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giovedì 22 dicembre 2011

«Luca era gay» e il tabù della conversione

Da La Bussola di Chiara Mantovani del 13-12-2011

L’incontro con un ragazzo che, dopo aver trascorso molta parte della propria vita comportandosi da omosessuale, ha deciso di guardarsi dentro, ha ricevuto una forte motivazione religiosa e ha cambiato stile di vita è, evidentemente, un messaggio troppo forte da accettare. Così, l’ennesima conferenza di Luca (che "era gay e adesso sta con lei"), a Ferrara la settimana scorsa, ha ancora una volta sollevato il problema del cambiamento radicale da omosessuale a eterosessuale, ricevendo una tanto accesa contestazione da suscitare almeno alcuni “perché?”. Perché non è possibile ascoltare senza polemiche il racconto di una conversione? Perché non sopire i toni contestatori e smettere di negare un fatto solo perché è in contrasto con la propria vita? Perché c’è sempre qualcuno che parla di sopruso e discriminazione verso gli omosessuali, quando la prima cosa che si dichiara è che il rispetto verso le singole persone è pieno e sincero?
Con un titolo che non lasciava spazio alle illazioni: “Ero gay, con Maria ho ritrovato me stesso”, il racconto di Luca si è svolto in una parrocchia, organizzato da associazioni dichiaratamente cattoliche, preceduto e concluso da una preghiera: nessun dubbio, si era in una prospettiva di fede, in un contesto culturale che dichiara di credere nella legge naturale, accetta i dati biologici senza per questo idolatrarli, consapevole che gli esseri umani sono degli spiriti incarnati, corpi ma non solo, anime immortali ma intessute di fisicità.
Il racconto di Luca è filato liscio, anche se qualche commento sarcastico ha sottolineato i passaggi più fideistici, ma fin qui nessuna meraviglia. Il folto gruppo di rappresentanti dell’ARCI gay cittadina aveva iniziato già il giorno prima a promettere la contestazione del relatore e ad esigere di essere ascoltati, inoltrando tramite i giornali locali l’invito a intervenire per esternare le proprie posizioni e a “picchettare” l’ingresso. Se si fosse trattato di un pubblico dibattito sulle teorie scientifiche e psicologiche dell’omosessualità, ci sarebbe stato qualche motivo per chiedere la parola, ma il contesto di testimonianza, e i toni accesi della lettera ai quotidiani, consigliava di accettare solo domande scritte. A detta dei contestatori, questo era inaccettabile e ha dato origine ad intolleranze verbali. Ma la ribalta alle rivendicazioni gay e alle derisioni del cattolicesimo è francamente abbondante sui media e persino nei consessi internazionali: l’accusa di non avere spazi di espressione appare davvero risibile.
Avendo scorso tutti i foglietti delle domande (ma avendone potuto leggere ad alta voce solo tre prima dell’interruzione), resto sempre più profondamente persuasa che il problema non sia tanto (e solo) l’omosessualità: il primo, decisivo, problema è la concezione stessa di persona. Cui deriva, immediatamente, quella di libertà. Ho visto ragazzi arrabbiati perché convinti che è giusto comportarsi come suggerisce un desiderio o una pulsione, che non c’è un modo giusto e uno sbagliato di vivere, che non c’è nulla di radicabile in una giustizia che abbia fondamento al di fuori della soggettività, che la libertà da rivendicare consiste nell’agire come si vuole.
Luca è stato toccante mentre raccontava i profondi disagi che la sua precedente condizione gli procurava, il dolore per la morte degli amici, il vuoto di senso che accompagnava la sua vita brillante e lussuosa: disagi tipici di ogni storia di conversione; ma la dimensione religiosa non è stata riconosciuta, è stata stigmatizzata come disprezzo, come illusione, come violenza verso chi non la condivide.
La serata non è finita male, perché i frati ospitanti e molti intervenuti hanno intavolato un dialogo personale con i contestatori e così è emerso una volta di più che è il rapporto interpersonale che consente un dialogo vero, sincero, libero dagli ideologismi, altrimenti quasi obbligati se si è schierati da una certa parte. E perché nel parlare a tu per tu emerge che si può discutere anche veementemente quando si confrontano le idee, ma che il rispetto reciproco è realizzabile solo faccia a faccia, in un rapporto interpersonale.
A me resta una profonda tristezza nel vedere il disastro educativo e la nefanda influenza del “dogma” relativistico: abbiamo ancora molto da crescere, da studiare e da pregare per testimoniare efficacemente che la libertà vera non è quella di fare tutto, ma solo quella di fare il bene.

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La Redazione