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mercoledì 26 maggio 2010

L'agenda dei controriformisti

Ecco un bell'articolo di Rodari. Rendiamogliene merito. (il sottolineato è nostro)

Il vaticanista Sandro Magister dice una cosa che vale la pena ricordare quanto si è di fronte alle richieste di riforma provenienti da una certa base del cattolicesimo, da coloro per i quali il dissenso è divenuto il centro della propria vita di fede: “Nei momenti cruciali, quando la chiesa è maggiormente in difficoltà anche a motivo dei peccati dei suoi componenti, i Pontefici hanno fatto sempre una cosa: rafforzare il celibato sacerdotale. La riforma gregoriana, ma anche quella tridentina, su questo caposaldo si sono affinate. Sulla ricerca di un clero scelto, una squadra di combattenti forti e virtuosi capaci di accettare la mortificazione del corpo a gloria di Dio e per il bene di tutta la chiesa. Preti celibi, preti sposi soltanto della chiesa. E anche Benedetto XVI sta facendo la medesima cosa. Altrimenti non si spiegherebbe perché la straordinaria indizione di un anno dedicato ai sacerdoti il cui testimone principe è il curato d’Ars, un prete che visse il celibato totalmente, spendendo ogni energia per i suoi fedeli attraverso la celebrazione dei sacramenti”.

Il fuoco contro il celibato sacerdotale, in questo anno dedicato ai preti, è particolarmente insistente. Gli attacchi fanno male perché vengono da dentro la chiesa, dal suo interno, dai suoi uomini. Non si tratta soltanto di dichiarazioni estemporanee di qualche vescovo della periferia dell’impero. Si tratta di uscite inaspettate di vescovi ritenuti vicini (anche idealmente) a Roma. A loro dire è impellente trovarsi a parlare, a confrontarsi e a discutere, del celibato. Che, fuori dall’ecclesialese, significa una cosa: eliminarlo. Perché soltanto riformando il cuore della vita della chiesa, appunto il sacerdozio, una vera rivoluzione in scia allo spirito dei tempi può avere luogo. Le dichiarazioni anti celibato di qualche giorno fa di monsignor Paul Iby, vescovo del Burgenland, sono soltanto ciò che emerge di una pressione sempre più intensa e sistematica. Una rivolta alimentata anche dall’evidente appoggio di alcuni cardinali. Tre giorni fa l’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, ha detto di capire “le preoccupazioni” di Iby: “Le preoccupazioni sollevate dal vescovo Iby sono le preoccupazioni di tutti noi”. Parole ascoltate con gravità oltre il Tevere, soprattutto alla luce del fatto che il Papa, indicendo l’anno sacerdotale, ha proposto altri modelli. L’ha ricordato due giorni fa sull’Osservatore Romano, probabilmente non a caso, il segretario del Clero, monsignor Mauro Piacenza: “L’anno sacerdotale nasce da una ricorrenza ben precisa, il centocinquantesimo anniversario della nascita al cielo del curato d’Ars, e proprio per indicare un’autentica realizzazione del modello sacerdotale”. E poi l’affondo sul celibato, il cui fondamento è in Cristo: “Non basta dire che Cristo e la sua vita furono verginali, la verginità non è qualcosa di aggiunto all’esistenza terrena di Cristo, ma appartiene alla sua stessa essenza. Cristo è la verginità stessa e quindi ne è il modello. Certamente esistono molteplici ragioni di convenienza del celibato, sia sotto il profilo storico sia biblico, sia sotto quello spirituale e pastorale, tuttavia fondamentale è aderire alla fonte di tutto: Cristo stesso”.

C’è chi ricorda che la chiesa di fatto già ammette i preti sposati: diverse comunità anglicane sono state da poco riammesse alla piena comunione con Roma, sacerdoti sposati compresi. E poi si rammenta l’esperienza delle chiese cattoliche di rito orientale: anche qui ci sono sacerdoti coniugati. Don Nicola Bux, consultore della Dottrina della fede, ci tiene però a puntualizzare un po’ di cose. Dice: “Anzitutto vorrei domandare a questi cardinali che continuamente chiedono aperture e nuove discussioni: ha forse ragione Karl Ranher quando sostiene ne ‘I nuovi saggi’ che i cardinali conoscono a mala pena ciò che hanno imparato nelle lezioni di teologia mentre non sanno nulla della dottrina cattolica? Forse sì. Forse ha ragione Rahner. Tra l’altro vanno fatti alcuni chiarimenti sui preti sposati orientali. Questi propriamente non sono preti sposati nel senso che erano sposati già prima dell’ordinazione. Ai preti, infatti, non è concesso il matrimonio. Tecnicamente occorrerebbe chiamarli ‘sposati-ordinati preti’. E la cosa non è senza senso: è un sintomo evidente dell’antica tradizione comune con l’occidente che non ammette a chi è ordinato di accedere al matrimonio. Inoltre va ricordato quando e come l’oriente aprì ai preti sposati. Fu durante il Concilio di Trullo che si svolse a Costantinopoli nel 692. Di fatto questa apertura fu un cedimento. Perché occorre dirlo anche se forse è poco ecumenico: nella cristianità soltanto i cattolici di rito latino non hanno ceduto. Orientali, ortodossi e protestanti sono stati meno forti e decisi”.

Don Luigi Negri, vescovo di San Marino e voce ascoltata nella galassia ciellina, dice che “la situazione è grave”. Perché? “Ci sono vescovi che prendono posizioni direttamente contrarie alla dottrina. Aprono su questioni sulle quali il Papa ha già detto cose di fatto definitive. Vorrei ricordare che molte dichiarazioni di Giovanni Paolo II erano prossime all’essere considerate come pronunciate ex cathedra, e dunque infallibili. Invece ci sono alcune autorità della chiesa che chiamano in causa il magistero giustificandolo agli occhi della mentalità dominante. Dimenticano Jean Guitton de ‘Il Cristo dilacerato’. E’ un breve saggio che scrisse di getto durante il Concilio. Disse che l’eresia si verifica quando è il mondo che giudica la fede, che chiama la fede a giustificarsi. Io contesto questa mentalità smascherata da Guitton perché non è più cristiana. E mi sgomenta che siano autorità della chiesa a fare proprie queste posizioni”.

Il Papa ha parlato più volte del valore del celibato. Il 12 marzo si trovava a Castel Gandolfo. Qui ricevette i partecipanti a un convegno teologico. Parlò del “valore sacro del celibato”. E affondò il colpo contro le mode che vogliono far sì che anche il sacerdote si adegui, spirito e anima, al mondo. Disse: “Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire e amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale, dal suo essere profondo. Di conseguenza, deve porre ogni cura nel sottrarsi alla mentalità dominante, che tende ad associare il valore del ministro non al suo essere, ma alla sua funzione, misconoscendo, così, l’opera di Dio, che incide nell’identità profonda della persona del sacerdote, configurandolo a sé in modo definitivo”. Il richiamo all’abito non è senza senso. L’abito è un segno. Uno schiaffo in faccia al mondo. Ed è anche una forma di difesa dalle insidie e dalle tentazioni del mondo. Eppure, nel post Concilio, alcuni l’hanno abbandonato. E chi teorizza che sia giusto così, dimentica Giovanni Paolo II. Racconta un frequentatore dell’appartamento wojtyliano: “Un giorno arrivò al Papa l’annuario dei vescovi brasiliani. C’erano i loro nomi e cognomi, gli indirizzi, e anche le foto. Il Papa lo aprì e, pochi secondi dopo, lo scagliò contro il muro con violenza. Nelle foto molti vescovi erano in giacca e cravatta. Erano i tempi in cui la teologia della liberazione andava forte e faceva proseliti. Il Papa non sopportava un simile tradimento”.

Attacco al celibato, attacco al cuore della vocazione sacerdotale, fino agli attacchi alla liturgia, il luogo dove i fedeli, grazie ai ministri di Dio, appunto i sacerdoti, incontrano il mistero. Un Papa, Benedetto XVI, che indice l’anno sacerdotale per ritrovare il baricentro. Per ricordare qual è la giusta direzione. Anche se, a onor del vero, già molto aveva detto quando era cardinale e, ancora prima, vescovo e teologo. Per quanto riguarda la liturgia non si può non ricordare il suo “Introduzione allo spirito della liturgia”, un cult alla stessa stregua del libro a cui Ratzinger si rifà, quel “Lo spirito della liturgia” di Romano Guardini pubblicato nella Pasqua del 1918 come volume inaugurale della collana “Ecclesia Orans” a cura dell’abate Herwegen: l’opera che, come scrive Ratzinger, “inaugurò il movimento liturgico in Germania. Essa diede il suo contributo perché si celebrasse la liturgia in maniera essenziale”. Per Ratzinger la riforma liturgica che ha portato il sacerdote a pregare versus populum ha introdotto “una clericalizzazione quale non si era mai data in precedenza. Ora infatti il sacerdote diviene il punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. E’ lui che bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde; è la sua creatività a sostenere l’insieme della celebrazione”. Invece “l’atto con cui ci si rivolgeva tutti verso oriente non era celebrazione verso la parete, non significava che il sacerdote volgeva le spalle al popolo: egli non era poi considerato così importante”.

Alessandro Gnocchi dice che l’attacco al clero, al significato profondo del sacerdozio e quindi alla liturgia, ha le sue radici nell’immediato post concilio. “Anche se – spiega – già nella riforma dei riti della settimana santa del 1955-56 messa in campo, tra gli altri, da monsignor Annibale Bugnini ci furono dei prodromi di questo attacco: i cambiamenti stravolsero i riti secolari. Per la domenica delle Palme viene introdotta una ritualità verso il popolo e con le spalle alla croce e al Cristo dell’altare, il Venerdì santo si riducono gli onori da rendere al Santissimo e si altera la venerazione della croce con il risultato di oscurare la natura sacrificale dell’ultima cena. Per il Lunedì santo si proibisce la preghiera contra persecutores ecclesiae e la preghiera per il Papa”. Perché queste riforme? Difficile rispondere. Secondo padre Carlo Braga – lavorò a stretto contatto con Bugnini – questa riforma fu la “testa d’ariete” che scardinò la liturgia romana dei giorni più santi dell’anno. Secondo Annibale Bugnini, invece, la prima occasione d’inaugurare un nuovo modo di concepire la liturgia. Allora furono alcuni episcopati, e anche vari liturgisti come Léon Gromier, consultore della Congregazione dei riti e membro dell’Accademia pontificia di liturgia, a lamentarsi. Ma con pochi risultati: Pio XII non aveva forse più la forza di reagire e la riforma passò. E a poco valse un segno lanciato qualche tempo da Giovanni XXIII: nel 1959, nella sua celebrazione del Venerdì santo a Santa Croce in Gerusalemme, celebrò seguendo le pratiche tradizionali.

Bugnini fu il principale protagonista della riforma liturgica. Una riforma che ha cambiato, di fatto, la vita dei fedeli e, insieme, quella dei preti. Dice Gnocchi: “Anzitutto il prete ha iniziato a celebrare ‘verso il popolo’ e non più ‘spalle al popolo’, ovvero volgendo il suo sguardo verso oriente, verso Cristo che viene. Questa è stata una svolta drammatica. Il prete è diventato un protagonista, quasi uno showman, al fondo il padrone della liturgia. In questo modo si è persa la dimensione verticale della celebrazione in favore di una dimensione circolare. Tutto è dentro un circolo chiuso composto dal prete e dai fedeli. Cristo resta fuori. Tant’è vero che il Santissimo è alle spalle del prete. Questa circolarità ha fatto sì che si perdesse il concetto di presenza reale di Cristo. Dell’eucaristia quasi ci si dimentica. Tutto è chiacchiera umana. Tutto è liturgia della parola. Prima del concilio il celebrante sedeva a lato dell’altare così tutti guardavano a Cristo. Oggi siede dietro l’altare. E tutti sono costretti a guardare lui”.


Fonte: blog di Rodari

19 commenti:

  1. <span><span>Cascano le braccia!!!!!!!!</span></span>
    <span><span>E dire che il tradizionalissimo  e santo cardinale Giovanni Colombo nel 1965, in occasione dell’introduzione della lingua italiana nella messa, scriveva che “un’anima vale più di tutto il latino”. </span></span>
    <span><span></span></span>

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  2. bhe evidentemente non sapeva che grazie alla riforma liturgica di anime se ne sarebbero perse a miliardi.

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  3. cominicino anche i tradizionalisti a credere a Medjugorje

    (Messaggio del 25 maggio 2010)
    "Cari figli, Dio vi ha dato la grazia di vivere e proteggere tutto il bene che è in voi ed attorno a voi e di esortare gli altri ad essere migliori e piu santi, <span>ma satana non dorme e attraverso il modernismo vi devia e vi guida sulla sua via</span>. <span>Percio figlioli, nell’amore verso il mio Cuore Immacolato amate Dio sopra ogni cosa e vivete i Suoi comandamenti</span>. Cosi la vostra vita avrà senso e la pace regnerà sulla terra.Grazie per avere risposto alla mia chiamata."

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  4. .......i preti che si siedono...mostrando la schiena al Cristo...mi fanno schifo!!!! E' per guardar loro..non ci vado in chiesa!!!Che si vergognino!!!

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  5. Un'anima vale più di tutto il Latino, di tutto 'italiano, di tutto 'inglese, di tutto il francese, di tutto il russo............. L'unica differenza è che col latino si perdono meno anime per equivoci.

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  6. O quando un vescovo francese scrive un testo per l`Europa, senza fare un solo accenno alle sue  radici cristiane....

    http://www.perepiscopus.org/article-mgr-dubost-le-poete-50728940.html

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  7. Prima le anime si perdevan a causa del latino. Giudizio di santo e tradizionalissimo. E superficialità di chi pensa che il problema sia solo la lingua.

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  8. Ah, oggi Rodari vi piace...

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  9. <span>ogni volta che la Chiesa si è lacerata, si è lacerato anche il Corpo mistico. La storia insegna che da queste grandi crisi sono nate le più importanti sintesi teolgiche . Lo Spirito agisce sempre per il bene.</span>

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  10. cominciamo prima di tutto a credere al vangelo, poi se avanza tempo anche a medjugorje

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  11. Veramente approfondita l'analisi di Rodari che dimostra conoscenza delle problematiche liturgiche fin dal capitolo della riforma della Settimana Santa del 1956. Un articolo di uomo colto e informato. Grazie Rodari e "tanto di cappello" per la sua onestà intellettuale.

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  12. Sappiamo riconoscere il "buono" ovunque esso sia presente, non siamo ideologi giacobini.

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  13. evidentemente hanno capito che il vento incomincia a spirare da un'altra parte e si adeguano, magari nel prossimo emssaggio faranno pubblicità a questo blog :-D

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  14. Come dire, hegelianamente: tesi - cattolicesimo arteriosclerotico; antitesi-eresie d'ogni genere; sintesi Vaticanop II?
    Non ci sto.

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  15. Non bisogna essere per forza hegeliani per parlare di sintesi! si potrebbe benissimo essere tomisti! e magari vi fosse qcuno che scrivesse con la stessa forza e autorevolezza di S. Tommaso una novella Summa Theologiae! (in fondo Summa non vuol dire "sintesi"?) ;)

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  16. Sono un po' perplessa... E' possibile che la Madonna usi il termine "modernismo"? fin'ora i messaggi che ho letto erano tutti più o meno simili e non parlavano in modo così preciso. Siamo sempre lì... astuzia? o c'è qcosa di vero?

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  17. Le rivelazioni private, anche se confermate dalla Chiesa, restano private e bisogna stare molto attenti a non abusarne. Questa la norma generale, se poi si tiene conto che quelle di Medjugorje non sono ancora state confermate dalla Chiesa ne si evice che i proverbiali piedi di piombo sono più che doverosi. Indipendentente da quel che dice la rivelazione privata, tradizionalista o progressista che la si voglia intendere.

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  18. Se uno dice cose giuste non ho problemi a dirlo, così come non gliele mando certo a dire se dice sciocchezze.

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  19. Sì, ma inseriscila nel contesto dl discorso. sembra quasi che le eresie e la lacerazioni siano necesssarie per una sintesi.

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