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Elenchi dei Vescovi (e non solo) pro e contro Fiducia Supplicans #fiduciasupplicans #fernández

Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

martedì 31 gennaio 2012

Le Barroux: non siamo più grandi dei nostri Padri

Da Romualdica:
[L’ultimo numero della rivista internazionale 30Giorni dedica un reportage di quindici pagine (anno XXIX, n. 11, dicembre 2011, pp. 31-45) ‒ a firma di Giovanni Ricciardi, e con un ampio servizio fotografico di Massimo Quattrucci ‒ all’abbazia benedettina Sainte-Madeleine di Le Barroux, che trascriviamo integralmente]



«La liturgia tradizionale è più ricca di segni che ci ricordano da dove proviene la fede, e ci insegna che noi non siamo più grandi dei nostri Padri, ma trasmettiamo solamente ciò che abbiamo ricevuto».

A Le Barroux, vicino Avignone, da quarant’anni la comunità benedettina fondata da dom Gérard Calvet fiorisce nel segno della stretta osservanza della Regola e dell’amore all’antica tradizione liturgica della Chiesa

Dalle finestre del monastero di Le Barroux il cielo di Provenza è una bandiera celeste tesa al vento. Il mistral lo batte a volte con violenza: in certe giornate d’inverno sulle montagne vicine può soffiare fino a trecento chilometri all’ora. Gli ulivi e le vigne non sembrano soffrirne, ma la

Gruppo Stabile costituito a Sasso Marconi (Bo)

Sasso Marconi (Bologna) si è costituito il 25 gennaio scorso Un Gruppo Stabile ai sensi del Motu Proprio S.P. denominato "BENEDICTO XVI".
Ad oggi il gruppo conta già 32 iscritti, con la benedizione del Parroco di San Lorenzo.


Chiunque della zona bolognese interessato si metta pure in contatto con Michel Upmann (direttore.ufficiostampa@live.it).

Intervista, dalla Germania, al Professor de Mattei

La Chiesa deve ritrovare lo spirito della ‘Ecclesia militans’

Roberto de Mattei e la "Storia mai scritta" del Concilio Vaticano II. Le radici della crisi della fede.
Il Rito Gregoriano – la risposta più efficace alla sfida del secolarismo laicista.
Di Armin Schwibach




Roma (kath.net/as) Lo storico romano e pubblicista Roberto de Mattei, nato nel 1948, è un eminente intellettuale cattolico italiano. De Mattei insegna Storia della Chiesa e del Cristianesimo all’Università Europea di Roma, dove è coordinatore della Facoltà di Scienze Storiche. È Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e membro dei Consigli direttivi dell’Istituto Storico per l’Età moderna e contemporanea e della Società Geografica Italiana. Collabora inoltre con il Pontificio Comitato di Scienze Storiche e ha ricevuto dalla Santa Sede l’insegna dell’ordine di San Gregorio Magno, come riconoscimento del suo servizio alla Chiesa.Nel 2010 de Mattei ha pubblicato una grande ricerca storica incentrata sul Concilio Vaticano II (“Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta“, Edizioni Lindau) recentemente tradotta anche in lingua tedesca („Das Zweite Vatikanische Konzil – eine bislang ungeschriebene Geschichte“, 2011, Edition Kirchliche Umschau). L’opera offre “il contributo non del teologo, ma dello storico, attraverso una rigorosa ricostruzione dell’evento, delle sue radici e delle sue conseguenze, basata soprattutto su documenti di archivio, diari, corrispondenze e testimonianze di coloro che ne furono i protagonisti”. Benché si tratti di un’opera di grande spessore scientifico, il libro riesce a coinvolgere il lettore non senza provocare una certa tensione: risulta difficile sottrarsi al fascino di questa “storia non scritta”.
Roberto de Mattei è uno di quegli intellettuali cattolici legati alla Tradizione, senza per questo poter essere etichettato e quindi messo in un “angolo ideologico” apparentemente ben definito. Pensatori come de Mattei necessitano della fondazione di un nuovo concetto in grado di riassumere nel modo migliore i molteplici sviluppi degli ultimi anni all’interno della Chiesa: de Mattei è un “tradizionista”, non un tradizionalista. Attingendo al grande respiro della tradizione e con un profondo legame alla Sede Apostolica e al Pontefice, lo storico non esita a parlare in modo chiaro ed inequivocabile quando si tratta di affrontare con schiettezza l’attuale crisi della Chiesa. Come per Benedetto XVI questa crisi è per lui una crisi della fede, determinata dall’eclissi di Dio nella cultura contemporanea, che lo storico affronta con la sua scienza con l’intento di indicare una via, di porre pietre angolari per il cammino verso una vera riforma.
Nel corso di un lungo colloquio, Roberto de Mattei ha spiegato le sue intenzioni di base ed indicato nuove prospettive per il futuro.
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Professore, perché un libro sul Concilio Vaticano II? È Sua intenzione riscrivere la storia del concilio o intende semplicemente raccontarla in modo diverso? Quale è il metodo da Lei usato? Perché si tratta di “storia non scritta”? In che cosa consiste, invece, per Lei la “storia scritta”?
de Mattei: Perché una storia mai scritta? Perché l'unica storia fin qui scritta, o meglio fin qui pubblicizzata, fino al punto di presentarla come la storia per eccellenza, sono i cinque volumi curati dal prof. Giuseppe Alberigo - discepolo di don Giuseppe Dossetti - che raccolgono i contributi della cosiddetta “Scuola di Bologna”. L'opera di Alberigo è tendenziosa perché presenta il Concilio come l'alba di un'epoca nuova della Chiesa, la purificazione della Chiesa dal passato, la sua liberazione dalla Tradizione. Contro questa storia tendenziosa non basta affermare – come spesso si limitano a fare le gerarchie ecclesiastiche – che i documenti del Concilio devono essere letti in continuità e non in rottura con la Tradizione.
Quando nel 1619 Paolo Sarpi scrisse una storia eterodossa del Concilio di Trento, non gli furono contrapposte le formule dogmatiche di Trento, ma gli fu opposta una storia diversa, la celebre “Storia del Concilio di Trento” scritta per ordine del Papa Innocenzo X, dal cardinale Pietro Sforza Pallavicino (1656-1657): la storia infatti si combatte con la storia, non con la teologia. Con il mio libro spero di avere aperto la strada per “riscrivere” in maniera vera e oggettiva quanto è accaduto, non solo nei tre anni in cui si svolse il Concilio Vaticano II, dall'11 ottobre 1962 all'8 dicembre 1965, ma negli anni che lo precedettero e in quelli che ad esso immediatamente seguirono, l'epoca del cosiddetto “postconcilio”.

Quali sono stati i risultati principali del concilio dal punto di vista teologico, dottrinale e di vita della fede? Come sono cambiati lo stile e la proposta dell’annuncio cristiano?
de Mattei: Giovanni XXIII, aprendo il Concilio Vaticano II, affermò che esso era un Concilio pastorale e non dogmatico, perché si proponeva di presentare con un nuovo linguaggio pastorale l’immutabile dottrina della Chiesa cattolica. L'esigenza di trovare un nuovo linguaggio per il mondo nasceva, e non poteva che nascere, dal desiderio di dilatare la fede. Il fine era dunque pratico ed è dai risultati pratici che si deve giudicare se i mezzi per raggiungere il fine siano stati efficaci ed adeguati. I fatti purtroppo ci dicono che il Concilio non ottenne i risultati che si era prefisso. Da qui nasce il cosiddetto problema ermeneutico: qualcosa “è andato storto”.
Concilio “tradito” (da Paolo VI), come ritiene la scuola di Bologna? Concilio “male applicato” come ritengono molti conservatori? O Concilio che nel linguaggio che aveva adottato ebbe la causa del suo fallimento, come ritiene una corrente di pensiero che qualcuno ha definito “romana”, non tanto in contrapposizione a quella di Bologna, quanto per il suo attaccamento alla Sede Romana. Io appartengo a questa scuola e penso che il cambiamento dello stile e della proposta dell’annuncio cristiano, nel senso di un adattamento alla cultura del XX secolo, non abbiano giovato alla Chiesa che avrebbe, al contrario, dovuto “sfidare” il mondo, senza timori e complessi.

Da quando il Santo Padre Benedetto XVI, nella sua allocuzione in occasione della presentazione degli auguri natalizi il 22 dicembre 2005, ha parlato dell’opposizione tra una “ermeneutica della riforma” ed una “ermeneutica della discontinuità e della rottura”, questi due concetti determinano la discussione sul concilio e sulle sue conseguenze. Un problema per la “ermeneutica della riforma” consiste nella distinzione tra l’”evento” del concilio – insieme alla storia che lo precede – e la “produzione” del concilio. Può esistere una dicotomia tra gli insegnamenti e le dottrine del concilio e i fatti che li hanno generati? Se tale distinzione non è lecita, quali sono le conseguenze?
de Mattei: E’ lecito distinguere, ma non separare, i due aspetti del Concilio, i documenti dottrinali e l’evento. Sui primi si pronunciano i teologi, sul secondo gli storici . Il fine ultimo è il medesimo, ma il metodo di indagine si applica, nel caso della storia alle verità di fatto, nel caso della teologia alle verità di fede. La fede deve illuminare i passi dello storico, soprattutto quando oggetto della sua indagine è la Chiesa, ma le questioni che lo storico deve porre e le risposte che deve dare non sono quelle del teologo né del Pastore. La pretesa di valutare un lavoro storico con categorie attinenti ad altre discipline costituisce dunque non solo un errore epistemologico ma anche, sul piano morale, un giudizio temerario, conseguente a un “a priori” ideologico.
Mi è stato rimproverato di trascurare i documenti del Concilio o di interpretarli in chiave di discontinuità con la Tradizione della Chiesa. Ma l'interpretazione dei documenti del Concilio spetta ai teologi e al Magistero della Chiesa. Ciò che io ricostruisco è il contesto storico in cui quei documenti videro la luce. E dico che il contesto storico, l'evento, ebbe un influsso nella storia della Chiesa non minore del Magistero conciliare e postconciliare: si pose esso stesso come Magistero parallelo, condizionando gli eventi.
Sono convinto dunque che sul piano storico il post-Concilio non si può spiegare senza il Concilio, così come il Concilio non si può spiegare senza il pre-Concilio, perché nella storia ogni effetto ha una causa e ciò che avviene si inquadra in un processo, che spesso è addirittura plurisecolare e tocca non solo il campo delle idee, ma quello della mentalità e dei costumi.

A nessuno dovrebbe essere sfuggito che la Chiesa negli ultimi 50 anni vive un tempo drammatico di crisi. Secondo Lei, quali sono le cause di questa crisi? Il concilio può essere considerato “causa principale” dell’obnubilamento della fede cattolica?
de Mattei: La crisi esiste ed è, a mio parere, più profonda di quanto si possa immaginare, ma il Concilio non può essere considerato come la sua unica causa. I mali della Chiesa precedono il Concilio, lo accompagnano e, naturalmente, lo seguono. Questi mali in Concilio non sono nati, ma esplosi.
Non a caso il mio libro non si apre con la data di inizio del Concilio Vaticano II ma col modernismo e con l’analisi degli errori teologici e intellettuali affiorati nei pontificati compresi tra quello di Pio X e Pio XII. Il modernismo, duramente colpito e combattuto da san Pio X, dopo essere apparentemente scomparso, è pian piano riemerso nella storia della Chiesa, e con sempre maggiore prepotenza, fino a sfociare nel Concilio Vaticano II.
La pretesa di rimuovere dal Concilio ogni responsabilità della crisi presente, per addossarla solo a una cattiva lettura dei suoi documenti mi sembra un'operazione intellettuale che va contro la storia e che non rende neppure un buon servizio alla Chiesa. Chi sarebbe responsabile infatti di questa cattiva interpretazione dei documenti se non i Papi successivi al Concilio che l'hanno permessa?

Un punto nodale della discussione sul concilio può essere individuato nella definizione di “Tradizione”. A Suo avviso qual è il rapporto tra Magistero e Tradizione?
de Mattei: Benedetto XVI, nel recente documento “Verbum Domini”, ha definito la Tradizione, assieme alla Scrittura, “suprema regola della fede”. Nella Chiesa infatti, la “regola della fede” non è né il Concilio Vaticano II, né il Magistero vivente contemporaneo, in ciò che esso ha di non definitorio, ma la Tradizione, ovvero il Magistero perenne, che costituisce, con la Sacra Scrittura, una delle due fonti della Parola di Dio. Essa è infallibilmente insegnata dal Papa e dai Pastori a lui uniti e creduta dal popolo fedele, con l'assistenza dello Spirito Santo.
Non c’è bisogno di scienza teologica per comprendere che, nel malaugurato caso di contrasto – vero o apparente – tra il “Magistero vivente” e la Tradizione, il primato non può che essere attribuito alla Tradizione, per un semplice motivo: la Tradizione, che è il Magistero “vivente” considerato nella sua universalità e continuità, è in sé infallibile, mentre il cosiddetto Magistero “vivente”, inteso come la predicazione attuale della gerarchia ecclesiastica, lo è solo a determinate condizioni. La Tradizione, infatti è sempre divinamente assistita; il Magistero lo è solo quando si esprime in modo straordinario, o quando, in forma ordinaria, insegna con continuità nel tempo una verità di fede e di morale.
Il fatto che il Magistero ordinario non possa insegnare costantemente una verità contraria alla fede, non esclude che questo stesso Magistero possa cadere per accidens in errore, quando l’insegnamento è circoscritto nello spazio e nel tempo e non si esprime in maniera straordinaria. L’”ermeneutica della continuità” richiamata da Benedetto XVI non può essere intesa altro che come un’interpretazione del Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione, ovvero alla luce dell’insegnamento divino-apostolico che perdura in tutti i tempi e mai si interrompe.
Se si ammettesse invece che il Vaticano II fosse il criterio ermeneutico per rileggere la Tradizione, bisognerebbe attribuire, paradossalmente, forza interpretativa a ciò che ha bisogno di essere interpretato.

La lettura del Suo libro suggerisce di non sottovalutare il ruolo di Paolo VI durante il concilio e nel tempo seguente. Contro le diverse rappresentazioni che distorcono l’immagine del Papa, Lei rende visibile un Papa, che agisce in modo tutt’altro che esitante, ma che è assolutamente deciso nella consapevolezza dei suoi scopi. Questo vale soprattutto per l’influsso che il Pontefice aveva sulla riforma liturgica postconciliare.
Come valuta questo “autoritarismo” di fronte al “liberalismo” presente nel pensiero e operato di Paolo VI?
de Mattei: Questa apparente contraddizione non deve meravigliare. Nella storia della Chiesa incontriamo spesso Papi intransigenti nelle idee, ma miti nel temperamento, come il Beato Pio IX o san Pio X (“fortiter in re, suaviter in modo” era il suo motto) e altri più flessibili nella dottrina, ma più autoritari nel carattere, come Clemente XIV, il Papa che nel 1773 soppresse i gesuiti.
Quel che è certo è che, per quanto riguarda, ad esempio, la riforma liturgica, mons. Annibale Bugnini non fu l' “artefice” di essa, al contrario di quanto molti pensano, ma un fedele esecutore delle direttive di Papa Montini. Il segretario personale di mons. Bugnini, padre Gottardo Pasqualetti, mi confermò personalmente che quasi ogni giorno Paolo VI incontrava Bugnini per concordare con lui i passi, in avanti o indietro, da percorrere per realizzare la Riforma. A mio parere una seria biografia di Paolo VI è ancora da scrivere.

Il concilio e il comunismo: come giudica la mancata condanna del comunismo da parte del concilio? Quali sono state le conseguenze, innanzitutto in vista della rivoluzione culturale del 68? Si può parlare di un cambio di paradigma nella posizione della Chiesa e del suo magistero?
de Mattei: La mancata condanna del comunismo da parte di un Concilio che si proponeva di occuparsi del problemi del mondo a lui contemporaneo mi sembra un'omissione imperdonabile. La costituzione conciliare “Gaudium et spes” cercava il dialogo con il mondo moderno, nella convinzione che l’itinerario da esso percorso, dall’umanesimo e dal protestantesimo, fino alla Rivoluzione francese e al marxismo, fosse un processo irreversibile. La modernità era in realtà alla vigilia di una crisi profonda, che avrebbe manifestato i suoi primi sintomi, di lì a pochi anni, nella Rivoluzione del ’68.
I Padri conciliari avrebbero dovuto compiere un gesto profetico sfidando la modernità piuttosto che abbracciarne il corpo in decomposizione, come purtroppo avvenne. Ma oggi dobbiamo chiederci: erano profeti coloro che in Concilio denunciavano l’oppressione brutale del comunismo reclamando una sua solenne condanna o chi riteneva, come gli artefici dell’Ostpolitik, che col comunismo occorreva trovare un accordo, un compromesso, perché il comunismo interpretava le ansie di giustizia dell’umanità e sarebbe sopravvissuto uno o due secoli almeno, migliorando il mondo?

Nonostante un “atto di liberazione” negli ultimi anni – reso possibile in particolare dalle potenzialità di networking comunicativo attraverso internet, del quale anche Lei si serve in misura ampia – si può constatare quanto la parte “conservatrice” sia incapace di una resistenza organizzata e comune: una mancanza di “volontà di lotta” che Lei spesso sottolinea e che perdura sino ai giorni di oggi.
Quali sono, secondo Lei, le cause di questa situazione? Perché sembra essere così difficile contrastare il modernismo su un piano razionale, filosofico e teologico?
de Mattei: A mio avviso la causa principale della sconfitta dei conservatori, e la radice della debolezza della Chiesa contemporanea, sta nella perdita di quella visione teologica, caratteristica del pensiero cristiano, che interpreta la storia come lotta incessante, fino alla fine dei tempi, tra le due città agostiniane: quella di Dio e quella di Satana.
Quando, il 12 ottobre 1963, mons. Frani?, vescovo croato di Spalato, propose che, nello schema “De Ecclesia”, al nuovo titolo di Chiesa “pellegrinante” fosse aggiunta la denominazione tradizionale di “militante”, la sua proposta fu rifiutata. L’immagine che la Chiesa avrebbe dovuto offrire di sé al mondo non era quella della lotta, della condanna o della controversia, ma del dialogo, della pace, della collaborazione ecumenica e fraterna con tutti gli uomini.
La minoranza progressista ottenne non tanto un cambiamento della dottrina della Chiesa, quanto una sostituzione dell’immagine gerarchica e militante della Sposa di Cristo con l’immagine di un’assemblea democratica, dialogante e inserita nella Storia. In realtà la Chiesa che soffre in purgatorio e trionfa in Paradiso, combatte in nome di Cristo sulla terra e perciò è chiamata “militante”. Il ritrovamento di questo spirito mi sembra essere una delle urgenze della Chiesa del nostro tempo.

Infine, una domanda sulla liturgia. L’arcivescovo di Colombo, Sua Eminenza Albert Malcolm Card. Ranjith, ha detto recentemente: Il simbolismo liturgico ci aiuta a superare ciò che è umano verso ciò che è divino. In questo, è mia ferma convinzione che il Vetus Ordo rappresenti in larga misura e nel modo più appagante - mistico e trascendente - ad un incontro con Dio nella liturgia. Per questo ora è arrivato il tempo per noi non solo di rinnovare, attraverso cambiamenti radicali, il contenuto della liturgia nuova, ma anche per incoraggiare sempre più un ritorno del Vetus Ordo, inteso come il modo per un vero rinnovamento della Chiesa, che era ciò che i Padri Conciliari seduti nel Concilio Vaticano II desideravano. Quindi è giunto il momento per noi di essere coraggiosi e lavorare per una vera riforma della riforma e anche un ritorno alla vera liturgia della Chiesa, che si era sviluppata sulla sua bimillenaria storia in un flusso continuo. Auguro e prego che ciò possa accadere” (Lettera del 24 agosto 2011 ai partecipanti della XX Assemblea Generale della “Foederatio Internationalis Una Voce”, 5 – 6 novembre 2011, Roma).
Non c’è rinnovamento della Chiesa senza un vero rinnovamento liturgico. In che cosa consiste, secondo Lei, il significato della liturgia nella forma straordinaria del Rito Romano che dal motu proprio “Summorum Pontificum” gode di nuovo del pieno diritto di cittadinanza nella Chiesa? Si tratta veramente “di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito” (Benedetto XVI, Lettera in occasione della pubblicazione del motu proprio “Summorum Pontificum”, 7 luglio 2007) o si deve considerare la “forma” oggi “ordinaria” come “passaggio” di quel ritorno alle origini nelle quali risiede il vero futuro?
Unico è certamente il Santo Sacrificio, ma il “Novus ordo” di Paolo VI è, mi sembra, profondamente diverso, nello spirito e nella forma, dal Rito romano antico. In quest'ultimo Rito io vedo non il passato, ma il futuro della Chiesa. La liturgia tradizionale costituisce infatti la risposta più efficace alla sfida del secolarismo laicista, che ci aggredisce.
Benedetto XVI ha restituito a piena cittadinanza al Rito romano antico. Sono certo che esso conoscerà nella Chiesa e nella società nuovo sviluppo e nuovo splendore. La “Riforma della Riforma” di cui si parla ha senso e valore solo in quanto “transizione” del “novus ordo” verso il rito tradizionale, e non in quanto pretesto per l’abbandono di quest'ultimo, che deve essere mantenuto nella sua integrità e purezza.
Il problema di fondo tuttavia mi sembra quello di recuperare una visione teologica ed ecclesiologica fondata sulla dimensione del trascendente e del sacro. Ciò significa che è necessario riconquistare i principi fondamentali della teologia cattolica, a cominciare da un’esatta concezione del santo Sacrificio della Messa.
È necessario inoltre che l’idea di sacrificio permei la società nella forma, oggi quanto mai abbandonata, di spirito di sacrificio e di penitenza. Questa, e non altra, è l’ "esperienza di sacro” di cui la nostra società ha urgente bisogno. Senza di essa è difficile immaginare un ritorno alla Liturgia autentica che abbia al suo centro l’adorazione dovuta all’unico vero Dio.

Fonte: http://www.kath.net/detail.php?id=34833

C'è bisogno di una "Fraternità di San Giovanni Bosco" per ri-portare i giovani a Cristo

Ci sono vari ordini religiosi legati alla “Messa in latino”, appartenenti a varie spiritualità: benedettina, francescana, carmelitana, domenicana, ecc. Si sente molto la mancanza di un ordine religioso tradizionale legato al carisma di Don Bosco.
Molti ragazzini mi fanno tanta pena, poiché non conoscono quasi nulla della Religione Cattolica, non sanno nemmeno recitare le principali preghiere. La colpa non è tanto loro, ma piuttosto di coloro che hanno la responsabilità della loro educazione. Poverini, mi sembrano abbandonati a se stessi e ai vizi. Se un essere umano si allontana da Dio, incomincia a vivere come una bestia, ossia solo per mangiare, dormire e soddisfare i piaceri della carne.
Per evangelizzare la gioventù ci sarebbe bisogno di una legione di preti come Don Bosco. Quanti ragazzini verrebbero salvati dal materialismo e dall'ateismo pratico! C'è da sperare che il Signore faccia sorgere una “Fraternità San Giovanni Bosco” che coniughi la spiritualità salesiana con la liturgia tradizionale. Per portare i giovani a Cristo servono lezioni di Catechismo fatte seriamente, una liturgia celebrata decorosamente, uno stile di vita coerente ed edificante, la preghiera e lo spirito di sacrificio e di penitenza. Altro che la Messa col prete mascherato da clown!
Ma noi poveri fedeli laici, che altro possiamo fare se non pregare il Padrone della messe affinché susciti qualcuno che costituisca questa nuova milizia? Chissà se prima di morire avremo la gioia di veder nascere un nuovo ordine religioso di questo stampo.




tratto da Cordialiter

lunedì 30 gennaio 2012

SPECIALE: protesta dei cattolici contro lo spettacolo blasfemo di Castellucci.

- Richiesta di archiviazione della denuncia per vilipendio alla religione dell'Avv. Guerini - atto di opposizione (giugno 2012)

- Un bilancio complessivo;

- Cronaca della manifestazione di Sabato 28 gennaio

- Programma della manifestazione di protesta a Milano;

- Elenco SS. Messe e SS. Rosarii in riparazione;

-a Radio3 Rai offese ai cattolici che protestano e attacchi alla Santa Sede http://blog.messainlatino.it/2012/01/radio3-linsulto-di-pochi-minuti-fa-su.html?m=1

Padre Lombardi spiega lettera della S. Sede contro lo spettacolo blasfemo. E rincara la dose;

- Risposta della S. Sede alla lettera di p. Cavalcoli O.P.: "Il Papa auspica che i Cristiani reagiscano fermamente e compostamente";

- Rassegna Stampa sullo spettacolo blasfemo e sulla lettera della S. Sede;

- Un altro Vescovo contro lo spettacolo. Mons. Negri: "La Chiesa non può tacere!";

- Il teologo domenicano p. Cavalcoli scrive al regista;

- Il teologo domenicano p. Cavalcoli replica ad un articolo fazioso di LaRepubblica;

- Comunicato Ufficiale dell'Arcidiocesi di Milano. Finalmente le parole del Card. Scola

- Il Vescovo di Vigevano (Mons. Di Mauro) contro lo spettacolo: "Perversa bestemmia!";

- RaiVaticano si unisce alla protesta contro lo spettacolo blasfemo di Milano;

- Preghiera al Sacro Volto;

- Toccante preghiera al Volto di Gesù dei ragazzi della Comunità di S. Patrignano che parteciperanno al S. Rosario il 28 gennaio 2012;

- Ottimi e saggi consigli di Agnoli ai giovani che parteciperanno alla manifestazione pacifica di Milano contro lo spettacolo blasfemo;

- Sacerdote dei Frati F.I. scrive al Card. Scola, Arcivescovo di Milano;

- Mons. Sanna si spiega meglio e condanna lo spettacolo;

- Un Vescovo, Mons. Sanna fa un discorso ambiguo... ;

- 09 gennaio 2012: Denuncia alle Procure di Bergamo e Milano per vilipendio alla religione; (04 giugno 2012: richiesta di archiviazione e opposizione)

- La Curia Ambrosiana: "Non giudichiamo prima di vedere lo spettacolo".

- Articolo del Corriere della Sera (07.01.2012) sulla mobilitazione dei Cattolici;

- RiscossaCristiana: "Ecco perchè è necessario protestare!";

- Video del Prof. de Mattei: chiare parole di condanna e invito ragionato alla protesta pacifica;

- Comunicato di Castellucci in risposta alla protesta;

- Video della scena blasfema.

Motu proprio e altari: il Vescovo di Albenga-Imperia rimprovera duramente e con parole severe alcuni suoi sacerdoti.

S.E. Rev.ma Mons. MARIO OLIVERI , AI SACERDOTI AI DIACONI
Lettera sul Motu Proprio "Summorum Pontificum" del Papa Benedetto XVI
Sulla celebrazione della Santa Messa


Cari Sacerdoti e Diaconi,

è con molta amarezza d'animo che ho dovuto constatare che non pochi di Voi hanno assunto ed espresso una non giusta attitudine di mente e di cuore nei confronti della possibilità, data ai fedeli dal Motu Proprio "Summorum Pontificum" del Papa Benedetto XVI, di avere la celebrazione della Santa Messa "in forma straordinaria", secondo il Messale del beato Giovanni XXIII, promulgato nel 1962.

Nella "Tre Giorni del Clero" del settembre 2007, ho indicato con forza e chiarezza quale sia il valore ed il vero senso del Motu Proprio, come si debba interpretare e come si debba accogliere, con la mente cioè aperta al contenuto magisteriale del Documento e con la volontà pronta ad una convinta obbedienza. La presa di posizione del Vescovo non mancava della sua pacata autorevolezza, avvalorata dalla sua piena concordanza con un atto solenne del Sommo Pontefice. La presa di posizione del Vescovo era fondata dalla ragionevolezza del suo argomentare teologico sulla natura della Divina Liturgia, sulla immutabilità della sostanza nei suoi contenuti soprannaturali, ed era altresì fondata su rilievi di ordine pratico, concreto, di buon senso ecclesiale.

Le reazioni negative al Motu Proprio ed alle indicazioni teologiche e pratiche del Vescovo sono quasi sempre di carattere emotivo e dettate da superficiale ragionamento teologico, cioè da una visione "teologica" piuttosto povera e miope, che non parte e che non raggiunge la vera natura delle cose che riguardano la fede e l'operare sacramentale della Chiesa, che non si nutre della perenne Tradizione della Chiesa, che guarda invece ad aspetti marginali o per lo meno incompleti delle questioni. Non senza ragione, avevo, nella Tre Giorni citata, fatto precedere alle indicazioni operative ed ai principi guida di azione una esposizione dottrinale sulla "Immutabile Natura della Liturgia".

Ho saputo che in alcune zone, da parte di diversi Sacerdoti e Parroci, vi è stata anche la manifestazione quasi di irrisione verso fedeli che hanno chiesto di avvalersi della facoltà, anzi del diritto, di avere la celebrazione della Santa Messa in forma straordinaria; e pure espressione di disistima e quasi di ostilità nei confronti di Confratelli Sacerdoti ben disposti a comprendere ed assecondare le richieste di fedeli. Si è anche opposto un diniego, non molto sereno, pacato e ragionato (ma ben ragionato non poteva essere) di affiggere avviso della celebrazione della Santa Messa in "forma straordinaria" in determinata chiesa, a determinato orario.

Chiedo che sia deposta ogni attitudine non conforme alla comunione ecclesiale, alla disciplina della Chiesa ed alla obbedienza convinta dovuta ad importanti atti di magistero o di governo.

Sono convinto che questo mio richiamo sarà accolto in spirito di filiale rispetto ed obbedienza.

Sempre con riferimento agli interventi del Vescovo in quella 'Tre Giorni del Clero" del 2007, debbo ancora ritornare sulla doverosa applicazione delle indicazioni date dal Vescovo circa la buona disposizione che deve avere tutto ciò che riguarda lo spazio della chiesa che è giustamente chiamato "presbiterio". Le indicazioni "Circa il riordino dei presbiterii e la posizione dell'altare" sono poi state riportate nell'opuscolo "La Divina Liturgia", alle pagine 23-26.

Quelle indicazioni, a più di quattro anni di distanza, non sono state applicate ovunque e da tutti. Erano e sono indicazioni ragionevoli, fondate su buoni principi e criteri di ordine generale, liturgico ed ecclesiale. Ho dato tempo affinché di esse i Sacerdoti e soprattutto i Parroci ragionassero con i Consigli Parrocchiali Pastorali e per gli Affari Economici, e si tenesse anche opportuna catechesi liturgica ai fedeli. Chi avesse ritenuto le indicazioni non opportune o di difficile applicazione, avrebbe potuto facilmente trattarne con il Vescovo, con animo aperto ad una migliore comprensione delle ragioni che hanno spinto il Vescovo a darle, affinché fossero messe in pratica in modo il più omogeneo possibile in tutte le chiese della Diocesi . Esse non sono certamente contrarie alle norme ed anche allo "spirito" della riforma liturgica che si è attuata nel post-Concilio e partendo dal Concilio Vaticano II. Se qualcuno avesse avuto fondati dubbi avrebbe potuto esprimerli con sincerità e con apertura al sereno ragionamento, e con la volontà rivolta all'obbedienza, dopo che la mente avesse avuto maggiore illuminazione.

Stimo che ormai sia trascorso ampio tempo di attesa e di tolleranza, e quindi sia arrivato il momento dell'esecuzione di quelle indicazioni da parte di tutti, in modo da giungere alla prossima Pasqua con tutti i presbiterii riordinati, od almeno con lo studio di riordino decisamente avviato, là dove il riordino richieda qualche difficoltà di applicazione.

Va da sé che la non applicazione delle indicazioni, nel tempo che ho menzionato, non potrebbe che essere considerata come un'esplicita disobbedienza. Ma ho fiducia e speranza che ciò non avvenga.

Mi affligge non poco l'avervi dovuto scrivere questa Lettera, assicurandovi che la riterrò come non scritta, se essa avrà avuto buona accoglienza e positivo effetto.

Lo scritto porta con se tutto il mio desiderio che esso giovi ad un ravvivamento e ad un rafforzamento della nostra comunione ecclesiale e della nostra comune volontà di adempiere al nostro ministero con rinnovata fedeltà a Cristo ed alla sua Chiesa.

Vi chiedo infine molta preghiera per me e per il mio ministero apostolico, e di gran cuore Vi benedico.

Albenga, 1° gennaio 2012 Solennità della Madre di Dio.

Monsignor + Mario Oliveri, vescovo


Fonte (per testo e foto): sito ufficiale della Diocesi di Albenga-Imperia
***
Nostre personali considerazioni: "Bene Scripsisti de quibus, Mario"
Quelle di Mons. Oliveri sono toni insolitamente duri per un Vescovo paterno e di altissimo profilo teologico e diplomatico -anche nel senso tecnico del termine, visto il cursus honorum di Oliveri- quel egli è.
Ma si vede che "
ogni limite ha una pazienza e anche i diplomatici si arrabbiano", per parafrasare il Principe della risata.
A detta di molti, Sua Eccellenza rarissimamente volte aveva usato parole così severe e mai aveva rimproverato esplicitamente, per di più in una lettera pubblica, i suoi sacerdoti , tacciandoli di miopia teologica e pastorale, di arrogante disobbedienza (a lui e al Santo Padre) e superficialità!
Per quel poco che noi, per diretta esperienza personale, abbiamo potuto sperimentare, possiamo assicurare che l'intransigenza del Vescovo e la sua severissima lettera di richiamo all'ordine sono tristemente giustificate ma necessarie. Figuriamoci quindi quanti altri e seri motivi a noi sconosciuti ha avuto Mons. Oliveri per arrivare a scrivere questa infuocata lettera!
Senza tema di essere smentiti, perchè più volte le abbiamo potuto personalmente riscontrare, possiamo confermare le pecche, colpite dalle bacchettate episcopali, di non pochi sacerdoti della Diocesi di Albenga-Imperia, in particolare di alcuni Vicariati Foranei (Oneglia,
in primis, salvo tre o quattro rare -e giovani- eccezioni) e addirittura del capitolo della stessa cattedrale di Porto Maurizio di Imperia, canonico prevosto compreso. (Accanto quindi a sacerdoti di eccellenza -ad. es. Cattedrale di Albenga, Vicariato di Porto Maurizio, a Laigueglia, ad Alassio- ci sono anche preti disobbedienti, per usare le parole del Vescovo).
Per quel che conta, noi non possiamo far altro che condividere la lettera di Mons. Oliveri, complimentarci con Sua Eccellenza per l'intransigenza, la coerenza e la forte determinazione e per il suo esplicito richiamo alla filiale obbedienza da parte del suo clero, e, soprattutto condividiamo i suoi intenti e le basi teologiche ed ecclesiologiche che ne stanno alla base.
Siamo certi che i sacerdoti fin ora arroganti o troppo spavaldi, memori dell'obbedienza promessa nelle mani del rispettivo Vescovo consacrante, mantengano i voti presi e, abbassando la cresta, obbediscano al loro Vescovo e al Papa, anche per scongiurare impliciti e conseguenti sanzione o provvedimenti canonici e non, nei loro confronti.
In questo modo, ce lo augiriamo, potranno dare il buon esempio ai Sacerdoti (e ai Vescovi!) delle due diocesi vicine: Ventimiglia-San Remo e Savona-Noli.
I nostri complimenti a Mons. Oliveri!!! Dio La benedica! Ad multos annos, Eccellenza!


Roberto

Bilancio sulle reazioni per lo spettacolo di Castellucci

Il tormentone è, almeno per ora, passato, lo spettacolo, oggettivamente blasfemo, del regista romagnolo Romeo Castellucci, è andato regolarmente in scena e i cattolici italiani hanno messo in campo le loro forze per manifestare il proprio sdegno e riparare pubblicamente all'offesa portata al S. Volto di Gesù Cristo.
A questo punto, a posteriori, possiamo legittimamente tentare un'analisi, sia pur sommaria, dei fatti e delle posizioni emerse.

Il primo pensiero che si impone riguarda l'inevitabile e crudele raffronto fra l'Italia e la Francia.
Scorrendo i numerosi filmati disponibili sulle manifestazioni transalpine verrebbe proprio da dire: ma dove vogliamo andare! Questa è davvero la terra che ha l'onore di ospitare il Vicario di Nostro Signore? Oh, se i Papi fossero rimasti ad Avignone...
Ciò premesso tuttavia, battute a parte, possiamo notare anche qualche segno di vitalità del sonnolento cattolicesimo nostrano, sempre purtroppo, in netta prevalenza, più "democristiano" che cristiano tout-court.
Dalla gerarchia, tranne le sparute eccezioni di mons. Negri e del Vescovo di Vigevano, ...elettroencefalogramma piatto su tutta la linea; in realtà il risultato non è stato molto diverso rispetto alla Francia, se non chè le dimensioni assai maggiori delle proteste popolari hanno, di fatto, costretto colà alcuni pastori a salvarsi in corner, almeno in extremis.
Fra i risultati ottenuti, su questo piano, va comunque annoverata la nota, privata finchè si vuole ma certo autentica, della Segreteria di Stato vaticana. Di ciò dobbiamo essere riconoscenti a padre Giovanni Cavalcoli O.P.

Più incisiva è apparsa invece la reazione dei siti e dei blog che, certo impropriamente, potremmo definire "di base" dove questo termine non va però inteso in senso progressista. I cattolici "identitari" dunque, non potendosi esprimere sui giornali controllati dalla C.E.I., e lo sappiamo bene, anche per quanto riguarda altri argomenti come il "tabù" liturgia, si sono da tempo organizzati in rete riuscendo, non di rado, a "bucare" la coltre di silenzio che li avvolge.

In tale ambito, ma anche, bisogna ammetterlo, su giornali rigorosamente "laici" come Libero o Il Foglio, si sono potute leggere prese di posizione piuttosto ben orientate. Anche su "La Bussola", nonostante alcune inevitabili derive "democristiane" come quella di chi osannava la Messa "normale", detta da un parroco "normale" e in una parrocchia "normale", mentre in piazza si radunavano solo gruppi "folkloristici" ed eterogenei, non sono mancati articoli virili e coraggiosi, quello di Francesco Agnoli in testa.

Per quanto concerne le S. Messe ed i Rosari di riparazione, dagli ultimi aggiornamenti pubblicati, sembra che il loro numero sia stato complessivamente piuttosto cospicuo. Sono certo mancati i grandi movimenti come CL, Rinnovamento nello Spirito, Neocat, Focolarini, Opus Dei ecc. Fra gli ordini religiosi però, e la cosa assume davvero un'importanza notevolissima, si sono distinti per il numero delle celebrazioni riparatorie, i Francescani dell'Immacolata. Loro sono in "piena comunione", nessuno lo può mettere in dubbio, ma non hanno avuto paura di affiancarsi a chi voleva esprimere il medesimo sdegno per l'oltraggio inferto al Volto di Nostro Signore. [e a questi eminentissimi religiosi, ci sia permesso di accostare per il loro zelo parimenti degno e lodevole, gli Oratoriani di Napoli, n.d.r.].

Altro elemento da considerare e che la stragrande maggioranza delle S. Messe di riparazione è stata celebrata secondo il Rito Tradizionale: è questo il rito del resto che evidenzia più chiaramente il significato propiziatorio e riparatorio del S. Sacrificio del Calvario. [grazie anche alla F.S.S.P. e all'I.C.R.S.S., n.d.r.].

Venendo infine alle manifestazioni, è doveroso sottolineare la bellezza, la compostezza e la dignità di quanto avvenuto sabato pomeriggio in piazzale Libia a Milano. I numeri rimangono ovviamente quelli italiani, ben lontani dalle mobilitazioni d'oltralpe, ma il clima spirituale, l'intensità della preghiera, il coraggio della testimonianza, non appaiono diversi e lasciano indubbiamente ben sperare per il futuro.
Trecento fedeli fermi in preghiera, per circa due ore e mezzo, sotto la pioggia e al freddo. Tutti sereni e sorridenti, nessuna intemperanza ma indubbiamente molta coscenza di compiere un gesto importante, davanti a Dio ed agli uomini.
Anche il drappello di militanti della Lega Nord, guidati dall'europarlamentare Borghezio, hanno accettato di ripiegare ogni insegna politica per unirsi alla preghiera ed alle profonde meditazioni pronunciate dai sacerdoti presenti.
Regista di questa toccante manifestazione, assieme al comitato San Carlo, la FSSPX che si conferma quindi, per maturità e consistenza, la realtà più solida, anche in Italia, in grado di mettersi alla testa di un vero movimento di riscossa cristiana nel nostro paese.
Unico errore strategico: essersi fatti "fregare" la piazza nella prima giornata di martedì, quando erano presenti i giornalisti e le TV. Forse, in una situazione come quella di sabato, sarebbe stato più difficile ironizzare per i soliti pennivendoli.
La FSSPX insomma è certamente candida come colomba, ma, per il momento, non ancora abbastanza astuta come gli evangelici serpenti!
In ogni caso, tuttavia, i cattolici "identitari", dopo anni di oblio, hanno avuto la forza, in qualche modo, di riproporsi pubblicamente, in una piazza e non soltanto nel chiuso di qualche chiesa o cappella. Sono ancora pochi, divisi, sfrangiati, a volte si guardano ancora con troppa diffidenza reciproca, ma ci sono e da questa esperienza forse potrà nascere qualcosa di nuovo che probabilmente il povero Romeo Castellucci non si sarebbe mai immaginato di poter suscitare. E' proprio vero che Dio può scrivere dritto anche sulle righe storte.

Marco BONGI

Chiesa di S. Stefano a Cesano Maderno: i fedeli protestano per lo spostamento dell'altare.

MODIFICA IN SANTO STEFANO. MA NON TUTTI HANNO APPREZZATO L'IDEA
L'ALTARE SI SPOSTA AL CENTRO DELLA CHIESA E I FEDELI PROTESTANO
di Antonello Leo, dal Giornale di Seregno del 10-01-2012

Cesano Maderno - L'altare viene spostato e alcuni fedeli rimangono a dir poco disorientati. Nella chiesa centrale di Santo Stefano da giorni la messa viene celebrata al centro del transetto. E' stato infatti posto un altare in cartone bianco esattamente sotto la crociera, distante parecchi metri dal tabernacolo e circondato da tre lati dalle panche su cui siedono i fedeli. Per ora è provvisorio. L'idea è quella, con i credenti posti a cerchio attorno all'altare, di sottolineare maggiormente la centralità dell'eucarestia. E' iniziata così la stagione dei cambiamenti, e dei lavori, nelle parrocchie cesanesi. Purtroppo però non tutti i parrocchiani sembrano aver accettato di buon grado l'innovazione. A spiegare i motivi ci ha pensato una di loro, Paola Contaldi , che ha voluto esprimere i motivi del disagio su un sito internet specializzato in materia: «Siamo un gruppo di fedeli e chiediamo che il progetto non venga realizzato perché esprimiamo forti perplessità da un punto di vista architettonico, artistico e liturgico per la deformazione della chiarezza della Fede: non è l'assemblea a generare la presenza di Cristo, ma è l'azione di Cristo che si rende presente sull'altare. Si rischia inoltre di scivolare verso un'equiparazione tra la presenza reale di Cristo e la sua presenza spirituale ad esempio nella parola di Dio o tra i fedeli riuniti in suo nome: c'è veramente un rischio di protestantizzazione attenuando la consapevolezza della presenza reale di Cristo Gesù, che ci fa dono immenso di sé nell'eucaristia. Seguire la moda dell'innovazione a tutti i costi, non fa altro che indebolire la fede e ridurre la coscienza del significato sacrificale e propiziatorio della santa Messa. Non risulta cos evidenziato il sacrificio del calvario che si rinnova, ma emerge il significato della mensa sacra dove l'assemblea "genera"» la presenza di Cristo. "Genera", perché nella mente dei fedeli si insinua la convinzione che prevalga l'aspetto assembleare con ricadute sulla chiarezza della fede, mentre è l'azione di Cristo che lo rende presente sull'altare. Poi un utente, commentando le foto pubblicate sul sito, ha posto una domanda che riassume il tutto: «Ma è una chiesa protestante?» Un altro ha persino proposto di costituire un comitato. La protesta arrivata anche su «Facebook», sulla pagina della città cesanese, scatenando un'accesa discussione. «Personalmente trovo che l'altare situato in mezzo, tolga alla chiesa di Santo Stefano tutta la sua bellezza», hanno commentato a cui un altro cesanese ha fatto eco: «Credo che ci siano problemi molto più importanti da risolvere. Eviterei spese superflue visto che un altare c'è già ».

domenica 29 gennaio 2012

Al Circolo Newman con Padre Uwe Michael Lang e Cristina Siccardi

Venerdì 10 febbraio, alle ore 21.00 nella Sala Mons. Gandini di via XXIV Maggio 3 a Seregno (MB)
l'Oratoriano Padre Uwe Michael Lang (Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice) e
Cristina Siccardi (scrittrice e saggista)
parleranno de

IL SACRO CRISTIANO
LA LITURGIA LA MUSICA L'ARCHITETTURA

Modererà l'incontro il Presidente del Circolo Culturale Cardinal J.H.Newman
Andrea Sandri
Il giorno seguente, 11 febbraio (Festa della Beata Vergine di Lourdes), alle ore 9: 30,
Padre Lang celebrerà la Santa Messa nella forma straordinaria del Rito romano nella chiesa dell’Abbazia San Benedetto degli Olivetani di via Stefano da Seregno 100 a Seregno (MB)

Benedetto XVI mette in riga i Cardinali di Curia.

Benedetto XVI si è mosso da tempo per rimettere in ordine la Curia.
Secondo il metodo che gli è abituale. Un metodo collegiale e moderno
Ratzinger mette in riga i cardinali
di Andrea Gagliarducci, da IlTempo del 29.01.2012


Il Papa ha richiamato tutti i dicasteri a una maggiore attenzione sui documenti Pontifici. Per evitare fughe di notizie dannose.
Benedetto XVI non doveva partecipare. Invece il Papa ha voluto presenziare la riunione di coordinamento dei dicasteri vaticani che si è svolta ieri, anche se non riguardava direttamente quella che qualcuno già chiama la «wikileaks vaticana», la diffusione di lettere riservate inviate dall'ex segretario generale del governatorato di Città del Vaticano Carlo Maria Viganò al Papa e al segretario di Stato vaticano Bertone, per denunciare la «corruzione» vaticana e scongiurare un suo trasferimento da Roma.
Il tema del vertice - «Il processo di elaborazione, pubblicazione e recezione dei documenti della Santa Sede» - e l'accenno di Bertone, nella sua relazione introduttiva al dilagare della «passione per le notizie minute del pettegolezzo ecclesiastico, che minano il prestigio della Santa Sede e giungono talora ad ostacolare il clima di fiducia e collaborazione tra i suoi diversi organismi» raccontano che molto si sta muovendo dentro le mura vaticane. E che Benedetto XVI si è mosso da tempo per rimettere in ordine la Curia. Secondo il metodo che gli è abituale. Un metodo collegiale e moderno.
Il cardinal Bertone, che oggi è Segretario di Stato, ma un tempo era stato numero due di Joseph Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede, indica proprio nel «metodo Ratzinger» la stella polare per riordinare la Curia.
Un metodo basato sulla collegialità e la collaborazione tra tutti i membri del dicastero. «Sulla base dell'esperienza personale - dice Bertone ai capi dicastero - ricordo, ad esempio, come si mostrasse particolarmente efficace il metodo di lavoro della Congregazione della Dottrina della Fede: esso prevede il coinvolgimento del personale del dicastero nell'istruzione di una questione, l'affidamento del suo studio ai Consultori, sia singolarmente che riuniti nella Consulta, e, infine, sulla base del lavoro compiuto, il pronunciamento dei Padri, nella cosiddetta Feria IV».
Bertone suggerisce maggiore collegialità, armonizzazione dei testi, coordinamento al momento della pubblicazione perché non vengano sovrapposti ad altre attività di Benedetto XVI e riservatezza. Fa anche una critica agli uffici della Segreteria di Stato, che «talora trascurano inopportunamente» la produzione degli originali dei documenti da sottoporre alla firma del Papa. E si chiede anche «come mantenere la riservatezza sui contenuti, un aspetto che dovrebbe accompagnare tutto il processo di redazione dei documenti».
Il processo di riorganizzazione e riordino della Curia prosegue, nonostante il caso Viganò. Un caso che in fondo - se non fosse per il fatto che le lettere del monsignore sono fuoriuscite dal Vaticano - si configura simile a molti altri che avvengono dentro le mura leonine.
E alle lettere dell'allora numero due del Governatorato Vaticano si diede anche seguito, con una inchiesta interna, affidata ad una commissione interdisciplinare. Inchiesta che si è conclusa con un nulla di fatto: quanto denunciato da Viganò nelle lettere è stato definito «indimostrabile», e «non fondate» sono state giudicate le accuse relative a monsignor Nicolini. Niente resta senza seguito all'interno di Città del Vaticano. Così, mentre il caso-Viganò sembra cominciare a smorzarsi - a meno che altre lettere del monsignore non vengano rivelate - Oltretevere si ricostruiscono i passaggi del caso.
Quello di Viganò è «un omicidio organizzato da lontano», almeno dai tempi in cui era capo del personale nella Segreteria di Stato. È di quei tempi - inizio 2009 - l'inchiesta dell'abbé Claude Barthe nel quindicinale cattolico L'Homme Nouveau. aveva inserito Viganò e suo nipote Carlo Maria Polvani nella lista di presunti frondisti di Curia accusati di remare contro il Papa e Bertone.
È proprio a Polvani che i maligni guardano quando cercano di comprendere da quale mano le lettere di Viganò siano arrivate sul tavolo dei giornalisti. Quando entra in Governatorato, Viganò interviene anche su meccanismi consolidati che regolavano gli appalti delle ristrutturazioni edilizie e nella gestione dei giardini vaticani.
In molti riconoscono il merito della sua opera. Ma questi ricordano anche che «la portò avanti con autoritarismo, e senza considerare gli equilibri degli uffici vaticani». Nel 2010 una nuova campagna a base di e-mail inviate a cardinali e nunzi pontifici attacca Viganò con l'accusa di favorire la carriera del nipote Polvani. E poi, la serie di articoli su «Il Giornale», una serie di messaggi in codice, che fanno capire che il tempo di Viganò al Governatorato è finito. Isolato, in una situazione di tensione, Viganò cominciò a scrivere lettere ai piani alti. La tensione aumentò, la necessità di rimettere tutto in equilibrio crebbe. E fu deciso di inviarlo nella prestigiosa nunziatura di Washington.
© Copyright Il Tempo, 29 gennaio 2012 consultabile online anche qui.

C'erano le preghiere, c'era tanta gente, ma dov'erano i giornalisti?


Lo spettacolo blasfemo di Castellucci
La serata di preghiera del 28 gennaio

di Paolo Deotto

Che ne dite? Cosa spinge trecento persone, di tutte le età, a passare una serata – quasi tre ore, dalle 19 fin oltre le 21.30 – a prender freddo e pioggia in piazzale Libia a Milano? E tanti di loro ne hanno fatta di strada: chi viene da Bergamo, da Lecco, altri da Vicenza, o da Rimini, da Terni, e da altre città ancora. Tutti lì, in mezzo al piazzale, molti con una candelina accesa in mano, a recitare il Rosario, guidati da alcuni sacerdoti.
Stasera gli agenti di Polizia e i Carabinieri sono pochi in confronto alla serata di martedì scorso. Nel piazzale saranno una quarantina, altrettanti vicino al Teatro. È una serata diversa anche per loro, abituati a controllare facinorosi, o a ricevere dagli stessi sputi e sassate, e a poterli contrastare o meno, a seconda della collocazione politica dei facinorosi. No, stasera sono lì a controllare centinaia di fedeli che pregano.
È una serata diversa per tutti, anche per un uomo triste e superbo, che pretende di contrabbandare per arte l'oltraggio a Nostro Signore Gesù Cristo, che si è fatto inchiodare in croce anche per lui. Ma quell'uomo triste e superbo non lo ricorda, almeno per ora. Si prega anche per lui, perché scenda dal suo piedistallo di sabbia e inizi a usare realmente la ragione.
Ma si prega soprattutto per riparazione a quell'offesa che, qualunque possa essere la ragione più o meno recondita che l'ha causata (e ammesso che quella ragione esista) resta sempre un'offesa inaccettabile, una bestemmia, l'oltraggio inconcepibile al Verbo incarnato, all'Amore infinito che ha salvato l'umanità dall'angoscia in cui l'umanità stessa sembra voler di continuo ricadere.
Cosa spinge trecento persone a prendere freddo e pioggia in una piazza milanese? Le spinge l'insopportabilità dell'oltraggio a quanto di più caro abbiamo nella vita, quel Volto dolcissimo in cui leggiamo la speranza della redenzione dell'uomo, quel Volto dolcissimo che da un senso alla vita, anche al dolore, alla malattia, che darebbe un senso anche al dolore del personaggio immaginato da quell'autore e regista triste e superbo, che invece riserva al suo personaggio solo l'annichilimento nella disperazione. Inevitabile, del resto, perché come ci si salva se si rifiuta il Salvatore?
Freddo e pioggerella insistenti, ma la preghiera prosegue, e i passanti si fermano, qualcuno chiede spiegazioni, nessuno disturba, eccettuato un cretino isolato che passando di lì si sente in dovere di urlare “andate a casa”. Nessuno gli bada.
Dove sono i giornalisti che nella manifestazione di martedì scorso restarono delusi perché non accadde alcun incidente? Forse ce ne sono, ma di sicuro si nascondono bene. Cosa scriveranno domani? Chissà, magari non scriveranno proprio nulla, oppure come pappagalli diranno ancora le paroline magiche: “integralisti”, “ultrà”. Domattina, ci toglieremo la curiosità. Dove sono i professoroni e gli “intellettuali”, gli “opinionisti” che hanno dato rari esempi di onanismo mentale elucubrando su escrementi e “messaggi”, o parlando di qualche “vecchietta” che pregava? Forse ce ne sono, ma anche loro si nascondono bene.
Peccato. Avrebbe fatto bene anche a loro questa serata. Avrebbe fatto bene pregare, fa sempre bene, e avrebbero avuto giovamento anche salutando alla fine un po' dei partecipanti. Si sarebbero accorti di un fatto insolito, in questa società di immusoniti conformisti: che c'erano visi lieti, occhi vispi, sorrisi.
Mi rivolgo a due suore, molto giovani, una è negra. “Da dove venite?”. “Da Terni”. Ovvero, 425 chilometri da Milano. Quando saranno di nuovo nel loro convento, la mezzanotte sarà passata da un pezzo. Altri sono venuti da Rimini, ovvero 340 chilometri da Milano, e ora ripartono. Sorridono, con gli occhi sereni di chi sa di non esser solo.
Poco più in là, sì e no duecento metri, il messaggio della disperazione, del degrado, dell'impossibilità di trarre l'uomo dalla sua miseria, viene venduto al botteghino e finanziato con quegli stessi soldi pubblici con cui si potrebbe far del bene. Ma tant'è, ci hanno detto che questa è “cultura”, e, si sa, la cultura è merce preziosa, che fa progredire l'umanità. Per arrivare dove?
Questo è stato davvero il modo migliore per concludere tutta la vergognosa vicenda dello spettacolo teatrale di Romeo Castellucci. Stasera in piazzale Libia si è contrapposta la speranza e la serenità al degrado e alla disperazione. Si è contrapposta la Vita alla morte. Lo si è fatto nell'unico modo possibile, nell'unico modo realmente razionale: invocando Colui che ha dato la Vita, che ha dato la speranza, che ha insegnato l'Amore infinito, e invocando la Madonna, Madre dolcissima, esempio della vera unica genialità, quel “sì” incondizionato alla volontà di Dio, che ha salvato l'umanità.
Cosa scriveranno domani i pennivendoli e gli intellettuali a tassametro? Ma chi se ne frega!
Questa sera in piazzale Libia, trecento persone, in comunione con altre centinaia di fedeli che facevano la stessa cosa in tante Chiese in tante città italiane, hanno dato la più forte risposta alla bestemmia e alla disperazione, invocando il nome dolcissimo della Mamma di Gesù.
Faceva freddo e pioveva, ma questo non ha tolto a nessuno il calore del sorriso. Ringraziamo il Signore per questa serata, perché ci ha aiutato a fare del bene. A tutti, a noi, poveri peccatori, a quanti (troppi) sono stati alla finestra, e anche a teatranti tristi e superbi ai quali forse, Dio lo voglia, è arrivata un'eco di un Ave Maria, e ha accarezzato anche il loro cuore.
Viviamo in un'epoca sciagurata, ma questa sera abbiamo potuto toccare con mano, se per caso l'avessimo scordato, che la Salvezza esiste.

Fonte:
 http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1305:lo-spettacolo-blasfemo-di-castellucci-la-serata-di-preghiera-del-28-gennaio-di-paolo-deotto&catid=54:societa-civile-e-politica&Itemid=123

Card. Kasper, progressista, avverte: “Attenzione a fare del Concilio qualcosa in cui ciascuno proietta e trova i propri desideri”.

Il tedesco Walter Kasper avverte: Il futuro della Chiesa? “Una minoranza creativa”
Vaticano II, se il cardinale progressista mette in guardia dal mito
di G. Galeazzi, da VaticanInsider, del 28.01.2012

CITTÀ DEL VATICANO - Il Concilio secondo Kasper. Con il Vaticano II, di cui si festeggia il 50° anniversario, «la Chiesa si rimise in cammino», evidenzia il cardinale progressista, Walter Kasper, ma «occorre entrare nel concetto di rinnovamento per una corretta interpretazione del Concilio». No, quindi, al «mito» del Concilio, la Chiesa è attesa da un futuro da "minoranza creativa" quindi ha bisogno di una nuova primavera spirituale.
Il 26 gennaio a Roma, al «Centro Pro Unione» è stato presentato il libro «Chiesa cattolica: essenza-realtà-missione» scritto dal presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Il cardinale tedesco di Curia Walter Kasper vede il futuro della Chiesa non nel mantenimento delle strutture della «Chiesa di popolo» ormai anacronistiche, ma condivide il parere del grande storico Arnold J.Toynbee, secondo il quale, nelle situazioni particolarmente difficili della storia dell’umanità, ad aver individuato una via d’uscita sono sempre state minoranze qualificate e creative a cui si è poi potuta unire anche la maggioranza.
Ministro dell’ecumenismo ai tempi di Giovanni Paolo II e ancora, per qualche anno, con Benedetto XVI, solitamente avvezzo a suonare sui grandi temi della riforma della chiesa un canto in parte differente da quello istituzionale della curia romana, Kasper è uno dei cardinali di maggior peso della Curia romana.
Nell’analisi che il porporato tedesco fa della crisi della Chiesa, la figura di Chiesa pienamente radicata nel popolo, che ha avuto il suo grande peso nella storia ed ha apportato il suo grande contributo, volge ormai al termine di fronte alla situazione pluralista di oggi e non può essere una figura della Chiesa orientata al futuro nel terzo millennio. «L’esperienza del concilio Vaticano II divenne per me un’esperienza quanto mai incisiva della Chiesa e un permanente saldo punto di riferimento- rievoca Kasper-.Quando il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII annunciò il Concilio, la sorpresa fu enorme. Seguì un tempo mozzafiato, avvincente e interessante quale i giovani teologi odierni non riescono più a immaginare. Noi sperimentammo come la veneranda vecchia Chiesa mostrava una nuova vitalità, come spalancava porte e finestre ed entrava in un dialogo al suo interno nonché in dialogo con altre Chiese, altre religioni e con la cultura moderna».
Era una Chiesa che si rimetteva in cammino, una Chiesa che non ripudiava e non rinnegava la sua antica tradizione, ma le rimaneva fedele, e che tuttavia raschiava via incrostazioni e cercava così di rendere la tradizione nuova, viva e feconda per il cammino verso il futuro. Sulla lettura del Concilio, Kasper è stato interprete negli anni del duo Wojtyla-Ratzinger di un contro-canto intelligente e puntuto all’interno della curia romana. «Sono sempre convinto che i sedici principali documenti del concilio sono, nel loro complesso, la bussola per il cammino della Chiesa nel XXI secolo- sottolinea Kasper-.Il concilio Vaticano II è già stato spesso definito come il concilio della Chiesa sopra la Chiesa. La Chiesa, che era in cammino sulle strade della storia da duemila anni, prese nel corso di tale concilio più profondamente coscienza della propria essenza, in virtù della quale era già fino ad allora vissuta e aveva agito».
Già nel discorso di apertura, tenuto l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII disse che compito del Concilio sarebbe stato quello di conservare integralmente e senza falsificazioni il sacro patrimonio della dottrina cristiana e di insegnarlo in modo efficace. Paolo VI disse la stessa cosa il 21 novembre 1964, in occasione della solenne promulgazione della costituzione sulla chiesa Lumen gentium, unitamente al decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio. Egli affermò: «Questa promulgazione nulla veramente cambia della dottrina tradizionale. Ciò che Cristo volle, vogliamo anche noi. Ciò che era, resta. Ciò che per secoli la Chiesa ha insegnato, noi insegniamo parimenti. Soltanto ciò che era semplicemente vissuto ora è espresso, ciò che era incerto è chiarito; ciò ch’era mediato, discusso, e in parte controverso, ora giunge a serena formulazione».
Il fascino e l’entusiasmo del concilio sono nel frattempo svaniti. «È cominciato un tempo fatto di sobria considerazione dei fatti, in parte anche di valutazione critica degli eventi conciliari e soprattutto postconciliari- ammette il cardinale-. È succeduta una nuova generazione, per la quale il concilio è un evento molto lontano e appartenente a un altro tempo, a un tempo nel quale essa non era ancor nemmeno nata e nei confronti del quale non ha alcun rapporto personale, come invece lo aveva la mia generazione. A questa nuova generazione occorre spiegare faticosamente quanto allora avvenne ed entusiasmarla nei suoi confronti. Per questo ci vuole una solida ermeneutica del concilio».
Non bisogna indubbiamente fare del concilio un mito, nel quale ognuno «proietta e trova i propri pii desideri». Secondo Kasper, occorre piuttosto interpretare con accuratezza i testi conciliari secondo le regole universalmente valide dell’ermeneutica teologica. Nel farlo non bisogna separare «il cosiddetto reale o presunto spirito del concilio dalla lettera del concilio», ma occorre piuttosto desumere lo spirito del concilio dalla sua storia e dai suoi testi. I testi del concilio vanno compresi alla luce della sua storia e alla luce delle spesso controverse discussioni svoltesi nel suo corso. Poi bisogna interpretare ogni singola formulazione in seno al complesso di tutti i testi conciliari e tener conto, nel farlo, della gerarchia intrinseca dei diversi documenti conciliari.

sabato 28 gennaio 2012

28 gen - Aggiornamento: SS.Messe e SS.Rosarii in riparazione allo spettacolo blasfemo in programma a Milano

SANTE MESSE (IN FORMA EXTROARDINARIA), ADORAZIONI E SS. ROSARII
IN RIPARAZIONE ALLO SPETTACOLO BLASFEMO DI CASTELLUCCI
aggiornato al 28 gennaio 2012




DOMENICA 22 GENNAIO

- a Pallanza (Vb) - Lago Maggiore ore 11:30
chiesa di San Giuseppe - Piazza Giovanni XXIII
SANTA MESSA DI RIPARAZIONE in rito antico
- Gruppo stabile "Messa latino a Pallanza" -

- a Bari, ore 18:30
chiesa di S. Giuseppe Vecchio, piazza Chiurlia
SANTA MESSA in rito antico in riparazione, celebrata da Don Nicola Bux
- "Scuola Ecclesia Mater" e "Fondazione P. Venezia" -


LUNEDI' 23 GENNAIO

- a Benevento
chiesa di San Pasquale dei Frati F.I., via San Pasquale, 11
ore 16:00Adorazione Eucaristica con prima recita S. Rosario (Misteri Dolorosi)

Santa Messa di riparazione a Sant'Andrea delle Fratte di Roma



SANTA VERONICA FECE LA SUA PARTE...

"Noi siamo sempre tenuti a perdonare le offese che sono rivolte a noi,
ma non quelle che colpiscono Dio o il prossimo"
(san Tommaso d'Aquino)

Nel ricordare la
MANIFESTAZIONE DI PROTESTA (non violenta)
e la RECITA DEL SANTO ROSARIO
IN PIAZZALE LIBIA, vicino al teatro Parenti di  MILANO
di oggi sabato 28  gennaio 2012 dalle ore 19:00,

diamo notizia che il 24 gennaio u.s., nella Chiesa di Sant’Andrea della Fratte di Roma, si è celebrata una Santa Messa di riparazione per lo spettacolo blasfemo “Sul concetto di volto nel Figlio di Dio” di Romeo Castellucci. La Messa, promossa dalla Fondazione Lepanto, è stata celebrata secondo il Rito Romano antico da don Giuseppe Vallauri presso l’altare della Madonna del Miracolo, dove il 20 gennaio 1842, sul mezzogiorno, la Madonna  apparve all’ebreo Ratisbonne, convertendolo alla Fede Cattolica. Il rito eucaristico si è concluso con il canto del Salve Regina da parte di oltre duecento presenti, che hanno assistito alla Messa in un clima di profondo raccoglimento.

Così testimoniò, nella deposizione giurata al Vicariato di Roma, il ventisettenne Alfonso Ratisbonne (1814-1884) di Strasburgo, che venne ordinato sacerdote nel 1847:
"Vidi come un velo davanti a me. La chiesa mi sembrava tutta oscura, eccetto una cappella, quasi che tutta la luce della chiesa si fosse concentrata in quella. Alzai gli occhi verso la cappella raggiante di tanta luce, e vidi sull'altare della medesima, in piedi, viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa, la Santissima Vergine Maria, simile nell'atto e nella forma, all'immagine che si vede nella Medaglia Miracolosa dell'Immacolata. Mi fece cenno con la mano di inginocchiarmi. Una forza irresistibile mi spinse verso di Lei, che parve dicesse: Basta così. Non lo disse ma capii.
"A tal vista caddi in ginocchio nel luogo dove mi trovavo; cercai, quindi, varie volte di alzare gli occhi verso la Santissima Vergine, ma la riverenza e lo splendore me li faceva abbassare, ciò che, però, non impediva l'evidenza di quell'apparizione.
"Fissai le di Lei mani, e vidi in esse l'espressione del perdono e della misericordia. Alla presenza della Santissima Vergine, benché Ella non mi dicesse parola, compresi l'orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica, in una parola compresi tutto [...]".

Oggi si compirà nuovamente la blasfemia, ma la Chiesa ci insegna gli antidoti da utilizzare: Sante Messe, preghiere, Santi Rosari e rinunce. Santa Veronica fece la sua parte, ad ogni cattolico tocca la propria: O Signore fa che come la Veronica Vi asciugò il Santo Volto sulla Via Crucis, possiamo avere anche noi quell'onore e quell'amore che lei ebbe da Voi e per Voi.
Cristina Siccardi

Tabernacolo come "pietra angolare" ?





Ritorno, brevemente, sull’adeguamento liturgico del presbiterio della Chiesa di San Pietro Apostolo, la più antica del Porto di Civitanova Marche, Provincia di Macerata, Arcidiocesi di Fermo.
Il nuovo Parroco, il Professore don Mario Colabianchi, già Presidente del Tribunale Ecclesiastico Regionale, Docente di Diritto Canonico presso il prestigioso Istituto Teologico Marchigiano, uno dei più rappresentativi Sacerdoti marchigiani, ha fatto realizzare, con un tempismo ammirevole, i lavori di ristrutturazione del presbiterio : primo atto del suo nuovo incarico pastorale.
Peccato che il risultato dei lavori “prioritari” non piaccia a tutti i civitanovesi che mal hanno digerito la "soluzione" riservata al bel Tabernacolo ( foto) che è stato messo, al pari di una qualsiasi statua, in prossimità del prebiterio.
Come al solito al posto del Tabernacolo è stata collocata la "sede presidenziale"...
Qualche giorno fa, al termine di un incontro di preghiera un giovanotto ha, privatamente, sussurrato al Parroco Don Mario di essere rimasto scandalizzato per quanto è stato fatto a danno del Tabernacolo e anche per aver realizzato un "mini-altare", tipo tavolinetto del picnik in alcune riserve forestali.
Il Professore ha naturalmente dato dell’ignorante al giovane che non conoscerebbe bene la Sacra Scrittura : il Tabernacolo inserito sul pilastro , secondo il ragionamento di don Mario, sarebbe l’attuazione pratica del concetto che Cristo è la "pietra angolare", colonna e fondamento della Chiesa .
E’ vero che esistono ancora dei Tabernacoli dell’epoca pre-tridentina, collocati in un pilastro così come pure lo furono, assai prima, quando ebbero la forma della cosiddetta Colomba Eucaristica pendente sopra l’Altare ma è del tutto illogico cercare di trasferire in una chiesa di fine '800 l'uso delle Edicole Eucaristiche che andate in disuso almeno dal 1535 quando il Vescovo di Verona Giberti mise, per primo, il Tabernacolo sull'altare.
Diciamo, invece che “Non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2, 7) : non sapendo dove mettere lo scomodo ed ingobrante Tabernacolo, il cui posto è stato usurpato dalla "sede presidenziale", don Mario ha pensato di relegarlo, ignorando persino le norme di sicurezza per le Sacre Specie, fuori dal presbiterio.
Vale, invece, la pena di ricordare le indicazioni della Chiesa che recitano “…Conviene quindi che il tabernacolo sia collocato, a giudizio del vescovo diocesano: o in presbiterio…non escluso il vecchio altare che non si usa più per la celebrazione; o anche in qualche cappella adatta all’adorazione e alla preghiera privata dei fedeli, che però sia unita strutturalmente con la chiesa e ben visibile ai fedeli ( che nel caso della chiesa di San Pietro obiettivamente non c’è N.D.R.) (OGMR315) Ordinamento Generale della terza edizione del Messale Romano (2000).
Venendo al mini- altare don Mario ha detto al giovane che le “normative attuali” lo prevedono in tal modo.
Sappiamo bene che dopo il Concilio Vaticano II tutti gli altari precedenti improvvisamente sono stati dichiarati illeciti e addirittura dannosi per la “nuova liturgia”. Il presidente dell’assemblea "deve" guardare al popolo ed essere il più possibile vicino ad esso, come avviene, ad esempio, nelle celebrazioni neocatecumenali.
C’è stata un’evidente spaccatura fra pre e post Concilio, cosa che non era mai accaduta nel corso della storia della Chiesa quando le forme nuove degli altari non cancellavano le precedenti e con esse convivevano in pace.
Chissà perché il nuovo mini- altare, che sta poggiato direttamente sul pavimento del presbiterio, è di così piccole dimensioni…
Almeno in altre chiese, ad esempio quella San Giuseppe Lavoratore, ( foto) sempre a Civitanova Marche, dove è stato adottato l’orrendo cubo, hanno addotto a giustificazione che il cubo-altare, aprendosi, diventerebbe una specie di croce cosmica…
Alla richiesta di spiegazioni del giovane è stato sommariamente risposto che “…ora gli altari si fanno così …” Quanto mi farebbe piacere conoscere le fonti di queste disposizioni sulle dimensioni dei mini-altari ...
La sistemazione del presbiterio della chiesa più antica del Porto di Civitanova suscita anche altri interrogativi perché lo stesso Parroco-giurista sta pure effettuando degli importantissimi lavori di ristrutturazione esterna ed interna nella seconda chiesa parrocchiale dedicata a Cristo Re ( foto).
Chiesa sfortunata perché la costruzione, in stile neo-gotico, venne interrotta dagli eventi bellici della II guerra mondiale.
Quando, dopo l'ultimo Concilio, furono ripresi i lavori il progetto iniziale venne completamente stravolto con dei risultati assai discutibili dal punto di vista sia estetico che liturgico.
L’interno della chiesa venne poi manomesso per consentire ai sempre più numerosi fedeli neocatecumenali di celebrare , a modo loro, la liturgia del sabato sera.
Il Tabernacolo , grazie a Dio, era rimasto ancorato nell’abside e ben visibile a tutti …
La Città, la più ricca ed emergente della Provincia ( e della Diocesi) grazie alla Divina Provvidenza si può ancora permettere questo tipo di costosi lavori e, ringraziando sempre Dio, addirittura di edificare una nuova Chiesa, per la popolazione in aumento... mentre nella vicina assai più piccola, e povera, Potenza Picena, nella più silenziosa umiltà, un giovane Parroco sta donando belle lezioni di buon gusto e di fedeltà al Magistero...
Andrea Carradori

( Foto . Civitanova Marche, Chiesa di San Pietro : Tabernacolo; Civitanova Marche, Chiesa di San Pietro : Presbiterio con mini-altare; Civitanova Marche, Chiesa di San Giuseppe Lavoratore : altare-cubo e presbiterio; Civitanova Marche, Chiesa di Cristo Re, esterno con torre-faro del Porto.

venerdì 27 gennaio 2012

Convegno sui 50 anni dal CVII. A Napoli, dai Gerolamini

Liber girolaminus incontri culturali, letterari e simili

Sabato 28 gennaio 2012 - ore 17:00

Biblioteca dei Girolamini , Via Duomo, 142 - Napoli

A CINQUANT’ANNI DAL CONCILIO VATICANO II:
una Riflessione verso il Futuro

Interventi:
Il Vaticano II come questione storica - PROF. GIOVANNI TURCO
Teologia del Vaticano II - PROF. P. SERAFINO LANZETTA F. I.
Tradizione e Magistero - PROF. CORRADO GNERRE
Il criterio della pastoralità - PROF. MARCO DI MATTEO
L’ermeneutica della continuità: punti nodali tra storia e dottrina PROF. ROBERTO DE MATTEI
Modera p. ALESSANDRO MARSANO C. O.

Nell’occasione verranno presentati i saggi di Roberto de Mattei editi da Lindau:
Apologia della Tradizione;
Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, vincitore del Premio Acqui Storia 2011

Chi vuol intendere intenda ...



L’Associazione Internazionale UNA VOCE ha avuto un ruolo importantissimo per la salvaguardia della Liturgia Romana antica in tempi particolarmente perigliosi.
Fra gli Intellettuali Cattolici che aderirono, fin dal primo momento, all’Associazione Una Voce ci fu il noto critico d’arte Carlo Belli ( 1903-1991) che ho avuto l’onore di conoscere e di frequentare.
L’ultimo coraggiosissimo libro di Carlo Belli fu dedicato all'amata Liturgia Cattolica : “ Altare deserto, breve storia di un grande sfacelo” ( Giovanni Volpe Editore). Invano dal vicino Vaticano cercarono di convincere l’Autore e la Consorte di non far pubblicare il libro ( Le cose stanno cambiando con il nuovo Papa – il Beato Giovanni Paolo II - … vedrete che la Liturgia antica con il nuovo Papa sarà celebrata anche in San Pietro …ecc ecc ) .
Carlo Belli non si fece incantare dalle sirene vaticane e il libro vide la luce nel 1983 recensito e ripreso da diversi quotidiani. Nella Prefazione, a pagina 8, l'Autore accenna alla costituzione, in diverse parti nel mondo cattolico, dell'Associazione Una Voce :
“A tanto sfacelo non mancò una reazione vigorosa. Si costituirono in tutto il mondo gruppi di cattolici dissidenti, raccolti in varie associazioni — la più nota Una Voce — operanti in ogni Stato d'Europa e d'America (ma anche in India !), e si eressero a barriera della tradizione. Erano schiere di laici cattolici ferventi, bersagliate dalla Curia, la quale, con disegno a dir poco demoniaco, indicò come eretiche le difese della Tradizione. E ciò veniva proprio dagli eretici della stessa Curia “! ( C.Belli, Altare deserto, Prefazione pag.8).
La Consorte del Dott. Belli fu poi invitata a partecipare ad una celebrazione, Novus Ordo, nella Basilica di San Pietro dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger.
Qualche giorno dopo volle riferirmi di quella esperienza con termini positivi soprattutto per la dignità e per la devozione dimostrati dal Cardinale nel celebrare, senza concelebranti, la Messa. Ricordo che terminò il racconto dicendo “ Bene, molto bene…”
Dal Notiziario di Una Voce-Italia n.42-43 ( Gennaio-aprile 1978 ) ho trascritto la recensione, a firma C.B. ( Carlo Belli), di un libro che ebbe molta diffusione non solo negli ambienti tradizionalisti di allora : Pio XIV, pontefice di transizione.
Era ancora regnante Paolo VI quando quel libro fu dato alle stampe che in alcuni passi è stato persino profetico ...
Per motivi di spazio sono stato costretto a fare qualche taglio mentre ne raccomando la lettura ad alcuni amici Sacerdoti che in questi giorni sono alquanto disorientati ... A.C.

“ Un uomo che si firma Walter Martin ha scritto un libro intitolato Pio XIV, pontefice di transizione. … Da un certo punto di vista si potrebbe dire che il libro si presenta come una sconvolgente vicenda romanzata. Narra di un'epoca prossimo-futura in cui un nuovo papa va preparando una nuova Controriforma degli istituti e della vita religiosa per aprire la strada alla re-staurazione di quei princìpi teologici, di quelle pratiche liturgiche e istituzioni canoniche che costituivano il patrimonio se¬colare della Chiesa, tutti travolti negli anni post-conciliari.
Una Controriforma che folgori le farneticazioni dei cosiddetti « modernisti », o neo-modernisti, agenti di un falso progressismo sociale fatto di esaltazioni irrazionali, introdotto nel cle¬ro da ben individuati centri atei e politici, con lo scopo evidente di distruggere la Chiesa dal di dentro. Questo papa che si chiamerà Pio XIV perché successore di un Pio XIII di brevissima durata ( più che mai succube, questo, e « manovrato » dai rivoluzionari), è dipinto nel romanzo del Martin come un vecchietto sugli ot¬tanta, smilzo e timido, con barbetta ar¬gentea, deboluccio ma senza nessuna malattia specifica. Già vescovo missionario nei Medio Oriente era rientrato da qual¬che anno a Roma tornando ad essere soltanto un oscuro sacerdote. I progressisti, sempre più divisi tra loro da « correnti pluralistiche », in attesa di raggiungere un accordo tra essi, vanno a scovare in un convento il bravo missionario in pensione, mettendo in atto un disegno che ad essi sembrerà conveniente: farne un papa di comodo, essendo egli in età grave e ormai « preso unicamente dal pensiero del passaggio imminente attraverso all'estremo ponte verso l'Aldilà, il che non gli lascerà certo meningi bastevoli per pensare a prendersi delle gatte da pelare nell'Aldi-quà ».
Invece il vecchietto, che sale ai trono di Pietro tra la indifferenza del clero e del popolo prendendo appunto il nome di Pio XIV, esce a poco a poco da un suo stato di modesta contemplazione della morte, e come tutti gli agnelli, finirà per mostra¬re una forza incredibile fatta di dolcezza e di fermezza. A poco a poco supererà resistenze massicce, schiverà inciampi e loschi tranelli, scioglierà oscuri grovigli di palazzo, sventerà piani diabolici ed uscirà indenne perfino da attentati al tritolo! Così, nell'atto del trapasso, potrà assistere a un saldo inizio di restaurazione di valo¬ri, quali splendevano nella Chiesa pre-conciliare, e potrà chiudere gli occhi avendo conseguito una grande, storica vittoria della cattolicità.
Una nuova Lepanto.
Questa potrebbe essere una ingenua, patetica storiella, non priva qua e là di qualche spunto ameno, se a salvarla da un tale scivolo non soccorresse il rigoroso fondamento dottrinario sul quale si basa... il processo che, attraverso impressionanti raggiri, ha fatto del Concilio Vaticano II un valido strumento di distruzione della Chiesa, rovesciandone i suoi princìpi fondamentali attraverso una interpretazione falsa data ad essi da parte dei componenti il Consilium di famigerata memoria.
Questa storica falsificazione è presente in ogni pagina del libro; si può dire anzi che essa è la protagonista del romanzo.
Il povero vecchietto, il Papa N.D.R., dunque, lasciato solo nella Città del Vaticano abitata da potenti monsignori che vi si aggirano come temibili ombre spettrali nei corridoi e negli uffici sbalordito, non si raccapezza. Si sente stordito come se invece di ricevere così inaspettatamente il papato avesse ricevuto una botta in testa.
Poi, con l'aiuto di un fido cameriere, comincia lentamente a orientarsi: giorno per giorno, scopre trappole e trabocchetti tesi per farlo cadere nell'ambito di un modernismo ormai consumato e sostenuto dai più sciocchi luoghi comuni.
Alla mattina presto scende in San Pietro e dice la Messa tridentina, quella che non ha mai smesso di celebrare da quando era stato ordinato sacerdote. Gliela serve il bravo camerie¬re, unico amico per ora, il quale, già al primo giorno esce con una sottolineatura stupefacente: « Era tempo », dice, « che non servivo più una Messa un po' cristiano! ». « Volete dire in latino? », lo stuzzica il papa. E lui: « Non è questione di latino, Santità, ma di ciò che vi è dentro. Possono essere dette in latino fin che si vuole le Messe nuove e già logore; ma è come chi ti restituisce vuoto un portafoglio che ti rubò pieno... ».
Con vari strattagemmi, Pio XIV, supe¬rando veti e insidie, riesce a riprendere contatto con quattro vecchi sacerdoti amici suoi sparsi per il mondo. Che fa? Li convoca segretamente a Roma e li nomina idealmente cardinali. Con essi costruisce il castelletto di una prima resistenza al terribile « apparato » progressista, cercando di riconquistare l'immenso terreno perduto, palmo a palmo.
Ogni giorno, serrate polemiche dottrinali e politiche con i prelati di Curia, con vescovi pusillanimi e conformisti: quelli che si erano sùbito adeguati al tradimento del Concilio alla istituzione di una riforma da nessuno voluta, imposta da una minoranza di fanatici, soprattutto stranieri, per cui la Chiesa da Magistra che era fu costretta a riconoscersi peccatrice di fronte al mondo!
… Frattanto, Pio XIV, messo sul trono come cane muto che non sa latrare mentre i lupi sbranano le pecore, si fa invece leone.
Alcuni conventi, dove si sono coraggiosamente riprese le pratiche liturgiche pre-conciliari, vedono moltiplicarsi le vocazioni, mentre quelli progressisti sono deserti. Ormai si com¬batte alla insegna di una frase tratta dalla prima lettera di San Giovanni: Nolite diligere mundum, naque ea quae sunt in mundo...
Sono rimesse in circolazione anche certe proposizioni del Concilio di Trento...A poco a poco, la Messa tridentina che il Papa celebra di buon mattino in San Pietro, riempie di fedeli la navata maestosa.
Qualche vescovo prende coraggio: si scrolla di dosso i sinistri tabù posti dalla Curia post-conciliare, ritorna al rito millenario e lascia che specialmente i giovani riscoprano i tesori sepolti da qualche decennio.
Naturalmente tutto ciò non si compie senza un'accanita resistenza da parte dei porporati, specialmente stranieri.
… Cardinali e vescovi, fanatici fautori dell'autodistruzione della Chiesa, vengono motu proprio papale sollevati dagli incarichi che tenevano da despoti. …
Questo Pio XIV possiede poi la facoltà di rivoltare con poche parole e rimettere al loro giusto posto princìpi stravolti e dislocazioni insensate. L'abito non fa il monaco? « Grazie all'abito, alla tua nera talare, tu predichi la vita eterna anche senza aprir bocca. Senza quell'abito, dai la testimonianza del camaleonte che si fa del colore dell'ambiente per paura di farsi scorgere. San Francesco fino a quando andò vestito alla moda mondana non convertì alcuno ».
La paziente, tenace opera di restaurazione, contrastata con ogni mezzo lecito e illecito dai titolari e dai burocrati dei dicasteri vaticani, (e qui s'inseriscono nel racconto, anche troppo abbondantemente, episodi da romanzo giallo: spionaggi, attentati, bombe, eccetera!), dà frutti sempre più succosi. Vi sono ormai sacerdoti che osano rivelare il tradimento compiuto dal Consilium ai princìpi del Concilio. Altri rimettono in discussione tutta la cosidetta Riforma liturgica con argomenti ineccepibili, basati su una solida dottrina; lamentano il deserto provocato nella Chiesa dall'abbandono della lingua latina: la lingua universale dei cristiani e la conseguente manomissione della liturgia.
« Che Messa celebravano i Padri conciliari? Quella tradizionale, apostolico-romana. Che stabilirono con l'articolo quarto della Costituzione liturgica conciliare? Di conservarla. Che si dichiara ormai in nome del Concilio? Che è proibita. Che stabilirono detti Padri con l'articolo trentesimosesto di quella stessa Costituzione? Di conservare l'uso della lingua latina. Che si dichiara ora in nome del Concilio? Che l'uso del latino è segno di ribellione alla Chiesa e causa di scisma ».
Multa renascentur quae jam cecidere... La santa Restaurazione non è più lontana.
E' possibile che un libro congegnato in questo modo possa indurre qualcuno a una rimeditazione di ciò che è stata la cosiddetta riforma liturgica imposta da una minoranza di preti e da essi prescritta fino alla persecuzione. … Il lettore, specie se giovane, troverà nel racconto tutte le risposte esatte alle insidiose tesi modernistiche, falso-ecumeniche, social-luterane. Risposte date da un Autore che si rivela oltre che totalmente credente in Dio, uomo di soda cultura e di saldissima moralità”.C.B.