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venerdì 8 gennaio 2010

Sull'uso della Messa anteriore alla riforma

di Valentino Donella


Sono passati più di due anni dall'uscita del motu proprio di Benedetto XVI Summorum pontificum sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. Vorremmo ritornare su quel documento, che a suo tempo tante discussioni e sorde avversità ha suscitato, per indagare e cercare di capire quel che è avvenuto in seguito alla sua promulgazione; in riferimento, soprattutto, alla consentita celebrazione della Messa secondo il vecchio rito di Pio V - Giovanni XXIII. Mi limiterò a riferire la mia personale esperienza, raccontando quello che ho visto e sentito, azzardando poi qualche umilissima riflessione. Senza entrare nel merito delle questioni ancora dibattute e delle innegabili difficoltà organizzative e pastorali sorte con la liberalizzazione dell'antico rito. In questi due anni molte comunità hanno chiesto e ottenuto di poter avvalersi della facoltà di celebrare la vecchia Messa; io ho cercato di seguirne una, frequentandola di tanto in tanto da semplice fedele, pregando e osservando dai banchi. Ho trovato una piccola assemblea di 40-50 persone, che si riuniscono ogni domenica mattina, alle ore 9, in una chiesetta della città: anziani per lo più, ma anche giovani e bambini appartenenti a intere famiglie; un pò spaesati i primi tempi, imbranatissimi nel tentativo di cantare la Missa De Angelis, l'Adoro te devote e la Salve Regina gregoriana. Anche il celebrante, aiutandosi con fogli e cartegloria, agli inizi, si mostrava incerto nelle trame di un cerimoniale desueto, anche per il fatto di non averlo mai praticato per ragioni anagrafiche.

Ho constatato che entrambi, fedeli e sacerdote, si sono via via impratichiti del rito, e hanno imparato a cantare con più sicurezza; l'ultima volta li ho sentiti intonare l'Orbis Factor, per intero, col Credo I. Cè sempre l'organo ad accompagnare il canto e a preludiare e interludiare, suonando anche
durante il Canone dalla consacrazione al Padre nostro. Per i testi, i fedeli si servono di sussidi recanti il latino e la traduzione italiana.

Questo per gli aspetti esteriori. Inevitabilmente però mi sono chiesto e continuo ad interrogarmi sulle ragioni interiori che portano questi cristiani (in estrema minoranza, poi, in una città di 130 mila abitanti) a scegliere il rito di Pio V, isolandosi inevitabilmente dal resto della comunità. Qui entriamo nel profondo delle coscienze, sfiorando sentimenti personalissimi non sempre espressi e non facilmente indovinabili.

Per i più anziani potrebbe giocare la nostalgia degli anni giovanili, nei quali appunto i preti celebravano in quel modo; quella Messa, ritrovata oggi, ha scandito il loro cammino di fede fatto con i genitori scomparsi, a fianco di coetanei e amici, forse persi di vista: tutto un mondo che ritorna e che sentono di poter rivivere con emozione.

Per altri potrebbe trattarsi di curiosità, mista a qualche innocente dose di gusto per l'esotismo, per il mistero e la diversità; quindi un pò di snobismo, rilevabile da un certo modo di comportarsi e di intrattenersi, messalino alla mano, sul sagrato della chiesa. Cose che - di per sè - nulla tolgono alla sincerità del loro pregare. Ne siamo sicuri.

Ci risulta, infine, che non pochi cristiani si rifugiano nella Messa riesumata come ad un' ultima spiaggia per evitare la Messa corrente troppo disturbata, troppo manipolata, troppo chiassosa.
Più volte ci è capitato di sentire qualche cristiano - nè vanesio, né maniaco - lamentarsi per non riuscire a trovare una celebrazione decente in un raggio ragionevole di spazio. Ho conosciuto un professore che, tra il serio e il faceto, non esitava ad incolpare il vescovo di fargli perdere talvolta la messa domenicale, sempre per il fatto che nella sua zona risultava problematico imbattersi in una Messa ascoltabile.

Del resto fu proprio un vescovo, un altro vescovo, a chiedersi in una omelia se i fedeli venendo a Messa imparano veramente a pregare. Commenti soffocanti, battimani come a teatro, canti sguaiati, strumenti impropri suonati male e soprattutto le continue, ingiustificate e arbitrarie manipolazioni dei celebranti, convinti che con la riforma la liturgia sia diventata cosa del popolo, in cui valga la regola del "fai da te" e "dell' inventa più che puoi".

I cristiani pensosi, pur non sapendo di liturgia o di teologia, hanno un senso innato col quale avvertono le anomalie di troppe celebrazioni; i più, purtroppo, si rassegnano; alcuni fuggono a cercare un pò di raccoglimento e un sacerdote che si limiti a fare da pontifex, cioè da ponte tra Dio e i credenti, con le parole e solo quelle che la Chiesa gli ha preparato. Il silenzio, la possibilità di raccoglimento li trovano appunto nella Messa di Pio V - Giovanni XXIII.

Per me, fedele e osservatore occasionale, la Messa anteriore al 1970 ha sempre fatto l'effetto di un salto all'indietro, un ritorno a qualcosa di lontano e di tramontato, non cercato e non avvertito come necessario; unitamente alla segreta soddisfazione di rincontrare una fetta di vissuto e di sinceramente amato. Dopo tutto, come tanti di una certa età, con quella messa siamo cresciuti, di quelle formule ci siamo alimentati, da ragazzi, da giovani studenti, e magari per qualche anno con quei santi riti abbiamo celebrato.

Ho scoperto sul campo, come mai nel passato, quanto grande sia la differenza tra le due ritualità. Effettivamente lo spazio dato ai riti di preparazione e ai gesti offertoriali nell'antica messa non ha l'equivalente nella messa di Paolo VI; la lunga fascia silenziosa che, sulla traccia dell'unico Canone, dal Sanctus si estende fino al Padre nostro (ed anche questo detto dal solo sacerdote) ha un che di suggestivo e di provocante all'interiorità più vera, a quella forma di partecipazione che non si basa su gesti esteriori, ma sul far propri i sentimenti di Cristo, unendosi strettamente a Lui Sommo Sacerdote nell' offerta del Sacrificio che salva. (1) Fa impressione, a ben pensarci, vedere il sacerdote procedere da solo, quasi sospeso fra cielo e terra a rappresentarci tutti, a riassumere le preghiere di tutti. (2) Al quale non è concesso il minimo spazio per una esortazione estemporanea, tanto meno per inventare digressioni rituali o testuali, stante il rigido fissismo delle formule. E poi la relativa scarsità delle letture nel ciclo annuale, la discordanza del calendario liturgico per il quale - putacaso - la domenica XX dopo Pentecoste si contrappone alla XIX domenica fra l'anno, ricordata dal resto dei cristiani che seguono il calendario riformato. (3) E ancora il latino! La lingua che pur non avendo nulla di magico, funge tuttavia da velo pudico oltre il quale è custodito il mistero, il santo dei santi, il Signore dei signori. Compreso o no (esistono, comunque, le traduzioni per consentire a tutti di capire) il latino nella percezione comune ha questo effetto, di separarti dal terreno e di introdurti nel divino, di toglierti dall' effimero del quotidiano per prospettarti una dimensione infinita.

Da qui il senso di sacralità che emana dalla Messa tradizionale: ti senti immerso nell' atmosfera sacrale, proiettato nella dimensione soprannaturale, in faccia all'Eterno.

Quelli che cercano la Messa di Pio V probabilmente la percepiscano in tale maniera: teocentrica, impegnativa certamente, ma diversa, più "mistica", più rispondente alle esigenze dello spirito orante.

Due pensieri mi pare si possano esprimere sull' argomento. Il primo è più che un pensiero. E la presa di coscienza e la descrizione della bellezza della Messa riformata dal concilio, di quella cioè che è la nostra liturgia ordinaria. Anch'es-sa ha i suoi pregi, i suoi tratti positivi, una sua preziosa diversità e tante ricchezze che aspettano di essere evidenziate e godute. La lingua volgare anzitutto, che pur non essendo il valore precipuo, rimane come una comoda porta spalancata perchè tutti possano entrare dentro il santuario liturgico, primo passo per un ulteriore approfondimento della Parola e per un più consapevole approccio al Mistero.
Legata alla lingua è l'enorme offerta di letture, articolata in un ciclo triennale, grazie alla quale il popolo cristiano è condotto finalmente alla conoscenza di quella Sacra Scrittura che da sempre le era preclusa: campo immenso su cui esercitare una vivace pastorale liturgica, che metta in movimento le ministerialità dell' animatore, del lettore (istituito o di fatto) e del salmista.

Poi la possibilità di attualizzare la preghiera con l'apporto attivo dei fedeli, che mentre esternano i loro voti, realizzano la comunione con la Chiesa universale e respirano all'uniso-no con tutti i battezzati in Cristo.

La possibilità di organizzare di volta in volta la celebrazione secondo una prestabilita regia, gli spazi previsti e consigliati entro i quali il celebrante dice opportune monizioni, la triplice maniera di fare l'atto penitenziale, il darsi
il segno della pace, l'osservanza di determinati silenzi sono altrettante novità da tenere in giusta considerazione. Un capitolo a sé riguarda la musica nella nuova liturgia. Non è vero che sia stato ridotta la sua presenza! Al contrario. Oltre alla tradizionale musicazione dell'Ordinario, è raccomandata l'esecuzione dei canti propri delle varie solennità o ricorrenze liturgiche più di quanto non avvenisse nel passato; così il canto del salmo e delle varie acclamazioni. I compositori, le Scholae e il popolo che non vogliano limitarsi a qualche Amen hanno ampia possibilità di esprimersi.

E l'organo, oltre alle consuete prestazioni, può offrire inediti servizi, come quello di commentare le letture o produrre utili intermezzi inventati da una sana fantasia creativa.

Sono convinto che la non conoscenza della Messa di Paolo VI è la ragione prima dell'esodo di alcuni alla ricerca di forme celebrative che a loro sembrano più profonde e più appaganti. Probabilmente perché qualcuno (cui toccava farlo) non l'ha spiegata loro sufficientemente, non ne ha di svelato le ricchezze o peggio l'ha fatta conoscere sfregiata in volto. Torniamo così alla solita constatazione, fatta dallo stesso Benedetto XVI: Alcuni se ne sono andati? ("questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso veniva addirittura inteso come un'autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch'io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle dejormazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa"(4))

Gli abusi liturgici, dunque, le manipolazioni testuali, le interpolazioni rituali fantasiose ... autentica piaga che offende la Chiesa e disorienta i fedeli, che nessuno finora è riuscito a fermare(5); alla quale si aggiunge l'anomalia di una musica canzonettara che certo non aiuta a creare il raccoglimento, o anche solo a restare in chiesa con lo spirito: la messa domenicale ma anche le messe feriali, le messe esequiali, le messe dei matrimoni, le messe nei monasteri di clausura, ecc.. - sono diventate la parodia delle messa dei giovani, dove i giovani non ci sono più o se qualcuno c'è ancora si permette di manipolare e sequestrare l'intera Liturgia. C'è chi si porta a Messa le musiche dei films preferiti. Oltre il sopportabile! Allora? Ci si meraviglia se qualcuno cerca di salvarsi?

Ha fatto bene il papa a liberalizzare la messa di Pio V come forma straordinaria del rito romano, e come "refugium desperantium", ma faremmo bene anche noi ad impegnarci a rendere più seria la nostra Messa, dono splendido e ineguagliabile della riforma conciliare, liberandola da ogni sciatteria, in particolare da quella musica che dal 1966 non ha fatto che intossicare i sacri riti eucaristici.

E poi catechizzare, educare e celebrare esemplarmente. Eventualmente informare. Operazione che non dipende da noi. Pare che ci stiano pensando alla Congregazione per il culto. Intanto Benedetto si è già pronunciato affermando che nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all'antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni - ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.(6)

Maggiore sacralità dunque, a cominciare da una musica più sacra.


NOTE
1- È Pio XII, nella Mediator Dei (nn. 66-67), a descrivere in questi termini la doverosa partecipazione dei fedeli al S. Sacrificio eucaristico.
2 - Non a caso si è detto che nella Messa tridentina-giovannea il popolo di Dio è assente, manca totalmente la dimensione comunitaria. I due messali, di Pio Vedi Paolo VI, rappresenterebbero due teologie e due ecclesiologie diverse.
3 - Da non dimenticare la recita dell'ultimo vangelo "Initium Sancti Evangelii secundum Joannem", prima della benedizione finale, cosa che appare del tutto estranea e incomprensibile.
4 - Lettera del 5. Padre Benedetto XVI ai vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu proprio sull'uso della Liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, Libreria Ed. Vaticana, p. 25.
5 - Neppure la Redemptionionis sacramentum, Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei sacramenti, tutta dedicata ad "Alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la santissima Eucaristia" (25 marzo 2004).
6 - Lettera del 5. Padre Benedetto VI ai vescovi, op. cit. pp. 27 -28

***

Interessante questo articolo di Valentino Donella uscito sul “Bollettino ceciliano”, rivista di musica sacra dell’associazione Santa Cecilia. Interessante perché è una sorta di compendio dei luoghi comuni sull’antica liturgia e dimostra la scarsa preparazione ancora diffusa anche fra le associazioni che dovrebbero avere a cuore il rinascimento della musica sacra. Donella non risponde a una domanda molto semplice: perché la musica sacra (parliamo di quella seria…) non attecchisce nel Nuovo Rito? La risposta, a nostro avviso, è che il nuovo rito strutturalmente non è in grado di accogliere la musica sacra. Lo dimostrano 40 anni di deserto musicale contro i secoli di fioritura artistica. Il nuovo rito non contiene silenzi e raccoglimento, lascia quindi fuori dalla porta la musica sacra e la sua grande tradizione. Senza questa premessa, le considerazioni di Donella risultano un confuso alternarsi di proposte e di tentativi affannosi di analizzare un fallimento, quello della riforma liturgica. Vediamo brevemente qualche passo.

Uno. Chi segue il vecchio rito, secondo l’autore dell’articolo, “si isola dalla comunità”. A parte il fatto che non si capisce bene che cosa significa “comunità”, a Donella replichiamo che chi è in comunione con la cattolicità non si trova mai isolato. Inoltre, mai come ora qualsiasi parrocchia è “isolata”, dal momento che l’anarchia liturgica delle singole “comunità” (termine ambiguo, spesso sostituito a parrocchia, ma questo meriterebbe un discorso a parte) porta a forme di isolamento.

Due. La Messa di Pio V (meglio dire “San Pio V”) è un “salto all’indietro”. Questa è un’affermazione incomprensibile. Una liturgia non è un salto avanti o indietro, secondo una visione teologica “progressista” in senso stretto. Ma solo “è”, perché ci consegna una verità immutabile.

Tre. Secondo Donella la Messa tridentina è “impegnativa”. Altro luogo comune, dal momento che è invece l’opposto. La Messa tridentina, incentrata sulla contemplazione, favorisce l’abbandono al mistero, all’opposto di ciò che avviene nel nuovo rito in cui è invece richiesta una concentrazione continua per “seguire” il testo.

Quattro. Donella parla di Messa “riformata”. I padri conciliari e il Papa non vollero usare il termine “riforma”, che richiama quella protestante (le “chiese riformate”), ma insistettero sul fatto che il Novus Ordo fosse una sorta di continuazione della liturgia di sempre. Donella invece ci rivela che la rottura c’è stata e la nuova liturgia è “liturgia riformata”. Poi lasciamo le consuete osservazioni, sul volgare che “rimane una comoda porta spalancata”: il latino è lingua sacra, l’inglese o l’italiano no.

Cinque. Stupisce anche l’affermazione secondo la quale con il nuovo rito il fedele “è condotto finalmente alla conoscenza di quella Sacra Scrittura che da sempre le era preclusa”. Viene riesumata la vecchia teoria protestante secondo la quale la Chiesa cattolica abbia impedito la lettura delle Scritture al popolo così da lasciarlo nell’ignoranza. No comment.

Sei. L’autore dell’articolo accenna alla necessità di una “vivace pastorale liturgica, che metta in movimento le ministerialità dell’animatore”. Siamo di fronte a un gergo astruso (che cosa sono le ministerialità? Che mestiere è quello dell’animatore?), fra il razionalista e il burocratico, tanto diffuso nel moderno “ecclesialese”. Risultano poco chiare inoltre le proposte sul ruolo dell’organo, che oltre alle “consuete prestazioni” “può offrire “inediti servizi, come quello di commentare le letture”.

Terminiamo. Valentino Donella sostiene che alla base della crisi liturgica c’è la scarsa conoscenza della Messa di Paolo VI. Certo che è ben strano: dopo 40 anni la nuova liturgia non è ancora riuscita a farsi conoscere e capire. Se questo è successo, un motivo ci sarà… La antica liturgia, dopo 40 anni di dimenticatoio, non ha invece difficoltà a esprimere la propria lucentezza. Il problema è che la nuova Messa ha molteplici volti, non uno solo autentico, ed ecco perché viene celebrata diversamente di chiesa in chiesa. E’ questa pluriformità che lascerà sempre spalancata la porta agli abusi liturgici.

Donella ritiene che l’ultimo Vangelo al termine della Messa sia qualcosa di estraneo e incomprensibile. Ci scriva. Lo metteremo in contatto con qualche sacerdote ben attrezzato culturalmente e teologicamente in grado di spiegargli perché viene letto. Nel vecchio rito (che ora è il nuovo rito, paradossalmente…) tutto ha un significato. Ci creda.
Pulvis

42 commenti:

  1. Eppure, su alcune cose Donella ha ragione, almeno in parte. Di sicuro si va alla messa di sempre perché almeno lì si riesce a pregare, senza bisogno di capire tutto quello che il presbitero dice; il tutto confortato dal fatto che avvenga con un rito bimillenario della Chiesa Cattolica, di fronte a cui ci sentiamo un po' come nani sulle spalle dei giganti!

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  2. l'autore è un po' confuso...o cerca di arrampicarsi sugli specchi.

    il ciclo di letture del NO battezzato poco elegantemente A  B  C  ... ha una capacità di spaesare i fedeli in tanti copia e incolla spesso sconnessi. Una quantità industriale di parole...ma la Parola è ben diversa.

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  3. A puro titolo informativo:
    Donella, o meglio Monsignor Valentino Donella, è Maestro della Cappella Musicale della Cattedrale di Bergamo.

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  4. Gentilissimo Monsignor Donella,
    Impegnativo, al limite dell' eroico, è sorbirsi 40 minuti di lagne Novus Ordiane.

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  5. Concordo con l'attenta analisi della redazione.... Il Vetus Ordo ben celebrato è semplicemente insuperabile....
    Il Novus Ordo ben celebrato somiglia ad una seicento, il Vetus Ordo ben celebrato è una Ferrari o una Cadillac....

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  6. Tutti i punti della risposta della redazione sarebbero facilmente smentibili: mi limito a due osservazioni:

    1) "il latino è lingua sacra, l'italiano e l'inglese no". Da dove viene fuori questa strampalata considerazione? La lingua sacra (se così vogliamo, impropriamente chiamarla) è una sola, l'ebraico, lingua nella quale il Dio di Israele si è rivelato. Ma probabilmente su questo i tradizionalisti non saranno d'accordo, visto che per loro tutto ciò che è ebraico ha bisogno di conversione (al latino appunto?). L'unico problema è che secondo questa impostazione mentale avrebbe bisogno di conversione anche Gesù Cristo, che è nato e morto ebreo osservante. Eventualmente all'ebraico può essere affiancato il greco, lingua in cui è stato scritto il Nuovo Testamento. Ma evidentemente i tradizionalisti non lo sanno, visto che loro non leggono la Scrittura, patrimonio esclusivo degli eretici protestanti. Forse ai tradizionalisti sfugge il fatto che il loro amato rito "di sempre" (di sempre??? Ma siamo impazziti??) altro non è che una mutuazione di lingua e vestimenti tipici dell'impero romano (basti pensare alla "stola" o la termine "pontifex").

    2) Negare che all'interno della chiesa cattolica sia stato a lungo negato l'accesso alla Scrittura (fino al Concilio VAticano II) dimostra solo ignoranza. Oppure malafede ideologica. Contra factum non valet argumentum (vedete? anche noi eretici modernisti conosciamo di latino...ma voi lo conoscete davvero?)

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  7. Bisogna essere comprensivi con il gentilprete in questione: è lo stesso Valentino Donella che negli anni ruggenti del postconcilio contestatario pubblicò una raccolta di nsuoi brani organistici dal titolo magniloquente "L'organo dei poveri".... mah... :-P

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  8. Grazie per questo articolo, e grazie innanzitutto per le fini osservazioni che oserei definire esemplari, educative, per chi vuole veramente iniziare a conoscere, e a comprendere. Direi che la conclusione è ovvia. E credo che lo sarà sempre di più. "refugium desperantium"??? Vera speranza per il futuro, direi piuttosto. Che abisso tra le parole di questo articolo e le parole di mons. Marini (e del Pontefice)! Di nuovo grazie.

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  9. Conoscevo le idee di Mons. Donella sulla liturgia.
    In questo intervento almeno "vede" che qualcosa sta avvenendo di "straordinario" nella Chiesa e nella Liturgia.
    Prima non vedeva, non sentiva e non parlava se non della liturgia riformata.
    Almeno ora vede, sente e parla anche della Messa antica ! :)

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  10. Complimenti per il sito e i temi che portate avanti! Siete i numeri uno!
    M.

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  11. 40 minuti? A volte anche un'ora e 20'-un'ora e ½, tra ritardi, "animazioni" strane, le sette o otto predichine intermedie di cui è (abusivamente) intramezzata la messa, scambi della pace a tutta chiesa, omelie chilometriche e altre amenità.

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  12. Pilato Ordinò di scrivere il motivo della condanna di Gesù, e lo fece scrivere in tre lingue: ebraico, greco e latino.
    Il latino è quindi lingua sacra al pari dell'ebraico. Nei primi secoli addirittura alcuni ritenevano che la liturgia si potesse celebrare solo nelle lingue del "titulus".

    Il latino è lingua sacra per il rito latino. il latino il Concilio Vaticano II ha stabilito che debba essere conservato e che i fedeli devono conoscerlo. Il latino è il nemico numero uno dei cattolici adulti che hanno sempre sulle labbra il Vaticano II e si rifanno al suo spirito in nome del quale fan dire ai documenti conciliari tutto e il contrario di tutto.

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  13. Subito dopo l'età apostolica il diaconato femminile si è sviluppato nella Chiesa. Il passo famoso dalla prima lettera a Timoteo lo esprime in maniera chiara:

    «I diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino, non avidi di guadagno disonesto, ma conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò vengano prima sperimentati, e poi, se irreprensibili, esercitino il ministero. Del pari le donne (gynaikas) siano oneste, non calunniatrici, sobrie, fedeli in tutto. I diaconi siano mariti di una sola donna, e capaci di guidare bene i figli e le proprie case» (1 Tm 3,8-12).

    Qui le donne sono distinte chiaramente dalle mogli del diacono, sono descritte in parallelo con i diaconi, e devono essere intese come "diaconesse" (Jean Daniélou, The Ministry of Women in the Early Church, Faith Press, Leighton Buzzard, 1974, p. 14).

    Plinio il Giovane, in una lettera all'imperatore Traiano del 112 d. C., parla di due donne cristiane che «erano dette ministre» (Epistola X,96).

    Clemente Alessandrino afferma che le donne insegnavano ed erano coinvolte nel ministero: «Gli apostoli lavorarono senza tregua alla predicazione evangelica come si confaceva al loro ministero, presero con loro le donne, non solo le mogli ma anche le sorelle, per coinvolgere nel loro ministero le donne che vivevano con loro; per mezzo di esse l'insegnamento di Dio raggiunse le altre donne nelle loro case senza destare sospetto» (Clemente Alessandrino, Stromata 3,6,53).

    La Didascalia degli apostoli, del III secolo, attesta che «è sommamente richiesto e necessario il ministero di una donna diacono. Infatti, anche il nostro Signore e Salvatore era servito da donne» (Didascalia 3,12,1).

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  14. Le attestazioni più chiare dell'esistenza di una ordinazione delle donne al diaconato si trovano nelle Costituzioni apostoliche (in VIII libri) e in tre Concili ecumenici. Poiché le traduzioni dei relativi passi in italiano (e anche in alcuni siti Internet) alcune volte non sono precise, ho consultato il testo latino di questi passi, che si trova in: Mansi J. D., Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, 31 voll. (dalle origini fino al 1439), Firenze e Venezia, 1758 - 1798; edizione ampliata a 53 voll. (dalle origini fino al 1870), Akademische Druck - U. Verlagsanstalt, Graz (Austria), 1960 - 1961.

    Nelle Costituzioni apostoliche si parla di «diaconissa» (libro III, cap. 16, in Mansi, vol. 1, pag. 390) e si nominano le «diaconissae» dopo i vescovi, i presbiteri e i diaconi (libro VIII, cap. 13, in Mansi, vol. 1, pag. 566). Un capitolo del libro VIII contiene le tracce di un rituale antico di ordinazione:

    «Sulla diaconessa, in verità, io, Bartolomeo (l'apostolo) stabilisco che tu, vescovo, imponga le mani su di lei, alla presenza dei presbiteri, dei diaconi e delle diaconesse. E dirai: Dio, eterno, Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, creatore dell'uomo e della donna, tu che hai riempito di Spirito santo Myriam, Debora, Anna e Olda, che non hai giudicato indegno che tuo Figlio, l'Unigenito, nascesse da una donna, tu che nella tenda della testimonianza e nel tempio hai istituito donne custodi per le tue porte sante, tu stesso guarda ora anche questa serva, scelta per il ministero, donale lo Spirito Santo e purificala da ogni impurità della carne e dello spirito perché compia degnamente l'ufficio che le è stato assegnato, per la tua gloria e a lode del tuo Cristo» (Costituzioni apostoliche, libro VIII, capp. 19 e 20, traduzione dal testo latino che si trova in Mansi, vol. 1, pagg. 570-571).

    È significativo come in questo passo si parli di presbiteri, di diaconi e di diaconesse, ma non di donne facenti parte del presbiterio. Sembra, cioè, che le donne potessero accedere all'ordine del diaconato, ma non a quello del presbiterato.

    Il Codice Barberini greco n. 336, dell'VIII secolo, e il Manoscritto vaticano n. 1872, del X secolo, conservano anch'essi le preghiere di ordinazione delle diaconesse.

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  15. Di un diaconato femminile parlano anche i Concili ecumenici.

    Nel primo Concilio di Nicea, del 325 d. C., il canone 19, relativo alla riconciliazione con i membri della setta di Paolo di Samosata (che negava le Tre Persone della Trinità e sosteneva che Cristo non possedeva una natura diversa dagli altri uomini), afferma:

    Testo latino del canone 19 del primo Concilio di Nicea (in Mansi, vol. 2, pag. 678): «Si qui vero tempore praeterito in clericorum numero erant, si quidem a culpa et reprehensione alieni visi fuerint, rebaptizati ordinentur a catholicae ecclesiae episcopo. [.] Similiter autem et de diaconissis, et omnino de omnibus, qui inter clericos annumerantur, eadem forma servabitur».

    Traduzione: «Se, comunque, alcuni (fra i seguaci di Paolo di Samosata) erano nel tempo passato annoverati fra i chierici, e se saranno stati considerati davvero esenti da colpa e da biasimo, essi siano ribattezzati ed ordinati da un vescovo della Chiesa cattolica. [.] Allo stesso modo, inoltre, la medesima procedura sarà osservata sia per le diaconesse sia in generale per tutti quelli che sono annoverati fra i chierici».

    Sembra, dunque, che anche la diaconessa, come il sacerdote, debba essere ordinata da un vescovo.

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  16. Al Concilio ecumenico di Calcedonia del 451 d. C., nel canone 15, l'età minima per le diaconesse venne stabilita a 40 anni e si vietò alle diaconesse di contrarre matrimonio dopo l'ordinazione.

    Testo latino del canone 15 del Concilio di Calcedonia (in Mansi, vol. 7, pag. 363): «Diaconissam non esse mulierem ordinandam ante annum quadragesimum et eam cum accurata examinatione. Si autem postquam ordinationem suscepta ministerio aliquo tempore permansit, seipsam matrimonio tradiderit, Dei gratiae injuriam faciens, ea una cum illo qui ei conjunctus est, anathematizetur».

    Traduzione: «Una donna non sia ordinata diaconessa se ha meno di quaranta anni di età, e solo dopo un accurato esame. Se però, dopo che ha ricevuto l'ordinazione e ha continuato per qualche tempo nel ministero, avrà dato se stessa in matrimonio, disprezzando la grazia di Dio, sarà anatema su di lei e su colui che si è unito a lei».

    In questo canone si parla delle diaconesse, di una loro ordinazione e di un loro ministero.

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  17. Anche la Commissione Teologica Internazionale, composta da membri nominati dal papa e presieduta dal Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, nel suo documento sul diaconato del 2002, ammette: «Il canone 15 di Calcedonia (451) sembra confermare il fatto che le diaconesse sono veramente "ordinate" con l'imposizione delle mani» (CTI, Il diaconato: evoluzione e prospettive, cap. II, par. IV).

    Il secondo Concilio ecumenico di Nicea, nel 787 d. C., approvò, al canone 1, le Costituzioni Apostoliche e i sei precedenti Concili ecumenici.

    Testo latino del canone 1 del secondo Concilio di Nicea (in Mansi, vol. 13, pagg. 747-748): «Iis qui sacerdotalem dignitatem sortiti sunt, testimonia et ad recte se gerendum instituta sunt canonicarum constitutionum descriptiones. [.] Divinos canones libenter amplectimur, eorumque constitutionem integram et illabefactabilem confirmamus, quae edita fuerunt a sancti Spiritus tubis, omni ex parte celebrandis apostolis, et sex sanctis universalibus synodis».

    Traduzione: «Per coloro che hanno ricevuto la dignità sacerdotale, le testimonianze e le istruzioni delle costituzioni canoniche sono state fondate per comportarsi rettamente. [.] Accogliamo volentieri i divini canoni, e confermiamo integralmente e senza mutamenti le loro costituzioni, che sono state emanate dalle trombe dello Spirito santo, gli apostoli celebrati da ogni parte, e dai sei santi Concili ecumenici».

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  18. Essendo il pronome quae, di genere femminile, riferibile non a canon, che è di genere maschile, ma a constitutio, che è di genere femminile, ed essendo l'ablativo apostolis separato dall'ablativo synodis dalla congiunzione et, sembra che qui si parli di costituzioni riferibili agli apostoli, distinte dai decreti e canoni dei sei precedenti Concili. Dunque, il settimo Concilio ecumenico, il secondo di Nicea, riaffermò tutte le disposizioni contenute nei sei precedenti (quindi anche il canone 19 del primo Concilio di Nicea e il canone 15 del Concilio di Calcedonia, riguardanti le diaconesse), e anche il testo su riportato delle Costituzioni apostoliche sull'ordinazione delle diaconesse (che abbiamo visto essere compatibile con la loro non ordinazione presbiterale).
    Dunque, i primi sette Concili ecumenici hanno riconosciuto l'ordinazione delle diaconesse fino all'VIII secolo.

    E il diaconato femminile è riconosciuto nella Chiesa protestante, in quella anglicana, in quella ortodossa, in quella vetero-cattolica, in quella copta, in quella apostolica armena. L'ordinazione diaconale femminile praticata dalla Chiesa apostolica armena è stata riconosciuta come valida dalla Chiesa cattolica, con gli accordi sottoscritti prima da Paolo VI nel 1970 e poi da Giovanni Paolo II nel 1996.

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  19. Essendo innegabile che il diaconato femminile è stato praticato nella Chiesa per tanti secoli, la proposta di ripristinarlo anche nella Chiesa cattolica mi pare possa essere accolta, essendo supportata dalla Scrittura, dai Concili ecumenici e dalla Tradizione dei primi secoli. Oltre alle necessarie verifiche sull'idoneità e sulle qualità della candidata all'ordine del diaconato, si potrebbe porre come requisito anche l'avere una certa età, quella prevista per i diaconi maschi: 25 anni se nubile; 35 se sposata. Si potrebbe consentire l'accesso al diaconato alle donne già sposate, come avviene per gli uomini (diaconato permanente, ristabilito dal Concilio Vaticano II), sulla base del passo della prima Lettera a Timoteo che parla di diaconi sposati. Del resto, Paolo ripete per tre volte che ognuno dovrebbe rimanere nello stato in cui si trovava quando è stato chiamato (1 Cor 7,17.20.24). Per cui, se una donna sposata sente la chiamata a diventare diaconessa, potrebbe diventarlo restando sposata. Ma, sulla base del canone 15 del Concilio di Calcedonia, si potrebbe vietare il matrimonio dopo l'ordinazione diaconale.

    Visti tutti questi dati, non sembra che l'esclusione delle donne dall'ordine del sacerdozio debba continuare ancora oggi a comportare la loro esclusione anche dall'ordine del diaconato. Se per diversi secoli è stato possibile che le donne fossero diaconesse senza poter essere sacerdotesse, non si vede perché non dovrebbe essere possibile oggi. La motivazione dell'unità dei tre gradi dell'ordine sacro (se è vietato alle donne il grado presbiterale, dev'essere vietato anche quello diaconale) non regge di fronte ai dati della tradizione. E del resto, tale motivazione non è richiamata quando è vietato essere sposati per i sacerdoti e per i diaconi temporanei (quelli che riceveranno successivamente il sacerdozio), mentre non è vietato essere sposati per i diaconi permanenti.

    Il ripristino del diaconato femminile da parte della Chiesa cattolica sarebbe utile per l'espletamento dei servizi ecclesiali, potendo i diaconi celebrare battesimi, cresime, matrimoni e funerali, distribuire l'eucaristia, leggere le Sacre Scritture, istruire i fedeli e occuparsi delle opere di carità. Ma servirebbe soprattutto a dare un nuovo impulso e una nuova linfa alla Chiesa, attraverso un ritorno alle origini e un nuovo atteggiamento nei confronti delle donne, che superi un'esclusione secolare che appare oggi ingiustificata.

    Un caro saluto

    Salvatore Capo

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  20. So di dire una bestemmia per i cattolici adulti, ma il VO ha anche il pregio di essere "identitario". E ciò non ha valore solo in termini di contrapposizione con l'"altro" (sia esso ebreo, protestante o islamico), ma anche per creare senso di "popolo" a fedeli che al di fuori del rito vivono vite diverse, parlano lingue diverse, hanno tradizioni diverse.  Per fare un esempio, credete che il cattolico olandese si senta oggi più simile al protestante del suo paese o al cattolico del Burkina Faso? Col VO non ci sarebbero stati dubbi: Burkina Faso. Stesso rito, stessa lingua, stessi paramenti, stesso atteggiamento e comportramento dei fedeli, stesse musiche favorivano un senso di comunità che non doveva ricorrere alle teatralità del "segno della pace" per affermarsi, anche al di fuori delle mura della singola chiesa. Forse è anche per questo che la Chiesa ha perso unità, fino a far prevalere i capricci e i vezzi di qualche pretucolo di periferia (quelli di campagna erano roba seria, ma la campagna non esiste più) rispetto alle disposizioni del Santo Padre. Insomma, "todos caballeros".

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  21. Ecco il neoterico Capo. Per leggere le sue profezie andare su http://it.groups.yahoo.com/group/ippona2 generalmente gli risponde e lo smonta il biomolecolare Siro Trevisanato residente in Canada! solito giochino: un po' di questo un po' di quello... cerca solo visibilità! Appartiene alla stirpe, controllare sul google groups, dei dialogatori solo a patto che gli dai ragione.
    Solita aria fritta!
    Matteo Dellanoce
    Tradotto: di fronte al torto la pianta lì!

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  22. Pilato fa scrivere in latino solo perchè la Palestina era una provincia romana....studiare, e poi parlare...

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  23. Si parlava di ricreazione. Ecco il salvatore in capo che viene a catechizzare il gregge dei vetusti. Scontro tra titani dementati. Fantastico.

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  24. Il latino è mera convenzione storica nei riti latini,probabilmente a causa della centralità della città di Roma.Tradizionale sì, ma pur sempre convenzione. La smettano gli esteti di farsi prendere in giro. Meglio tacere.

    Essendo(oggi) lingua morta è ottima per la liturgia perchè siamo sicuri che mai cambierà il significato delle parole. Questo sì.
    Ma non è nel latino il problema della chiesa odierna, nè tantomeno il problema della nuova liturgia.

    Il VOM in zwahili è cattolico. Il NOM parrocchiale in Latino ha gli stessi problemi di quello in italiano.

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  25. Fermo restando che nel medesimo rito la lingua liturgica dovrebbe essere la stessa. Quindi se è zwahili per esempio, sia zwahili per tutto il rito romano.

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  26. Non vedo perchè non si debba anche parlare di sacerdozio e diaconato aperto a quello che, di fatto, è ormai il sesso di mezzo (omosessuali, bisessuali e trans). La logica che ha spinto gli anglicani è proprio questa. Suvvia, siamo tutti fratelli, fratelle, sorelle e sorelli!

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  27. <span style=""><span style="color: #663300;">COSTITUZIONE SULLA SACRA LITURGIA<span style=""> </span></span></span><span style=" ">
    </span><span style=" color: #663300; ">SACROSANCTUM CONCILIUM</span>
    <span style=" color: #663300;">4 dicembre 1963</span>
    <img src="http://blog.messainlatino.it/img/vuoto.gif"/>Art.36  n. 1<span style=" ">L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini. </span>

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  28. Il problema è alla base: perchè un rito "romano" fuori di "roma"? Ogni cultura deve poter celebrare seconde le modalità più adeguate alla propria sensibilità, e in modo comprensibile a tutti. Altrimenti, come vogliono i tradizionalisti, ci si omologa, e l'omologazione, si sa, a meno che non si voglia negare anche questa evidenza storica, è una tendenza tipica dei regimi totalitari...

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  29. Due sole osservazioni: il silenzio è previsto anche nel N.O.M., solo che è raramente rispettato se non boicottato. Sulla Scrittura poi, dobbiamo fare ammenda: in fondo, come diceva un nostro contraddittore, è ben vero che per secoli la Chiesa cattoica ha vietato agli analfabeti la lettura della Bibbia (raro caso di divieto rispettato al 100%)

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  30. Redazione di Messainlatino.it8 gennaio 2010 alle ore 23:24

    Grazie

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  31. Come al solito. Si approfitta degl'impegni dei moderatori per stravolgere off topic la discussione con le solite cretinate sul diaconato femminile. Meglio andare a dormire.

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  32. La questione del conferimento dell'ordine sacro a persone di genere femminile è stata, fortunatamente, chiusa per sempre sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, il quale ha proclamato "Ex Cathedra" (cioè impegnando l'infallibilità del Successore di Pietro) l'inammissibilità della donna al sacramento dell'ordine. Punto e basta. Roma locuta est, quaestio soluta. Le femministe cattoliche (o che tali si proclamano) se ne facciano una ragione una volta per tutte, dal momento che, grazie a Dio, non possono farci nulla. Gli ultimi rigurgiti di un pseudofemminismo cattolico ogni tanto si fanno ancora sentire, ma sempre meno e presto taceranno per sempre. Inoltre, se devo essere sincero, a me paiono un tantino ridicole persino le chierichette, figuriamoci come apparirebbero agli occhi dei fedeli donne con i paramenti liturgici. Basta vedere quanto patetiche, penose e pietose appaiono le pretesse e le vescovesse anglicane.
    Le donne prete mi fanno ridere almeno quanto le donne soldato, ma fortunatamente la Chiesa, anche se compromessa col modernismo, ha conservato quel minimo di saggezza per capire che l'ingresso della donna nella gerarchia equivarrebbe alla fine della propria esistenza.

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  33. Il problema è che la nuova Messa ha molteplici volti, non uno solo autentico, ed ecco perché viene celebrata diversamente di chiesa in chiesa.
    E’ questa pluriformità che lascerà sempre spalancata la porta agli abusi liturgici.

    (pluralismo -->relativismo -->indifferentismo...)

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  34. <span>Il problema è alla base: perchè un rito "romano" fuori di "roma"? Ogni cultura deve poter celebrare seconde le modalità più adeguate alla propria sensibilità, e in modo comprensibile a tutti. </span>
    <span></span>
    <span>per la universalità e unità dei credenti che parlano e p</span><span>regano nella lingua sacra! Inoltre dove sta scritto che il rito deve uniformarsi alle 'sensibiilità' diverse, o non piuttosto ogni credente immergersi nella stessa 'forma' di culto autentico, che è azione di Dio e non dell'assemblea e portatroce di ogni Grazia nella Presenza del Signore Risorto a partire dall'offerta del suo Sacrificio e del nostro in Lui?</span>
    <span></span>
    <span>Altrimenti, come vogliono i tradizionalisti, ci si omologa, e l'omologazione, si sa, a meno che non si voglia negare anche questa evidenza storica, è una tendenza tipica dei regimi totalitari...</span>
    <span></span>
    <span>ma quale omologazione, se nella libertà dei veri figli di Dio, ogniu credente riceve le brazie di cui ha bisogno e viene trasformato e 'configurato' all'immagine del Figlio che già reca impressa nel suo essere?</span>
    <span>Totalitarismo appare quello che IMPONE la cultura egemone e non l'ORDINE mirabile di un rito mai abrogato e che NON POTEVA esserlo!</span>

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  35. <span><span>Il problema è alla base: perchè un rito "romano" fuori di "roma"? Ogni cultura deve poter celebrare seconde le modalità più adeguate alla propria sensibilità, e in modo comprensibile a tutti. </span> 
    <span></span> 
    <span>per la universalità e unità dei credenti che parlano e p</span><span>regano nella lingua sacra! Inoltre dove sta scritto che il rito deve uniformarsi alle 'sensibiilità' diverse, o non piuttosto ogni credente immergersi nella stessa 'forma' di culto autentico, che è azione di Dio e non dell'assemblea e portatroce di ogni Grazia nella Presenza del Signore Risorto a partire dall'offerta del suo Sacrificio e del nostro in Lui?</span>  
    <span></span> 
    <span>Altrimenti, come vogliono i tradizionalisti, ci si omologa, e l'omologazione, si sa, a meno che non si voglia negare anche questa evidenza storica, è una tendenza tipica dei regimi totalitari...</span>  
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    <span>ma quale omologazione, se nella libertà dei veri figli di Dio, ogniu credente riceve le brazie di cui ha bisogno e viene trasformato e 'configurato' all'immagine del Figlio che già reca impressa nel suo essere?</span>  
    <span>Totalitarismo appare quello che IMPONE la cultura egemone e non l'ORDINE mirabile di un rito mai abrogato e che NON POTEVA esserlo, nel quale è confluita tutta la storia della Chiesa e la fede viva di tante generazioni! </span></span>
    <span style="display: none;"><span><span style="color: #c6c6c6;">– </span></span><span style="color: #c6c6c6;">Flag</span></span><span><span><span style="color: #c6c6c6;"> – </span></span><span style="color: #c6c6c6;">Like</span></span><span><span><span style="color: #c6c6c6;"> – </span></span><span style="color: #c6c6c6;">Reply</span></span><span><span><span style="color: #c6c6c6;"> – </span></span><span style="color: #c6c6c6;">Delete</span></span><span style="display: none;"><span><span style="color: #c6c6c6;"> – </span></span><span style="color: #c6c6c6;">Edit</span></span><span style="display: none;"><span><span style="color: #c6c6c6;"> – </span></span><span style="color: #c6c6c6;">Moderate</span></span><span style="color: #c6c6c6;"></span><span style="color: #c6c6c6;"></span><span style="color: #c6c6c6;"></span><span style="color: #c6c6c6;"></span> <img style="display: none;" src="http://cdn.js-kit.com/images/brand.png"/>Social Networking by

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  36. Esistono diverse Tradizioni liturgiche cattoliche. Tutte pienamente degne e cattoliche allo stesso modo.
    E anche all' interno delle medesime tradizioni liturgiche, ogni paese ha usanze tipicamente proprie, fatte di diversi canti e preghiere, diverse benedizioni, ecc. ecc..

    RispondiElimina
  37. Il cattolico non vuole mai l' omologazione. Essere uniti nella medesima fede in Cristo e la sua Chiesa non è infatti omologazione.
    Il fine ultimo della Chiesa è infatti la salvezza delle anime, non il far tagliare la barba ai patriarchi cattolici orientali, o far togliere i Kimoni alle cattoliche giapponesi e l'  anbok alle coreane, nonchè far smettere ai cinesi di mangiare involtini primavera.

    E neppure di sradicare filosofie non cristiane che tanto hanno dato ad alcune popolazioni. Penso al Confucianesimo.

    Tutto ciò che non va contro la religione cattolica è perfettamente armonizzabile con essa.

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  38. Peccato che Cristo e la chiesa Cattolica siano universali anche all'interno dei vari stati mondiali e delle varie lingue!!!!
    Pulvius: commento eccezionale!!!!
    Purtroppo questi personaggi come Donella catechizzano diverse persone nelle loro riviste e nei loro convegni con idee malsane e non inerenti alla tradizione  artistico-storico-liturgico della Chiesa cattolica.

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  39. Adesso attendiamo la replica di Donella.....

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  40. E chi ha detto il contrario?....Fornse Donnella...io no di certo.

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  41. Donella è caduto, ahimè, in un cliché che non avrei creduto e mi dispiace. Ma NON è un modernista, e nei convegni non insegna niente di malsano, solo che nella liturgia "rifomata" ci crede... ma almeno ci crede in modo equilibrato, non progressista (almeno questo io ho capito le varie volte che ci ho parlato) e se la prende sempre con Brandolini e chi come lui sostiene che non esista la divisione tra sacro e profano, dal momento che Cristo si è incarnato e ha redento tutto. Anche perchè questo concetto finisce anche nel campo della musica che a questo punto non avrebbe alcun motivo di essere chiamata "sacra"... E invece su questo punto lui è irremovibile.

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  42. Bisogna riconoscere che Donella, forse suo malgrado, ha levato un alto elogio alla Messa tradizionale.

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AVVISO AI LETTORI: Visto il continuo infiltrarsi di lettori "ostili" che si divertono solo a scrivere "insulti" e a fare polemiche inutili, AVVISIAMO CHE ORA NON SARANNO PIU' PUBBLICATI COMMENTI INFANTILI o PEDANTI. Continueremo certamente a pubblicare le critiche ma solo quelle serie, costruttive e rispettose.
La Redazione