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sabato 8 ottobre 2011

Lepanto 440 anni dopo: l'orgoglio cattolico. I parte

Forse penserete che pubblichiamo sin troppo articoli discorsivi, e magari un po' lunghi.
E sicuramente è così.
Ma non son mai troppe le narrazione o le riflessione su uno degli eventi storici che ha salvato la nostra religione cristiana in Europa, e con essa la nostra cultura, il nostro modo di vivere, la nostra società. Insomma: l'Europa cristiana.
Ecco allora che dopo la
Lectio Magistralis, dotta e di alto profilo accademico, che il Chiar.mo prof. Massimo de Leonardis (Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano), competente e amico della Tradizione, ha voluto donare in esclusiva ai lattori di MiL, proponiamo un articolo (anch'esso in esclusiva, diviso in due puntate) del nostro lettore e amico, Avv. F. Adernò, che, con un taglio diverso (e a tratti magnificamente politicamente scorretto) ci propone, oltre ad un rapido ma avvincente resoconto della Battaglia di Lepanto,anche alcune dotte riflessioni sotto profili differenti e ci esorta ad una più conoscenza di alcuni fatti importanti della nostra Storia, e ad un orgoglio "cattolico"
Un grazie ad Adernò, per il lavoro preciso e considerevole!

Maria, auxilium Christianorum, ora pro nobis!


Roberto



7 OTTOBRE 2011: 440° ANNIVERSARIO DELLA BATTAGLIA DI LEPANTO
Storia di un trionfo della Cristianità
di F. Adernò



. Rievocare oggi la Battaglia di Lepanto potrebbe apparire una provocazione o un accanimento antimusulmano – specialmente dopo gli attentati terroristici che hanno ferito e sconvolto l’America e tutto il mondo – in pieno contrasto con il moderno modo ecumenico, ahinoi unilaterale e spesso masochista, di vivere il Cattolicesimo. Si vuole, invece, riportare alla memoria di quanti hanno dimenticato, o semplicemente hanno un’idea sbagliata, un grandioso evento che ha segnato la Storia dell’Europa Cattolica con la salutare cacciata degli islamici dall’Occidente: un vero e proprio “trionfo della Cristianità”. «Una data memorabile negli annali dell’Europa occidentale»: così il Santo Padre Pio XII, in un discorso del 7 Ottobre 1947, definì l’evento nel quale «le potenze rappresentanti della Civiltà Cristiana si unirono per sconfiggere la minaccia mortale che veniva da Oriente». «È un giorno di rendimento di grazie,» – continua il Sommo Pontefice –, «commemorato nel Calendario della Chiesa non soltanto perché i Santuari d’Europa e i loro Altari furono definitivamente salvati dall’estrema distruzione, ma anche perché le preghiere ordinate dal Papa di allora, Pio V, portarono largo contributo alla Vittoria».
La battaglia che ricordiamo, a 440 anni di distanza, non fu, infatti, solo un episodio di una guerra “politica” o “economica”, lontana da noi, uomini del duemila; essa fu, soprattutto, una “battaglia della Chiesa”, non solo perché fu voluta e sostenuta da un Papa, e perché vi fu lo scontro tra la Cristianità ed il mondo islamico, ma soprattutto perché fu vissuta in modo intensamente religioso; una “battaglia della Luce”, dunque, contro le ombre, che, di certo, non mancarono, e che, anzi, giovano proprio a mettere in risalto questa “Luce”.

Ultimamente si tende a definire “male” anche solo il termine “battaglia”, a condannare a priori le Crociate etc…, tutti mossi da quel sentimento buonista ed accomodante, proprio – purtroppo – del nostro tempo, dimenticando (volontariamente?) il motto biblico «Militia est vita hominis super terram», ben adatto alla nostra Madre Chiesa, non perché Essa abbia solo combattuto “in armis” contro infedeli, eretici, nemici della Croce…, ma perché le Sue battaglie non possono essere semplicemente contro la carne ed il sangue, come fa notare San Paolo, ma anche contro ben più temibili potenze tenebrose che reggono questo mondo.
Una battaglia, quella cristiana, in generale, che è sì soprattutto interiore, per difendere la nostra Anima dal male, ma deve essere anche esteriore, per il semplice fatto che la nostra Fede non è Platonismo, e che secondo la Rivelazione cristiana, la materia non è una caduta dall’essere ed il corpo non è altro che la dimensione naturale dell’io.
Una battaglia, dunque, giustamente sociale, mondana, temporale, in quanto, col “disonor del Golgota” ogni cosa è stata redenta, dunque il Cristiano non può lasciare nulla nelle mani delle forze del male e si deve sentire “soldato” che riconquista, integralmente, tutto ciò che è stato tolto. A questo scopo, ovvero la preservazione, la diffusione e la riconquista della Fede, la Chiesa Santa di Dio mette in campo non cannoni, non fucili, ma uomini armati delle armi della Luce (S. Paolo), le armi spirituali, le più potenti, atte a difendere e a restaurare la libertà dell’anima.

Tuttavia, alla Chiesa “orante e purgante” si aggiunge la Chiesa “militante e trionfante”, la quale non può disinteressarsi dei corpi e della vita temporale, in quanto quella “libertà dell’anima” si sviluppa proprio nel tempo.

Con questa chiave di lettura bisogna accostarsi alla Storia, cioè con una disposizione d’animo tale da saper comprendere che certi eventi, che, magari, con gli occhi e la mentalità del presente non sono giustificabili o ripetibili, erano, in quel particolare momento storico necessari e comprensibili.
Al giorno d’oggi, invece, si tende a giudicare e ad emettere condanne sommarie di fatti storici e di personaggi, dimenticando di analizzarli con gli “occhi del passato”. Se i moderni storiografi sapessero far questo, si eviterebbero non poche falsità e si avrebbe una più certa “verità storica”.
Lepanto, dunque, è una Vittoria della Chiesa, quindi anche della nostra Cultura, della nostra Tradizione, della nostra Civiltà; essa è una delle tante conquiste dell’Occidente, molto spesso salvato e tutelato proprio dai Successori di Pietro.
Si pensi, ad esempio, a San Leone Magno che corse incontro ad Attila, ad Innocenzo I, il “defensor civitatis” durante il saccheggio vandalico di Roma, a Gregorio Magno, che assicurò la sopravvivenza e la libertà dell’Urbe dopo le violenze di Atalarico, Teodato, Vitige, Totila, Narsete e a molti altri Papi e Vescovi che preservarono la Civiltà Cristiana da numerose aggressioni alla propria identità.
Anche nel caso di Lepanto, infatti, se non vi fosse stata la tenacia di San Pio V, chissà cosa sarebbe accaduto…
All’origine di questa battaglia, che segna appunto la conclusione della Guerra di Cipro, ci sono svariati avvenimenti e numerose cause di carattere politico, religioso e sociale, tutte scaturite delle esigenze del tempo, che non possono di certo essere analizzate con gli occhi del presente.

Tutto inizia con l’avvio della politica estera dell’Imperatore Filippo II (1556-1598), una sorta di grande ambizione che lo portò a combattere contro i Turchi nel Mediterraneo, ad intervenire negli affari interni francesi, a lottare contro l’Inghilterra anglicana di Elisabetta I ed a domare la ribellione protestante dei Paesi Bassi.
Il Mediterraneo, tuttavia, era il campo di attività più importante per la Spagna; era un mare a dir poco “vitale” nel quale essa aveva numerosi interessi, in quanto ne controllava le coste meridionali, e aveva molte dipendenze in Italia, e poi le Isole Baleari, la Sardegna, la Sicilia; con tali presupposti, la Spagna non poteva di certo permettere che il pericolo turco, che incombeva non solo dall’Oriente, ma anche dai vicini Stati barbareschi dell’Africa settentrionale, vassalli del Sultano, violasse la pace della Cristianità.
Non si trattava, quindi, solo di adempiere alla Crociata contro i musulmani infedeli, ma di assicurare anche le rotte marittime, costantemente infestate dai pirati.
Filippo II, dunque, attacca il Marocco e si garantisce, così, il controllo di Ceuta, Tetuan e Melilla; l’Imperatore vorrebbe controllare l’intera costa algerina e tunisina mediante il tentativo di conquista dell’isola di Gerba (nel Golfo di Gabès) che con Malta, sede dei Cavalieri Giovanniti cacciati da Rodi, dovrebbe costituire una sorta di “cancello” per tener fuori dall’Europa gli infedeli. Questo piano ideale di Filippo II svanisce quando, nel 1560, la flotta spagnola viene attaccata e sconfitta nelle acque di Gerba e, cinque anni dopo, dal 18 maggio al 12 settembre, i Turchi attaccano Malta, che fortunatamente riesce a resistere per la strenua e valorosa difesa da parte dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, che già dal 1530 venivano detti comunemente “Cavalieri di Malta”, sotto la saggia guida del Gran Maestro La Vellette.
Oltre, però, che nel Mediterraneo, i Turchi premono anche sui Balcani, minacciando gli Asburgo d’Austria: la Cristianità, dunque, è assediata dai nemici della Fede ed il Pontefice San Pio V (1566-1572), fulgidissima figura della Storia della Chiesa, cerca di trovare una qualche soluzione a questo grave problema, pensando ad una sorta di Crociata antiottomana.
Il progetto papale dovrebbe interessare da vicino, prima fra tutti, la Repubblica di Venezia, la quale, però, è da anni orientata verso una politica rigidamente neutrale per preservare i suoi profitti commerciali (infatti, non ha partecipato né alla spedizione di Gerba, né alla difesa di Malta); inoltre, la Serenissima occupa posizioni molto importanti per un eventuale attacco contro i Turchi: possiede, infatti, le Isole Ionie, minacciose per la Grecia e l’Albania, Candia e Cipro, minacciose per la Morea e la Siria; inoltre è dominio veneziano anche la Dalmazia: in questo modo si potrebbe impedire che l’Adriatico diventi un lago turco, come già era diventato il Mediterraneo orientale.
Questa è, tra il 1569 ed il 1570, la situazione europea. In questo clima di minacce, San Pio V si sente, dunque, assediato e cerca, appunto, l’occasione propizia per dar vita ad una lega militare. Il governo Ottomano, allora, venuto a conoscenza dei disegni papali, prende la decisione, se pur rischiosa, di fare la prima mossa ed attacca la Serenissima, che per la straordinaria potenza navale è la nemica numero uno, e la più pericolosa.
Sulla fine del ’59, infatti, la “Sublime Porta” fa pervenire a Venezia un ultimatum così imperioso e provocatorio, intimandole di sloggiare da Cipro, che viene persino respinto. Un esercito turco, allora, sbarca sull’Isola e, in pochi mesi, la occupa quasi tutta, meno la fortezza di Famagosta, che, comandata dal Generale veneto Marcantonio Bragadin, resiste eroicamente (non più di 7.000 persone – civili soprattutto – avevano fronteggiato oltre 250.000 soldati e ne avevano uccisi 80.000!) , per undici mesi agli attacchi, ma poi è costretta a concedere la resa (7/VIII/1751) per mancanza di viveri e munizioni. Gli accordi (onore delle armi alla Guarnigione e trasporto dei superstiti a Candia) non vengono, però, rispettati: Bragadin, portato davanti al Pascià Mustafà, viene orribilmente seviziato ed ucciso, mentre i Turchi assaltano le navi in partenza dall’isola, ammazzano i Veneti e gli Italiani, violentano le donne dei Ciprioti e le rinchiudono poi insieme ai bambini per farne degli schiavi ed incatenano gli uomini alla voga nelle galee.
(... continua)
di Fabio Adernò

6 commenti:

  1. Continuiamoa pregare con il S.Rosario, perchè ci sono diverse battaglie da vincere: quella della crisi della Chiesa che poi comporta la crisi di identità dell'Europa, poi ormai i mussulmani hanno conquistato l'Europa e presto ci sarà da difendersi, solo in francia nascono moschee in continuazione, mentre il governo francese farà abbattere migliaia di chiese perchè non è in grado di mantenerle. Agrrappiamoci al S.Rosario preghiera efficacissima, perchè siamo circondati dall'immoralità. Tante battaglie da vincere, vincendo innanzi tutto quella contro le nostre cattive inclinazioni.

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  2. ma il Vangelo, insegna che dobbiamo amrci tutti; non c'è differenza di credo, di Dio c'è nè uno solo!

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  3. Di lingue italiane invece ce n'è un "casino"!

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  4. l'Imperatore Filippo II????????

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  5. eh studiatela sta storia invasati!!!!!!!!

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