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Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

lunedì 31 maggio 2010

Le lacrime di Paolo VI e l'ottava di Pentecoste

Si è appena conclusa l'Ottava di Pentecoste, che nel rito tradizionale segue la grande festa della discesa dello Spirito Santo ed ha sempre avuto una grande importanza religiosa nella Cristianità: ne è un relitto il fatto che in alcuni paesi (come la Francia) il lunedì di Pentecoste sia tuttora festivo, benché ciò non si giustifichi più dal punto di vista liturgico riformato.

Father Z., il ben noto blogger e sacerdote americano, riferisce un fatto sconcertante. Egli, come fonte, è sicuramente attendibile, ma riporta l'informazione de relato, ossia dicendo di averla saputa da un anziano cerimoniere in pensione di Papa Montini, il quale asseriva di essere stato presente al fatto. L'aneddoto ha quindi un'attendibilità relativa; ma, come spesso accade, sono le storie non confermate che meglio ricostruiscono un clima, un'atmosfera, un'epoca.

Ed ecco di cosa parliamo. Siamo nel 1970, il lunedì di Pentecoste. La riforma liturgica è entrata in vigore da pochi mesi, nel frastornato entusiasmo dei maggiorenti della Chiesa: le cassandre che han visto lungo sono ignorate, i laooconti che mettevano in guardia sono stati silenziati e stritolati dalle spire del perbenismo ecclesiale.

Paolo VI si avvia la mattina presto verso la sua cappella per celebrare la Messa. Con sorpresa, trova preparati i paramenti verdi anziché quelli rossi, di Pentecoste e della sua ottava. Interroga i cerimonieri, che gli rispondono: "Ma Santità, ormai è tempus per annum, il colore è verde. L'ottava di Pentecoste è abolita".

"Verde, ma come? Chi ha abolito l'ottava?" domanda concitato il Papa.

"Lei, Santo Padre...".

E Paolo VI pianse.

Verso la 'riabilitazione' di mons. Lefebvre?



Se c'è qualcosa che non ci saremmo aspettati di vedere, quanto meno non così presto, è lo sdoganamento, passateci il termine, dell'arcivescovo Marcel Lefebvre.

Dopo la rivalutazione della figura di Romano Amerio, cauta certo ma inequivoca (con tanto di articolo sull'Osservatore romano e prossimo convegno a San Marino con assistenza episcopale: lui che veniva ostentatamente ignorato o vilmente sbeffeggiato, senza che ci si peritasse di confutarne gli argomenti); si consumerà su mons. Marcel Lefebvre la caduta di un altro tabù culturale dell'editoria cattolica "politicamente corretta"?

Due segnali chiari sono in questo senso. Il primo è la recente pubblicazione di una nuova biografia dell'Arcivescovo francese effettuata da SUGARCO. E fin qua, a dire il vero, nulla di travolgente anche se l'indizio è comunque forte e dimostra un rinnovato interesse per la sua figura, al di fuori dei circoli abituali.

Ma soprattutto, il secondo elemento è l'inattesa pubblicazione del volume intitolato "Santità e Sacerdozio", con testi di mons. Marcel Lefebvre, uscito per i tipi della più che "allineata" casa editrice cattolica Marietti 1820.

Pare inoltre che una ulteriore raccolta di scritti del fondatore della Fraternità San Pio X, sempre sotto l'etichetta di Marietti, sarà nelle librerie cattoliche entro Natale.

Cosa sta succedendo nei saloni della cultura ecclesiastica "ufficiale"? Un nome fino ad oggi impronunciabile e vituperato può finalmente varcare, con l'imprimatur di chi conta, la soglia delle sacre tipografie? Certo passerà ancora molto tempo prima di poter vedere "Accuso il Concilio" fra le pubblicazioni delle edizioni Paoline o de "Il Regno" ma... molto probabilmente i tempi stanno cambiando ed anche questi segnali, apparentemente piccoli, non vanno trascurati.

Leggiamo ad esempio la presentazione del libro Mons. Marcel Lefebvre. Nel nome della verità di Cristina Siccardi, ed. Sugarco, che trovate addirittura nella home page di questa casa editrice. I toni sono particolarmente positivi:

.Monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), un nome che fa quasi sempre sobbalzare, impronunciabile, se non in alcuni ambienti ristretti, dove è molto amato e molto venerato. Buona parte dell’opinione pubblica cattolica e non l’ha dipinto come un «eretico», come uno «scismatico», uno che desiderava farsi una Chiesa tutta sua... Quanti errori, quante affabulazioni si costruiscono attorno alle persone che pensano, che ragionano, che avanzano verità scomode e perciò divengono loro stesse scomode. scomode come Lefebvre. Conosciuto per lo più come il Vescovo ribelle, monsignor Lefebvre è stato, finora, posto sotto un cono di luce diffamante, non per il suo comportamento di vita, peraltro ineccepibile e altamente virtuoso, da tutti verificabile, ma per la sua forte presa di posizione contro un Concilio pastorale, il Vaticano II, nei cui dettami vedeva e denunciava le conseguenze scristianizzanti e relativistiche che ne sarebbero sorte. Oggi, a distanza di quasi vent’anni dalla sua scomparsa e a quarantacinque dalla chiusura del Concilio stesso, possiamo storicamente avvicinarci a lui con maggiore serenità e senza acrimonia, considerando quest’uomo, meglio, questo sacerdote, non come il nemico di qualcuno, bensì come un impavido e lungimirante soldato di Cristo, paladino dell’integrità della Fede e di Santa Romana Chiesa, del Primato Petrino e dell’Eucaristia. Monsignor Lefebvre, grazie anche ai figli che ha lasciato, i sacerdoti della Fraternità san Pio X, è ancora lì a indicare che nella tradizione, nella dottrina cattolica, nella celebrazione del Santo Sacrificio della Messa di sempre, nella santità sacerdotale stanno le risposte ai problemi di un mondo che si è perso nel suo orgoglio e nella sua vanagloria, detronizzando Cristo Re.

domenica 30 maggio 2010

Salmo 2

Salmo 2.


Quare fremuérunt gentes: * et pópuli meditáti sunt inánia?

Perché fremettero le genti * e i popoli meditarono cose vuote?

Astitérunt reges terræ, et príncipes convenérunt in unum * advérsus Dóminum, et advérsus Christum eius.Si presentarono i re della terra e i principi convennero in uno * contro il Signore e contro il suo Cristo:
Dirumpámus víncula eórum: * et proiciámus a nobis iugum ipsórum.
Spezziamo le loro catene * e gettiamo via da noi il loro giogo!
Qui hábitat in cælis, irridébit eos: * et Dóminus subsannábit eos.
Colui che abita nei cieli, li deriderà, * il Signore si farà beffe di loro.
Tunc loquétur ad eos in ira sua, * et in furóre suo conturbábit eos.
Allora parlerà ad essi nella sua ira * e li confonderà nel suo furore.
Ego autem constitútus sum Rex ab eo super Sion montem sanctum eius, * prædicans præcéptum eius.
Io invece sono stato costituito Re da lui sopra Sion, il suo monte santo, * proclamando (= per procalmare) il suo precetto.
Dóminus dixit ad me: * Fílius meus es tu, ego hódie génui te.
Il Signore mi ha detto: * Figlio mio sei tu, io oggi ti ho generato.
Póstula a me, et dabo tibi gentes hereditátem tuam, * et possessiónem tuam términos terræ.
Chiedi a me, e ti darò i popoli (come) tua eredità, * e (come) tuo possesso i confini della terra:
Reges eos in virga férrea, * et tamquam vas fíguli confrínges eos.
li pascerai con bastone di ferro, * come vaso di vasaio li frantumerai.
Et nunc, reges, intellígite: * erudímini, qui iudicátis terram.
E ora, re, comprendete; * siate ammeastrati, voi che giudicate la terra.
Servíte Dómino in timóre: * et exsultáte ei cum tremóre.
Servite il Signore nel timore * ed esultate per lui con tremore.
Apprehéndite disciplínam, nequándo irascátur Dóminus, * et pereátis de via iusta.
Apprendete la disciplina, che non [capiti che] si adiri il Signore * e periate [allontanandovi] dalla via giusta.
Cum exárserit in brevi ira eius: * beáti omnes qui confídunt in eo. Quando divamperà improvvisamente la sua ira, * beati tutti quelli che confidano in lui!

Commento di S. Alfonso

Tutto questo salmo è, secondo il senso letterale, una profezia del regno di Cristo, come sta espresso negli Atti degli apostoli (4. 24. et seq.), dove si dice dagli stessi apostoli: Domine... qui Spiritu sancto per os patris nostri David pueri tui dixisti: Quare fremuerunt gentes, et populi meditati sunt inania? Astiterunt reges terrae, et principes convenerunt in unum adversus Dominum et adversus Christum eius etc. E siegue ivi a dirsi che Erode e Pilato coi gentili e gli ebrei eransi congiurati contra il nostro Salvator Gesù Cristo. Non mancan più autori protestanti ed anche cattolici che applicano il senso letterale di questo salmo al regno di Davide; ma giustamente dice il nostro d. Saverio Mattei che questa è una sentenza nuova che regna ne' protestanti e che dee riprovarsi, dovendoci noi acquetare a quel che sta scritto negli Atti apostolici, come abbiam notato di sopra; quando che all'incontro il salmo non può intendersi di Davide senza far molta violenza al testo che troppo chiaramente parla del regno di G. C. Dice di più esso Mattei che talora (com'egli ha provato nella sua prefazione al t. 1. nel c. 10. n. 8.) nelle scritture il senso spirituale è l'unico letterale, senza supporvi un altro senso occulto. Ora leggendosi, dice, in questo salmo una profezia così chiara del regno di Gesù Cristo, secondo si vede spiegato dagli apostoli, qual motivo c'è di tirarlo al regno di Davide? Scrive s. Girolamo, parlando appunto di questo salmo, che questa è una vera temerità: Audacis est hunc psalmum interpretari velle post Petrum; imo de eo sentire aliud quam in Actibus apostolorum dixerit Petrus. E lo stesso avverte il cardinal Bellarmino dicendo: Omnino errare videntur qui ad literam de Davide hunc psalmum explicare nituntur.

Quare fremuerunt gentes et populi meditati sunt inania? E perché le genti han fremuto ed i popoli han pensate cose vane? E vuol dire che invano eransi congiurati questi tanti nemici contra il Messia. Le parole fremuerunt e meditati sunt da s. Girolamo stan tradotte in tempo futuro; ma saggiamente dice il Bellarmino che dee preferirsi la versione della volgata che ha seguitato quella de' settanta, giacché negli atti degli apostoli, come si è veduto, i detti verbi si leggono in tempo preterito. Dicesi nel salmo: meditati sunt inania, poiché i nemici pensarono distruggere il regno di Cristo, ma invano, mentr'essi cooperarono a stabilirlo.

Astiterunt reges terrae, et principes convenerunt in unum adversus Dominum et adversus Christum eius. I re della terra sono stati a far consigli, ed i principi si son congregati insieme. Per questi principi non solo s'intendono Erode, Pilato ed i principi de' sacerdoti ebrei, ma anche tutti gl'imperatori e re gentili che hanno perseguitata la chiesa di Gesù Cristo. Si dice adversus Dominum et Christum eius, perché i nemici perseguitando Cristo faceano guerra anche a Dio, giacché il Messia co' suoi miracoli si era ben manifestato per figlio di Dio. Per la prima parola poi astiterunt, secondo la significazione ebrea, s'intende propriamente quando i giudei si unirono a consigliare la presa e morte di Cristo.

Dirumpamus vincula eorum et proiiciamus a nobis iugum ipsorum. Queste parole Davide le applicò ai nemici di Dio e di Cristo, dicendo: Liberiamoci dal loro imperio e dalle loro leggi. Iugum ipsorum, volta s. Girolamo, laqueos eorum; poiché le parole ebraiche significano funes eorum, essendoché gli empj odiano le leggi divine, come giogo e catene insoffribili.

Qui habitat in coelis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos. Ma predisse Davide che Iddio dovea dissipare e confondere tutte le loro trame, irridendo i loro disegni; come poi avvenne colla distruzione degl'idolatri e de' giudei e colla conversione delle genti alla fede.

Tunc loquetur ad eos in ira sua et in furore suo conturbabit eos. Iddio parlò ad essi e li confuse, non colle parole, ma colle pene orribili cui li punì. Qui si avverta che quando si parla nelle scritture dell'ira di Dio bisogna intendere che il Signore non mai opera per ira, come operano gli uomini per passione e con mente sturbata; mentr'egli quanto dispone e fa, tutto cum tranquillitate iudicat (1) Onde quando si dice che Dio si adira, s'intende quando castiga i peccatori non già per giovare alla loro salute eterna, come fa spesso con alcuni, punendoli per vederli ravveduti, ma li castiga solo per castigarli e dal luogo alla sua giustizia.

Ego autem constitutus sum rex ab eo super Sion montem sanctum eius, praedicans praeceptum eius. Così loro dirà Gesù Cristo: Io son fatto re, non dagli uomini, ma da Dio mio padre sovra il suo s. monte di Sionne, cioè sovra la chiesa, la quale vien significata, come scrive s. Agostino, per la città di Gerusalemme, di cui il monte Sion era la parte principale e più diletta di Dio. Praedicans praeceptum eius; e vuol dire: Io sono stato fatto re, affin di pubblicare il suo precetto. Nell'ebreo, invece di praedicans praeceptum eius, si legge narrabo ad decretum; qui in sostanza il precetto significa lo stesso che il decreto col quale Iddio stabilì il regno di Cristo da propagarsi per tutto il mondo. Le parole poi di questo decreto sono quelle che stanno nel verso seguente.

Dominus dixit ad me: Filius meus es tu, ego hodie genui te. Qui parla il divin Padre e dice a Cristo: Tu sei il mio figliuolo, oggi io ti ho generato. Questo testo s'intende così della generazione eterna, come della temporale del Verbo divino, quando egli s'incarnò: e s'intende anche della sua risurrezione (2).

Postula a me, et dabo tibi gentes haereditatem tuam et possessionem tuam terminos terrae. Seguita a dire il Padre a Gesù Cristo: Essendo tu mio figlio naturale è giusto che abbi l'imperio sopra tutte le genti e sopra tutta la terra, come tua eredità e possessione. S. Agostino intende ciò del regno spirituale che Cristo ha sopra la chiesa, la quale per li meriti di lui dovea propagarsi per tutto il mondo, secondo quello che disse lo stesso nostro Salvatore in s. Matteo (3): Data est mihi omnis potestas in coelo et in terra.

Reges eos in virga ferrea, et tamquam vas figuli confringes eos. Ciò s'intende della potestà che ha Gesù Cristo di rimunerare i buoni e di punire i peccatori con quella facilità con cui è facile ad un vasaio rompere con una verga di ferro i vasi di creta. La verga ferrea significa di più il giudizio retto ed inflessibile di Cristo, a cui niuno può resistere.

Et nunc, reges, intelligite; erudimini qui iudicatis terram. Voi dunque re, che giudicate sulla terra, intendete il vostro dovere ed istruitevi a bene esercitarlo.

Servite Domino in timore et exultate ei cum tremore. Commenta s. Agostino (4): In exultatione, ut gratias agamus, in tremore, ne cadamus. Colla parola timore del testo, secondo l'ebreo, vien significata la pietà de' figli o sia l'amor filiale con cui i re e i giudici debbono servire a Dio; onde il testo spiegasi così: Servite al Signore con timore de' figli e con allegrezza, sperando il premio se osserverete la giustizia, e temendo il castigo se non l'osserverete.

Apprehendite disciplinam, ne quando irascatur Dominus et pereatis de via iusta. Prendete con amore la divina legge ed osservatela, acciocché il Signore non si adiri se non l'osservate, e permetta che traviate dal giusto sentiero.

Cum exarserit in brevi ira eius, beati omnes qui confidunt in eo. Poveri quei che offendono la giustizia e son causa che Dio si sdegni contra di loro e si affretti a punirli! Felici all'incontro quei che confidano in Dio! perché egli darà loro luce e forza di non traviare dalla retta via.

NOTE

(1) Sap. 12. 18.

(2) Di questo testo vi sono tre sensi letterali intenti dallo Spirito santo, come ben riflettono Bellarmino e Menochio. Il primo è della generazione eterna di Gesù Cristo come Verbo e Figlio eterno di Dio, secondo scrive s. Paolo: Tanto melior angelis effectus, quanto differentius prae illis nomen haereditavit. Cui enim dixit angelorum: Filius meus es tu, ego hodie genui te? Onde rettamente dice s. Agostino che questo passo s'intende letteralmente della generazione eterna, per cui fu il Verbo ab eterno generato dal Padre; a differenza degli angeli che sono ministri di Dio creati nel tempo. Si dice hodie genui te, perché l'eternità è una durazione presente che non ha principio né fine, siccome ben lo spiega s. Agostino in questo salmo: In aeternitate nec praeteritum quicquam est nec futurum, sed praesens tantum; quia quod aeternum est semper est. Dice mons. Bossuet che difficilmente ne' salmi si troverà un luogo dove Cristo più espressamente che in questo si asserisca per vero Figlio di Dio. Il secondo senso letterale è della risurrezione di Gesù Cristo, come si ha dagli Atti apostolici (13. 32. et 33.), dove si legge: Et nos vobis annuntiamus eam quae ad patres nostros repromissio facta est... Resuscitans Iesum, sicut et in psalmo secundo scriptum est Filius meus es tu, ego hodie genui te. In fatti la risurrezione è una certa rigenerazione, secondo quel che si legge in s. Matteo (19. 28.): In regeneratione, cum sederit Filius hominis. Il terzo senso anche letterale è della generazione di Cristo temporale secondo la carne, come vuole s. Cipriano (L. 7. contra iudaeos c. 8.), e S. Fulgenzio (contra arian. resp. 3.). E ciò ben si conferma da quel che dice l'apostolo (Hebr. 5. 5.): Sic et Christus non semetipsum clarificavit, ut pontifex fieret, sed qui locutus est ad eum: Filius meus es tu, ego hodie genui te. La chiesa pertanto nell'introito della prima messa nella notte di Natale appropria le citate parole del salmo al mistero della nascita. Si aggiunge che i s. padri intendono le parole d'Isaia (53. 8.): Generationem eius quis enarrabit? non solo della generazione divina, ma anche dell'umana di Gesù Cristo.

(3) 28. 18.

(4) In Ps. 1.

"Dio aiuti il Papa a convertire i vescovi"

di Antonio Socci

La Chiesa è una cosa troppo importante (e troppo preziosa) per essere lasciata a preti, vescovi e prelati. Ci pensavo partecipando a una recente puntata di “Annozero” dove si parlava degli scandali della pedofilia (del clero) e un vescovo, mandato dalla Cei, ha fatto, poveretto, una figura desolante. Non ha saputo rispondere alle domande più ovvie, appariva palesemente impreparato quando si trattava di difendere il papa e la Chiesa da accuse ingiuste, e non ha saputo dire parole cristiane a chi è stato vittima di abusi. Eppure gli bastava ripetere sinceramente le cose grandi e umili che ha detto Benedetto XVI.

Ma non voglio colpevolizzare il povero monsignore di Palestrina, fin troppo biasimato in questi giorni dai suoi confratelli che lo hanno mandato allo sbaraglio e che lì, nella fossa dei leoni, ha pensato di cavarsela distribuendo maldestre risate.

Non sono abituati, molti di loro, a esporre la faccia alle cannonate. Hanno vissuto sempre in sacrestia e non hanno mai rischiato qualche sprangata per annunciare Gesù Cristo. Non sanno dare ragioni.

Ma quel che è peggio pochi – fra i prelati – sembrano voler capire quello che il Papa sta dicendo, sta facendo e sta chiedendo. Molti sembrano intenzionati a far finta di nulla. Ignorando questa sua rivoluzione pericolosa per le loro poltrone e le loro ambizioni.

Dunque (lo dico da cattolico, da militante cattolico che è pronto a dare anche la vita per Gesù Cristo e per la Chiesa) non lasciamo la Chiesa nelle mani di una gerarchia oggi largamente inadeguata al momento grande e drammatico che viviamo.

Non è un caso che Benedetto XVI abbia messo la Chiesa nelle mani della Madonna a Fatima e che in un precedente viaggio in Australia abbia chiesto ai laici, al popolo cristiano, di aiutarlo a estirpare dalla Chiesa il cancro marcio della pedofilia del clero e degli abusi sessuali.

Che non sono un dramma a sé, ma sono la punta dell’iceberg di uno smarrimento generale, di un peccato che comprende tante altre cose. Come quell’ “abuso di autorità” e quel “carrierismo” che il Papa ha denunciato il 26 maggio scorso e che storicamente (anche nei nostri tempi) ha caratterizzato notevole parte della gerarchia.

Rivoluzione

E’ una vera rivoluzione quella che Ratzinger sta cercando di fare. Una declericalizzazione che vuole far risplendere la bellezza del volto di Gesù.

Oggi più che mai perciò è necessario aiutare il Papa che quasi ogni giorno tuona, chiedendo ai prelati e ai preti “penitenza e purificazione”, sottolineando la necessità di sradicare il “carrierismo” e ripetendo “la necessità della giustizia” per le vittime che hanno subito violenze da preti.

Si tratta di aiutare il Papa perché nella Curia romana e fra i vescovi non sembra di vedere schiere di penitenti vestiti di sacco con la cenere sulla testa. O almeno disposti a mettere in discussione seriamente se stessi e le proprie “ambizioni”.

Fra le poche eccezioni c’è il cardinale Bagnasco che nella sua prolusione alla Cei di tre giorni fa ha avuto il coraggio di mettere il dito nella piaga.

E ieri, dopo l’ennesimo richiamo del Santo Padre, ha osato affermare che in Italia vi è “la possibilità” che ci siano state coperture anche di qualche vescovo su casi di abusi sessuali commessi da sacerdoti. “Si tratta – ha detto – di una cosa sbagliata, che va corretta e superata”.

Il linguaggio ovattato e curiale può dar fastidio. Ma la prudenza stessa di questo inedito pronunciamento fa capire quanto forte sia la resistenza a questo umile riconoscimento.

E a questa sacrosanta necessità di fare giustizia. Che, fra l’altro, è il solo atteggiamento che rende poi credibili nel difendere altri preti che magari sono stati calunniati ingiustamente.

Ovviamente adesso si aspettano i fatti. Dovranno essere i vescovi a mostrare cosa significa seguire il papa e a chi si riferisce Bagnasco. Nell’attesa – che ci si augura breve – ci si può cimentare però con i casi già noti. Come quello di Firenze su cui un pronunciamento – e durissimo – della Santa Sede, che ha ridotto allo stato laicale quel personaggio, don Cantini, c’è già.

Scandalo fiorentino

Pronunciamento, arrivato nel 2008, che è anche un pesante giudizio su come ha agito la Curia fiorentina almeno dal 2004.

Eppure non risulta che vi sia mai stato – anche dopo la sentenza di Roma – un umile riconoscimento della propria inadeguatezza (per così dire, con un eufemismo) da parte del cardinale Antonelli che se n’è andato per limiti di età, mentre il vescovo ausiliario Maniago è ancora – incredibilmente – al suo posto.

Non risulta che la Curia di Firenze – le cui gerarchie hanno ripetutamente solidarizzato con se stesse – abbia mai chiesto ufficialmente e solennemente “perdono” alle vittime per quello che hanno subito da un prete.

Vittime che peraltro mostrano una coscienza cristiana commovente: per la loro sconvolgente capacità di perdono e per aver continuato a chiedere provvedimenti seri alla Chiesa come si fa con una madre, senza mai intentare cause civili miliardarie, come è stato fatto in altri Paesi.

Dobbiamo forse sospettare che sia proprio questa loro bontà ad aver provocato la sordità di coloro che dovevano intervenire subito? Si aspettano risposte serie.

Ma ora occorre dar seguito a ciò che Roma ha decretato, chiedendo oltretutto di aver cura materna delle vittime, che invece sembrano ancora essere considerate “nemiche”.

Occorre un grande atto di umiltà. Vorremmo vedere vescovi e cardinali capaci di gesti che la cristianità dei secoli passati sapeva fare (magari anche facendosi da parte: andando a servire in un lebbrosario del Terzo Mondo).

Vorremmo vederli piangere con chi piange, come il Papa a Malta, e inginocchiarsi davanti a coloro che, da bambini, subirono un orrore che portano ancora addosso e che vanno riconosciuti finalmente come il vero volto di Cristo crocifisso e non come nemici.

E’ stato il papa stesso, a Fatima, a dire che le loro sofferenze rappresentano la peggior persecuzione subita dalla Chiesa.

Il Re in ginocchio

Sarebbe bello che questa purificazione penitenziale cominciasse proprio da Firenze, una città di cui Gesù Cristo è stato dichiarato Re, dal Comune, molti secoli fa.

Perché lui, Gesù, il Nazareno, espresse la sua “regalità” proprio così: inginocchiandosi davanti a quei dodici esseri umani che aveva davanti, cioè davanti a ognuno di noi, indegnissimi peccatori. Inginocchiandosi – Lui, il Re dell’universo – davanti a ognuno di noi e lavando a ciascuno i piedi, come – a quel tempo – facevano gli schiavi.

Gesù comandò di essere come il Figlio di Dio “che non è venuto per farsi servire, ma per servire”.

Non è un’esagerazione evocare questo sconvolgente passo del Vangelo perché è stato il Papa stesso, nel discorso del 26 maggio, a citarlo per ribaltare il concetto di “gerarchia” e per rivoluzionare la Chiesa purificandola e rinnovandola.

“Gerarchia”, ha detto il Papa, in genere viene inteso in senso giuridico, come potere e questo – ha detto – è stato “storicamente causato da abusi di autorità e da carrierismo, che sono appunto abusi e non derivano dall’essere stesso dell’autorità gerarchica”.

Il suo significato vero sta proprio in quel gesto di Gesù, nel “servire”. Preti, vescovi, cardinali dovrebbero cominciare a concepirsi come “servi”, non come padroni della fede e della Chiesa.

Il Papa e noi, popolo cristiano, li vorremmo finalmente umili, distaccati da ambizioni, soldi e potere.

Capaci di riconoscere i propri errori e di chiedere perdono. Uomini che puntano alla santità – come ha ripetuto il Papa – non a conservare o conquistare una miserabile poltrona, la cui sciocca gloria dura un attimo e poi è divorata dalle tarme.

Come diceva il grande Tommaso Moro: “è già un pessimo affare dare la propria anima per il mondo intero, figurarsi per la Cornovaglia…”.


Da “Libero”, 29 maggio 2010, via blog di Socci

sabato 29 maggio 2010

Un po' di chiarezza sul celibato ecclesiastico nella storia

di Sandro Magister

ROMA, 28 maggio 2010 – Benedetto XVI si appresta a concludere l'Anno Sacerdotale, da lui voluto per ridare vigore spirituale ai preti cattolici in un'epoca difficile per l'intera Chiesa. Intanto però un cardinale famoso e tra i più vicini al papa, l'arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, continua a battere il chiodo di un "ripensamento" della disciplina del celibato del clero latino.

Schönborn è persona di buona cultura, ex alunno di Joseph Ratzinger professore di teologia. Negli anni Ottanta collaborò alla scrittura del catechismo della Chiesa cattolica. Ma come uomo di governo, da quando è alla testa di una Chiesa sbandata come l'austriaca, si mostra più attento alle pressioni dell'opinione pubblica che ai suoi doveri di guida.

A metà maggio, appena un vescovo suo connazionale, Paul Iby, di Eisenstadt, disse che "i preti dovrebbero essere liberi di scegliere se sposarsi o meno" e che "la Santa sede è troppo timida su tale questione", prontamente il cardinale Schönborn chiosò: "Le preoccupazioni espresse dal vescovo Iby sono le preoccupazioni di tutti noi".

E questa è stata solo l'ultima – per ora – di una serie incessante di sortite analoghe. Di Schönborn e di altri cardinali e vescovi di tutto il mondo, per non dire di esponenti del clero e del laicato. Il "superamento" della disciplina del celibato è da tempo il basso continuo della musica dei novatori.

Di questa musica, ciò che ordinariamente viene udito e capito sono un paio di cose.

La prima è che il celibato del clero è una regola imposta in secoli recenti al solo clero latino.

La seconda è che ai sacerdoti cattolici dovrebbe essere consentito di sposarsi "come nella Chiesa primitiva".

Il guaio è che queste due cose fanno entrambe a pugni con la storia e con la teologia.

Alla radice dell'equivoco c'è anche una cattiva comprensione del concetto di celibato del clero.

In tutto il primo millennio e anche dopo, nella Chiesa il celibato del clero era propriamente inteso come "continenza". Cioè come completa rinuncia, dopo l'ordinazione, alla vita di matrimonio, anche per chi si fosse precedentemente sposato. L'ordinazione di uomini sposati, infatti, era una prassi comune, documentata anche dal Nuovo Testamento. Ma nei Vangeli si legge che Pietro dopo la chiamata ad apostolo "lasciò tutto" (Matteo 19, 27). E Gesù disse che per il Regno di Dio c'è chi lascia anche "moglie o figli" (Luca 18, 29).

Mentre nell'Antico Testamento l'obbligo della purità sessuale valeva per i sacerdoti solo nei periodi del loro servizio al Tempio, nel Nuovo Testamento la sequela di Gesù nel sacerdozio è totale e investe l'intera persona, sempre.

Che fin dall'inizio della Chiesa preti e vescovi fossero tenuti ad astenersi dalla vita di matrimonio è confermato dalle prime regole scritte in materia. Esse compaiono a partire dal secolo IV, dopo la fine delle persecuzioni. Con l'aumento impetuoso del numero dei fedeli aumentano anche le ordinazioni, e con esse le infrazioni alla continenza.

Contro queste infrazioni, concili e papi intervengono ripetutamente a riaffermare la disciplina da essi stessi definita "tradizionale". Questo fanno il Concilio di Elvira, nel primo decennio del secolo IV, che sanziona il mancato rispetto della continenza con l'esclusione dal clero; altri concili di un secolo dopo; i papi Siricio e Innocenzo I; e poi ancora altri papi e Padri della Chiesa, da Leone Magno a Gregorio Magno, da Ambrogio ad Agostino a Girolamo.

Per molti secoli ancora la Chiesa d'Occidente continuò a ordinare degli uomini sposati, sempre però esigendo la rinuncia alla vita matrimoniale e l'allontanamento della sposa, previo il consenso di questa. Le infrazioni erano punite, ma erano molto frequenti e diffuse. Anche per contrastare questo, la Chiesa cominciò a scegliere di preferenza i suoi sacerdoti tra i celibi.

In Oriente, invece, dalla fine del secolo VII in poi la Chiesa tenne fermo l'obbligo assoluto della continenza solo per quanto riguarda i vescovi, scelti sempre più spesso tra i monaci invece che tra gli sposati. Col basso clero accettò che gli sposati continuassero a condurre vita matrimoniale, con obbligo di continenza solo "nei giorni di servizio all'altare e di celebrazione dei sacri misteri". Così stabilì il secondo Concilio di Trullo del 691, un concilio mai riconosciuto come ecumenico dalla Chiesa d'Occidente.

Da allora a oggi è questa la disciplina in vigore in Oriente, così come nelle Chiese di rito orientale tornate in comunione con la Chiesa di Roma dopo lo scisma del 1054: continenza assoluta per i vescovi e vita matrimoniale consentita al basso clero. Fermo restando che l'eventuale matrimonio deve sempre precedere la sacra ordinazione e mai seguirla.

La tolleranza adottata dalle Chiese d'Oriente per la vita matrimoniale del basso clero fu agevolata – secondo gli storici – dal particolare ordinamento di queste Chiese, costituite in patriarcati e quindi più portate a decisioni autonome sul piano disciplinare, con un ruolo preminente svolto dall'autorità politica.

In Occidente, invece, alla grande crisi politica e religiosa dei secoli XI e XII la Chiesa reagì – con la riforma detta gregoriana dal nome di papa Gregorio VII – proprio combattendo con vigore i due mali che dilagavano tra il clero: la simonia, cioè la compravendita degli uffici ecclesiastici, e il concubinato.

La riforma gregoriana riconfermò in pieno la disciplina della continenza. Le ordinazioni di uomini celibi furono preferite sempre più a quelle di uomini sposati. Quanto al matrimonio celebrato dopo l'ordinazione – da sempre vietatissimo sia in Oriente che in Occidente – il Concilio Lateranense II del 1139 lo definì non solo illecito, ma invalido.

Anche le successive crisi della Chiesa d'Occidente hanno visto in primo piano la questione del celibato del clero. Tra i primi atti della Riforma protestante ci fu proprio l'abolizione del celibato. Al Concilio di Trento vi fu chi spinse per una dispensa dall'obbligo del celibato anche per i preti cattolici. Ma la decisione finale fu di mantenere integralmente in vigore la disciplina tradizionale.

Non solo. Il Concilio di Trento obbligò tutte le diocesi a istituire dei seminari per la formazione del clero. La conseguenza fu che le ordinazioni di uomini sposati diminuirono drasticamente, fino a scomparire. Da quattro secoli, nella Chiesa cattolica i preti e i vescovi sono nella quasi totalità celibi, con le sole eccezioni del basso clero delle Chiese di rito orientale unite a Roma e degli ex pastori protestanti con famiglia ordinati sacerdoti, provenienti per lo più dalla Comunione anglicana.

Dalla percezione che i preti cattolici sono tutti celibi si è diffusa l'idea corrente che il celibato del clero consista nella proibizione di sposarsi. E quindi che il "superamento" del celibato consista sia nell'ordinare preti degli uomini sposati consentendo loro di continuare a vivere la vita matrimoniale, sia nel permettere ai preti celibi di sposarsi.

Dopo il Concilio Vaticano II entrambe queste richieste sono state avanzate ripetutamente nella Chiesa cattolica, anche da vescovi e cardinali. Ma sia l'una che l'altra sono in palese contrasto con l'intera tradizione di questa stessa Chiesa, a partire dall'età apostolica, oltre che – per quanto riguarda la seconda richiesta – con la tradizione delle Chiese d'Oriente e quindi col cammino ecumenico.

Che poi un "superamento" del celibato sia la scelta più appropriata per la Chiesa cattolica di oggi è sicuramente un'idea per nulla condivisa dal papa regnante. Stando a ciò che Benedetto XVI dice e fa, la sua volontà è opposta: non superare ma confermare il celibato sacerdotale, come sequela radicale di Gesù per il servizio di tutti, tanto più in un passaggio cruciale di civiltà come il presente.

Proprio a questo mira l'Anno Sacerdotale da lui indetto, col santo Curato d'Ars come modello: umile curato di campagna che visse il celibato come dedizione totale per la salvezza delle anime, una vita tutta consumata all'altare e nel confessionale.
__________

La letteratura scientifica sul tema è vasta. Tra l'altro ha definitivamente accertato che è un falso storico il racconto che al Concilio di Nicea del 325 un vescovo di nome Paphnutius sostenne e fece approvare la libertà per le singole Chiese di consentire o no ai preti la vita matrimoniale. Così come è stata accertata la manomissione ad opera del secondo Concilio di Trullo del 691 dei canoni dei concili africani dei secoli IV e V, da esso citati a sostegno della vita matrimoniale per i preti: manomissione dimostrata già nel Cinquecento dal coltissimo cardinale Cesare Baronio.

Ma di questa letteratura scientifica non c'è quasi traccia nel dibattito corrente e nemmeno nelle sortite di vescovi e cardinali favorevoli al "superamento" del celibato. Una eccellente sintesi storica e teologica della questione è in un piccolo libro del 1993 del cardinale austriaco Alfons Maria Stickler, morto a Roma nel 2007 all'età di 97 anni, all'epoca prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana.
[..]

Fonte: www.chiesa.espresso

La Messa modernista



P. Cavalcoli ci manda per la pubblicazione questo breve saggio e lo ringraziamo. Aggiungiamo in calce (e in corsivo) le nostre osservazioni.


Gli abusi liturgici e la mancanza di rispetto per la tradizione liturgica cattolica oggi lamentati non dipendono dalla Messa di rito nuovo come tale (quella istituita da Paolo VI), ma da una sua cattiva celebrazione. Una Messa del novus ordo ben celebrata non ha nulla da invidiare alla Messa tridentina ben celebrata. Pensiamo soltanto alla celebrazioni di Giovanni Paolo II e di tanti degni sacerdoti del postconcilio.

Lo so che alla Messa nuova si possono fare delle critiche, ed esse furono fatte da eminenti liturgisti nel corso stesso del Concilio. Essi però non furono ascoltati, lo ammetto. Tuttavia non possiamo negare che la nuova Messa, a parte l’ovvia sua legittimità (il che poi è l’essenziale), è stata anch’essa frutto di accurate ricerche storiche in parte proprio dirette al recupero di tradizioni anche più antiche di quelle che si trovano nella Messa di S.Pio V; e in parte, è vero, è stata dovuta al desiderio di dare anche alla Messa un aspetto ecumenico, che potesse favorire il dialogo con i fratelli protestanti. Invece, come si sa, gli Ortodossi russi e greci non hanno molto gradito la nuova Messa ed hanno preferito l’antica.

Nella Messa bisogna distinguere un aspetto essenziale o sostanziale immutabile ed intoccabile, alterando il quale, come fece per esempio Lutero, la Messa non è più la Messa, ma una sua profanazione causata dall’arbitrio umano e quindi priva di quella struttura essenziale che era stata voluta da Gesù Cristo, svuotata quindi del suo potere di comunicare sacramentalmente la grazia della salvezza.

I lefevriani hanno voluto trovare nella Messa di Paolo VI una contaminazione modernistica e protestante. Ma questo non è vero. Essi non hanno saputo distinguere quanto nella Messa è immutabile (la sostanza) – cosa che la Chiesa non potrà mai cambiare per espressa promessa di Cristo - e quanto invece può legittimamente (anche se a volte meno opportunamente) esser cambiato dalla Chiesa (l’aspetto rituale, cerimoniale e rubricistico).

Sia la Messa antica che quella nuova sono sostanzialmente la medesima Messa. Sono diverse, come è stato fatto notare da alcuni, per una diversa accentuazione dei due elementi fondamentali della Messa: l’aspetto sacrificale e l’aspetto comunionale. La Messa tridentina esalta soprattutto la dimensione del sacro, l’attualizzazione del sacrificio di Cristo, l’orientamento al Trascendente, il momento mistico, la distinzione tra fedeli e celebrante.

La Messa del Concilio viceversa, mette maggiormente in luce la Messa come dono di sé del Popolo di Dio al Padre, la Messa come pregustazione della vita futura, come comunione con Dio e tra di noi in Dio, il celebrante come rappresentante dei fedeli, la gioia comune per la vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato. La prima dà più spazio all’Offertorio e a Canone; la seconda, alla liturgia della Parola, alla Comunione e alla predicazione.

Anche se col Concilio la Chiesa ha voluto una Messa nuova, potremmo dire “moderna”, certo ha evitato con cura il modernismo e – come tutti dovrebbero sapere – non ha mai soppresso o proibito, in linea di principio, la Messa antica, anche se la nuova è diventata quella “ordinaria”, almeno nelle strutture più ufficiali (parrocchie, istituti religiosi, diocesi, ecc.). Ma già a gruppi laicali è concessa libertà, in certe circostanze, di preferire la Messa tridentina. Ciò è divenuto ancor più chiaro col famoso Motu proprio del Papa.

Quello che invece ha introdotto nella Chiesa inquietudine, scandalo e divisioni è stata la diffusione e messa in pratica, non sufficientemente impedita dai Pastori e dalla stessa S.Sede, di idee moderniste sulla liturgia e sul suo fondamento teologico, che è la Redenzione di Cristo. Si sono infatti diffuse idee eretiche su questo punto di fede fondamentale, per cui si è negato il valore espiativo e riparatore del sacrificio di Cristo e nonché la sua funzione di soddisfazione vicaria, che pure era stata definita dal Concilio di Trento e ciò in forza di una concezione della divinità di Cristo intesa come “orizzonte della trascendenza umana”, in pratica una forma di panteismo (Rahner) o perché semplicemente si è negata la divinità di Cristo (Schillebeeckx), tornando ad antiche eresie cristologiche precalcedonesi, sotto pretesto di “superare Calcedonia” e di rispondere alle esigenze del “mondo moderno”.

Dalla falsificazione dei dogmi dell’Incarnazione della Redenzione discende logicamente nei suddetti autori la negazione del carattere sacro del sacerdozio per il quale nella Messa il celebrante agisce in persona di Cristo Capo. Per conseguenza la Messa non è più un “sacrificio”, ma viene assimilata alla “cena” luterana e tale comincia ad essere chiamata. Per conseguenza, secondo Schillebeeckx nella consacrazione eucaristica non c’è più la presenza reale di Cristo, non avviene più la transustanziazione, ma la “transignificazione”, ossia il pane resta pane, ma “significa” il corpo di Cristo. Insomma abbiamo un crollo di tutto il sistema dogmatico cattolico centrale, un po’ come se si fanno crollare le fondamenta di un palazzo, è logico che crolli tutto il resto.

Che fare allora davanti a questa situazione? Come ci esorta il Santo Padre, è più che mai urgente che tutti noi cattolici, che vogliamo essere fedeli al dogma, siamo su questo punto tutti uniti fra di noi, benchè ci sia lecito, nei dovuti modi e circostanze, preferire o la Messa nuova o la Messa antica. Ma nel contempo bisogna che tutti rifuggiamo sia da conservatorismi anacronistici ed inaciditi che da modernismi ereticali e scriteriati, colpendo concordemente il comune nemico che è l’eresia, senza per questo mancare di rispetto a coloro che ne sono vittime o anche difensori, ma proprio in vista del loro bene e della loro salvezza.

P.Giovanni Cavalcoli, OP



Dobbiamo confessare di non essere pienamente d'accordo su tutti i passaggi. Non dubitiamo in alcun modo della validità della nuova Messa (casi limite a parte), ma l'affermazione che una Messa novus ordo ben celebrata non abbia nulla da invidiare a quella tridentina, e perdipiù citando come culmen di eccellenza liturgica il buon Giovanni Paolo II (che fu ostaggio - volontario - della stravaganze guittesche escogitate dal Piero Marini), proprio non ce la coliamo.

E' importante ricordare che la struttura della "Messa del Concilio" (così la definisce P. Cavalcoli, ma in realtà è prodotto del postconcilio: quella del Concilio era il Messale del 1965) è 'a canovaccio' e ricorda le sceneggiature della Commedia dell'Arte: ogni passaggio prevede
ad libitum opzioni diverse numerose (e talvolta perfino infinite, tipo "od altra idonea invocazione"). In questo carattere 'aperto', che ricorda certi romanzi sperimentali strutturalisti, risiede buona parte dell'intrinseca debolezza della creatura bugninesca.

La Messa
novus ordo può certo raggiungere vertici di santa eccellenza, come è il caso delle celebrazioni di Papa Benedetto (e per questi esempi, non lo si loderà mai abbastanza) allorquando, delle 10.000 permutazioni possibili di quel gran libro dei mutamenti che è il Messale paolino, si scelgono sistematicamente quelle più vicine alla tradizione. Ma normalmente il celebrante ordinario preferisce recitare a soggetto, e quindi da quel vertice alto (che resta, comunque, un vorrei-ma-non-posso rispetto al rito di sempre) si precipita, nella normalità dei casi, nella ben nota banalità celebrativa che da quarant'anni sta mostrando i suoi limiti, la sua inefficacia nel trasmettere e suscitare la Fede, la sua endemica debolezza nel contrastare le eresie moderniste: in una parola, il suo fallimento.

venerdì 28 maggio 2010

Un'altra buona nomina: Mons. Gianni Ambrosio alla Commissione per l'educazione cattolica, la scuola e l'università.

Segnaliamo due nomine: una ottima (obiettivamente), la prima, e una meno buona (a nostro giudizio), la seconda.
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Ecco la prima
- S. E. R. Mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio (foto a destra) è il nuovo presidente della Commissione per l'educazione cattolica, la scuola e l'università, succede a mons. Diego Coletti.
Chi migliore di lui per tale incarico? L'ottimo Mons. Ambrosio, infatti è stato l'amato Assistente Generale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ruolo che ricoprì lodevolmente e con attento amore paterno, per due mandati (quinquiennali) consecutivi.
Dal nostro punto di vista, e con riferimento ai temi e ai valori a noi cari, tale nomina è salutata con sollievo e speranza.
Egli, all'epoca del suo incarico all'Ateneo cattolico (che ha voluto affetuosamente ricordare nel suo stemma episcopale -foto sotto- con il cuore squarciato di Cristo), accolse paternalmente le numerose richieste degli studenti e dei docenti che desideravano applicare il Motu Proprio anche all'Università. .
Mons. Ambrosio, con prudente determinazione e sapiente diplomazia, superò le imbarazzanti "interpretazioni giuridiche" oppostegli dalla Curia Milanese circa la celebrazione secondo il Motu Proprio nel territori della diocesi Ambrosiana, e con il nihil obstat (o meglio, con l'avvallo) di Roma e delle competenti Congregazioni e Commissioni, diede disposizioni affinchè si celebrasse mensilmente la S. Messa tridentina nella Cappella del Sacro Cuore, che di fatto, è di rito romano e non ambrosiano, e pertanto "al di fuori" dalla giurisdizione dell'Arcivescovo.
Anzi, fece di più: celebrò egli stesso la prima S. Messa tridentina cantata, nella cappella universitaria del S. Cuore, inaugurando così il ciclo (ora sono addirittura due) delle ss. messe tradizionali mensili nell'Ateneo, in ossequio ai desiderata Papa ( ...e con buona pace, aggiungiamo noi, del Cardinale).
.
Arrivato a Piacenza come vescovo, dopo attenta e prudente analisi, ed essendone stato informato, ritenne cosa buona e giusta favorire la Confraternita della B. V. del Suffragio, che, presso il proprio oratorio di San Giorgio, aveva dato inizio alle celebrazioni mensili della Messa tridentina con decisione unamine del consiglio (LINK 1) (LINK 2). .
Saperlo alla guida di una Commissione importante come quella dell'educazione dei giovani e degli studenti, che sono il nostro futuro (e tra i quali molti sappiamo essere sensibili e attenti alla liturgia antica) ci dà conforto e speranza!
.
Il nostro augurio a Mons. Ambrosio.
"Buon lavoro, Eccellenza! Continui così! Non si faccia intimorire dai "lupi travestiti da agnelli" che cercheranno di ostacolarla (parole di Benedetto XVI!). Perseveri con coraggio e con forza a sostenere il Papa. Dal sito della Sua diocesi, apprendiamo che Ella ha scelto di inserire nel Suo stemma la conchiglia: "...presente anche nello stemma del Santo Padre Benedetto XVI, vuole significare inoltre la devozione filiale del Vescovo verso il Papa che lo ha annoverato tra i successori degli Apostoli". Resti fedele, quindi, a questo proposito! Non lo tradisca! Il Santo Padre confida in Vescovi come Lei, che lo appoggino e lo difendano! Il Papa ha bisogno di Voi! Ad multos annos, Eccellenza!"
*
Ma ecco la seconda...
Su segnalazione di un attento lettore, riportiamo, una notizia che dà, ahinoi, motivo di preoccupazione.
Mons. Alceste Catella (vescovo della diocesi di Casale Monferrato), il cui modernismo liturgico è ben noto (è stato docente e preside dell' Istituto di Liturgia Pastorale [?] "S. Giustina" di Padova, fondato nel 1966 dai Monaci benedettini di S. Giustina di Padova, con l'approvazione dell'Episcopato triveneto per formare i sacerdoti, sia diocesani che religiosi, le religiose e i laici sui [nuovi] principi liturgico-pastorali proposti dal concilio Vaticano II), il 26 maggio scorso è stato eletto Presidente della Commissione CEI per la Liturgia!
Chissà?
. fonte: mons.alceste.catella.blog.com . le altre nomine.
Per completezza, ecco la lista delle nuove elezioni. (fonte ASCA) - Mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi, succede a mons. Bruno Forte;
- Mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi, presidente della Commissione per il servizio della carita' e la salute;
- Mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, presidente della Commissione per il clero e la vita consacrata;
- Mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente ecclesiastico dell'Azione Cattolica, presidente della Commissione episcopale per il laicato;
- Mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma,presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita, succede a Mons. Giuseppe Anfossi;
- Mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone, presidente della Commissione per l'evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese;
- Mons. Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia, presidente della Commissione per l'ecumenismo e il dialogo, succede a mons. Vincenzo Paglia;
- Mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata, presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali;
- Mons. Bruno Schettino, arcivescovo di Capua, è stato confermato presidente della Commissione per le migrazioni.

Immagini dal pellegrinaggio di Pentecoste

Eccovi una piccola selezione di immagini dal Pélé di Pentecoste. Le prime sono quelle dei pellegrini della S. Pio X (Fonte: La Porte Latine). Bisogna dire che sanno fare scatti magnifici

Questa è degna di Robert Capa


In marcia

L'arrivo... indovinate dove.

***

Ed ora invece dal Pellegrinaggio dei tradizionalisti 'romani' (Fonte: N.D. de Chétienté):


Messa al campo non significa necessariamente celebrare alla meno peggio





L'arrivo del card. Vingt-Trois




Comunione senza balaustre, ma certamente in ginocchio, come dev'essere.

L'arrivo nella cattedrale di Chartres.



Ed ecco un servizio televisivo della TV di Stato francese:





giovedì 27 maggio 2010

Salmo 1

Dominica ad Nocturnum

Salmo 1.

Beátus vir qui non ábiit in consilio impiórum,
et in via peccatórum non stetit, *
et in cáthedra pestiléntiae non sedit :

Beato l’uomo che non è andato nel consiglio degli empi
e nella via dei peccatori non ha sostato *
e sulla cattedra della pestilenza non si è seduto;

Sed in lege Dómini volúntas eius, *
et in lege eius meditábitur die ac nocte.

ma nella legge del Signore è la sua volontà *
e nella sua legge mediterà giorno e notte.

Et erit tamquam lignum,
quod plantátum est secus decúrsus aquárum, *
quod fructum suum dabit in témpore suo:

E sarà come l’albero †
piantato presso il decorso delle acque *
che darà il suo frutto a suo tempo

Et fólium eius non défluet : *
et omnia quaecúmque fáciet prosperabúntur.
e il suo fogliame non verrà meno*
e tutto ciò che farà prospererà.

Non sic ímpii non sic : *
sed tamquam pulvis,
quem próicit ventus a fácie terrae.

Non così gli empi, non così: *
ma come la polvere
che il vento disperde dalla faccia della terra.
Ideo non resúrgent ímpii in iudício: *
neque peccatóres in concílio iustórum :
Perciò non risorgeranno gli empi nel giudizio *
né i peccatori nel consiglio dei giusti:
Quóniam novit Dóminus viam iustórum *
et iter impiórum períbit.
perche conosce il Signore la via dei giusti, *
ma il cammino degli empi andrà in perdizione.


Commento di S. Alfonso

In questo salmo Davide vuol renderci persuasi che la felicità non si dona da Dio se non agli uomini giusti; e perciò dev'esser giusto chi desidera di esser felice.

Beatus vir qui non abiit in consilio impiorum et in via peccatorum non stetit. Beato l'uomo che non dà orecchio ai consigli degli empj e non cammina nella via de' peccatori. Et in cathedra pestilentiae non sedit, e non siede nella cattedra della pestilenza, cioè non insegna false e pestilenti dottrine (1).

Sed in lege Domini voluntas eius; et in lege eius meditabitur die ac nocte. L'uomo giusto vuole ciò che Dio ordina nella sua legge; e perciò continuamente la medita.

Et erit tamquam lignum quod plantatum est secus decursus aquarum; quod fructum suum dabit in tempore suo. Egli sarà come una pianta posta alla corrente delle acque, la quale ben darà il frutto a suo tempo.

Et folium eius non defluet; et omnia quaecumque faciet prosperabuntur. Questa pianta riterrà le sue fronde che gioveranno a render maturo il frutto; onde tutto quel che farà l'uomo giusto andrà tutto prosperamente.

Non sic impii, non sic; sed tamquam pulvis quem proiicit ventus a facie terrae. Ma non così avverrà agli empj; saranno essi dispersi come la polvere ch'è dispersa dal vento sulla terra. Nel testo ebraico in vece di pulvis si legge gluma (come porta il Pagnino), ch'è la paglia sottile o sia triturata, la quale vien portata dal vento quando si purga il frumento nell'aia.

Ideo non resurgent impii in iudicio. Nell'ebreo in vece di non resurgent si legge non stabunt; e secondo la traduzione caldaica (come scrive mons. Bossuet) si dice non subsistent; il che si spiega che gli empj nel giudizio finale non potranno opporsi alla giusta vendetta di Gesù Cristo (2) Neque peccatores in concilio iustorum. Né i peccatori potranno stare in compagnia de' giusti.

NOTE

(1) S. Girolamo traduce la parola pestilentiae in derisorum, che propriamente significa la parola ebrea derisori o sieno impostori che insegnano falsità. I settanta interpreti spiegarono: in cathedra pestium, cioè pestilente; il che in somma si riduce allo stesso significato ebreo, poiché gli empj (quali sono gli atei e gli eretici), come spiegano s. Atanasio, s. Agostino e s. Basilio, sono la peste del mondo per le false e perniciose dottrine che insegnano.

(2) S. Agostino spiega che non risorgeranno per esser giudicati, mentre sono già condannati: Non resurgent ut iudicentur, quia iam poenis destinati sunt. Qui si avverta che la parola non resurgent non significa che gli empj non risorgeranno nel giudizio finale; poiché si legge in s. Matteo c. 15. che tutti gli uomini, giusti e peccatori, avranno allora da risorgere, e più distintamente l'esprime s. Paolo: Omnes... stabimus ante tribunal Christi (Rom. 14. 10.) Ma lo stesso apostolo spiega poi come s'intenda il non resurgent del salmo; egli scrive così: Omnes quidem resurgemus, sed non omnes immutabimur (1. Cor. 15. 31.). E vuol dire che tutti gli uomini risorgeranno, ma non tutti avranno la sorte d'avere un corpo spirituale e celeste come l'otterranno i giusti, secondo antecedentemente nel verso 44. avea scritto: Seminatur corpus animale, surget corpus spiritale. E nel verso 49. avea soggiunto: Igitur sicut portavimus imaginem terreni, portemus et imaginem coelestis. E così ben si spiega la parola non resurgent col testo ebraico, che in vece di non resurgent dice non stabunt ossia non consistent, giusta la traduzione caldaica. Sicché le parole non resurgent impii in iudicio neque peccatores in concilio iustorum ora facilmente s'intendono con dire che gli empj, come polvere o paglia minuta, saranno dispersi dal vento e separati da' giusti che sono il frumento, secondo quel che scrive s. Matteo: Exibunt angeli et separabunt malos de medio iustorum (13,49).

Convegno in onore delle 'sentinelle' rimaste vigili nel sonno della ragione del postconcilio


Che dibattiti di questo genere, su Amerio & Co., il cui solo nome era proscritto da tutti i benpensanti clericali, si tengano oggi col patronato di un vescovo e con la tranquilla partecipazione di figure in vista nella Chiesa mainstream (scusate l'espressione), ci appare una notizia nella notizia che non mancherà di infastidire i tanti 'neoterici' ancora in circolazione. Ecco quanto riferisce del convegno Zenit, che ha intervistato il vescovo Negri di San Marino.

ROMA, mercoledì, 26 maggio 2010 (ZENIT.org).- Sono passati circa 45 anni dalla fine del Concilio Vaticano II, e mai come adesso, da più parti sta emergendo un intenso e profondo dibattito sugli insegnamenti e le implicazioni di questo avvenimento ecclesiale.

Tra le diverse interpretazioni, i Pontefici che ne hanno personalmente preso parte, quali Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno sostenuto una lettura secondo la cosiddetta ‘ermeneutica della continuità’, secondo la quale il Concilio non si pone in contrasto con il millenario "depositum Fidei" proprio della tradizione cattolica.

Come ha spiegato il Pontefice Bendetto XVI durante la sua visita a Fatima, secondo questo tipo di lettura non c’è rottura tra modernità e tradizione.

Per comprendere quella che il Papa ha ribadito come “ermeneutica della continuità” l’associazione Vera Lux (http://www.centroveralux.it/) ha organizzato a San Marino un incontro di studio sul tema “Passione della Chiesa. Amerio e altre vigili sentinelle”.

Il convegno parte dall’opera del teologo Romano Amerio (1905-1997) “Iota Unum. Studio sulle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX” per proporre una articolata indagine sul periodo post-conciliare. Al convegno interverranno tra gli altri don Nicola Bux, il prof. Matteo D’Amico e padre Giovanni Cavalcoli O.P. La giornata di studi sarà presieduta e conclusa con una riflessione sulla figura di Benedetto XVI, da monsignor Luigi Negri Vescovo di S.Marino-Montefeltro.

Considerando il grande interesse che sta nascendo intorno al Convegno, ZENIT ha rivolto alcune domande a monsignor Negri.

- Lei ha conosciuto personalmente Amerio?
Monsignor Negri: Ho conosciuto personalmente Romano Amerio perché è da lui che avevo ricevuto un suggerimento molto preciso per orientare i miei studi di filosofia sulla personalità di Tommaso Campanella a cui egli aveva dedicato una consistente parte della sua attività di studio e di insegnamento. Debbo a lui la riscoperta di questo grande autore che normalmente la storiografia laicista fa passare come uno degli antesignani della rivolta moderna contro la tradizione cattolica e che, invece, è un singolare testimone di un cattolicesimo che certamente riconquista a partire da più di un cedimento nei confronti di una mentalità laicista. Questo è il motivo di grande gratitudine che ho verso Amerio il quale per altro è stato per decenni insegnante al Liceo Cantonale di Zurigo, uno dei punti di maggiore impatto culturale non soltanto per il Canton Ticino, ma anche per buona parte dell’Italia.

- E’ di grande attualità la discussione circa l’ermeneutica del Concilio Vaticano II, su cui Amerio ha molto riflettuto e scritto. Nel famoso volume - “Iota unum” - tradotto in varie lingue, Romano Amerio racconta di cosa accadde al Concilio Vaticano II e della crisi postconciliare, indicando quelle incrinature nella solidità della fede che ancora oggi feriscono la Chiesa. Potrebbe illustrarci il senso e la ragione di questa analisi critica?
Monsignor Negri: La lettura spassionata, a tanti anni di distanza, del libro “Iota unum” è la dimostrazione che Amerio aveva intuito come si stesse operando una frattura fra la tradizione e un certo modo di interpretare il Concilio Vaticano II. La sua quindi rappresenta una testimonianza intelligente e vissuta fino in fondo, espressa non senza sofferenza di questa frattura che si andava delineando e in cui l’interpretazione “modernista” o, come amava dire lui, “neoterica” del Concilio rischiava di mettere in crisi tutto un dato della tradizione dalla quale non si poteva prescindere. Nel suo volume emerge chiara la situazione così come l’ha delineata Benedetto XVI dicendo che ormai bisogna chiudere la vicenda della contrapposizione fra le ermeneutiche e imboccare la strada della continuità ermeneutica. Che poi in questa ri-lettura del Concilio - o meglio di tutto ciò che si è provocato dentro e fuori il Concilio - operata da Amerio qualche volta ci sia un po’ di accanimento risulta perfettamente comprensibile.

- Qual è il principale contributo che questa giornata di studi potrà fornire?
Monsignor Negri: Io parteciperò a questo convegno come relatore parlando di Benedetto XVI e sono stato lieto di accogliere questa giornata di studi a S. Marino perché mi pare che nella linea del magistero di Benedetto XVI possa rappresentare un contributo su alcuni nodi molto importanti della storia recente della teologia che, una volta recuperati in modo critico, potrebbero favorire il dialogo e lo sviluppo della cosiddetta ermeneutica della continuità.

* * *

Sulle motivazioni che hanno condotto all’organizzazione della giornata abbiamo rivolto alcune domande a uno dei promotori, Lorenzo Bertocchi, studioso di Storia del Cristianesimo e appartenente al Centro Culturale “Vera Lux” di Bologna.

- Perché avete deciso di dedicare un Convegno a Romano Amerio?
Bertocchi: Fin dalle origini la Chiesa ha sempre vissuto sofferenze e ostilità provenienti sia dal suo interno che dall’esterno, ma ha potuto contare sulla presenza di “sentinelle” che, per grazia di Dio, hanno saputo illuminarla su pericoli e rischi. Tra i pericoli va annoverato anche il tema della corretta interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, infatti, a partire dal famoso discorso alla Curia Romana del 2005 più volte Benedetto XVI è tornato sul tema della cosiddetta ermeneutica della continuità. La confusa interpretazione del Concilio, infatti, non è priva di conseguenze per la vita della Chiesa. In questo contesto Romano Amerio con la sua opera “Iota unum” ha proposto un’ articolata indagine sul tormentato periodo post-conciliare, non a caso il libro si chiude con queste parole: «Custos quid de nocte?» («Sentinella, che notizie porti della notte?») (Isaia 21, 11). Ecco perché il Convegno pone una particolare attenzione su Amerio, ma va ben oltre sottolineando anche l’opera di altre “sentinelle” come il Servo di Dio P. Tomas Tyn O.P. e soprattutto il Card. Joseph Ratzinger oggi Benedetto XVI.

- Quali sono i fini che vi proponete di raggiungere con il Convegno?
Bertocchi: Per rispondere vorrei citare un passaggio di Benedetto XVI nell’udienza generale dello scorso 10 marzo: “Grazie a Dio i timonieri saggi della barca di Pietro, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, da una parte hanno difeso la novità del Concilio e dall’altra, nello stesso tempo, hanno difeso l’unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di Grazia.” La giornata di studi promossa dal Centro Culturale Vera Lux quindi vuole animare il dibattito teso a sviluppare “l’unicità e la continuità della Chiesa” nel solco del Magistero e nella consapevolezza che la chiarezza dottrinaria non è solo un fatto elitario o intellettualistico, ma ha conseguenze importanti per tutto il popolo di Dio che facilmente può essere confuso da errori o interpretazioni eterodosse.

Narcisismi episcopali





Un'opportuna legge dello Stato vieta di erigere monumenti pubblici o dar nomi alle strade di persone ancora in vita. Un segno, in fondo, di democrazia: ché altrimenti il potente di turno potrebbe facilmente, per vanagloria o per allettamento di interessati adulatori, finir celebrato nella toponomastica.

Ceausescu, Stalin, Mussolini, Kim il Sung, queste remore non le avevano ed uno dei più inquietanti fenomeni del XX secolo è stato il culto della personalità.

Ora, dato che la storia, quando si ripete, degenera in farsa, l'arcivescovo di Salerno Gerardo Pierro ha pensato bene di autocelebrarsi facendo erigere una bella statuona con la sua effigie di quattro-metri-quattro nel seminario arcivescovile da lui dedicato a Giovanni Paolo II.

L'opera è stata inaugrata in questi giorni. Eppure, c'è ben poco da celebrare nella figura dell'arcivescovo che, per grazia di Dio e sollievo della Sede Apostolica, ha compiuto i 75 anni e sta preparando le valigie. Contro di lui non grida solo il fatto, comunque gravissimo, di aver dato voce tra i primi alla resistenza contro l'applicazione del motu proprio; ma ancor più la scandalosa, anzi criminosa condotta nella gestione della diocesi. Sulla quale, è notizia di questi giorni il suo rinvio a giudizio per truffa aggravata ai danni dello Stato, tentata e consumata, falso e abuso edilizio: l'Eccellenza aveva carpito due milioni e mezzo di finanziamento dalla Regione Campania per ristrutturare una casa-vacanze per non abbienti, che si era invece trasformata in un lucroso hotel di lusso.

Ecco quanto scriveva di lui Repubblica il 26 giugno 2008:

...Nel rosario dei reati supposti e temuti, denunciati o solo ventilati, non manca nulla: truffa, aggravata e non, pratiche ai confini dell'usura, investimenti finanziari ai limiti della legge, lottizzazioni più o meno abusive, pratiche religiose tra lo scabroso e il noir. I soldi, puliti o anche sporcati da menti criminose, stanno facendo affondare tutta la Diocesi nella vergogna di essere raccontata più dai fascicoli processuali che dalle sue opere di bene.

Sono oramai cinque anni che le gerarchie vaticane sono raggiunte da esposti firmati da preti e diretti contro altri preti salernitani. Da cinque anni, a singhiozzo, la Procura della Repubblica è chiamata a indagare, i finanzieri a perquisire, i tecnici della Banca d'Italia a valutare. Non c'è pace per questa chiesa, non c'è tregua per questo vescovo. La polizia criminale identifica e convoca chiunque abbia una tonaca. Sono più di trenta i sacerdoti che hanno dovuto rispondere a verbale. In trenta, cifra monstre, hanno varcato il portone del tribunale per difendersi o accusare, spiegare o solo ricordare. Per il vescovo una via crucis infinita. Viene dunque alla mente, e assume un significato più denso, un altro passaggio della sua omelia domenicale: "Mi sento molto più sicuro quando i carabinieri sono con me".

L'ultimo esplosivo dossier spedito in Vaticano (e per conoscenza al Procuratore della Repubblica) porta la data dell'8 febbraio scorso ed è sottoscritto dal presidente dell'Istituto per il sostentamento del clero, don Matteo Notari. L'istituto gestisce le finanze della Chiesa e nelle sue casse entrano i soldi dell'otto per mille. In diciassette cartelle inviate al segretario di Stato, ai prefetti della Congregazione dei vescovi e del clero, e al Nunzio apostolico, enumera le anomalie di affari economici gestiti dalla diocesi di Salerno. Don Notari, poi non più proposto per la carica, denuncia il Vescovo, lo accusa di colpevoli omissioni: una colonia per ragazzi poveri ristrutturata con i fondi regionali e con l'otto per mille. La colonia viene però ceduta a una associazione privata a titolo gratuito. E qui il primo miracolo si compie: da colonia per poveri ad albergo per ricchi. La sala mensa trasformata in sala relax, al posto del biliardino la sauna, camere vista mare, e campi da tennis e tutto quel che serve per la trasformazione. Anche un nome nuovo: l'Angellara Home. Leggiamo dal sito web: "La deliziosa location ne fa la meta ideale per chi desideri coniugare una vacanza di sapore culturale al piacere di un soggiorno balneare". La location è però venuta deliziosa grazie ai fondi regionali, un finanziamento pubblico di tre milioni di euro consegnato da Bassolino che in pompa magna è andato persino a inaugurare il primo lotto dei lavori per il completamento del villaggio dei poveri. Un qui pro quo!

E un altro formidabile fraintendimento stava per accadere quando l'arcivescovo chiese all'istituto per il sostentamente del clero di deviare 500mila euro verso la spiaggia. "Cinquecentomila euro? E per fare cosa?", rispose il sacerdote che gestiva la cassa. Per realizzare una "spiaggia attrezzata per i presbiteri". Panche, sdraio, capanni, un campo da tennis. Il corpo affaticato dei presbiteri, prima che il loro spirito, si sarebbe dovuto ristorare in riva al mare. La tonaca a posto ma i piedi nell'acqua, magari anche con una bibita ghiacciata tra le mani.

I soldi non sono stati scuciti, ma l'idea è valsa un'altra denuncia. E ancora altri esposti, veramente una massa critica notevole, hanno raggiunto e oramai occupato anche gli anfratti delle stanze del Vaticano. Il cardinale Re è sepolto da questa teoria di accuse o solo sospetti, e tutti in qualche modo si dirigono contro il vescovo e le omissioni di cui si sarebbe reso responsabile.

Strano vescovo in verità monsignor Pierro. L'unico pastore a mettersi in coda nello scorso ottobre davanti al seggio dove si svolgevano le primarie del Pd: "Embè?". Impossibile a credersi, ma sui giornali locali resta impressa un'altra memorabile prova che ha concesso alla città: in ginocchio, alla destra del cardinale Martino che esibisce sull'altare della cattedrale di Salerno l'omaggio appena ricevuto dal suo riverito confratello: un rolex d'oro. Il rolex (corpo di Cristo?) è mostrato agli allibiti fedeli.

Con Pierro al comando tutto è possibile. E infatti tutto è già successo. Un processo, (siamo agli inizi del 2000) per appropriazione indebita. Indagine poi archiviata, ma densa di altri veleni: l'oggetto dell'inchiesta era una raccolta privata di danaro a fini speculativi. Investimenti in borsa, acquisto di valuta estera. Promotore il rappresentante dell'epoca dell'istituto per il sostentamento del clero, don Generoso Santoro. Lo stesso che in questi giorni è tornato davanti ai giudici per altri soldi, centinaia di migliaia di euro, racimolati da singoli investitori e poi un po' (forse) svaniti. Il vescovo dice di non sapere, l'avvocato del prete dichiara che il suo cliente si sente "minacciato" dal vescovo. Il Pm aggiunge carte alle carte. Minacce, lettere, anonime e non, telefonate minatorie e anche molto di più.

Una Chiesa costellata da scandali: ora la religiosa peruviana che partorisce, ora il parroco del comune di Acerno che non trova più nei registri immobiliari il centro sportivo parrocchiale: venduto, donato, boh! Ora la comunità di accoglienza per ragazze madri messa in vendita, al miglior offerente, per sei milioni di euro. E una lottizzazione plurimilionaria in Baronissi, e i rapporti di fratellanza e di affari con i massoni della città. Non c'è più inchiostro per descrivere tutte le croci che deve portare sulle spalle questo monsignore, curato di campagna, chiamato oltre ogni ragionevole prudenza a guidare un gregge composto da lupi.


A nostra conoscenza, c'è solo un altro arcivescovo che, prima di mollar la poltrona, si sia fatto costruire coi soldi della Chiesa una statua, anzi in quel caso un bronzeo bassorilievo. E' l'ormai ben noto arcivescovo Weakland, quello che sperperò i fondi diocesani per pagare, a suon di centinaia di migliaia di dollari (450.000$), il suo amante che minacciava di denunciarlo per gli abusi subiti quand'era studente di teologia. Sapete qual è il soggetto del bassorilievo, che vedete qui sotto (Weakland è quello, riconoscibilissimo, a sinistra con la mitra)? Non ci crederete, ma è "l'arcivescovo Weakland protettore dell'infanzia".

Traguardo ineguagliabile di ipocrisia: l'arcivescovo Weakland, il cui malfamato ricordo resterà comunque aere perennius (anche per i disastri liturgoclasti che fece come presidente della commissione applicativa della riforma postconciliare negli USA), può ben definirsi, sia in senso letterale che figurato, una bella faccia di bronzo!