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mercoledì 28 dicembre 2011

L’inutile papocchio

di Simone Veronese

Domenica 11 dicembre 2011, ore 11.15, S. Messa in forma extraordinaria a Casette di Legnago (Vr), chiesa di Sant’Antonio di Padova.
Come si suol dire, un’occasione buttata al vento. Grande concorso di popolo, giovani e meno giovani, amanti del Salieri e persone a digiuno di musica.
La chiesa è una di quelle costruite di recente, interamente in cemento (come facevo notare con sorpresa nei commenti): non proprio una “chiesa garage” ma poco ci manca. Grazie a Dio, non solo è orientata ma all’interno conserva diversi tratti di cattolicità: presbiterio rialzato, tabernacolo non proprio centrale ma comunque in bella vista (e non messo “in castigo” in un angolo), banchi con inginocchiatoi.
Come faceva notare un lettore di MiL, sicuramente non si trattava della cornice ideale per una Messa in Rito Antico, ma di certo la bellezza della Liturgia avrebbe potuto illuminare gli angoli ombrosi della moderna e schizofrenica architettura sacra.
Superato lo choc delle sembianze, mi consolavo al pensiero che il celebrante don Gino Oliosi sarebbe stato garanzia di una Messa degnamente celebrata (tanto più che la domenica precedente, la seconda d’Avvento, ero stato a Santa Toscana a Verona, e lì don Oliosi aveva celebrato in modo veramente degno e tenuto un’omelia come poche, di questi tempi).
Succede così che, qualche minuto prima delle 11.15, il coro, che avrebbe eseguito la Missa Stylo di Salieri, si dispone in presbiterio (cosa che, mi dicono, non essere del tutto vietata anche se personalmente mi irrita parecchio. Per come la vedo io, in presbiterio vi sta il presbitero, che celebra, con i suoi ministri e gli accoliti. Stop).
Giunta l’ora, don Oliosi si porta al microfono, preparato sulla gradinata del presbiterio, e inizia a spiegare che la Messa sarebbe stata celebrata nella forma extraordinaria del Rito Romano e che il coro avrebbe “animato”(?) la celebrazione con dei componimenti (sacri o non?) di Salieri. Prosegue poi spiegando ai fedeli che lui stesso è stato entusiasta di poter nuovamente celebrare con il Rito Antico e che, ogni giorno, celebra due S. Messe: una col Rito Nuovo e una con l’Antico. Sull’opportunità o meno del biritualismo si potrebbe discutere per giorni, al che mi impongo di sorvolare.
Qualche minuto e don Oliosi si volge verso l’altare, facendo contemporaneamente un cenno col capo al direttore del coro che inizia a cantare un brano.
Ora, io non sono né un esperto, però conosco la differenza tra una S. Messa letta e una Messa in canto. Se la Messa è “letta”, il coro può eseguire un brano iniziale, che però deve terminare una volta che il celebrante arriva ai piedi dell’altare, di modo che la celebrazione inizi con la recita delle preghiere ai “piedi dell’altare” in alternanza tra il sacerdote e i fedeli. Al contrario, se la Messa è “in canto”, il coro esegue l’antifona d’Introito e, in quel caso, il celebrante alternandosi con soli i ministri e/o gli accoliti, recita le preghiere suddette, anche se i fedeli non le possono sentire. Tertium non datur! Una Messa non può essere in parte “letta” e in parte “in canto”.
Fatto sta quindi che, grazie all’esecuzione del mottetto, nessuno dei presenti ha potuto ascoltare la famosa antifona Gaudete (Ad Phil. 4, 4-6 - Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum. Ps. 84, 2 - Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob).
Tertium non datur, si diceva, eppure, del proprio nemmeno una nota, mentre, l’intero ordinario (ad eccezione del Gloria che non era previsto) e il Credo, sono stati puntualmente cantati. Chiaramente sempre su musiche del Salieri.
Va detto poi che il ministrante che ha servito Messa non era esperto e ha commesso diverse imprecisioni.
Poco male, dirà qualcuno, un ministrante inesperto non è poi la cosa più grave del mondo e almeno, invece del marasma di musichette melense o da cartoni animati tanto in voga di questi tempi, si è potuto ascoltare della buona musica sacra. Ma la ciliegina sulla torta doveva ancora arrivare.
Poco prima di iniziare a distribuire la S. Comunione, don Oliosi si rivolge ai fedeli, informandoli prontamente che, testuali parole, «chi vuole comunicarsi nella forma extra ordinaria, quindi in ginocchio (su un inginocchiatoio minuscolo preparato per l’occasione, N.d.A.) e sulla lingua, può disporsi nella navata centrale, chi invece preferisce comunicarsi nella forma ordinaria, può disporsi nelle due navate laterali». Confesso che in quel momento mi sono sentito venir meno.
A questo punto, è sembrato tutto molto meno grave, persino la lunga sequenza di avvisi finali propinata dal parroco prima della benedizione finale, cosa niente affatto possibile nel Rito Antico.
In conclusione mi pongo qualche domanda, la prima: è mai possibile che si sprechino occasioni come questa, in cui si ha un così grande numero di fedeli, proponendo una Liturgia offuscata da abusi più o meno gravi (a maggior ragione se si tratta del tanto avversato Rito Antico)? Ancora, non è che un certo tipo di mentalità (tradizionalista e non) è più dannosa per il recupero della Tradizione, dei modernisti stessi (domanda retorica, ma ripetersela non fa mai male)? Infine, non sono forse questi abusi odiosi tanto quanto quelli perpetrati nelle S. Messe celebrate secondo il messale di Paolo VI? Ammetto che uscendo dalla chiesa l’amaro in bocca era lo stesso. Anzi, quasi quasi era forse un po’ più amaro.

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