categorie si chiede un contributo di 40 euro. L'iscrizione anticipata ad ambedue i seminari si può effettuare rispettivamente con la spesa totale di 40 e 70 euro, quindi con un notevole risparmio.
Per iscriversi si prega di inviare una mail alla Segreteria di Ars Antiqua (segreteria@arsantiqua.org).

ARS ANTIQUA, con sede a Genova, è un gruppo vocale e strumentale specializzato in musica altomedievale, medievale e del '400. L'attività del gruppo è concertistica, vocale e strumentale (sia monodica che polifonica), liturgica, scientifica e didattica. Direttore: Guido Milanese.

I francescani con Maria per evangelizzare il mondo.

Il carisma dei Frati Francescani dell'Immacolata
di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì 23 febbraio 2012 (ZENIT.org).-Uniscono il carisma di San Francesco d’Assisi alla devozione per l’Immacolata. Uno dei loro riferimenti è San Massimiliano Kolbe. Sono stati fondati da un figlio spirituale di padre Pio. Vivono testimoniando il Vangelo cercando di accendere l’amore per Cristo come faceva San Francesco. Sono molto attivi soprattutto nei santuari mariani.
Stiamo parlando dei Frati Francescani dell'Immacolata, un istituto religioso nato nel 1970 ed in grande crescita.
Per conoscerli meglio ZENIT ha intervistato Padre Alfonso M. A. Bruno F.I., Direttore Ufficio Comunicazione dei Frati Francescani dell'Immacolata

- Chi sono i Francescani dell’Immacolata?
Padre Alfonso: Siamo un'istituto religioso di diritto pontifico. Le nostre origini hanno radici profonde, come ramo della plurisecolare pianta francescana, ma la nostra nascita è relativamente recente.

- Quando nascono? Perche? Con quale carisma? Che cosa fanno?
Padre Alfonso: Il 2 agosto 1970, il francescano conventuale p. Stefano M. Manelli, figlio spirituale di P. Pio da Pietrelcina, chiese ed ottenne dai suoi superiori maggiori di iniziare un'esperienza di vita che

giovedì 23 febbraio 2012

Cristo deriso e flagellato : la Messa-rock di Albiano ( Trento)

Su Fides et forma possiamo vedere i video con i canti eseguiti alla Messa rock di Albiano ( Trento) nella notte dell' 11 febbraio scorso.
In risposta a questa ennesima e gravissima umiliazione della Santa Liturgia il blog “MUNIAT INTRANTES CRUX DOMINO FAMULANTES” ci propone una seria riflessione dal titolo significativo : Non padroni, ma servi della Liturgia .“Orientamento al Signore, servizio liturgico e fedeltà al rito: le caratteristiche del vero culto”.
Nell’Omelia della festa di Santa Cecilia, Patrona della Musica Sacra, il Cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, aveva sottolineato : "Nella Liturgia quindi (ma si è visto anche nel rapporto con l’Infinito che determina una grande espressione artistica) non è l’uomo ad inventare qualcosa e poi a cantarlo, ma il canto “proviene dagli angeli”, cioè - ed è questo che afferma san Benedetto - l’uomo deve innalzare il suo cuore affinché concordi (abbia lo stesso cuore) con la tonalità che gli giunge dall’alto, stando davanti a Dio, in adorazione".
Purtroppo Piergiorgio Franceschini sul giornale Diocesano Vita Trentina, commentando la celebrazione della Messa rock di Albiano, ha scritto l'articolo che proponiamo alla Vostra paziente attenzione.
Nella parte finale c'è un'intervista al Parroco che è uno "spasso" ! Difatti il Professore don Stefano Zeni invece di nominare la Messa cita il prossimo concerto... si perchè... quello è stato un concerto non una Messa : " Molta gente che è venuta sabato vi tornerà forse solo al prossimo concerto, ma intanto una volta è venuta e credo qualcuno abbia portato a casa qualche spunto di riflessione" Lapsus ??? ( A.C.)

“Siamo riusciti a veicolare spiritualità e musica”, dicono gli High Voltage. Il parroco, don Stefano: “Non tutti torneranno in chiesa, ma intanto si sono portati a casa spunti di riflessione”

Di
Piergiorgio Franceschini

"Alle 22.15 don Stefano sbircia dalla sagrestia.In prima fila il papà del bassista, curioso come un ragazzino, ma pur sempre ottantaquattrenne.
“Se questi sono i nostri fedeli, mi sa che non abbiamo centrato l’obiettivo”, mormora il parroco alla band e ai coristi trepidanti. Tre giorni dopo, ai microfoni della radio diocesana, don Zeni ammette la precipitazione:
“Qualcuno mi ha fatto notare che i giovani non vengono certo in chiesa un quarto d’ora prima a riservarsi il posto. Fatto sta che alla fine era piena, più che a Natale. E loro c’erano.”
Seduti pure a terra, sotto l’altare: il pienone nella parrocchiale di Albiano, sabato scorso,è merito soprattutto di quei giovani per i quali la messa con l’accompagnamento rock del gruppo valligiano degli High Voltage era stata pensata già in estate, come raccontava sette giorni fa Vita Trentina. Studiata a tavolino avvallata dalle gerarchie diocesane, provata con puntigliosa applicazione.
Il risultato, musicalmente- e lo testimonia la messa in onda della registrazione di alcuni brani a Trentino in Blu durante l’intervista martedì scorso- è di notevole qualità. Si riascoltano con piacere David Micheli, voce, il bassista Ennio Filippi e il chitarrista Michele Andreatta, rappresentanti degli High e del coro appositamente amalgamato da Nadia Folgheraiter pescando da gruppi metal cembrani e del pinetano.
Non si nasconde nemmeno don Stefano che all’omelia si è soffermato sul brano di Gesù che tende la mano al lebbroso: “Ci aspettavamo tanta gente, per il notevole tam-tam mediatico, basti pensare ai duemilacinquecento contatti attraverso i social-network. Ma il clima in chiesa davvero interessante”.
Commenti del dopo-messa? David: “Ho notato grande entusiasmo e partecipazione. Anche qualche critica, ma credo siamo riusciti a dimostrare che il connubio rock-liturgia è fattibile. Siamo riusciti a veicolare spiritualità e musica”
La colonna sonora della messa era tratta dal repertorio dei californiani Stryper, profeti del genere cosiddetto christian metal.
“Raccontano passaggi biblici sia del Vangelo sia dell’Antico testamento” rammenta David.
Don Stefano, ( Zeni N.D.R.) docente di Sacra Scrittura in Seminario, cita su tutti il brano che ha accompagnato il momento della comunione:
“Testualmente recita: nulla ci può salvare, se non il sangue di Cristo. E’ il tema che accompagna come un filo rosso tutta la lettera agli Ebrei”.
“Abbiamo cantato-elenca David - anche un brano di condanna del diavolo, altro che preoccuparsi del contrario”. Dunque, don Stefano risposta a chi ha accusato il rock di satanismo? “La musica è stata scelta prima delle accuse. Ognuno tragga le proprie conseguenze”, taglia corto il parroco di Albiano, stuzzicato in questi giorni da commenti non teneri.
“Ma in generale – chiude la polemica – ho riscontrato anche tra i preti molta simpatia per l’iniziativa”. Ennio e Michele sembrano preferire i loro strumenti ai grandi discorsi.
Ma all’unisono parlano di “esperienza fantastica: un sacco di persone che hanno dato l’anima per realizzare questo progetto, gente davvero in gamba per una cosa nuovissima.
E poi sentire quella partecipazione in chiesa è stata una cosa unica”.
Il tentativo avrà un seguito, per non correre il rischio di una provocazione fine se stessa? Chiosa don Zeni: “Rischio possibile, ma ancora non abbiamo pensato a sviluppi. Contiamo molto sull’intelligenza delle persone che spero abbiano capito che la Chiesa è aperta ed ha qualcosa da dire ancora, adattando il proprio linguaggio.
Restiamo con i piedi per terra, non siamo i novelli profeti che riescono a riempire le chiese.
Molta gente che è venuta sabato vi tornerà forse solo al prossimo concerto, ma intanto una volta è venuta e credo qualcuno abbia portato a casa qualche spunto di riflessione.
Ringraziamo Dio per averci dato questa possibilità: sarà lui a giudicare”.

Petriolo : i Confratelli hanno restaurato i Busti-Reliquiari del Santuario della Misericordia



La venerabile Confraternita del Santissimo Sacramento di Petriolo. Provincia di Macerata, Arcidiocesi di Fermo, proprietaria del Santuario della Madonna della Misericordia e dell'annesso Museo dei Legni processionali, ha lodevolmente fatto restaurare, per l’uso liturgico, quattro Busti reliquiari in legno intagliato e argentato, del sec. XVIII.
I Busti- Reliquiari ( foto di due) sono dei Santi : Romualdo Abate, Ambrogio Vescovo, Vito Martire, Pasquale Baylon.
La Confraternita del Santissimo Sacramento di Petriolo ha come obiettivo anche quello di preservare il patrimonio di valori ed usanze religiose che altrimenti rischierebbe di estinguersi :
tradizioni un tempo solide che hanno sempre seguito le scadenze calendariali da gennaio a dicembre.

Fedeli alle indicazioni del Magistero i Confratelli sono riusciti a salvare diverse usanze religiose che, inserite nel ciclo liturgico dell’anno, hanno scandito gli appuntamenti più importanti della vita del paese.

Purtroppo molte di queste si sono perse o sono state cancellate dalla liturgia attuale.

Grazie alla tenacia opera di salvaguardia della Confraternita del Santissimo Sacramento diverse tradizioni religiose sono comunque rimaste ancora vive persino nelle giovani generazioni, nonostante il massiccio tentativo delle nuove ideologie di prenderne il soppravvento.

Il prossimo evento spirituale promosso dalla Confraternita saranno le Solenni Quarantore che, iniziando dalla Domenica delle Palme, si concluderanno con la grandiosa e solenne Processione Eucaristica del Martedì Santo sera con la partecipazione di numerose Confraternite dei paesi limitrofi.

M.M.

Simposio sull'Eucarestia a Monza

Venerdì 24 febbraio - ore 21.00
Sala Parrocchiale di San Carlo (Via Volturno, 38 - Monza)

“Il rito della celebrazione eucaristica. Conoscere il Passato per vivere il Presente"
Relatore: Mons. Nicola Bux (Docente di Liturgia Orientale e di Teologia dei Sacramenti-Facoltà Teologica-Bari, Consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi)
Correlatori: Alessandro Gnocchi (giornalista e scrittore)
Manuel Viganò (accademico e Presidente del Centro Culturale “Benedetto XVI” - Monza)
Mario Palmaro (Docente di Filosofia del Diritto - “Università Europea” - Roma)
Organizzato dal Centro Culturale “Benedetto XVI” - Monza
Ingresso libero

La tragedia procurata da tossiche filosofie... II parte

   
    IL SACRO CRISTIANO
La Liturgia la Musica l'Architettura

CIRCOLO NEWMAN
   SEREGNO
   10 FEBBRAIO 2012
 
IL VELENO DELLE FILOSOFIE MODERNE 
NEL PENSIERO E NELLA LITURGIA DELLA CHIESA
Cristina Siccardi    
        
(II e ultima parte. I parte al link:
       
    La liturgia non è qualcosa di costruito dagli uomini, qualcosa di inventato per fare un’esperienza religiosa; ma è la lode, l’omaggio e soprattutto il riproporre il Santo Sacrificio. La maggior parte degli uomini moderni, anche cattolici, pensavano che il Vetus Ordo fosse un ferro vecchio da rigattiere, un pezzo d’antiquariato per vecchiette bigotte, amanti di pizzi e merletti. Il Motu Proprio dimostra l’esatto contrario: il Vetus Ordo è la possibilità per il fedele di entrare nel mistero di Dio, perché la Fede è mistero e i giovani sono molto interessati e attratti dalla sacralità di questa Santa Messa.
    La deformazione liturgica è stata, realmente, il prodotto di forze intellettuali che hanno soffocato la trascendenza di Dio, la Sua incarnazione e l’opera dello Spirito Santo. Ma l’Opera di Dio non è l’opera degli uomini. Il Vetus Ordo è opera di Dio, il nuovo Messale è opera di alcuni uomini che hanno pianificato un rito atto a soddisfare le loro aspirazioni.
    In quest’epoca scientifica e antimetafisica i dogmi, le immagini e i precetti della religione hanno perduto forza e al loro posto si è collocata l’ideologia. In quest’epoca postmoderna, ormai, le persone non credono più in una sola verità, ma prestano soltanto più attenzione alle esperienze individuali. E non esiste più un corretto e sicuro criterio di comprensione, valido a collocare ciò che è peccato e ciò che non lo è. Tuttavia, come sostiene san Tommaso d’Aquino, l’uomo ha un’inclinazione verso la verità, ecco, allora, che subentra la frustrazione. Siamo perciò condannati a ritrovarci in un mondo buio, lugubre, pieno di paure, privo di verità, bellezza e bontà, dove soltanto coloro che hanno il controllo decidono che cosa si può definire bello, vero, buono.
    Afferma Robinson:
   
    «Se l’Eucaristia è “fonte e culmine” della vita della Chiesa, ma il culto è malamente degenerato, allora la missione del Corpo mistico di Cristo viene seriamente compromessa. È una questione centrale, non solo per la Chiesa, ma per il mondo intero. Se la Chiesa che san Paolo definisce “colonna e sostegno della verità” (1Tm 3,15), parla con voce smorzata della Passione, della morte, della Risurrezione e dell’Ascensione di Cristo, anche il mondo ne risente» (7).
   
    Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità: l’incontro con il mistero, la sorgente della nostra vita. La crisi ecclesiale in cui ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della Fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora, davvero, la comunità celebra solo se stessa. E, dato che la comunità in se stessa non ha sussistenza, diventa inevitabile, in queste condizioni, che si arrivi alla formazione di molte correnti, finanche alla contrapposizione, in una Chiesa così divisa, di idee e pratiche liturgiche relativiste.
   
    Fra i credenti, influenzati dalle idee moderne, ci si stancò di assistere a dispute religiose, ecco che emerse il latitudinarismo e l’indifferentismo e il sentimento comune fu quello di guardare ad una religione che non avesse più incidenza nella vita pubblica, ma diventasse, come aveva diagnosticato Newman, un fatto privato, una questione personale. Il Cristianesimo, in duecento anni, è diventata una nuova, razionale e pacifica religione umanistica.
    La morale stessa, ovvero la buona volontà, tanto decantata da Kant (quale vera autentica religione), alla fine, però, perde consistenza. Infatti il filosofo visse ed operò quando il suo riferimento era ancora quello di una società civile cristiana. Oggi, in una società scristianizzata,  la stessa moralità è profondamente minata e ciò che è bene per uno, non è bene per un altro. Siamo in una Babilonia.
    Il deismo dell’Illuminismo sfociò inevitabilmente nell’aperta negazione dell’esistenza di Dio, come dimostrerà Nietzsche (1844-1900). Hume, fra i più valenti architetti  dell’Illuminismo ed uno dei migliori esempi di coscienza laica,  propone un nuovo messaggio: occorre fare filosofia per dimostrare che non c’è posto per la metafisica, poi si potrà godere della libertà prodotta dalla consapevolezza di tale assenza. Ecco l’ideale: niente tensioni, niente clamori verso l’assoluto metafisico, occorre evitare i voli pindarici. Le sue opere sono pervase dall’odio per la religione, in particolare proprio quella cristiana. Per il filosofo la religione è fanatica, intollerante, scolastica e grottesca. Non pensava che un uomo razionale potesse essere credente. L’opera La religione naturale ebbe un ruolo immenso nello sviluppo dell’ateismo e il suo pensiero è stato così forte ed è così circolato da influire, in certi aspetti, in una parte del mondo cattolico: miracoli e Novissimi ebbero un colpo fatale in molti teologi. Pensiamo alla dottrina di Rahner dove i Novissimi perdono consistenza, un fattore che continua ad influenzare moltissimo la vita quotidiana della Chiesa.
   
    Interessante constatare che cosa Kant dicesse a proposito della preghiera, che considera «culto da cortigiani», se realizzata per chiedere grazie, scrive:
   
    «Considerare la preghiera un mezzo per ottenere la grazia è “un errore superstizioso (un feticismo)”. Dio non ha bisogno di informazioni riguardo “i nostri” sentimenti intimi […] la preghiera riguarda il miglioramento morale del soggetto» (8).
   
    Inoltre, andare in Chiesa,
   
    «è generalmente, una buona pratica a patto di essere consapevoli che può avere due buoni risultati. Innanzitutto può ricordare al fedele l’obbligo di perseguire una vita morale; in secondo luogo può essere considerato come un’obbligazione diretta nei confronti dell’individuo in quanto membro della Chiesa etica universale. Andare in chiesa ci ricorda il dovere di cercare di obbedire all’imperativo categorico proprio in quanto membri del regno dei fini. Il culto reso in chiesa, tuttavia, non deve contenere nulla di incompatibile con la vera religione del dovere […]. Pertanto andare in chiesa diventa un atto negativo quando il fedele inizia a pensare di fare qualcosa di gradito a Dio solo per il fatto che gli rende culto insieme ad altre persone» (9).
   
    Nei confronti dei Sacramenti Kant ha un atteggiamento decisamente negativo. Considera positivo il Battesimo soltanto se considerato come iniziazione alla comunità etica cristiana, altrimenti
   
    «[La consacrazione] in se stessa, non è santa, né è un’azione che, compiuta da altri, produca nel soggetto, insieme con la santità, la capacità di ricevere la grazia divina; essa non è, dunque, un mezzo di grazia, nonostante l’eccessiva importanza che le si attribuiva nei primordi della Chiesa greca, quando si credeva che il battesimo potesse cancellare in una sola volta tutti i peccati, il che rivelava in modo evidente la parentela di quest’errore con una superstizione quasi più che pagana» (10).
   
    Mentre per Kant la fede si trasfigura nel senso del dovere, per Hegel la fede si trasfigura nella filosofia e la religione diventa porta d’accesso proprio alla filosofia stessa. Il suo pensiero ha avuto un’influenza enorme sulla formazione della coscienza dell’uomo contemporaneo, egli è uno dei massimi architetti della modernità. Inoltre molti scritti di Hegel e di Marx (1818-1883), che ha attinto dal primo, hanno influenzato i pensatori della Chiesa, pensiamo, per esempio, a tutta la teologia della liberazione.
    Hegel iniziò i suoi studi universitari come seminarista luterano, poi fuoriuscì e la sua massima aspirazione fu quella di diventare un educatore del popolo, ambizione che raggiunse. Pensava che la religione fosse lo strumento più efficace per veicolare le sue idee e basilare sarà il ruolo che con lui acquisirà il concetto di comunità: giunse a sostenere che se non apparteniamo a una comunità non possiamo neppure considerarci esseri umani. Hegel sviluppa l’idea che nell’esistenza umana sia presente, oltre al governo e alla famiglia, una struttura che definisce società civile: campo di azione della moderna attività economica che permette alle associazioni di svilupparsi e prosperare.
    Per Hegel l’esistenza di Dio è necessaria se vogliamo capire il mondo in cui viviamo, ma, e questo è lo snodo essenziale della questione, il mondo in cui viviamo è necessario a Dio per essere veramente tale. Dio non scomparve ancora, ma ciò che rimase era un Dio riformulato alla luce delle necessità della comunità. La teologia protestante è stata influenzata in modo particolare da questa posizione; ma tale infausta mentalità ha condizionato anche i cattolici, modificando la visione di Dio e del mondo. Il punto d’ingresso dell’idealismo hegeliano nella coscienza cattolica è rappresentato dalla crescente consapevolezza dell’importanza delle scienze sociali, ovvero della sociologia e della psicologia. L’oggetto di indagine della sociologia è la società ed è nella società, secondo questa concezione, che troviamo Dio. La dimensione soprannaturale viene completamente distrutta.
    Hegel sostenne che una comprensione adeguata della vita etica non è possibile se non si dispone di uno studio serio che descriva la società come è realmente. Ecco entrare in campo Comte. Egli asserisce che l’umanità ha bisogno di votare un culto a qualcosa: tale bisogno sarà utilizzato per addestrare i cittadini del nuovo ordine ad obbedire ai dettami della nuova scienza, poiché questo sarà l’unico modo per venire incontro agli interessi dei cittadini e incoraggiarne lo sviluppo personale. Il sociologo ammise di essersi ispirato al sistema cattolico per creare la sua nuova «chiesa», dove oltre alla società non esiste altro punto di riferimento.
   
    Il mondo moderno è un prodotto dell’Illuminismo, della presa di potere da parte della scienza, dell’incidenza dei filosofi fin qui menzionati, nonché delle scienze sociali. Tutte queste forze non si sono affatto esaurite, ma sono entrate a far parte della coscienza comune. Ma le idee che hanno contribuito a creare il mondo moderno si presentano come una matassa aggrovigliata: forze cieche che si scontrano in una battaglia notturna, come asseriva Newman.
    La postmodernità è la continuazione e l’acutizzazione dei tempi della modernità. Per alcuni è la presa di coscienza che il mondo prefigurato dalla modernità non si è mai realizzato. Per altri è un’accozzaglia di interpretazioni selvagge e sregolate, dove non ci sono criteri di misura, significati certi, identità, ma è una mischia rumorosa.
    Dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha rinunciato all’idea che essa è una società perfetta che funge da controparte ai governi secolari. Inoltre non possiede più quel valore pedagogico che la sua missione le ha imposto; ma la sua opera viene condotta allo stesso livello e negli stessi contesti degli Stati. Tuttavia questa visione di unione felice fra Chiesa-Stato, dove si opererebbe un’arricchente fecondazione reciproca, è di carattere meramente utopico, in quanto il mondo moderno è sempre più vittima della teoria e della prassi del laicismo e del liberalismo; mentre la Chiesa ha uno specifico e imprescindibile connotato di eternità, dove le sue regole sono immutabili e proprio per questo sempre nuove, perché fuori dal tempo che passa inesorabilmente con le sue mode di pensiero e di costume. Da qui l’essenzialità della Tradizione, di ciò che ci è stato trasmesso. Afferma sant’Agostino: «Ci son sacramenti che custodiamo non perché scritti, ma perché tramandati» (11). Egli arriva a dire: «Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas» («Nemmeno all’evangelo crederei, se  non mi fosse proposto dall’autorità della Chiesa»). C’è poi quella definizione agostiniana di Tradizione, «la verità è sempre ciò che, con vera Fede cattolica, fin dall’antichità vien predicato e creduto dalla Chiesa intera» (12), che si ricollega, ante litteram, a quello che affermerà, più tardi, san Vincenzo di Lérins (?–450 ca.): «è veramente e propriamente cattolico ciò che fu creduto in ogni luogo, sempre, da tutti» (13), pertanto è Tradizione ciò che si presenta come universale consenso, sin dagli albori della Fede, che non deve essere mai manomesso perché è oro e come oro deve essere mantenuto. Dichiara san Vincenzo: «Oro hai ricevuto; oro devi restituire […] non piombo, non bronzo al posto del prezioso metallo» (14). Questa la definizione di Tradizione che dà Monsignor Gherardini: «La Tradizione è la trasmissione ufficiale, da parte della Chiesa e dei suoi organi a ciò divinamente istituiti, e dallo Spirito Santo infallibilmente assistiti, della divina Rivelazione in dimensione spazio-temporale» (15).
   
    La lex orandi deve insegnare la lex credendi. Questi gli elementi per il ritorno alla sacralità, queste le cure per una Fede che è stata avvelenata: rimettere Dio al suo posto; ridare al Santo Sacrificio il suo reale significato e il suo degno lustro; riscoprire l’autentica identità del sacerdote, quale Alter Christus; ridonare ai Sacramenti e alla grazia lo spazio a loro dovuto.
    Recuperare la liturgia di sempre significa recuperare il sacerdozio autentico, l’una richiama l’altro, in maniera ineludibile. Ecco, infatti, che Benedetto XVI dopo il Motu proprio Summorum Pontificum ha indetto l’anno sacerdotale (2009-2010), indicando come modello per i sacerdoti il Santo Curato d’Ars (1786-1859) e san Giuseppe Cafasso (1811-1860), due ministri di Dio che non si occuparono di dialogare con il mondo, ma ruotarono intorno all’altare, al confessionale e al pulpito.
    In un mondo in cui si comprende soltanto più il linguaggio dell’ “esperienza” e dove non esistono più certezze, ma soltanto dubbi e miriadi di interpretazioni, viene in soccorso Newman:
   
    «Ci avviciniamo alla verità grazie all’esperienza acquisita con l’errore; i nostri successi sono frutto di fallimenti. Non conosciamo il modo giusto di agire se non dopo aver sbagliato… Sappiamo distinguere il bene solo negativamente: non vediamo subito la verità e ci dirigiamo verso di essa, ma inciampiamo, scegliamo l’errore e ci accorgiamo che non è la verità. Procediamo a tentoni, senza vedere e, una penosa esperienza dopo l’altra, esauriamo gradualmente le azioni possibili finché non ne rimane nessuna, se non la verità. È questo il processo che ci permette di riportare la vittoria, camminando a ritroso verso il regno dei cieli» (16).
   
   
Note

7. J. Robinson, Messa e modernità. Un cammino a ritroso verso il regno dei cieli, Cantagalli, Siena 2010, p. 25.
8. Ivi, p. 84
9. Ibidem.
10. Ivi, p. 85.
11. Ep. 54,1,1.
12. Contra Julianum VI,5,11.
13. Commonitorium II.
14. Ivi.
15. B. Gherardini, Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Lindau, Torino 2011, p. 170.
16. Parochial and Plain Sermons.