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Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

sabato 31 marzo 2012

Domenica delle Palme e Triduo Pasquale a Vocogno e Domodossola


Gli orari della Settimana Santa 2012
secondo la forma tradizionale del Rito Romano
nella Chiesa di VOCOGNO






Domenica delle Palme 2011


DOMENICA DELLE PALME a VOCOGNO
1° aprile 2012 - ore 10.30
Benedizione degli ulivi, Processione, Santa Messa cantata [canto del Passio]
ella cappella dell'Ospedale di DOMODOSSOLA
ore 17.00
Santa Messa cantata [canto del Passio]

SACRO TRIDUO PASQUALE a VOCOGNO

GIOVEDI' SANTO
5 aprile 2012 - ore 20.30 Santa Messa in Coena Domini

VENERDI' SANTO - 6 aprile 2012
ore 20.30 Liturgia della Passione

SABATO SANTO

7 aprile 2012 - ore 20.30 Solenne Veglia Pasquale
Prima Santa Messa di Pasqua




Risurrezione di Tiziano

PASQUA

8 aprile 2012
VOCOGNO ore 10.30 Santa Messa cantata

cappella dell'Ospedale di DOMODOSSOLA
ore 10.30 Santa Messa cantata

Quando a Fatima la Madonna predisse la II guerra mondiale

Le apparizioni della Madonna a Fatima sono una pagina della storia della Chiesa piuttosto speciale. Per decenni ci si è interrogati sul famoso Terzo segreto di Lucia, e forse non ne siamo ancora venuti a capo. A molti infatti, sembra che certe cose non tornino, e che nel segreto della Madonna, oltre ai riferimenti agli attacchi esterni alla Chiesa, resi noti, ci sarebbe stato un cenno alla apostasia della Chiesa stessa, ad una perdita di fede non solo del mondo, ma anche del clero, dei pastori.
Ma non è di questo che voglio parlare, rimandando, per chi fosse interessato, agli ottimi lavori di Antonio Socci e Marco Tosatti.
Quello che vorrei approfondire, perché mi sembra non sia stato fatto a sufficienza, è la (poco) famosa aurora boreale del 25-26 gennaio 1938.
Nelle apparizioni portoghesi la Madonna venne a mostrare ai pastorelli l’Inferno, cioè il castigo eterno, ma non solo. Dichiarò anche che sotto il pontificato di Pio XI, se gli uomini non si fossero convertiti, sarebbe scoppiata un’altra guerra mondiale, più spaventosa della prima, annunciata da una “notte illuminata da una luce sconosciuta”. Decisamente la Madonna di Fatima non fu, diciamo così, rassicurante. Fatto sta, però, che se l’apparizione è vera, il messaggio è chiaro: conversione, penitenza, preghiera, altrimenti castigo. Nel senso che altrimenti Dio avrebbe lasciato l’uomo in balia di se stesso e della sua cattiveria: non c’è peggior castigo, infatti, di quello che noi uomini spesso siamo così bravi ad infliggerci, da soli. Come la virtù ha già in sé, in parte, il suo premio, così il peccato in sè porta una pena: è male non solo di fronte a Dio, ma anche per l’uomo.
La rivelazione della “notte illuminata da una luce sconosciuta” , con la connessa affermazione secondo cui la Russia avrebbe sparso i suoi errori nel mondo, fu messa per iscritto da Lucia, per il vescovo di Leira-Fatima, soltanto il 31 agosto 1941. Qualcuno ha quindi potuto dichiarare che si tratterebbe soltanto di una profezia post eventum, un po’ troppo facile.
Forse è meglio analizzare bene i fatti.
Ragionando prima proprio sulle date: è vero, Lucia parla ufficialmente dell’ aurora boreale del 1938 dopo che essa è già avvenuta. Però vi sono alcuni fatti da prendere in considerazione. Il primo: un segno celeste era già stato annunciato da Lucia nel 1917, e si era veramente verificato, come vedremo, proprio in quell’anno.
Il secondo: nel 1941 sarebbe stato veramente più opportuno e intelligente, umanamente parlando, annunciare il pericolo nazionalsocialista, o comunque entrambi, quello comunista sovietico e quello nazista. Infatti la Germania sembrava trionfante: possedeva tutta l’Europa, esclusa la Gran Bretagna; gli Usa non erano ancora entrati in guerra e l’Urss appariva destinato alla sconfitta, sotto il tallone tedesco, da un momento all’altro.
Invece Lucia, contro ogni logico ragionamento umano, fu molto chiara (come lo era stata già in precedenza): sarà la Russia, non la Germania, “a spargere i suoi errori nel mondo”, “promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa”.
In effetti andò proprio così: pochi anni dopo il “Reich millenario” crollò miseramente, per fortuna, e per sempre; al contrario la Russia non solo vinse la guerra, ma si vide “regalare” dagli alleati mezza Europa. Il comunismo conobbe così una diffusione immensa, inimmaginabile, tanto più se ricordiamo che nel 1949 anche la Cina sarebbe divenuta comunista. Dovunque i comunisti arrivarono, dalla Polonia all’Albania, la Chiesa fu attaccata, perseguitata, distrutta.
C’è qualcosa, dunque, nella profezia di Lucia, che lascia interdetti. Anche perché la “fissazione” del comunismo Lucia e i veggenti la dimostrarono anche molto prima del 1941: del resto la Madonna era apparsa loro, non a caso, nel 1917, solo pochi mesi prima della rivoluzione bolscevica. Abbiamo molte testimonianze di questo. Dalle parole di Giacinta, che già nel 1920 annunciava un castigo, “prima per la Spagna”; al voto anticomunista dell’episcopato portoghese, nel 1936, al fine di essere preservati dal comunismo che sembrava potesse trionfare nella vicina Spagna e sfondare poi in Portogallo; alla lettera del vescovo di Leira, nel 1937, al pontefice, affinché provvedesse, come diceva Lucia, alla Consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria; sino, per fare un ultimo esempio, ad una lettera al papa Pio XII della stessa Lucia, datata 24 ottobre 1940 (cioè prima dell’entrata nella seconda guerra mondiale della Russia), in cui si ri-domandava la Consacrazione della Russia stessa, considerata, anche in quella data per certi versi insignificante, il pericolo imminente!
Infine un’ultima considerazione: il Portogallo, nelle varie lettere di Lucia, appariva come “privilegiato” dalla Madonna (Lucia parlava e scriveva di una “protezione speciale”). In effetti il paese non fu coinvolto nella guerra di Spagna, come sarebbe stato molto facile, e rimase fuori anche dalla II guerra mondiale, dichiarandosi neutrale (e rimanendolo, cosa non facile, sino alla fine).
Ma torniamo, indietro, ai fatti del 1917. I veggenti erano in grossa difficoltà in un Portogallo allora in mano ad un governo ferocemente anticlericale e trovavano molti oppositori anche tra amici e parenti, oltre che nelle autorità locali. Eppure la piccola Lucia, che finì persino in prigione, perché osteggiata dal sindaco massone del paese, sfidò il mondo: la Madonna, disse, darà un segno, e convocò tutti per il 13 ottobre 1917 alla Cova da Iria, pur capendo bene che se il segno non ci fosse stato, sarebbe stato un bel guaio. Anche perché erano allora vietate dal governo portoghese le adunanze religiose fuori dalle chiese.
Il 13 ottobre migliaia e migliaia di persone si radunarono nella Cova. Le fonti dell’epoca parlano di almeno 40-50 mila persone, ma forse molte di più. Ebbene, cosa accadde? Ce lo raccontano innumerevoli testimoni, ma soprattutto, tra i tanti, un giornalista presente ai fatti, tale Avelino de Almedia, redattore capo di “O Sèculo”, quotidiano socialista di Lisbona, di orientamento positivista ed anticlericale, che in precedenza aveva ridicolizzato gli eventi di Fatima. Costui, sul numero del 15 ottobre, scrisse tra l’ altro: “Cose fenomenali. Come il sole ballò a mezzogiorno a Fatima [...] Il sole sorge, ma l'aspetto del cielo minaccia temporale. Nuvole nere si ammassano sulla folla di Fatima. [...] Alle dieci il cielo si oscura totalmente e non tarda a cadere una forte pioggia. [...] I fanciulli affermano che la Signora aveva parlato loro ancora una volta, e il cielo, prima caliginoso, comincia subito a schiarirsi in alto; la pioggia cessa e si presenta il sole che inonda di luce il paesaggio. [...] L'ora mattutina è la regola per questa moltitudine, che calcoli imparziali di persone colte e di tutto rispetto, punto rapite come per influenza mistica, contano in trenta o quaranta mila creature... La manifestazione miracolosa, il segno visibile annunciato sta per essere prodotto - assicurano molti pellegrini... E si assiste a uno spettacolo unico e incredibile per chi non fu testimone di esso. Dalla cima della strada, dove si ammassano i carri e sostano molte centinaia di persone, alle quali manca la voglia di mettersi nella terra fangosa, si vede tutta l'immensa moltitudine voltarsi verso il sole, che si mostra libero dalle nuvole, nello zenit. L'astro sembra un disco di argento scuro ed è possibile fissarlo senza il minimo sforzo. Non brucia, non acceca. Si direbbe realizzarsi un'eclissi. Ma ecco che un grido colossale si alza, e dagli spettatori che si trovano più vicini si ode gridare: "Miracolo, Miracolo! Meraviglia, meraviglia!" Agli occhi sbalorditi di quella folla, il cui atteggiamento ci riporta ai tempi biblici e che, pallida di sorpresa, con la testa scoperta, fissa l'azzurro (cielo), il sole tremò ed ebbe mai visti movimenti bruschi fuori da tutte le leggi cosmiche, il sole "ballò", secondo la tipica espressione dei contadini”.
Negli anni, tanti hanno ragionato su questi fatti, che di per se stessi sono innegabili perché ampiamente dimostrati, sia dalle testimonianze più insospettabili, sia dai quotidiani vari dell’epoca, sia dalle foto, in cui si vede chiaramente una moltitudine esterrefatta, sbalordita, attonita, dinnanzi agli strani movimenti del sole.
Molti credettero e credono, altri parlarono di coincidenza, di fenomeno naturale, scientificamente spiegabile in qualche modo. Difficile, però, spiegare davvero come potesse Lucia, una semplice fanciulla di campagna, prevedere in anticipo che sarebbe successo qualcosa di simile. A meno di non ipotizzare che nascondesse in camera potentissimi cannocchiali e che fosse una astronoma di eccezionali qualità!
Un qualche collegamento tra il sole e la Madonna di Fatima, insomma, è lecito supporlo.
Anche alla luce dei fatti successivi. Siamo finalmente all’aurora boreale del 1938.
Andiamo ora a vedere bene cosa accadde la notte tra il 25 e il 26 gennaio di quell’anno. Ci fu, come si accennava, una grande aurora boreale, vista la quale Lucia, ben prima di scriverlo nel resoconto ufficiale del 1941, si affannò a dire, a destra e a sinistra, che quello era il segno terribile predetto dalla Madonna.
L’aurora venne descritta dal quotidiano laico italiano, La Stampa, del 26 gennaio 1938, sotto il titolo: “Un singolare fenomeno celeste. Un’aurora boreale sull’Italia”. Vi si poteva leggere di una “aurora boreale di eccezionale luminosità apparsa ieri su gran parte dell’ Europa meridionale e centrale: Alta Italia, Mezzogiorno della Francia, Germania, Svizzera e Austria, suscitando ovunque per la sua luminosità sorpresa e ammirazione”. Il quotidiano notava che l’intensità del fenomeno e soprattutto la sua diffusione su gran parte dell’Europa, era eccezionale, ripetendo che si era trattato di un “insolito fenomeno celeste… che rarissimamente viene osservato alle nostre latitudini”. Inoltre, dando conto dei vari luoghi in cui l’aurora era stata osservata, si notava con insistenza il fatto che il cielo si era colorato “di un rosso di fuoco a levante, come se si trattasse di un grande incendio”; qualche riga dopo si insisteva sul colore del cielo, impressionante, definito, questa volta, “rosso-sangue”.
Il giorno successivo, il 27 gennaio, La Stampa riportava questo titolo: “Un’altra aurora boreale tra l’una e le due di notte”. L’astronomo intervistato dal quotidiano metteva in luce il fatto che solitamente le aurore boreali si manifestano al nord, e che molto raramente assumono estensione e luminosità come quella appena osservata. “Stampa sera” del 28-29 gennaio titolava: “Il nostro Sole è in tumulto”. Si notava che “il sole attraversa un periodo di grande, grandissima attività”, piuttosto rara e straordinaria. Un altro giornale, “Il Brennero” del 29 gennaio 1938, notava l’estensione dell’aurora, che si era vista chiaramente anche in Portogallo, oltre che nel resto d’Europa, e commentava così: “Fenomeno rarissimo. L’aurora boreale non si manifesta che raramente nelle nostre regioni ed in Europa centrale…L’aurora che ha incendiato l’altro giorno il cielo dell’Europa sembra essere stata di una estensione e di una intensità senza pari…”.
Un’altra fonte interessante per capire l’entità del fenomeno è la relazione di Eugenio Guerrieri, “La grande aurora boreale del 25-26 gennaio 1938”, pubblicata dall’Osservatorio Astronomico di Capodimonte-Napoli (Contributi astronomici, serie II, n.22, 1938, estratto da: Rivista di Fisica, matematica e scienze naturali anno 13, serie II, Ottobre-novembre 1938-XVII -N.1-).
Scrive tra l’altro il Guerrieri: “L’Aurora boreale osservata nella notte dal 25 al 26 gennaio 1938 è stata veramente splendida e deve considerarsi come fenomeno straordinario per la sua magnificenza, anormale per la sua visibilità, oltre che nelle regioni nordiche dell’Europa e dell’America, anche in quelle di bassa latitudine nel nostro emisfero. Dovunque fu oggetto di ammirazione in tutta l’Europa, in Germania ed in Inghilterra specialmente; grande sviluppo in longitudine dal Portogallo alla Russia ed in latitudine dalla penisola Scandinava alla Sicilia e finanche in molti paesi del Nord Africa”. Guerrieri nota che il cielo si è colorato in maniera incredibile, di “rosso sangue”, come se vi fosse un “incendio gigantesco”, e continua: “Nell’Atlantide e negli Stati Uniti d’America l’a.b. è stata grandiosa”, mentre ha destato “ammirazione e sorpresa, nella Spagna e nel Portogallo, dove il fenomeno non si vedeva da mezzo secolo. Questo è stato egualmente osservato a Biserta, Fez, Hammamet, Toza, ed in molti paesi della Tunisia e del Marocco dove l’a.b. rarissimamente si osserva e l’ultima è stata quella del 1891: in questi paesi gli europei hanno creduto ad un vastissimo incendio lontano, mentre gli indigeni, molto spaventati, hanno supposto segnali ed avvertimenti celesti”.

Alla notizia della aurora boreale, come si è detto, Lucia ritenne che si trattasse del segno della Madonna e continuò a ripeterlo anche dopo che gli accordi di Monaco sembrarono per un attimo scongiurare il conflitto. Nel 1938, però, la annessione nazionalsocialista dell’Austria può essere veramente considerata l’antefatto della II guerra mondiale. Anche perché proprio la sera del 25 gennaio Hitler aveva ricevuto il barone Werner Fritsch, generale e comandante in capo della Reichwehr, “che continuava ad avanzare obiezioni sui piani di guerra hitleriani”, per farlo definitivamente fuori. Come è risaputo, infatti, ufficiali e generali tedeschi, per lo più, non volevano la guerra e costituivano l’unico potere rimasto in grado di impensierire il dittatore. Proprio la defenestrazione di Fritsch fu dunque un evento preliminare alla guerra non indifferente (Antonio Spinosa, “Hitler”, Mondadori, Milano, 1991, p. 240-241), così come le purghe di Stalin, all’epoca del 1938 ormai quasi concluse, furono importanti per eliminare quei generali che si sarebbero messi di traverso rispetto all’alleanza con Hitler del 1939.
A questo punto un ultimo dettaglio. Gli storici concordano nel dire che nel 1938 la guerra era in un certo senso ormai nell’aria. Ma il fatto che segnò definitivamente lo scoppio del conflitto fu il patto von Ribbentrop-Molotov, cioè la spartizione della Polonia e di altre zone di influenza tra Hitler e Stalin. La II guerra mondiale, insomma, nacque definitivamente con l’accordo tra nazisti tedeschi e comunisti russi, tra Hitler e Stalin. Ebbene, questo patto fu firmato la sera del 23 agosto 1939 (von Ribbentrop, da una parte, Stalin e Molotov, dall’altra).
Manco farlo apposta, proprio quella stessa sera, in alcune zone, fu segnalata una nuova aurora boreale, non così straordinaria come quella del 1938, ma certo imponente.
Ce la descrisse nientemeno che il gerarca nazista Albert Speer nelle sue “Memorie del Terzo Reich”: “Quella notte- racconta Speer- ci intrattenemmo con Hitler sulla terrazza del Berghof ad ammirare un raro fenomeno celeste: per un’ora circa, un’intensa aurora boreale illuminò di luce rossa il leggendario Untersberg che ci stava di fronte, mentre la volta del cielo era una tavolozza di tutti i colori dell’arcobaleno. L’ultimo atto del ‘Crepuscolo degli dei’ non avrebbe potuto essere messo in scena in modo più efficace. Anche i nostri volti e le nostre mani erano tinti di un rosso innaturale. Lo spettacolo produsse nelle nostre menti una profonda inquietudine. Di colpo, rivolto a uno dei suoi consiglieri militari, Hitler disse: ‘Fa pensare a molto sangue. Questa volta non potremmo fare a meno di usare la forza’”. Già da “due o tre settimane- continua Speer- l’attenzione di Hitler si era chiaramente spostata sulle questioni militari” e il “partito favorevole alla guerra” prendeva sempre più piede. In margine a queste osservazione di Speer, il curatore delle sue memorie annota: “Il 23 agosto 1939, il Volkischer Beobachter (giornale nazista, ndr) annunciò quanto segue: “Martedì mattina (22 agosto) alle ore 2.45 l’osservatorio astronomico del Sonneberg ha notato una gran luce nel cielo settentrionale” (Albert Speer, Memorie del terzo Reich, Mondadori, Milano, 1997, p. 197).
Un altro gerarca nazista, presente alla scena, Nicolaus von Below, ricorderà a sua volta: “All’inizio abbiamo pensato che si trattasse di un grande incendio in una delle città a nord dell’Untersberg, ma poi quella luce rossa ha illuminato tutto il cielo a nord e allora è stato chiaro che si trattava di una manifestazione insolitamente intensa di luci nordiche, un fenomeno naturale che si verifica raramente nella Germania meridionale”. “Intimorito da quella scena, commenta T. Ryback, von Below disse a Hitler che forse quello era il presagio di un’imminente guerra sanguinosa. “Se così dev’essere, allora che sia più veloce possibile” replicò Hitler” (cit. in Timothy W. Ryback, “La biblioteca di Hitler”, Mondadori, Milano, 2008, p. 148-149).
Concludo con un fatto: molti dicono che la Madonna, a Medjugorje, completi, diciamo così, le apparizioni di Fatima. Anche lì, dove il sole avrebbe “ballato”, secondo molte testimonianze, in più di un’occasione, la Vergine avrebbe annunciato dieci segreti, per svelare qualcosa di importante al mondo. Uno di questi, a quanto sembra, prevede una grande segno nel cielo…

Francesco Agnoli, Il Foglio, 31 marzo

Enzo Bianchi scrive una lettera aperta a Mons. Livi





Bose, 25 marzo 2012

Prof. Antonio Livi
c/o La Bussola Quotidiana
Via Benigno Crespi 30/2
20159 MILANO
redazione@labussolaquotidiana.it



"Egregio Professore,
le scrivo, anche senza conoscerla, perché sono rimasto addolorato dal suo articolo su La Bussola quotidiana. Mi auguro che presto possa esserci occasione di incontrarla di persona per ascoltare direttamente da lei le sue osservazioni sui miei scritti.
Nel frattempo ci tengo a precisare alcune questioni in merito a quanto da lei affermato. Non so come i cattolici possano ritenere che Bose sia “un nuovo ordine monastico” quando la Chiesa cattolica non riconosce nuovi ordini monastici da alcuni secoli. È invece falso che la Comunità di cui sono priore “non rispetta le leggi della Chiesa sulla vita comune religiosa”: siamo una Comunità con statuto e regola approvati dall’Ordinario della nostra diocesi, il Vescovo di Biella, che ci frequenta con assiduità e ci conosce molto bene, al punto da aver anche affidato sia a me che ad altri fratelli incarichi di responsabilità in Diocesi. Se lei riteneva di avere ragionevoli dubbi, perché non si è rivolto al Vescovo mons. Mana per avere informazioni e un giudizio autorevole?
Quanto a me, ci tengo ad assicurarla della mia fede cattolica e della mia leale appartenenza alla Chiesa: la fede che professo è quella del Credo che proclamo ogni domenica nella Messa. Per me, quindi, Gesù Cristo è il Figlio di Dio, il Signore morto e risorto per la nostra salvezza. Se non lo ritenessi tale, ma solo un uomo, lei pensa che avrei scelto la vita monastica cristiana, che da quasi cinquant’anni tento di vivere, con fatiche e inadempienze certo, ma nella fede in Lui?
La Chiesa cui appartengo è la Chiesa cattolica che mi ha generato a Cristo attraverso il battesimo: come può lei affermare che ne profetizzo la fine e assimilarmi a quanti auspicano una Chiesa “senza più dogmi, senza morale, senza sacramenti, senza autorità pastorale”? Perché scrive che non amo questa Chiesa, “colonna e fondamento della verità”? Da quali miei scritti o parole lo deduce? Perché arriva a dire che io insinuo che “alla Chiesa conveniva mettere Küng,

piuttosto che il suo collega Ratzinger, a capo della congregazione per la Dottrina della fede”? È lei che insinua, non io. Conosco il teologo e cardinal Ratzinger dal 1980, assieme a lui ho scritto un libro sull’esegesi cristiana, da lui, divenuto papa Benedetto XVI, sono stato ricevuto in udienza particolare e nominato esperto al Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio. Forse lei vorrebbe attribuire anche al papa “l’assurdità” che imputa alla stampa cattolica per il fatto di ospitare le mie opinioni? Perché lei interpreta la mia lettura di un libro specifico di Küng – libro mai condannato né censurato dalla Chiesa, a differenza di altri – come mio sostegno a tutte le tesi di quel teologo che invece ho avuto modo di criticare in altre recensioni ai suoi libri?
Le ripeto il mio rammarico per le sue accuse e per un attacco di cui ignoro le ragioni, ma le rinnovo anche la mia disponibilità ad ascoltare le sue critiche e le sue osservazioni: per questo
le chiedo di poterla incontrare.
Il Signore le conceda la pace e la carità di cui tutti abbiamo bisogno."


Firmato Enzo Bianchi



Settimana Santa coi Monaci Benedettini a Norcia (Pg)



Tutte le funzioni si celebrano in forma straordinaria in latino
e con il canto gregoriano


1° Aprile - Domenica delle Palme
ore 10:00 S. Messa Conventuale, benedizione e distribuzione delle palme
e canto della Passione

5 aprile - Giovedì Santo
ore 5:00 - Tenebrae
ore 17:00 - S. Messa in Coena Domini

6 aprile - Venerdì Santo
ore 5:00 - Tenebrae
ore 15:00 - In Passione Domini

7 aprile - Sabato Santo
ore 5:00 - Tenebrae
ore 24:00 - Veglia Pasquale

8 aprile - DOMENICA DI PASQUA
ore 11.45 - SANTA MESSA
ore 17:30 - Vespri Solenni

9 aprile - LUNEDI' DI PASQUA
ore 11.45 - SANTA MESSA

Nuovi diaconi alla F.S.S.P.


Lo scorso sabato 17 marzo 2012 sono stati ordinati, per l'imposizione delle mani del Vescovo Alexander Samplre of Marquette e la preghiera consacratoria della Chiesa, 7 nuovi diaconi della Fraternità Sacerdotale di San Pietro.
Ai novelli diaconi i nostri più vivi e sinceri auguri!


fonte: Rorate Caeli blog

Domenica delle Palme "straordinaria" a San Remo (Im)

Domenica 1° aprile 2012
Santuario Madonna di N.S. Assunta della Costa, "Madonna della Costa"
ore 18:00 benedizione dei rami di palma e di ulivi
a seguire SANTA MESSA cantata, V.O.


Durante i Riti, i fedeli saranno aiutati a meditare sulla Passione di Cristo dai canti del Coro di Verezzo di San Remo, che eseguirà canti gregoriani (Missa de Angelis) e canti tradizionali popolari.

venerdì 30 marzo 2012

Domenica delle palme "straordinaria" a Imperia

Domenica 1º aprile 2012 - Dominica in palmis



Oratorio di N. S. di Loreto Imperia Oneglia - Loc. Borgo Peri


Ore 17:00
- Benedizione dei rami di palma e di ulivo
- Processione interna alla chiesa
- S. MESSA
Tutti i riti e la celebrazione del divino Sacrificio
saranno officiati nella Forma Extraordinaria del Rito Romano

Mons. Fellay, un nuovo spiraglio

Dal blog Sacri Palazzi di Andrea Tornielli, un altro interessante sviluppo sulla vicenda della Fraternità San Pio X.

Cari amici, domenica scorsa nelle chiese del Distretto tedesco della Fraternità San Pio X era stato letto un comunicato di padre Franz Schmidberger, nel quale si parlava della possibilità di sviluppi positivi nel rapporto tra la Santa Sede e i lefebvriani. Come ricorderete, lo scorso 16 marzo il cardinale William Levada ha consegnato nelle mani del vescovo Bernard Fellay la lettera di risposta vaticana, chiedendogli di decidere in merito al preambolo dottrinale entro un mese.

Ieri è stato diffusa una nota della Casa Generalizia di Menzingen, dunque dello stesso Fellay, che invita tutti i fedeli a pregare e a intensificare la “crociata del Rosario”, “affinché si faccia la Volontà divina, essa sola, secondo l’esempio datoci da Nostro Signore Gesù Cristo nell’Orto degli Ulivi: non mea voluntas, sed tua fiat (Luca 22, 42)”.

Perché la Fraternità San Pio X che vuole solo il bene della Chiesa e la salvezza delle anime, si rivolge fiduciosa alla Santissima Vergine Maria, affinché Ella le ottenga dal suo Divino Figlio i lumi necessari per conoscere chiaramente la Sua volontà e per compierla coraggiosamente”.

Questo comunicato mi ha colpito: non c’è un accenno o un accento polemico verso “Roma”, si parla soltanto del “bene della Chiesa” e della “salvezza delle anime”, chiedendo preghiere per ottenere “i lumi necessari” sulla decisione da prendere affinché sia secondo la “volontà divina”. Mi sembra che non vi sia nessuna opposizione con quanto affermato nei giorni scorsi da Schmidberger, il quale aveva detto: “Vi sono fondate speranze per una soluzione soddisfacente. Qualora essa giungesse a compimento tutte le forze della tradizione nella Chiesa verrebbero notevolmente rafforzate; in caso contrario esse verrebbero indebolite e scoraggiate. Ne va quindi in primo luogo non della nostra Fraternità, ma del bene della Chiesa».

Entrambi i comunicati non si limitano a sottolineare l’importanza del passaggio cruciale per i rapporti tra la Fraternità e la Santa Sede, ma si evince anche, a mio avviso, che la possibilità di una risposta positiva al preambolo si avvicina.
Andrea Tornielli

Il giovane Vescovo di Foligno chiede ai Benedettini di Norcia di celebrare nell'antico rito. E partecipa personalmente!


Il giovane Vescovo di Foligno, S. E. Mons. Gualtiero Sigismondi, ha chiesto ai monaci di Norcia (Pg) di celebrare una serie di SS. Messe solenni nella Forma Straordinaria del Rito Romano, nell’ambito della sua iniziativa volta ad esporre i fedeli della sua diocesi alla forma tradizionale.
Il Vescovo di solito assiste alla S. Messa sedendosi tra i membri del coro, dando così una testimonianza personale dell’importanza di questo “tesoro della Chiesa”, per dirla con le parole di Papa Benedetto.
La Messa viene celebrata una volta al mese nell’antica chiesa di Santa Maria infra portas alle 10.00.
La prossima S. Messa verrà celebrata il 14 Aprile 2012.

fonte: I monaci di S. Benedetto

Tolentino (MC): tradizionale Settimana Santa



SABATO 31 MARZO 2011 ore 21


Frazione : La Bura, Tolentino
Rappresentazione della Passione di Nostro Signore
,
organizzata dall’Associazione Don Primo Minnoni

- DOMENICA 1° aprile - II Domenica di PASSIONE detta delle Palme
- ore 16,30 Chiesa parrocchiale del Santissimo Crocifisso : benedizione delle Palme, processione fino alla chiesa del Sacro Cuore ( detta dei sacconi), Santa Messa in terzo del Parroco don Andrea Leonesi e dei Francescani dell'Immacolata.


Basilica Concattedrale di San Catervo Martire
Sante Quarantore : Adorazione del Santissimo Sacramento

- Basilica di San Nicola da Tolentino : confessioni

- MARTEDI' SANTO 3 aprile ore 21

- Petriolo, Centro Storico
Solenne Processione Eucaristica a conclusione delle tradizionali Quarantore
(in caso di pioggia si farà la Benedizione Eucaristica
all'interno del Santuario della Madonna della Misericordia )


- GIOVEDI' SANTO 5 aprile (Tolentino):
Chiesa del Sacro Cuore, detta dei Sacconi
ore 17.00: SANTA MESSA in Coena Domini,
(Messa propria Nos autem)
De lotione pedum, de Sacramenti repositione, denudazione dei altari. Adorazione al Sepolcro fino a mezzanotte.
ore 21,oo (Partendo dalla chiesa del Sacro Cuore) Processione della Confraternita dei sacconi alle sette chiese urbane, adorazione del Santissimo Sacramento

Ore 23,00 rientro della Confraternita nella Chiesa del Sacro Cuore e recita delle devozioni popolari fino alle 24,00.

VENERDI' SANTO 6 aprile
:
Basilica di San Nicola, confessioni

Basilica Concattedrale di San Catervo Martire ore 12
: Crocifissione
Basilica Concattedrale di San Catervo Martire ore 13,00 Tre Ore d’Agonia di Nostro Signore

- Commento musicale : Schola Cantorum “G.Bezzi” della Bas. di San Nicola

- Chiesa del Sacro Cuore, detta dei sacconi, ore 17,00 De solemni actione liturgica.

Centro Storico ore 20,00 Tradizionale processione del Cristo Morto partendo dalla Bas.Concattedrale di San Catervo Martire


SABATO SANTO 7 aprile: Sabato Santo

Basilica di San Nicola Confessioni
Chiesa del Sacro Cuore, detta dei sacconi, ore 19,00

(Nel giardino del Convento delle Maestre Pie Venerini, davanti la chiesa) :

Benedizione del fuoco e del Cero Pasquale, processione del Lumen Christi, canto dell’Exultet,

- Chiesa del Sacro Cuore, detta dei sacconi : ore 20,00 De Missa Solemni Vigiliae Paschalis , scoprimento delle Immagini

- Basilica di San Nicola ore 22,00 Chiostro Inizio della veglia pasquale

-
LUNEDI’ DI PASQUA, DELL’ANGELO, 9 APRILE:
- Chiesa del Sacro Cuore detta dei Sacconi, ore 18,30

- Messa cantata pasquale

Foto : La Bura di Tolentino, rappresentazione della Passione di Nostro Signore

"Avvenire" ed Enzo Bianchi. Un sacerdote scrive al Direttore in sostegno a Mons. Livi, ma la sua lettera non viene pubblicata

Un sacerdote ci ha inviato la lettera che ha spedito al Direttore di Avvenire sul "caso Enzo Bianchi".
A differenza delle altre due lettere di sostegno incondizionato per Enzo Bianchi e di sdegno per le parole di critica di Livi, la lettera in sostegno di quest'ultimo non è stata ancora pubblicata. Forse il Direttore non l'ha ricevuta? Eh,si sa, i disservizi delle Poste...
Noi la rendiamo nota, accogliendo la richiesta dell'autore, perché magari il Direttore ne venga così a conoscenza e sia stimolato a dare risposta. E a dimostrare l'equilibrio, l'imparzialità e l'onestà intellettuale (a cui egli asserisce essere ispirato il suo giornale) del quotidiano cattolico.



Roberto


"Caro direttore,
ho riletto Mons.Livi su Enzo Bianchi . Egli sostiene tre cose incontestabili:
1) Quella di Bose non è una comunità religiosa in senso autenticamente giuridico . Anche se il priore ne ha creato una immagine di “monastero”. Non tutti sanno che Enzo Bianchi è un laico a tutti gli effetti.
2) Il sedicente priore, insiste molto sul lato umano di Gesù e del cristianesimo .(anche se dalle sole parole citate non si può dedurre una negazione della divinità di Cristo). Cosa che il Bianchi non farà mai. Non si tira la zappa sui piedi.
3) Inoltre egli non chiarisce abbastanza che la teologia di Hans. Kung è condannata dalla Chiesa.(mi riferisco solo al testo apparso sulla “Bussola Quotidiana”)
Io aggiungo che Enzo Bianchi non nasconde la sua critica all’attuale Pontefice soprattutto per la sua teologia liturgica ed anche qui si attacca furbescamente al Motu Proprio di ripristino della liturgia antica,( tra l’altro mai soppressa) mentre il pensiero del Papa è più vasto.
Ha una visione esageratamente ottimista del mondo in cui non si parla mai di Peccato Originale e non tiene conto che il discorso sulla riforma nella continuità a proposito del Vaticano II è un dato oggettivo. Anzi fa parte ormai del magistero pontificio dato che è stato il Papa a tirarlo fuori nel dicembre 2005. Tutti gli atti pontifici, compresa la svolta data ad Assisi tre, sono andati in questa linea.
Ignora la devozione a Maria e ai Santi. Pare disprezzi la pietà popolare. E qui non tiene conto della Costituzione sulla Liturgia del Vat.II al n. 12.
Per questi motivi mi pare esagerata la difesa del nostro nella rubrica “lettere” di avvenire di venerdì 23 scorso.
Era lecito difendere il Giornale, che però non è stato attaccato gravemente, ma occorrevano toni più equilibrati. Una critica non è una accusa ma un parere.
Avvenire parla di Bianchi perché informa sui fatti di Chiesa, ma questo non equivale a sposarne le idee . Infatti le uniche idee che il giornale deve fare sue, sono quelle del magistero. E Bose non è Magistero!
Occorre tener presente che oltre i “devoti di Bianchi” anche altri leggono Avvenire e possono dare del personaggio,valutazioni diverse. Non per questo reazionarie o insensibili al dialogo con il mondo.

Don Giorgio Bellei, Modena"

giovedì 29 marzo 2012

Mons. Moraglia: basta con i preti impresari, docenti, intellettuali ecc.






Monsignor Francesco Moraglia, da pochi giorni Patriarca di Venezia (nelle foto alcuni momenti del suo insediamento di domenica scorsa, prese dal Flickr del Patriarcato) conferma le positive aspettative sul suo conto. Certo non perde tempo e al primo discorso rivolto oggi ai preti della diocesi non rinuncia a parlare in modo chiaro.

"Amiamo più le nostre reti e le nostre barche che non il pescare, la fatica e l’impegno della pesca. Fuori di metafora, si rischia d’amare più le opere, i titoli accademici, le nostre pubblicazioni, le strutture che abbiamo costituito e ci circondano e servono alla nostra attività pastorale che non il fine per cui quelle cose sono state costituite, ossia le anime. Il rischio è essere organizzatori, impresari, docenti, intellettuali, psicologi, assistenti sociali e non pastori. Altri atteggiamenti che configgono con la carità pastorale sono quelli che fanno in modo che il pastore si serva del pulpito per dire qualcosa che non ha o ha poco a che fare col Vangelo: per esempio parlare di sé, “togliersi dei sassolini dalle scarpe”; con il desiderio di correggere l’errore, si finisce invece per offendere l’errante. Insomma ogni pastore, proprio in nome della carità pastorale, deve interrogarsi se il suo silenzio è di comodo o addirittura colpevole e se il suo parlare è mancanza d’amore, di pazienza o di fortezza o, ancora, espressione di malumore interiore. Questo esame di coscienza franco, sereno, con un po’ di misericordia nei nostri confronti, ci aiuta a comprendere se siamo uomini e preti liberi; tale revisione potrebbe iniziarsi chiedendo aiuto a un confratello del quale abbiamo stima e che sappiamo persona capace di dire la verità con amore e che sa amare con verità (...)"
Il discorso integrale si può leggere qui.



Domenica delle Palme "straodinaria" a Perugia

chiesa di S. Filippo Neri di Perugia in Via dei Priori (centro storico)
- Venerdì 30 marzo 2012 ore 19:15 dopo la Sacra Rappresentazione Pasquale "La Desolata".

- Domenica 1° aprile 2012 - Domenica delle Palme
ore 16:30 benedizione delle Palme presso la chiesa di S. Teresa degli Scalzi (Via dei Priori vicino alle scale mobili) e successiva processione fino alla chiesa di S. Filippo Neri.
Ore 17:00 celebrazione S. MESSA in V.O. nella chiesa di S. Filippo Neri.

SS. Rosarii a Modena per le relazioni S.Sede e la F.S.S.P.X e l'unità della Chiesa: "I cattolici hanno bisogno anche della Fraternità!".

Incoraggiati dalla notizia apparsa sul Blog il 26 marzo 2012, secondo la quale esistono ancora spiragli per una soluzione positiva del riconoscimento canonico della Fraternità S.Pio X, il Parroco della chiea Spirito Santo (Modena) ed un gruppo di parrocchiani hanno deciso di recitare il Rosario pubblicamente in chiesa ogni giorno alle ore 18:30 , fino al 15 aprile 2012 compreso (giorno in cui la F.S.S.P. X dovrà dare una chiara, definitiva e univoca risposta sull'accettazione del Preambolo dottrinale del 14.09.2011) per questa intenzione (l'unità della Chiesa).
Sono sostenuti da 2 convinzioni di fede:
1) La preghiera può ottenere qualsiasi Grazia
2) La Fraternità ha bisogno di Roma per essere fino in fondo cattolica, ma soprattutto noi abbiamo bisogno di un ritorno alla sana Tradizione teologica e liturgica. Doni che la Fraternità, se canonicamente inserita nella Chiesa, può portare con abbondanza.

CHIESA DELLO SPIRITO SANTO, MODENA Via Rosselli 180 41125 MO 059305104 www.spiritosantomodena.it

Settimana Santa "tradizionale" a Livorno con l' I.C.R.S.S.



chiesa di S. Giulia
- Giovedì 29 marzo: feria. Messa propria Omnia
- Venerdì 30 marzo: feria. Via Crucis alle ore 18
Messa propria Stabant juxta dei Sette Dolori della Beata Vergine Maria.

Villa Sacro Cuore
- Sabato 31 marzo: feria, Messa alle 11.30. Messa Miserere mihi
*

- DOMENICA 1° aprile - II Domenica di PASSIONE detta delle Palme
chiesa di S.Maria Assunta in Torretta
Confessioni dalle ore 9.45 alle ore 10.20
S. MESSA FESTIVA, ore 10.30

Villa Sacro Cuore
:
ore 18.30: Benedizione del Santissimo
ore 19: conferenza spirituale
*

- LUNEDI' SANTO 2 aprile (Messa propria Judica Domine)
chiesa S. Giulia - ore 17.30 Adorazione del Santissimo Sacramento
ore 17.50 recita del Santo Rosario
ore 18.10 Benedizione del Santissimo
ore 18.30 SANTA MESSA
*

- MARTEDI' SANTO 3 aprile: (Messa propria Nos autem)
chiesa S. Giulia - ore 17.30 Adorazione del Santissimo Sacramento
ore 17.50 recita del Santo Rosario
ore 18.10 Benedizione del Santissimo
ore 18.30 SANTA MESSA
*

- MERCOLEDI' SANTO 4 aprile: (Messa propria In nomine Iesu)
chiesa di S. Giulia, ore 19.00: SANTA MESSA;
ore 20.30: Funzione delle Tenebre
*

GIOVEDI' SANTO 5 aprile: (Messa propria Nos autem)
chiesa di S. Giulia, ore 17.00: SANTA MESSA in Coena Domini,
processione al sepolcro, denudazione dei altari. Adorazione al Sepolcro fino a mezzanotte.
ore 19.00: Funzione delle Tenebre
*

VENERDI' SANTO 6 aprile:
chiesa di S. Giulia, ore 17.00: Ufficio delle Letture, canto del Passio,
Venerazione della Croce, Messa dei Presantificati.

ore 20.30: Funzione delle Tenebre
*

SABATO SANTO 7 aprile: Sabato Santo
chiesa di S. Maria Assunta in Torretta
ore 21.30: Vigilia della Risurrezione: Benedizione del fuoco e del Cero Pasquale, processione del Lumen Christi, canto dell’Exultet, SANTA MESSA DELLA VIGILIA

CHIESA di SANTA GIULIA - Largo del Duomo 1 - Livorno
CHIESA SANTA MARIA ASSUNTA in TORRETTA, Via delle Cateratte, 15. LIVORNO
ICRSS, Villa SACRO CUORE - Via Numa Campi, 9 - LIVORNO • 0586 57 99 10 •
livorno@icrsp.org

Settimana Santa "tradizionale" a Roma - F.S.S.P.



PARROCCHIA PERSONALE RITO TRIDENTINO - F.S.S.P.
Ss.MA TRINITA' dei PELLEGRINI - ROMA Settimana Santa 2012 - Orario Sacre Funzioni

DOMENICA delle Palme (1° Aprile)
◦Ore 9:00: S. Messa
◦Ore 10:00: Benedizione delle palme, Processione e S. MESSA col canto del Passio
◦Ore 18:30: S. Messa

•MERCOLEDI' SANTO (4 Aprile)
◦Ore 20:30: Tenebræ

GIOVEDI' SANTO (5 Aprile)
◦Ore 18:30: S. MESSA In coena Domini
◦Ore 20:30 circa (dopo la Messa): Tenebræ

Venerdì Santo (6 Aprile)
◦Ore 15:00: Via Crucis,
◦Ore 18:30: Solenne commemorazione della Passione e Morte di n. S. G. C.,
◦Ore 20:30 (circa) dopo la liturgia: Tenebræ.

SSABATO SANTO (7 Aprile).
◦Ore 22:30: VEGLIA PASQUALE

DOMENICA DI PASQUA (8 Aprile)
◦Ore 9:00: S. Messa
◦Ore 10:30: S. MESSE SOLENNE
◦Ore 18:30: S. Messa

•LUNEDI' di Pasqua (9 Aprile)
◦Ore 18:30: S. Messa

Settimana Santa "straodinaria" a Sacconi, Tolentino (Mc)



Fidel Castro al Papa " Com'è cambiata la liturgia ..." ( da Cantuale Antonianum )


E' opportuno che nel nostro sito, dedicato alla Liturgia, si possa commentare l'interesssante domanda che Fidel Castro ha ieri rivolto a Papa Benedetto XVI riguardante proprio la Liturgia.
Lo facciamo affidandoci all'ottimo Cantuale Antonianum, sempre attento al "sentire cum Ecclesia".
A.C.

Probabilmente in questi ultimi 50 anni il Lider della Rivoluzione cubana non deve essere andato spesso a Messa.
Prova ne sia che, come riporta il Corriere Online, Castro pur anziano e malato ha voluto seguire in TV il viaggio del Pontefice e le sue celebrazioni, e la prima domanda rivolta da Fidel al Papa, durante il loro storico incontro, "ha riguardato i cambiamenti nella liturgia della Chiesa, che Castro ha trovato molto cambiata rispetto a quando era giovane".
Ricordiamo che Castro ha studiato dai Gesuiti, e ha una madre e una sorella devotissime alla Vergine Maria. Qualcosa della Messa si ricordava...
Non è dato sapere, almeno per ora, cosa abbia risposto il Papa. Possiamo immaginare: "Ha ragione caro Fidel, ma tra le tante cose sto cercando di sistemare anche questa questione della liturgia, non si preoccupi. Beh parliamo ora un po' di diritti umani, le va?"...
Battute a parte, è invece molto significativo anche l'apprezzamento che Benedetto XVI ha fatto a proposito della propria veneranda età: ha un anno in meno dell'86enne ex Presidente cubano: «Sono anziano - ha detto Ratzinger - ma posso ancora fare il mio dovere».
Non ha, insomma, nessuna intenzione di dimettersi, nè di mettersi in un angolo ad aspettare sorella morte.

Testo preso da: E Fidel Castro disse al Papa: "Come è cambiata la liturgia da quando ero giovane!" http://www.cantualeantonianum.com/2012/03/e-fidel-castro-disse-al-papa-come-e.html#ixzz1qUJdRr78
http://www.cantualeantonianum.com/2012/03/e-fidel-castro-disse-al-papa-come-e.html

mercoledì 28 marzo 2012

Echi Tridentini in Tolkien - II parte. "Prego molto. in latino".

Grazie alla segnalazione di un nostro lettore, abbiamo l'occasione di presentarvi alcune righe scritte da uno dei più grandi e noti scrittori inglesi: il prof. John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), cattolico, docente di Inglese Antico all'Università di Oxford. Gli appassionati del genere fantasy lo avranno di sicuro riconosciuto! Sì, proprio lui, l'autore del Il Signore degli Anelli, e di tante altre opere e romanzi. Nelle sue Lettere -l'epistolario che raccoglie lettere a partenti e ad amici, da cui abbiamo tratto questo brano- Tolkien appare innanzitutto come un uomo profondamente cristiano e cattolico. Questa sua visione ispira indubbiamente la sua opera, e dal suo senso religioso discendono anche le sue idee politiche.

Roberto
.
"Se già non lo fai, prendi l’abitudine di pregare. Io prego molto (in latino): il Gloria Patri, il Gloria in Excelsis, il Laudate Dominum; il Laudate Pueri Dominum (a cui sono particolarmente affezionato), uno dei salmi domenicali; e il Magnificat; anche la Litania di Loreto (con la preghiera Sub tuum praesidium). Se nel cuore hai queste preghieren non avrai mai bisogno di altre parole di conforto. E’ anche bene, una cosa ammirevole, sapere a memoria il Canone della Messa, perché la puoi recitare sottovoce se qualche circostanza avversa ti impedisse di assistervi. Così endeth Faeder lar his suna. Con tutto il mio amore." 
.
qui la III parte
.
 J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.77.


Gnocchi e Palmaro ci scrivono sul caso del signor Enzo Bianchi

Ah, il caso Enzo Bianchi. Grazie monsignor Livi per averne parlato con tanta chiarezza. Questa faccenda del signor Bianchi detto fratel Enzo, è davvero una delle questioni che mostrano come sia ridotta questa povera Chiesa dove ciò che non è cattolico vale quanto, e anche più, della buona e sana dottrina. Con il tragicomico risvolto della censura rivolta con cattiveria, arroganza e, diciamo, poca lucidità contro chi osi denunciare l’assurdità della situazione.
Ma un grazie va anche al dottor Marco Tarquinio, direttore di
Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, per essere stato così sgradevole e, diciamo, poco lucido nel censurare monsignor Livi. Grazie davvero perché, se ancora fosse stata necessaria una prova del disastro, il dottor Tarquinio l’ha messa in bella copia nero su bianco: un’autocertificazione dello stato di coma del mondo cattolico. A questo proposito, avevamo pensato di scrivere qualcosa sul signor Bianchi, priorissimo della suopercomunità di Bose. Poi, nel nostro archivio, abbiamo trovato un articolo scritto per il Foglio qualche tempo fa. Visto e considerato che fratel Enzo dice e scrive con successo da anni sempre le stesse cose, abbiamo pensato che fosse ancora di attualità e potesse servire a rafforzare l’iniziativa di monsignor Livi che, se fossimo in un mondo cattolico serio, dovrebbe diventare una vera e propria campagna. Magari guidata dai vescovi: almeno qualcuno. Per la cronaca, l’articolo uscì con titolo “Bose dell’altro mondo”.
Alessandro Gnocchi Mario Palmaro

Prima, la notizia buona: chi avesse già speso 9 euro per acquistare
La differenza cristiana di Enzo Bianchi, ora può risparmiarne 10 evitando di mettere nel carrello Per un’etica condivisa, appena dato alle stampe sempre da Bianchi. Complessivamente, 1 euro guadagnato poiché, se La differenza cristiana è zuppa, Per un’etica condivisa è pan bagnato. Anche nel suo ultimo libretto, il Priore di Bose mena il torrone del cristianesimo minimale buttandoci dentro come canditi tutti quei termini che colpiscono nel profondo i cattolici tentati dall’esserlo sempre meno: l’Ultimo, lo Straniero (in maiuscolo), polis, agorà, ananké (in corsivo), parresia (in tondo) e poi profezia. Tanta profezia, anch’essa in tondo, ma scritta con forza tale da creare un vortice che trascina il lettore in un mondo nuovo, un cristianesimo altro, una spiritualità purissima che manifesteranno il regno di Dio qui e subito, perfettamente. Purché si faccia come insegna fratel Enzo. Anzi, come impone fratel Enzo. Perché la sua scrittura, contrariamente al messaggio minimale che contiene, è tutt’altro che mansueta. Si prenda un suo libro e si contino le frasi che iniziano con un “Sì,”. Quando il ragionamento perde qualche colpo, quando bisogna imprimere nelle testoline dei lettori il concetto giusto, fratel Enzo, come un vecchio marpione dell’omiletica che incespica sul pulpito o un navigato caporedattore di giornale popolare che non riesce a venirne fuori con un titolo, ci infila il suo bravo “Sì,”. Dopo il “Sì” ci vuole sempre la virgola, che irrobustisce la pagina.
Provare per credere. La differenza cristiana, pagina 77, settima riga: “Sì, l’annuncio cristiano non deve avvenire a ogni costo”. Togliete quel “Sì,” e avrete ridotto a un decimo la forza del messaggio, che, detto per inciso, suona tanto come un insulto ai milioni di martiri.
Il Priore di Bose è tutto qui, nel suo dire il quasi nulla con molta forza, nel suo attaccare il dogma mostrandolo intatto ma vuoto. Un “vivere doppio”, come ha scritto Barbara Spinelli sulla Stampa tessendone l’elogio. Un “vivere doppio che è piuttosto un vivere-tra. Tra il mondo e ciò che non è del mondo. Tra adesione alla polis e distacco”. E come si potrebbe definire, se non un vivere-tra, quello di fratel Enzo? Fa l’editorialista del giornale storico della famiglia Agnelli e combatte il capitalismo, scrive sul giornale della Conferenza Episcopale Italiana e bersaglia la gerarchia, commenta il Vangelo su Famiglia Cristiana e proclama le verità altrui, fa il monaco solitario ed è sempre in viaggio ai quattro angoli del mondo, profetizza nell’iperuranio della teologia engagé e si occupa della legge sugli immigrati.
Un vivere-tra che segna fin dal principio la comunità fondata a Bose, tra Ivrea e Biella, da Enzo Bianchi, classe 1943, dottore in economia e commercio. Era un simbolico 8 dicembre 1965, giorno di chiusura del Concilio Vaticano II. Bose divenne punto d’incontro tra persone di entrambi i sessi appartenenti al cattolicesimo, al protestantesimo e al mondo ortodosso. E subito ne scaturì il carisma di punta avanzata dell’ecumenismo, di un vivere-tra teologico che fino a oggi non ha avuto alcun riconoscimento ecclesiastico. Non esiste istituto del diritto canonico della Chiesa cattolica che contempli un’entità di tal genere. Se al cattolico ordinario questo può apparire strano, a Bose vi diranno che è profetico. Il fatto che la loro comunità non possa essere contemplata dentro la struttura di questa Chiesa significa solo che la struttura di questa Chiesa deve mutare: troppo gerarchica, costantiniana, fondata sul potere, vecchia. Insomma, non è profetica, non è in grado di comprendere e trasmettere il vero messaggio evangelico. Tanto che, nella Regola di Bose si legge: “Nessuna comunità e nessuna persona possono realizzare ed esaurire tutte le esigenze dell’Evangelo. Solo la chiesa universale nella sua completezza storica può esprimere la totalità degli appelli contenuti in esso”.
Dal che parrebbe che “la chiesa universale nella sua completezza storica” non corrisponda alla Chiesa cattolica. Tanto che la Regola si affretta a dire al fratello e alla sorella di guardarsi bene dall’abbandonare la confessione di provenienza per farsi cattolici. Ma tutto ciò viene detto con tale mitezza e tale soavità e suona tanto bene che il cattolico poco accorto finisce per rimpiangere di essere stato battezzato nella Chiesa di Roma. Se non è così, bisogna che a Bose riscrivano la Regola e usino termini comprensibili a tutti. Però riesce difficile pensare di essersi sbagliati quando, poco più avanti si legge che il Priore, il “compaginatore della koinonía”, è colui che “spezza e interpreta la Parola per la comunità nelle varie congiunture in cui essa si viene a trovare”. Il povero cattolico medio, qui, è costretto a cogliere la contrapposizione tra lo spezzare il Pane Eucaristico e lo spezzare la Parola che spaccò in due la Cristianità ai tempi di Lutero. Ma l’abilità di Bose, della sua Regola e del suo Priore sta nel non arrivare fino in fondo: suggeriscono. E il colpo da maestro di Bianchi sta nell’usare questo linguaggio e nel praticare questi temi come se la vita della Chiesa fosse già mutata. “Ma come” sembra dire ai poveri cattolici medi “siete ancora tanto indietro? Non soffia ancora in voi lo spirito della profezia?”.
Davvero bravo, perché con questo metodo è arrivato ovunque, dalle parrocchie illuminate alla predicazione degli esercizi per gli alti gradi della gerarchia, da trasmissioni radiofoniche come “Ascolta si fa sera” e “Uomini e profeti” ai viaggi di rappresentanza per conto del Vaticano. Eppure, fonti ben informate dicono che alla Congregazione per la dottrina della fede, sul suo conto c’è un dossier riguardante materie come l’ecclesiologia, la sacramentaria e la cristologia. Ma come si fa a mandare avanti una pratica a carico di un personaggio come fratel Enzo? E il dossier rimane lì, anche perché il pensiero di Bianchi non è così minoritario come si potrebbe immaginare.
E’ la storia di Bose, fin dai suoi esordi, a insegnarlo. Nel 1967, il vescovo del luogo vietò qualsiasi celebrazione pubblica nella comunità a causa della presenza di un non cattolico. Ma, il 29 giugno del 1968, l’arcivescovo di Torino, cardinale Michele Pellegrino, entusiasta di quell’esperienza celebrò lui stesso la Messa vanificando di fatto l’atto del vescovo. Oggi, che tra fratelli e sorelle di varia provenienza sono ottanta, non è chiaro se l’interdetto sia formalmente ancora in vigore, ma questo conta poco, poiché si troverebbe anche oggi un cardinale epigono di Pellegrino, pronto a correre in soccorso a Bose.
In ogni caso, fratel Enzo tira avanti. Predica esercizi ad alto livello, convoca e presiede convegni internazionali, è nume tutelare delle edizioni Qiqajon, scrive per grandi editori, compila voci di enciclopedie, tiene cattedra di teologia biblica e patristica all’Università Vita-Salute San Raffaele di don Luigi Verzé. E tutto questo con il solo titolo accademico di dottore in economia e commercio. Un autodidatta. Un magnifico autodidatta, ma pur sempre un autodidatta. E, come tutti gli autodidatti, allievo di se stesso.
Adesso qualcuno vorrà spiegare che lo Spirito soffia dove vuole e che la storia della Chiesa è punteggiata da individui che hanno intuito, profeticamente, strade nuove. Guardate San Francesco. Però, chiunque abbia fatto almeno l’esame di “Storia medievale 1” sa che la grandezza di san Francesco sta nell’essersi rimesso al giudizio della Chiesa di Roma e non nell’averla voluta giudicare. Monsignor Piero Zerbi, maestro dei medievalisti dell’Università Cattolica di Milano insegnava che sta qui la differenza tra Francesco d’Assisi e Pietro Valdo: uno divenuto Santo e l’altro eretico.
Ma fratel Enzo non teme scivoloni e se c’è da menare fendenti su Roma non guarda in faccia a nessuno. “Questo è un tempo triste per chi non possiede la verità e crede nel dialogo e nella libertà” dice nella Differenza cristiana, citando una frase di Zagrebelsky. E poi rincara: “Io aggiungerei che è un tempo triste per certi cattolici che certo non pensano di possedere la verità, ma pur mettendo la loro fede in Dio e in Gesù Cristo che lo ha narrato, sanno che la verità eccede sempre i credenti. (...) Sì, è un tempo triste perché il cristianesimo appare minacciato nel suo specifico, e non minacciato da chi lo avversa o addirittura lo perseguita, bensì, come sovente accade nella storia, dai credenti stessi”.
E così, senza compromettersi facendo nomi, da Papa Benedetto XVI in giù sono sistemati tutti coloro che complottano per depotenziare la nuova Pentecoste avviata con il Concilio Vaticano II, tutti coloro che si oppongono al soffio dello Spirito. Gli altri, invece, i veri credenti, quelli che, come nei migliori ossimori, “non pensano di possedere la verità”, pur se invitati a un generico immergersi “nella storia, nelle sue opacità, nelle sue contraddizioni”, in realtà sono chiamati a divenire “comunità alternativa”.
Anche qui, Bianchi allude, profetizza, più che marcare nettamente. Ma, presi dal suo ragionare, si può essere indotti a immaginare veramente una nuova Pentecoste annunciata ed evocata da “comunità alternative” in cui “si manifesti pienamente la Venuta del Signore”. Una Nuova Era dello Spirito? Non viene specificato, però, nella Regola di Bose si legge che “Nella vita monastica è lo Spirito a chiamare, pur servendosi di mediazioni umane, e non la chiesa tramite il ministero episcopale, come accade per i ministeri ordinati”. E certo colpisce questo continuo evocare, anche se non fino in fondo, la contrapposizione tra una Chiesa istituzionale, vecchia e una Chiesa spirituale, nuova. Il tutto sottolineato da una sezione del sito web della comunità che si intitola “Pneumatofori”, portatori dello Spirito, in cui si dice: “Sono passati tra noi..” seguono 19 nomi per poi concludere “lasciandoci il loro spirito”.
Nell’attesa, le “comunità alternative” sono chiamate a evitare di porre Cristo al centro del proprio agire sociale. Niente leggi che sappiano di sacrestia: l’Altro, lo Straniero siano la regola, il nascondimento sia il mezzo, l’umanizzazione, e non la salvezza, sia il fine. Dunque, in Per un’etica condivisa, Bianchi spiega che gli ripugna un mondo in cui “le chiese propugnano un’etica e concentrano tutte le loro energie affinché sia assunta dalla società, si mostrano capaci di quei servizi necessari ai quali lo stato non sa dare attuazione, soprattutto in risposta ai diversi tipi di povertà ed emarginazione, offrono la loro esperienza e qualità di intervento nell’educazione giovanile, chiedendo però un riconoscimento del proprio ruolo”.
Per non parlare dei cosiddetti “atei devoti che oggi pontificano”. Ai quali Bianchi manda a dire che “non vi è nessuna necessità mondana di Dio, nessuna possibilità di teismo utilitario come invece vorrebbe far credere una società in carenza di ideali. Alla larga da “un progetto che vede le chiese correre in aiuto e supporto alla società per fornire, alimentare valori di cui esse hanno bisogno per il loro ordine ed equilibrio”.
In un colpo solo, fratel Enzo fa fuori gli atei devoti e San Tommaso d’Aquino. Il Dottore Angelico, nella Summa spiega l’utilità delle leggi dello Stato e della repressione penale, che servono ad “abituare a evitare il male e a compiere il bene per timore della pena, in modo che poi esso sia compiuto spontaneamente”. Ma è chiaro che, per dei puri destinati a vivere nel nascondimento e nella carità perfetta, la fatica di produrre leggi che conducano gli uomini al bene, invece che benedetta, appare blasfema.
E’ difficile non far risalire tutto questo a una sottovalutazione dell’Incarnazione di Cristo, da cui scende direttamente l’impegno del cristiano nella vita quotidiana. La Civitas Dei di Sant’Agostino, alla quale appartiene il cristiano, non è un luogo impalpabile e neppure una comunità separata che diventi esempio per la società. L’appartenente alla Civitas Dei ha il dovere mettere mano anche alla città dell’uomo, e il suo impegno è essenzialmente milizia.
Ma se l’impegno è debole, di solito, la cristologia è debole. Il Priore, quando cita Cristo, si affretta a spiegare che è colui che “ha narrato Dio agli uomini”. Linguaggio opaco che produce la sensazione di trovarsi davanti a una vicenda incompleta. Sensazione alimentata da Bianchi con un libretto per bambini intitolato “Gesù. Il profeta che raccontava Dio agli uomini”. E’ vero che dentro dice che Gesù è Figlio di Dio. Ma poi spiega ai suoi piccoli lettori: “Gesù (...) era un bambino come noi che viveva con i suoi genitori, Maria e Giuseppe, in un villaggio una piccola cittadina della Galilea. Quando aveva dodici anni ha sentito una chiama più forte. (...) Gesù è stato inviato, mandato, è divenuto un testimone, cioè uno che raccontava Dio agli uomini”.
Forse, sta qui la ragione del cristianesimo minimale di Bianchi, che ha un precedente illustre in Giuseppe Dossetti, passato dalla militanza nella Dc alla scelta monastica. Non a caso, il Priore di Bose ha un posto fisso nel Consiglio di amministrazione della dossettiana Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna. Come quello di Dossetti, il monachesimo di Bianchi è anomalo. Non sceglie la via della solitudine per lodare e adorare Dio, ma per caricarsi di carisma profetico con il fine ultimo di trasformare la Chiesa e renderla più spirituale e democratica attraverso le alchimie della politica. Un ribaltamento di orizzonte che passa dall’influsso della Chiesa sulla società a quello della società sulla Chiesa.
L’unica differenza tra Dossetti e Bianchi sta nel partner. Il monaco bolognese, tra gli artefici della costituzione repubblicana, fece della sua creatura il luogo d’elezione per l’incontro con il Pci di Togliatti. Pensò la carta costituzionale come piattaforma utopica per un progetto che trasformasse la vita politica italiana e, quindi, anche la Chiesa. Dal che discese una visione ideologica della costituzione in nome della quale Dossetti, prima combattè Craxi e poi lasciò il suo romitaggio per fronteggiare il cavaliere nero Berlusconi.
Bianchi, oggi, ha a che fare con gli eredi di un Pci putrefatto, una sorta di partito radicale di massa in cui convive tutto e in contrario di tutto, da Rosy Bindi a Massimo Cacciari passando per Dario Franceschini: come dire il nulla, l’ideale per le profezie minimali del Priore.
Ma l’obiettivo non è cambiato, nel mirino c’è sempre la Chiesa romana e la sua concezione costantiniana. Il che fa tirare una boccata d’ossigeno a Eugenio Scalfari, che, alla Fiera del libro del 2005 disse: “Se tutti i cattolici fossero come Enzo Bianchi io sarei molto rassicurato”.
Come dargli torto?

Poveri in spirito e poveri di spirito

Prendo in mano una rivista del mondo cattolico progressista, e trovo scritto che la Chiesa ha fatto una scelta, un’ “opzione preferenziale”, per i poveri, i “malriusciti”, gli emarginati, gli ultimi ecc. Non è una constatazione nuova. Ben prima della triste teologia della liberazione, lo notavano i primi avversari del cristianesimo, Celso e Porfirio. In tempi più recenti, Nietzsche ed Hitler dicevano lo stesso, ovviamente con un analogo disgusto. E’ senza dubbio vero: sotto ogni cielo e in ogni epoca, chi più chi meno, perché sempre uomini e peccatori, i cristiani hanno soccorso orfani e vedove; hanno creato ospedali e xenodochi; hanno riscattato schiavi e prigionieri… Eppure, nel modo in cui questa “preferenza” viene espressa oggi in certi ambienti, vedo qualcosa di ideologico, cioè di parziale e limitante.
Parziale e limitante perché talora si dimentica quante volte sono stati uomini e donne ricchi, facoltosi, a fare del bene ai poveri, a divenire poveri con i poveri. Possiamo ricordare la generosità delle principesse dei primi secoli, come Pulcheria, di ricche matrone come Melania, Fabiola e Marcella, di nobildonne ottocentesche come la contessa di Barolo, Maddalena di Canossa, Teresa Verzeri…
Anche san Francesco, il più verace sposo di “madonna povertà”, nacque ricco e si fece povero. Povero volontario.
Parziale e limitato, il pauperismo di certuni, perché dimentica quante opere di misericordia sono nate anche dai soldi, non sempre del tutto puliti, di mercanti ed usurai, che tra medioevo e rinascimento hanno spesso finanziato prodigiose opere di carità; perché dimentica quante volte uomini poveri come il Cottolengo, o san Giovanni Bosco, hanno saputo salire le scale dei ricchi, anche di uomini non integerrimi, senza disprezzo manicheo sulle labbra, per ottenerne pane per i poveri, con grande frutto. Parziale, ancora, perché come non sono mai mancati i ricchi generosi, e distaccati dalle loro stesse ricchezze, cosa non certo facile, non scarseggiano neppure i poveri che, una volta divenuti ricchi, vogliono assaporare con assoluto egoismo la loro nuova condizione.
Sì, la Chiesa, come Cristo, deve amare i poveri, ma non è materialista come l’ideologia marxista. Crede dunque che i ricchi, come i poveri, abbiano l’anima, e che tra eternità e tempo vi sia una gerarchia: la vita eterna è una ricchezza più grande di ogni ricchezza terrena, e non è in ciò che è materiale, necessariamente, che si realizza l’equità e la giustizia; non è nel benessere, che pure è cosa buona, che si compie la felicità umana. Certo, tra i peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”, Leone XIII mise il negare la “giusta paga agli operai”, e prima di lui Ambrogio si scagliava contro i ricchi che credono che la terra sia proprietà solo loro; certo, dopo Leone XIII, Pio XI attaccò il “funesto ed esecrabile internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro”, così come i suoi predecessori medievali avevano stigmatizzato i banchieri usurai e i guadagni illeciti. Ciò non toglie che per la Chiesa l’anima dei ricchi non vale di meno di quella dei poveri, e quella dei poveri non vale di più di quella dei ricchi.
Non mi convince, ancora, la visione pauperista in stile marxista di certo mondo “cattolico”, perché si riduce troppo spesso a predica, ad utopia, a vagheggiamento di una attenzione verso i lontani, che mi sembra, a volte, un po’ troppo facile. Perché dimentica troppo spesso quello che una santa che di poveri se ne intendeva, Madre Teresa di Calcutta, definiva “il più povero tra i poveri”, cioè il bambino nel grembo materno. Non di rado, quando si parla di questo tema, in troppi di questi cattolici, esplode una rabbia strana, che si palesa in espressioni come queste: “a te interessano gli embrioni, i feti, e dimentichi gli uomini”. A me pare sia vero il contrario: chi ha attenzione verso il più piccolo dei fratelli, la avrà, necessariamente, anche verso gli altri. Chi vede l’umanità anche dove essa è più nascosta, e più fragile, più facilmente la scorgerà anche dove è più evidente. Chi è disposto ad accogliere il figlio non aspettato o “imperfetto”, saprà accogliere anche il prossimo suo, più di chi, al contrario, sopprime la carne della sua carne ed il sangue del suo sangue.
Oggi però dobbiamo chiederci, come cristiani, chi sono i nuovi poveri. Certo, sono anche coloro che non hanno beni materiali a sufficienza. Non siamo puri spiriti e Cristo si dedicava anche a moltiplicare pani e pesci. Ma nel nostro Occidente la povertà odierna più grande, quella che molti pauperisti non sanno vedere, è quella spirituale. Abbondano i poveri che mancano del senso della vita: così soli e indigenti da vivere senza Dio; così poveri da non sapere cosa siamo al mondo a fare; così poveri da cercare inutilmente, nell’egoismo sfrenato e nel consumismo di beni materiali o di affetti sciupati, un goccio di vita vera.
A costoro la Chiesa deve spezzare il pane della sapienza, anche tornando ad essere luogo di bellezza, nel canto, nell’arte, nella liturgia. Deve ridare Dio, il senso della grazia e del peccato, ed il senso del sacro. Sono questi i maggiori doni che si possono fare ai poveri di spirito, pasciuti o non pasciuti, ma spesso egualmente disperati, di oggi.

Francesco Agnoli, il Foglio, 22/3/2012

Riti della Settimana Santa, Triduo e Pasqua in rito antico

ORARI delle funzioni della Settimana Santa in Livorno a cura dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote si veda qui.

domenica 8 aprile 2012 - SOLENNITA' DI PASQUA di RESURREZIONE DI N.S.G.C.

- chiesa di Santa Luicia, in Sopraponte di Gavardo (Bs)
ore 11:00 SANTA MESSA celebrata nella Forma Extraordinaria del Rito Romano

"Velatio" di croci e immagini nelle chiese. Teologia e tradizione di un rito antico, previsto ancora oggi

Accurato studio sulle origini e sul significato teologico e spirituale di un rito antichissimo, che caratterizza le ultime due settimane di Quaresima, dette “Tempo di Passione”.


di Alessandro Scaccianoce

Con la quinta domenica di Quaresima si entra nel “Tempo di Passione“, caratterizzato da una marcata attenzione al mistero della Passione e Morte del Signore Gesù.

In origine limitata alla sola Settimana Santa, che si apriva con la Domenica delle Palme, detta appunto “De Passione Domini”, nel tempo la contemplazione della Passione del Signore, culmine della Redenzione e fonte di vitalità spirituale, venne anticipata e celebrata anche nella settimana precedente.

Questo tempo speciale, che si inserisce nel già propizio tempo di Quaresima, viene sottolineato con alcune specifiche regole cultuali. Tra queste la più caratteristica è la “Velatio”, ovvero la velatura delle croci e delle immagini della chiesa esposte alla venerazione dei fedeli. A norma del Messale tridentino, nel sabato che precede la I domenica di Passione, (quindi il sabato della IV settimana di Quaresima), «finita la Messa e prima dei Vespri si coprono le croci e le immagini della chiesa con veli violacei; le croci restano coperte fino al termine dell’adorazione della croce da parte del celebrante il Venerdì Santo, le immagini fino all’intonazione del Gloria nella Messa della Vigilia Pasquale». In tale periodo solo le immagini della Via Crucis restano senza velo. Il giovedì santo la croce dell’altare maggiore, per il tempo della Messa, si copre con un velo bianco.



Si tratta di un rito molto antico risalente addirittura al sec. IX, forse un retaggio della separazione dei penitenti pubblici nella chiesa. I penitenti pubblici erano i fedeli che si erano resi colpevoli di gravi peccati dopo il Battesimo. Questi, dopo un periodo di penitenza, nel periodo precedente la Pasqua, venivano riammessi alla comunione la mattina del Giovedì Santo, con un apposito rito. Nel tempo, poi, tutti i cristiani furono assimilati ai penitenti pubblici, nella consapevolezza della necessità per tutti di un tempo di penitenza in preparazione alla Pasqua del Signore. Così cominciò a diffondersi l’abitudine di nascondere ai fedeli l’altare maggiore, per mostrare visivamente gli effetti del peccato, che rompe la comunione con il Signore e ne oscura la visione.

Da sempre, infatti, la liturgia si esprime in una ricchezza di segni che rendono manifesta la realtà dei Misteri celebrati sull’altare. Salvo qualche tentazione iconoclasta, che periodicamente riemerge nella storia della Chiesa.

Il Concilio di Trento, riferendosi in particolare alla S. Messa, motiva questa consuetudine ricordando che «la natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la Chiesa come pia madre ha stabilito alcuni riti [...] per introdurre i fedeli con questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo Sacrificio» (DS 1746).

E così, come per la liturgia è importante la presenza dell’immagine, altrettanto rilevante è la sua assenza. Il nascondimento dei Santi e di Cristo stesso aiuta ad alimentare l’attesa del giorno di Pasqua, giorno in cui quei volti si offrono nuovamente al nostro sguardo.
Al di là della sua origine, il rito della “Velatio” conserva ancora oggi un profondo significato e una intensa capacità catechetica ed emotiva: nascondere alla vista le immagini dei Santi aiuta a concentrarsi su Colui che è l’origine di ogni santità. Egli è colui che rende accessibile il cielo agli uomini. Senza di lui la nostra vita non avrebbe più una dimensione trascendente, sarebbe un vagare nelle tenebre del peccato e “nell’ombra della morte”. La velatura delle croci sottolinea anche fisicamente la privazione di Cristo, il “venir meno dello sposo”: “Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi” dice il profeta Isaia (53,8).

Quei veli che nascondono il Cristo alla nostra vista stanno a ricordare che quell’evento riaccade ancora oggi. Che anche noi siamo “tra gli uccisori di Cristo”, tra quelli che lo volevano gettare dal precipizio della città di Nazaret, o lapidarlo nel tempio di Gerusalemme. Si tratta, dunque, di un segno efficace che aiuta a meditare, riflettere e pregare sulla tragicità della condizione umana senza la presenza del Dio redentore.

Si capisce, allora, che nella I Domenica di Passione – secondo il calendario tridentino – venga proclamato il Vangelo di Giovanni che fa esplicito riferimento al nascondimento di Gesù di fronte ai suoi nemici: “Iesus autem abscondit se et exivit de templo” (Gesù si nascose e uscì dal tempio, Gv 8,59). Sembrerebbe che, in passato, la velatura del Crocifisso avvenisse proprio mentre il Diacono cantava questo versetto.

Nella sua ricchezza di significati il segno della “Velatio” rimanda anche alla velatura della Divinità di Nostro Signore, che possiamo illustrare con queste splendide parole di Sant’Agostino sulla passione del Signore: “Dio era nascosto; si vedeva la debolezza, la maestà era nascosta; si vedeva la carne, il Verbo era nascosto. Pativa la carne; dov’era il Verbo, quando la carne pativa? Eppure neanche il Verbo taceva, perché c’insegnava la pazienza”. La gloria di Cristo, dunque, è eclissata sotto le ignominie della Passione.

Lo scenario delle nostre chiese, con immagini, dipinti e simulacri velati, ci ripropone l’esperienza del “Deus absconditus” (Dio nascosto), su cui molta teologia ha scritto. In tale contesto, Dio va cercato nel proprio cuore, è lì che deve risorgere. Risulta particolarmente efficace al riguardo questa citazione di B. Pascal: “Gli uomini sono nelle tenebre e nella lontananza da Dio, che è nascosto alla loro coscienza. Egli non sarà colto che da quelli che lo cercano anzitutto nel cuore”. Questi sentimenti sono particolarmente accentuati alla sera del Giovedì Santo, in cui si fa memoria del “rapimento di Gesù” da parte delle guardie del tempio. Da quel momento egli è in balìa della loro ferocia. “E’ l’impero delle tenebre” (Lc 22,4), come afferma Gesù stesso.

Questa atmosfera in antico culminava nel caratteristico “Ufficio delle tenebre”, ovvero nella celebrazione del mattutino e delle lodi del Giovedì, del Venerdì e del Sabato Santo.
Ad ogni salmo veniva spento uno dei 15 ceri posti su un apposito candeliere (la “Saetta o Tenebrarium”, foto a sinistra) a forma di triangolo. Tutta la chiesa veniva così gradualmente immersa nel buio. Rimaneva accesa la candela più alta (simbolo della fede di Maria, che è rimasta viva anche nel silenzio della morte di Cristo).

Dopo la riforma liturgica la pratica della “Velatio”, è stata pressoché universalmente abbandonata, sulla scorta di un malinteso “spirito conciliare”. In realtà, questo rito, di cui abbiamo cercato di spiegare la profondità e la ricchezza, conserva tutta la sua attualità. Si rese necessario, pertanto, un intervento chiarificatore della Congregazione per il Culto Divino circa l’opportunità di conservare o recuperare questa usanza, come indicato nella lettera circolare Paschalis sollemnitatis del 16 gennaio 1988: «L’uso di coprire le croci e le immagini nella chiesa dalla domenica V di Quaresima può essere utilmente conservato secondo il giudizio della conferenza episcopale. Le croci rimangono coperte fino al termine della celebrazione della passione del Signore il Venerdì Santo; le immagini fino all’inizio della Veglia Pasquale» ( n. 26). La Conferenza Episcopale Italiana, dal canto suo, ha sempre fatto rinvio agli usi locali.

La stessa circolare specifica nel capitolo IV a proposito della Messa Vespertina del Giovedì Santo nella Cena del Signore: “Terminata la Messa [in Cena Domini] viene spogliato l’Altare della Celebrazione. E’ bene coprire le Croci della Chiesa con un velo di colore rosso o violaceo, a meno che non siano state già coperte il sabato prima della Domenica V di Quaresima. Non possono accendersi le luci davanti alle Immagini dei Santi”.

Nel rito ambrosiano tale pratica è estesa addirittura a tutta la Quaresima, in cui la forte meditazione sulla passione del Signore è sottolineata dai venerdì a-liturgici, in cui cioè non si celebra l’Eucaristia, e dall’uso del colore nero per tutte le ferie del tempo. A norma del Sinodo XLI n° 513 “nel pomeriggio del sabato precedente la prima Domenica di Quaresima nelle Chiese ed Oratori si devono coprire tutte le immagini sacre, siano dipinte o siano scolpite, che sono poste in venerazione, non quelle di ornamento”.

Significativa, poi, è la svelatura delle immagini, che - come abbiamo visto – avviene in due momenti diversi: il Venerdì Santo viene scoperto il crocifisso, mentre tutte le altre immagini al gloria del Sabato Santo. Dopo il tempo in cui Cristo è stato sottratto ai nostri sguardi, ci viene restituito innanzitutto nell’immagine del “trafitto”. E’ questa la prima immagine che ci consegna la passione del Signore: un cuore aperto, donato fino all’ultima goccia di sangue e acqua. “Velum templi scissum est”, dicono i Vangeli. Quel velo che separava il Sancta Sanctorum (ovvero la parte più sacra del tempio di Gerusalemme) dal resto del Tempio, in cui poteva accedere (una volta all’anno) il Sommo Sacerdote, viene lacerato alla morte di Cristo. In quel momento si “ri-vela” universalmente l’intima natura di Dio stesso nel cuore trafitto di Cristo. Il significato di questo velo è, come è stato ben scritto da autorevoli commentatori ed esegeti, che gli uomini sono separati da Dio a causa del peccato. La lacerazione del velo del Tempio, pertanto, sta a significare l’unione della terra con il cielo, rendendone l’accesso aperto ad ogni uomo. Ed ecco che la sapienza della Chiesa offre tutto questo alla nostra contemplazione attraverso il rito dell’adorazione della Croce che – secondo la forma più antica – viene svelata solennemente di fronte ai fedeli. In questo giorno si rendono evidenti le parole di Gesù: “Questa generazione cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona” (Lc 11,29).

A questa prima “ri-velazione” del Venerdì Santo, fa seguito, nella Veglia Pasquale, la definitiva liberazione delle immagini di tutti i Santi. Il Cristo risorto, infatti, associa alla sua gloria quanti lo hanno seguito da vicino, testimoni della Sua redenzione. Penso all’efficace iconografia bizantina che raffigura la risurrezione di Cristo nell’atto di trarre dagli inferi Adamo ed Eva. Si capisce, allora, che le immagini dei Santi vengano svelate dopo che è stato dato l’annuncio della risurrezione di Cristo, al canto del “Gloria in esxcelsis”: “In lui risorto, tutta la vita risorge”, canta il Prefazio di Pasqua.

In Sicilia, tale prassi è molto ben documentata. Alla velatura delle immagini, infatti, la I Domenica di Passione, corrisponde lo svelamento dell’altare maggiore che ha luogo alla vigilia di Pasqua. Al canto del gloria, mentre si sciolgono le campane, il lungo telone scuro (vi sono esemplari alti anche più di dieci metri) che ha nascosto il presbiterio nelle due settimane precedenti, viene lasciato precipitare giù, restituendo ai fedeli l’altare maggiore con il simulacro del Cristo risorto in bella vista: “a calata ’a tila” (calata della tela). Tale rito si è conservato anche quando il rito liturgico è stato spostato dal mezzogiorno alla notte del Sabato Santo. A questo momento, detto anche “a risuscita”, si legavano poi varie tradizioni popolari e contadine: come quella di trarre auspici dal numero di candele che rimanevano accese nonostante il forte spostamento d’aria generato dal repentino precipitare giù del telo. Questa tradizione si conserva tutt’oggi in molti centri della Sicilia (da Adrano e Belpasso a Nicolosi, da San Giovanni la Punta a Catenanuova, da Comiso a Petralia Sottana, fino alla chiesa di San Domenico a Palermo).

Anche a Biancavilla la “Velatio” è attestata, come dimostrano, se non altro, molti teli violacei conservati nei più remoti angoli delle sacrestie delle chiese più antiche. Nella Chiesa Madre, inoltre, vi era un grandissimo telone, di circa 10 metri di altezza per 6 metri di larghezza, riproducente la scena della deposizione del Signore dalla croce, che ricopriva tutta l’area presbiterale durante il tempo di Passsione. Questa “tela”, probabilmente settecentesca (come le tele superstiti di alcuni paesi vicini), nel tempo andò deteriorandosi, fino ad essere ripartita intorno agli anni 60 in piccole parti e divisa tra alcuni fedeli che ne fecero gli usi più vari (qualcuno anche per raccogliere le olive!). Circa dieci anni fa, per iniziativa di alcuni giovani, tale usanza è stata ripristinata, con una nuova tela realizzata ex novo dal M° Giuseppe Santangelo, che ne ha fatto anche un bellissimo esemplare per la chiesa dell’Annunziata. Tuttavia, la tela non viene utilizzata tutti gli anni e l’incontro degli occhi con il Signore Risorto è affidato ad altre soluzioni.

Il telo che nella notte del Sabato Santo precipita rovinosamente ha un definitivo significato escatologico: esso sta ad indicare che al nostro orizzonte è restituita la visione dell’al di là. Possiamo guardare con fiducia oltre la morte, poiché il Vivente sta lì, “primogenito di molti fratelli”, ad assicurarci che il nostro destino è il cielo, ovvero la profondità delle cose. Con la sua risurrezione Cristo ha guarito la nostra “cataratta” spirituale. E il segno della tela lo esprime in modo eloquente.

Alla fine della Veglia Pasquale, quei teli raccattati alla svelta, accantonati in un angolo, ci ricordano la realtà “fisica” della risurrezione. Anche per noi si rende possibile l’esperienza dell’Apostolo Giovanni che “vide i teli per terra” ed entrato, ”vide e credette” (Gv 20,13).

Alessandro Sciaccianoce