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venerdì 20 gennaio 2012

"Riforma" di Benedetto XVI -


ROMA, 19 gennaio 2012 – E' la "riforma", dice, la chiave di interpretazione del Concilio Vaticano II e dell'evoluzione del magistero, "nella continuità del soggetto Chiesa". È ciò che Lefebvre e i tradizionalisti non hanno mai voluto accettare. Gilles Routhier ricostruisce il passato e il presente della controversia.
Nell'indire un Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II, Benedetto XVI è tornato a insistere sulla necessità di una "giusta ermeneutica" di quell'evento.La corretta comprensione del Concilio – precisano le istruzioni per l'Anno della fede – non è la cosiddetta "ermeneutica della discontinuità e della rottura", ma quella che lo stesso Benedetto XVI ha definito "l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa".
La definizione è ripresa dal memorabile discorso tenuto dal papa alla curia romana il 22 dicembre 2005. Discorso che fu interpretato all'epoca come prevalentemente diretto a confutare la concezione progressista del Vaticano II come rottura col passato e "nuovo inizio" per la Chiesa.In realtà, quel discorso – specie nel suo sviluppo finale sul tema della libertà religiosa – aveva come sfondo principale un'altra corrente di pensiero e di azione, quella tradizionalista, e in particolare il seguito del vescovo scismatico Marcel Lefebvre (nella foto).Joseph Ratzinger conosce a fondo i lefebvriani. Da cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede aveva negoziato e discusso con loro per anni. E da papa ha impegnato molte energie per riconciliarli con la Chiesa.
Un autorevole storico della Chiesa italiano, Giovanni Miccoli, in un recente volume dal titolo "La Chiesa dell'anticoncilio", edito da Laterza, accusa Benedetto XVI di condividere con i lefebvriani una buona parte delle loro tesi di opposizione al Vaticano II.Ma è così?
Un altro storico della Chiesa e teologo, il canadese Gilles Routhier, professore all'Università di Laval, Québec, e autore di un libro sulla recezione e l'ermeneutica del Concilio tradotto in Italia dall'editrice Vita & Pensiero dell'Università Cattolica di Milano, non è d'accordo.
Su "La Rivista del Clero Italiano", edita anch'essa da Vita & Pensiero, Routhier ha ripercorso, in un ampio saggio in due puntate, l'intero tragitto della controversia tra Roma e i lefebvriani. Ne ha analizzato gli avvicinamenti, le rotture, i cambiamenti di linea. Per concludere che sia l'ermeneutica "della discontinuità e della rottura", sia quella "della continuità", propugnate entrambe a fasi alterne dai lefebvriani e da altre correnti tradizionaliste, restano invincibilmente distanti dall'ermeneutica "della riforma" proposta da Benedetto XVI, con la sua concezione dinamica della tradizione.
Ecco qui di seguito un estratto del saggio di Routhier, con sottotitoli redazionali.

Il testo integrale è nel sito de "La Rivista del Clero Italiano", sui numeri 11 e 12 del 2011:
"Sull'interpretazione del Vaticano II - I e Sull'interpretazione del Vaticano II - II" e sul blog di S. Magister Chiesa.espressonline.it del 19.01.2012

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La Redazione