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Elenchi dei Vescovi (e non solo) pro e contro Fiducia Supplicans #fiduciasupplicans #fernández

Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

sabato 31 ottobre 2009

CHIARIMENTO UFFICIALE SUL CLERO ANGLICANO SPOSATO



CHIARIMENTI DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, P. FEDERICO LOMBARDI, S.I., CIRCA SPECULAZIONI INERENTI LA QUESTIONE DEL CELIBATO NELL’ANNUNCIATA COSTITUZIONE APOSTOLICA CONCERNENTE ORDINARIATI PERSONALI PER L’INGRESSO ANGLICANO NELLA PIENA COMUNIONE CON LA CHIESA CATTOLICA.

31.10.2009


Ci sono state speculazioni diffuse, sulla base di osservazioni suppostamente informate di un corrispondente italiano, Andrea Tornielli, sul fatto che il ritardo nella pubblicazione della Costituzione Apostolica riguardo Ordinariati personali per gli anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa cattolica, annunciata il 20 ottobre 2009, dal cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, è dovuto a più che motivi "tecnici". Secondo questa ipotesi, vi è un grave problema sostanziale alla base del ritardo, vale a dire, il disaccordo se il celibato sarà la norma per il futuro clero interessato dalle disposizioni. Il Cardinale Levada ha dato i seguenti commenti su questa speculazione: "Se mi fosse stato chiesto sarei stato felice di chiarire ogni dubbio circa il mio intervento durante la conferenza stampa. Non vi è alcun fondamento a tali speculazioni. Nessuno in Vaticano mi ha mai menzionato tale questione. Il ritardo è puramente tecnico, nel senso di garantire la coerenza nel linguaggio canonico e i riferimenti. I problemi di traduzione sono secondari; la decisione di non ritardare la pubblicazione al fine di attendere il testo latino 'ufficiale' da pubblicare negli Acta Apostolicae Sedis è stata fatta qualche tempo fa. Le bozze preparate dal gruppo di lavoro, e presentate per lo studio e l'approvazione attraverso la consueta procedura seguita dalla Congregazione, contengono tutte la seguente dichiarazione, attualmente l'articolo VI della Costituzione:

§ 1 Coloro che hanno servito come diaconi, preti o vescovi anglicani, e che soddisfano i requisiti stabiliti dal diritto canonico e non sono impediti da irregolarità o altri i impedimenti, possono essere accettati dall’Ordinario come candidati agli ordini sacri nella Chiesa cattolica. Nel caso di ministri sposati, le norme stabilite nella Lettera Enciclica di Papa Paolo VI Sacerdotalis coelibatus, n. 42 (1) e nella comunicazione "Nel mese di giugno", devono essere osservate. Ministri non sposati devono sottoporsi alla norma del celibato ecclesiastico del can. 277, § 1 C.I.C..

§ 2. L'Ordinario, nel pieno rispetto della disciplina del clero celibatario nella Chiesa Latina, come una regola (pro regula) ammetterà solo uomini celibi all'ordine del presbitero. Egli può anche presentare una petizione al Romano Pontefice, come deroga dal can. 277, § 1, per l'ammissione di uomini sposati all'ordine del presbiterato, caso per caso, in base a criteri oggettivi approvati dalla Santa Sede.
Questo articolo è da intendersi come coerente con la corrente prassi della Chiesa, in cui ex ministri anglicani sposati possono essere ammessi al ministero sacerdotale nella Chiesa cattolica secondo un criterio di caso per caso. Per quanto riguarda i futuri seminaristi, si è ritenuto puramente speculativo se ci possano essere alcuni casi in cui una dispensa dalla regola del celibato possa essere domandata. Per questo motivo, criteri oggettivi circa qualunque possibilità di questo tipo (per esempio seminaristi già sposati in preparazione) devono essere sviluppati congiuntamente dall'Ordinariato personale e la Conferenza Episcopale, e presentato per l'approvazione della Santa Sede. " Il Cardinale Levada ha detto in anticipazione che il lavoro tecnico sulla Costituzione e sulle norme sarà completato entro la fine della prima settimana di novembre.



(1) Sacerdotalis coelibatus, 42: "In virtù della norma fondamentale nel governo della Chiesa cattolica alla quale abbiamo sopra accennato, come, da un lato, rimane confermata la legge che richiede la scelta libera e perpetua del celibato in coloro che sono ammessi agli ordini sacri, dall'altro, potrà essere consentito lo studio delle particolari condizioni di ministri sacri coniugati, appartenenti a Chiese o a comunità cristiane tuttora divise dalla comunione cattolica, i quali, desiderando di aderire alla pienezza di tale comunione e di esercitarvi il sacro ministero, fossero ammessi alle funzioni sacerdotali, in tali circostanze tuttavia da non portare pregiudizio alla vigente disciplina circa il sacro celibato. E che l'autorità della Chiesa non rifugga dall'esercizio di questa potestà lo dimostra l'eventualità, prospettata dal recente Concilio Ecumenico, di conferire il sacro diaconato anche ad uomini di matura età, viventi nel matrimonio"


Fonte: Bollettino Sala Stampa S. Sede. Trad. dall'originale in inglese a nostra cura.
Bisogna dire che Tornielli non dev'essere molto simpatico a P. Lombardi. Una bella intemerata!

La dottrina dell'imitazione nell'arte e nella fede.



di Andrea Pacciani, architetto, che ringraziamo per averci inviato questo prezioso contributo.

La conoscenze, ovvero l'insieme delle nozioni e dei principi trasmessi tramite l' insegnamento e l'apprendimento, che si esplicano negli ambiti artistici e in quelli religiosi devono rispecchiarsi le una nelle altre, affinchè esse abbiano un senso compiuto di verità e di coerenza.

A differenza della storia precedente dell'uomo, l'ultimo secolo ha introdotto come riferimento nelle dottrina sia artistica che religiosa un sistema differente da quello da sempre adottato promuovendo gli aspetti dell'esperienza ascetico-spirituale-interiore a scapito di quelli dell'esperienza imitativa-emulativa-condivisa.

In campo artistico questo approccio si è sbilanciato verso intrepretazioni sempre più espressioniste e e autoreferenziali alle quali la disciplina religiosa non riesce più ad adeguarsi come poteva sembrare agli esordi della modernità. Appare evidente infatti come a differenza di quelli artistici i contenuti della fede non possano distaccarsi e fare a meno del processo imitativo da cui può prescindere l'arte moderna: la fede cattolica più di ogni altra basa il suo percorso verso la santità sull'imitazione del modello Gesù Cristo, con l'ausilio delle testimonianze dei testi sacri e dei Santi. E' la ricerca continua della presenza di Dio in terra e si attua soltanto con spirito imitativo nella vita reale quotidiana: imitazione è intesa come ricerca di avvicinamento al modello perfetto per emulazione nell'intento di raggiungerlo.

La liturgia dell'Eucarestia che è la materializzazione di Dio in terra è una verità pertanto che può essere veicolata solo attraverso la rappresentazione concreta e materiale della perfezione di Dio, nella bellezza del suo rito svolto in un suo degno spazio architettonico, come scelse Gesù il Cenacolo.

La chiesa assurge pertanto al ruolo di Ostensorio a scala architettonica della fede nella propria città, riconoscibile, funzionale e legata al suo territorio e ai suoi cittadini che attraverso le generazioni ne riconosceranno la santità, per mezzo della devozione e l'affezione che potrà maturare attraverso le testimonianze continue di certezza della fede.

Ausilio della fede pertanto può essere solo quell'arte che usa gli stessi principi conoscitivi imitativi, quella che ha dei modelli di riferimento considerati assoluti.
Pertanto l'arte e l'architettura classica e tradizionale sono le uniche idonee alla costruzione di edifici religiosi e al loro decoro; perchè sono fatte di linguaggio e di oggettività condivise che si sposano con il messaggio di verità che la Chiesa deve trasmettere.

I contenuti dei vangeli non devono essere interpretati, sono una cosa certa, fatti di verità consolidate dalla storia della Chiesa; astrazioni/evocazioni/interpretazioni/citazioni che sono i caposaldi dell'arte moderna in genere non possono appartenere alla Chiesa come istituzione quanto meno alla chiesa come edifico che deve ospitare la certezza/verità/sicurezza della presenza di Dio nel tabernacolo.

Purtroppo la visione della cultura contemporanea pensa all'arte in termini di originalità, creatività, espressività, di autonomia da modelli precostituiti o condivisi, di capacità di sintetizzare in forme sempre diverse e irripetibili il proprio contenuto. Il progetto artistico è concepito come ordine razionale del futuro, strappo dal passato, dimensione provvisoria di un presente che passa, simulazione di un punto di vista; tutto ciò che non rientra in questi schemi e che è progettato con spirito imitativo è visto con diffidenza, ostilità, conformismo, contro la visione di autonomia espressiva e dell'originalità dell'artista.

In realtà l'arte è sempre generata dalla situazione epocale in cui sorge, rispecchia il proprio tempo, esprime l'intimo dell'artista e le condizioni storiche in cui lavora con unicità individuale, ma questo può e deve accadere anche all'interno del processo creativo che adotta la teoria dell'imitazione classica o di un modello tradizionale-regionale.

Il presupposto è che l'arte sia imitazione di un modello, classico, e che la permanenza di quel modello sia un valore da salvaguardare rispetto ai cambiamenti della storia.

L'imitazione di un modello è il tentativo di raggiungere qualcosa di irraggiugibile meta ideale nella realtà mai mostrato nella sua perfezione; lo scarto tra ciò che si raggiunge e la meta ideale, assicura la varietà e la individualità irripetibile degli interventi reali

Ogni opera d'arte è il tentativo individuale di cogliere nella concretezza l'inafferrabile perfezione del modello.

L'artista è colui che riesce a ricondurre alla propria personale maniera l'indefinita immaterialità del modello.

L'aderenza di questi processi "imitativi" con quelli della fede cattolica, dalla conversione alla ricerca della santità, sono palesi ed evidenti ed hanno accompagnato la storia della civiltà dell'uomo:

L'opera d'arte e la Fede sono imitazione di qualcosa che le precede: natura, regola, modello, storia, stile, ideale da una parte, Bibbia, vangeli atti degli apostoli e vite dei santi dall'altra. Il fare dell'artista è aderente a qualcosa di già dato, che precede l'atto ideativo così come la Fede non si inventa ma si aderisce ad una religione che è già definita.

Il modello (reale o ideale) è il riferimento sia per l'artista che per il fruitore su un piano di giudizio condiviso così come la santità va vissuta in terra tra la gente comune che la riconoscerà tale.

La dottrina mimetica non limita la libertà dell'artista (in atteggiamento di ascolto) ma ne indirizza e ne fonda la legittimità così come ogni santo ha saputo costruire una propria santità sempre nuova diversa e aggiornata all'interno della dottrina della Chiesa.

Quali sono allora i principi fondativi per una progettazione artistica coerente con la fede cattolica?

Riprendere i sistemi di creatività, già usati da sempre nella storia nella dottrina dell'imitazione; orientare l'occhio sui paradigmi compositivi degli elementi di permanenza storica o culturale; ricercare i migliori successi ottenuti in quel luogo da quella disciplina che faccia da modello. Fare sintassi compositiva di queste invarianti formali che danno identità per compiere una ripetizione ricercata e sempre riaffermata di un modello "trasportabile"( ma non seriale o standard), iscritto in una decisione precedente e irrevocabile che orienta.

Intervista al card. Cañizares sulla riforma della riforma

Il blog New Liturgical Movement pubblica la parte "liturgica" di una recente intervista rilasciata dal cardinal prefetto della Congregazione per il Culto Divino, Antonio Cañizares Llovera:






- A breve sarà trascorso un anno dalla Sua nomina a prefetto della Congregazione per il Culto Divino ... Come valuta il suo debutto nella Curia romana?

Non spetta a me valutare il mio operato. Tutto ciò che ho da dire è che è un periodo molto importante per tutti, c’è un lavoro intenso ed ha avuto luogo una plenaria della Congregazione, sono state avanzate delle proposte che il Santo Padre ha approvato e costituiscono la nostra base di lavoro [NLM: questo sembra riferirsi alle “proposte di riforma della riforma” menzionate da Andrea Tornielli in agosto, cfr. qui]. Il grande obiettivo è ravvivare lo spirito della liturgia nel mondo

- Quali sono state le prove più urgenti che ha dovuto affrontare?

Qui c’è ogni mattina un affare urgente, relativamente agli eccessi ed errori che vengono compiuti in campo liturgico, ma al di sopra di tutti, la sfida più urgente ovunque è il recupero del senso della liturgia. Non si tratta di cambiare le rubriche o introdurre cose nuove, si tratta semplicemente di vivere la liturgia e metterla al centro della vita della Chiesa. La Chiesa non può esistere senza la liturgia, poiché la Chiesa è qui per la liturgia, per lodare, ringraziare, offrire il sacrificio del Signore, per glorificare... Questo è fondamentale, senza tutto ciò non ci sarebbe la Chiesa. Anzi, non ci sarebbe l’umanità. Pertanto questo è un compito estremamente urgente e pressante.

- Come si può recuperare il senso della liturgia?

Al presente lavoriamo con calma su diverse questioni relative a progetti educativi. Questa è la prima necessità: una buona e genuina formazione liturgica. Il soggetto della formazione liturgica è critico perché in realtà non c’è sufficiente educazione [al momento]. La gente crede che la liturgia sia una questione di forme e realtà esteriori, e noi crediamo sia necessario recuperare il senso del culto, ad esempio il senso di Dio in quanto Dio. Questo senso di Dio può essere riscoperto solo attraverso la liturgia. Di conseguenza il Papa è molto impegnato a sottolineare la priorità della liturgia nella vita della Chiesa. Quando uno vive lo spirito della liturgia, entra nello spirito del culto, nella riconoscenza verso Dio e in comunione con Lui, ed è questo che trasforma l’uomo in una persona nuova. La liturgia è sempre rivolta a Dio, non alla comunità; non è la comunità che fa la liturgia, ma Dio. È Lui che viene ad incontrarci e a offrirci di partecipare alla Sua vita, alla Sua grazia e al Suo perdono... Quando si vive davvero la liturgia e Dio è davvero al centro di essa, tutto cambia.

- Siamo così lontani oggi dal vero senso del mistero?

Sì, attualmentec’è una grande secolarizzazione, il senso del mistero e del sacro è andato perduto, non si vive più secondo lo spirito di rendere culto a Dio e di lasciarLo essere Dio. Allora crediamo necessario fare continui cambiamenti in liturgia, innovare e rendere creativa ogni cosa. Non è necessario questo nella liturgia, bensì rendere vero culto, cioè riconoscere Colui che ci trascende e che si offre per salvarci. Il mistero di Dio che è l’incredibile mistero del Suo amore, non è qualcosa di vago, ma è Qualcuno che viene ad incontrarci. Dobbiamo riscoprire l’uomo che adora. Dobbiamo riscoprire il senso del mistero. Dobbiamo recuperare ciò che non si sarebbe mai dovuto perdere. Il più grande male che può essere fatto all’uomo è tentare di eliminare dalla sua vita la trascendenza e la dimensione del mistero. Oggi ne sperimentiamo conseguenze in tutti gli ambiti della vita. Sono la tendenza a rimpiazzare la verità con l’opinione, la confidenza col disagio, il fine con i mezzi… Per questo è così importante difendere l’uomo contro tutte le ideologie che ne intaccano la triplice relazione col mondo, con Dio, con gli altri e con Dio. Mai prima si era tanto parlato di libertà e mai c’erano state così tante schiavitù.

- Dopo molti anni vissuti tra l’insegnamento e il ministero episcopale, come ha vissuto la chiamata a servire nella Curia Romana come “ministro del Papa”?

L’ho accettata con grande gioia, perché significa compiere la volontà di Dio. Quando uno fa la volontà di Dio è felicissimo, benché devo ammettere che non mi aspettavo qualcosa del genere. Allo stesso tempo il fatto di lavorare insieme al Papa mi permette di vivere intensamente il mistero della comunione. Mi sento davvero unito a lui, lieto di aiutarlo a realizzare le sue richieste e come è noto, uno dei suoi obiettivi principali riguarda la liturgia.



Cañizares non scende nei dettagli ma, dell'intervista si è occupato anche il giornalista Marco Tosatti (La Stampa, 29 ottobre 2009) il quale ripete che "Secondo indiscrezioni pubblicate da “Il Giornale” ad agosto, la Plenaria avrebbe deciso in favore di una maggiore sacralità del rito, di un recupero del senso dell’adorazione eucaristica, di un recupero della lingua latina nella celebrazione e del rifacimento delle parti introduttive del messale per porre un freno ad abusi, sperimentazioni selvagge e inopportune creatività. Si sarebbero anche detti favorevoli a ribadire che il modo usuale di ricevere la comunione secondo le norme non è sulla mano, ma in bocca. C’è, è vero, un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire l’ostia anche sul palmo della mano, ma questo dovrebbe in futuro rimanere un fatto straordinario. Il «ministro della liturgia» di Papa Ratzinger, Cañizares, starebbe anche facendo studiare la possibilità di recuperare l’orientamento verso Oriente del celebrante almeno al momento della consacrazione eucaristica, come accadeva di prassi prima della riforma, quando sia i fedeli che il prete guardavano verso la Croce e il sacerdote dava dunque le spalle all’assemblea."

venerdì 30 ottobre 2009

Testimonianza liturgica di un parroco



Abbiamo ricevuto questa lettera e volentieri la pubblichiamo. Vorremmo che altri parroci seguissero l'esempio.


"Spett.le Redazione “Messainlatino”, allego documentazione che, se lo riterrete opportuno, potrà essere pubblicata sul vostro blog.
Si tratta di una comunicazione ai miei fedeli (comparirà sul foglietto settimanale degli avvisi di domenica prossima 1 novembre) circa la decisione di non ricollocare altari provvisori davanti a quello, bellissimo come vedrete nella foto che trasmetto, esistente e che ora risplende ancor più dopo il radicale restauro della chiesetta.
Spero che qualche mia parrocchiana (di solito sono le pie donne a creare problemi …) più zelante non si scandalizzi dell’operazione.
Si deve agire con i piedi di piombo, ma ad un certo punto, se si è convinti bisogna pur agire.
Vi terrò informati di quello che succederà.
d. Pierangelo Rigon

Ecco il testo del "foglietto" :

SALIRO’ ALL’ALTARE DI DIO
Dove celebrare il Sacrosanto Sacrificio Eucaristico?
Cari fedeli,
come avrete potuto constatare, i lavori all’interno del corpo centrale della nostra chiesa sono terminati: il risultato è stupendo, oltre ogni più rosea aspettativa. Sia lodato Nostro Signore che ci riscalda i cuori con tanta bellezza!
Volevo informarvi che, in questa fase, prima di procedere alla sistemazione definitiva delle componenti espressamente liturgiche (altare, ambone, battistero, confessionale) dell’aula, del presbiterio e degli altri locali attigui, ritengo opportuno un congruo tempo di riflessione e di “garbate” sperimentazioni
Per questo motivo preferisco non mettere alcun altare provvisorio in mezzo al presbiterio, nemmeno per il tempo della S. Messa: la bellezza di questo magnifico coro ne risulterebbe compromessa, ed inoltre due altari nello stesso presbiterio costituiscono un problema teologico-liturgico che vorrei evitare. E allora, dove si celebrerà la Messa?
Semplice: all’altare che si è usato per secoli e da tutti ammirato. Nessuno, però, prenda paura! Non si tratta della Messa in latino con il sacerdote che volge le spalle ai fedeli (il rito straordinario è una cosa diversa, qualche volta lo useremo, ma non sarà la prassi abituale). E’ la Messa in italiano che conosciamo bene e si sentirà tutto perché all’altare vi è il microfono.
L’unica differenza è che il sacerdote, dopo la Liturgia della Parola (fatta dal leggio di fronte all’assemblea) si recherà all’altare antico per la presentazione del pane e del vino, la successiva preghiera consacratoria e i riti di comunione. Tutto qui! Ovvio che in questa parte del rito lo si vedrà di spalle, ma non credo che sia poi così sconveniente e sconvolgente … basta solo abituarsi all’idea. Provate a pensare al forte simbolismo di questa posizione: il sacerdote sale all’altare mettendosi alla testa di tutti i fedeli che gli sono affidati e, rivolgendosi al Signore Dio Onnipotente, diventa l’intercessore di ogni grazia come Mosè sul monte. Non è bello questo richiamo?
Nella Liturgia non c’è solo la dimensione orizzontale, della fraternità, della condivisione, del guardarsi in faccia, del tenersi per mano ecc … ma anche quella, ancor più importante, verticale. Siamo tutti rivolti ad Oriente (per questo l’abside è posta ad est!), simbolo suggestivo del Sole che sorge, Cristo Nostro Signore! Il culto cristiano è proprio un guardare a questa Luce che rischiara il cammino davanti a noi e riscalda il cuore di chi si affida totalmente ad essa. Vi prego quindi di accogliere benevolmente, anche come atto di stima nelle competenze da me conseguite in quest’ambito della riflessione teologica, il piccolo cambiamento. Ho molto riflettuto, pregato, mi sono consultato con personalità autorevoli dalle quali ho ricevuto incoraggiamenti a proseguire in questa direzione. Ritornerò sull’argomento in successivi contributi sia su questo foglio che su l’Anzìn, in modo che tutti possano approfondire e, spero, apprezzare queste scelte in materia liturgica che, oltretutto, corrispondono perfettamente ai desideri del Santo Padre e agli esempi che Egli ci offre. Grazie.
d. Pierangelo

NON SOLO MESSE SULLA SPIAGGIA. Iniziativa delle Sentinelle del Mattino per conoscere i santi


Un interessante articolo su una bella iniziativa delle Sentinelle del Mattino di cui abbiamo già parlato in un precedente post sulle famigerate chiese gonfiabili (vedi qui)

di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 29 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Invece di lamentarti per i mostri e le mascherate dissacranti di Halloween, scopri e racconta la storia e le virtù del tuo santo preferito nella tua parrocchia e diocesi festeggiando Holyween.

Questa è la proposta che le Sentinelle del mattino stanno diffondendo in tutta Italia

Nel manifesto proposto dei giovani presenti in oltre 35 diocesi, cè la zucca e il volto di santa Teresina con l’invito a celebrare Holyween, un santo in ogni chiesa.

“Appendi il volto di un santo sulla tua chiesa e sul tuo balcone nella vigilia della festa di tutti i santi”, chiedono le Sentinelle del mattino.

Infatti, spiegano, “in una notte dove i giovani amano vestirsi orribilmente, Holyween vorrebbe mostrare il fascino e l’attualità dei santi, immortalati nella foto o nell’arte”.

“Oggi come cristiani – sostengono le Sentinelle del mattino – rischiamo di dimenticarci che i santi sono la parte più bella della nostra Italia; ci fa bene ricordare i loro volti, che ci dicono come la santità sia ancora oggi possibile in persone concrete, in carne ed ossa”.

“Holyween non vuole essere contro chi questa notte festeggia con l’horror – precisano poi –. Vogliamo semplicemente rimettere al centro di questa festa tutti i santi, la loro bellezza e i loro volti. Chi vuole, potrà esporre anche nella sua casa la foto o l’immagine di qualche santo particolarmente caro”.

Ad Holyween hanno aderito già Torino, Padova, Foggia, Catania, Termoli, Pordenone, Desenzano del Garda. Sette città italiane che il 31 ottobre vivranno una serata davvero speciale.

Centinaia di giovani scenderanno per le strade e andranno nei pub ad annunciare l’arrivo della festa di Tutti i Santi. Per loro “Halloween” si è trasformato in “Holyween”, giunto quest’anno alla terza edizione.

Lo slogan parla chiaro: i santi si riprendono la loro festa e, per rendere ancora più evidente che l’antica tradizione non ha nulla da temere dalle mode del momento, volti di santi saranno appesi sui balconi e le finestre delle loro città.

Sì, quando vedrete un lume alla finestra, tirate il naso all’insù e vedrete la faccia sorridente di un santo italiano, preferibilmente giovane.

“Non vogliamo andare contro nessuno - ha spiegato don Andrea Brugnoli, ideatore dell’idea -, ma semplicemente riempire le città non di mostri, ma di volti belli, quelli dei santi, appunto”.

Nelle città dove si festeggia Holyween le Sentinelle del mattino vivranno una serata chiamata “Una luce nella notte”.

Si tratta di aprire una chiesa di notte e di invitare i giovani ad un incontro specialissimo. Questo format è stato ripetuto già più di 350 volte in 50 città italiane, ma la notte di Holyween sarà unica.

La chiesa rimarrà aperta ovunque dalle 22 alle 2 di notte e all’interno non rimarrà vuota. Finora sono centinaia di migliaia i giovani che vi sono entrati nelle precedenti edizioni, lasciando stupita la stampa e le televisioni che, incuriosite dal fenomeno, ne hanno documentato il flusso continuo.

In un paese come l’Italia in cui un consistente 35% dei cattolici va a Messa ogni settimana (dati Doxa ottobre 2009 [vedi qui]), Holyween rappresenta una singolare sfida.

Tra i santi più gettonati, lo scorso anno vinse Madre Teresa, seguita da Padre Pio. Quest’anno – sostengono gli organizzatori - vincerà Giovanni Paolo II. Non è santo, ma per le Sentinelle è il loro campione.

Le Sentinelle del mattino non sono un movimento, nè una comunità religiosa, ma delle piccole equipes che nelle diocesi accendono il fuoco dell'evangelizzazione con attività straordinarie a servizio della pastorale e dell’evangelizzazione.

Il progetto prevede di creare in ogni diocesi una "fiaccola", composta da 3-4 giovani che si impegnano in questo servizio. In Italia, sono oltre trentacinque le dicoesi che hanno già la fiaccola delle Sentinelle del mattino.

[Nel sito web http://www.sentinelledelmattino.org/ è possibile scaricare i volti dei santi da stampare]

giovedì 29 ottobre 2009

La successione del card. Re alla Congregazione per i Vescovi

Secondo il sito francese Pro Liturgia, l'era del card. Giovan Battista Re quale Prefetto della Congregazione per i Vescovi si avvicina al termine. Bella scoperta, visto che il porporato ha compiuto da inizio anno l'età fatidica dei 75 anni. Leggiamo in quel sito (non tradizionalista, perché propugnatore del rito di Paolo VI celebrato in stretta aderenza al Messale) che il card. Re non è un fervente partigiano di Benedetto XVI e che le sue nomine episcopali sono state "sovente discutibili". Anche queste affermazioni son la scoperta dell'acqua calda.

Ma le indiscrezioni più interessanti riguardano il nome del successore, che potrebbe essere il card. George Pell, ora arcivescovo di Sydney (nella foto, prima di una solenne liturgia in forma extra).

Il cardinale Pell era membro della Congregazione per la Dottrina della Fede ai tempi del Prefetto Ratzinger. E' inoltre membro della Congregazione per il Culto divino e Presidente del comitato "Vox Clara", incaricato della traduzione dei testi liturgici in lingue inglese.

A succedergli come arcivescovo di Sidney andrebbero o mons. Mark Coleridge, attuale arcivescovo di Canberra (61 anni) oppure mons. Anthony Fisher, attuale ausiliario di Sydney (49 anni).

Queste le anticipazioni. E' invece notizia (ufficiale) che, nell'attesa della sospirata (da molti) pensione del card. Re, la settimana scorsa sono stati nominati ai suoi fianchi, come membri della Congregazione, il card. Canizares e l'Arcivescovo Burke. La correzione di rotta è quindi finalmente iniziata.

L'autocritica di un rinomato architetto

Dopo il post con l'articolo di Langone sull'architettura ecclesiale, proseguiamo il discorso con questo intervento del noto architetto Portoghesi su L'Osservatore romano.

di Paolo Portoghesi

Quasi cinquanta anni ci dividono dal giorno in cui Giovani XXIII decise di convocare il concilio Vaticano II e una riflessione si impone, al mondo della cultura architettonica, sull'esito di quel lungo processo di innovazione nel campo della architettura religiosa cattolica che ha preso spunto dalla riforma liturgica e si è concretato in migliaia di chiese cattoliche costruite da allora in tutto il mondo. Chi scrive, avendo partecipato fin da principio e con diverse esperienze progettuali e realizzative alla ricerca di un nuovo modello ecclesiale, attribuisce a questa riflessione un valore autocritico e propositivo. La prima delle quattro Costituzioni conciliari, quella promulgata il 4 dicembre 1963, ammoniva che "per conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via a un legittimo progresso non si introducessero innovazioni se non quando lo richiedesse una vera e accertata utilità della Chiesa, con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle esistenti". Parole relative all'innovazione liturgica che potevano però ragionevolmente estendersi anche all'innovazione delle forme e delle tipologie architettoniche. Il clima culturale degli anni Sessanta del secolo scorso, ancora fortemente influenzato dalla fiducia illimitata nelle rivoluzioni, favorì da parte degli architetti, una interpretazione radicale del "legittimo progresso", e una sovrana indifferenza per la "sana tradizione", vista come ostacolo a una radicale palingenesi basata sulla tabula rasa. Anzitutto venne messa in discussione la sacralità dell'edificio religioso affrontando il tema della differenza tra Chiesa spirituale e chiesa costruita, contrapponendo nozioni di cui la tradizione indicava invece la complementarità, come la Domus Ecclesiae e la Domus Dei, la Chiesa come corpo mistico di Cristo e come popolo di Dio, la Chiesa di Dio e la Chiesa degli uomini.

Dei poli liturgici tradizionali - l'altare, l'ambone, il tabernacolo, il battistero - venne ridiscussa la collocazione e i rapporti di ciascuno di essi con la comunità dei fedeli ai quali il Concilio richiedeva una partecipazione attiva. Di alcuni problemi, come quello di stabilire un equilibrio tra l'altare e l'ambone vennero proposte soluzioni paradossali, come quella di dividere i fedeli in due schiere contrapposte ponendo altare e ambone agli estremi del corridoio compreso tra i due fronti separati. Gli elementi architettonici mantenutisi nei secoli come invarianti: l'abside, le navate, la struttura cruciforme, il tiburio o la cupola come sorgente di luce, vennero generalmente rifiutati come inutili ai fini della configurazione di un nuovo spazio comunitario accentrato caratterizzato dall'orientamento del sacerdote verso i fedeli. La parola chiesa, come è noto, deriva da ecclesìa, che come scrive san Cirillo di Gerusalemme deriva a sua volta da ekkaleìsthai, chiamare a raccolta. La Chiesa quindi, come realtà spirituale, è etimologicamente l'assemblea di coloro che sono chiamati dal Signore, mentre la chiesa come edificio deriva probabilmente dal greco kyriakòn, che significa semplicemente ciò che è proprio del Signore. Il significato che il termine assemblea aveva assunto negli anni del Concilio, come luogo di accese interminabili discussioni, così come la nozione di partecipazione, simbolo di democrazia diretta, dettero un valore simbolico improprio alla assemblea dei fedeli, chiamati a partecipare attivamente non a una discussione, ma all'azione liturgica in quanto soggetti di un "sacerdozio regale". Nacque così la chiesa-teatro, con platea digradante o la chiesa quadrata priva di orientamento come un'arena da intrattenimento. In tempi recenti la moda del cosiddetto minimalismo ha riportato in auge una specie di iconoclastia, fino a escludere la croce e le immagini sacre e a spogliare l'immagine esterna di ogni residua analogia con le chiese tradizionali. Sotto il profilo urbanistico, la presa d'atto della perdita di centralità dell'edificio, condizionato dalla logica dello zoning, che assegna all'edificio religioso, nei piani territoriali, un lotto spesso residuale, condusse spesso gli architetti a un inane tentativo di imporre la presenza della chiesa, in mezzo ai volumi incombenti della periferia-dormitorio, attraverso una scomposta gestualità scultorea.

Accanto agli eccessi non sono certo mancati, negli ultimi cinquanta anni, esempi di notevole valore artistico e religioso, ma non è facile, nella pluralità e diversità delle esperienze, individuare una convergenza di indirizzi che possa preparare un rinnovamento non contraddittorio ma sostanziale, inaugurando nuove tipologie condivise, tali da poter finalmente realizzare l'indicazione conciliare che, a proposito del rinnovamento liturgico auspicava "nuove forme che scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle preesistenti". Alla opportunità di un bilancio che renda possibile una riflessione profonda e un orientamento condiviso spinge oggi l'alta approfondita riflessione che Benedetto XVI ha dedicato a questi temi in una serie di libri, a partire da il Popolo e casa di Dio in sant'Agostino (Milano, Jaca Book, 1978), a La festa delle fede (Milano, Jaca Book, 1984), dalle Cantate al Signore un canto nuovo (Milano, Jaca Book, 1996), all'Introduzione allo spirito della liturgia (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2001). Fondamentale l'apporto al confronto tra Chiesa spirituale e chiesa costruita e di conseguenza il chiarimento della differenza tra tempio pagano e chiesa cristiana. "Per la religione pagana - scrive il Papa - il rito visibile costituisce l'intero culto e anche la divinità cui è rivolto non vien concepita come una grandezza dell'al di là, la quale venga effigiata e rappresentata in forme visibili solo come indicazione. Questi dati visibili sono invece proprio il numen cui è diretta la venerazione e il quale si mostra così immediatamente raggiungibile. Con una parola, nel culto pagano (così come Agostino ha imparato a conoscerlo e lo ha inteso) non ci sono simboli, bensì solo realtà. In contrapposto, il culto cristiano, in quanto rito, è un espresso culto simbolico" (Popolo e casa di Dio in sant'Agostino, p. 249). La Chiesa è costruzione spirituale fatta, come scrive san Pietro, di pietre viventi che sono gli stessi fedeli, connessi alla pietra angolare rigettata che "è l'immagine di Colui che ha preso su di sé la sofferenza mortale dell'amore radicale e così è diventato spazio per noi tutti, pietra angolare, che dell'umanità dilacerata fa una dimora vivente, una nuova famiglia" (Cantate al Signore un canto nuovo, p. 199). Riconosciuta l'incolmabile distanza tra Chiesa e chiesa sarebbe giusto, si chiede Benedetto XVI, svalutare la chiesa come un involucro insignificante. "Non dobbiamo forse - scrive in occasione della celebrazione del primo millennio del Duomo di Magonza - anziché festeggiare ancora un edificio in pietra, avviarci audacemente e decisamente fuori dal passato impietrito e costruire la nuova comunità che venera Dio prendendosi cura radicalmente degli uomini? Non ha indicato giustamente la via da prendere quell'autore che ha volutamente intitolato un testo scolastico per l'insegnamento della religione La casa degli uomini, con l'intento di allontanare dalle case di Dio e condurre alla casa degli uomini, costruire la quale sarebbe l'autentico modo di seguire Gesù?" (Cantate al Signore un canto nuovo, p. 106). La risposta a questo interrogativo pone fine all'intento di svalutare l'involucro contrapponendo insensatamente la Chiesa vivente alla chiesa costruita. "Attraverso la passione dei suoi, Dio si costruisce la sua casa vivente e proprio così prende a suo servizio anche la pietra" (ivi, p. 109). La carne di Gesù è il tempio, la tenda, la Shekinah: la carne di Gesù è per Giovanni paradossalmente la verità e lo Spirito che subentrano al posto delle antiche costruzioni. Ma ora nella cristianità diventa viva l'idea che proprio l'incarnazione di Dio è la sua entrata nella materia, l'inizio del grande movimento per cui tutta la materia deve diventare vaso contenitore del Verbo. Ma anche la Parola deve conseguentemente dirsi nella materia, consegnarsi a essa, per poterla trasformare. Per questo sorge ora il piacere di rendere visibile la fede, di innalzare i suoi segni nel mondo della materia. A questo si collega il secondo motivo: l'idea della glorificazione; il tentativo di fare della terra una lode, fin nei suoi sassi, e così anticipare la venuta del mondo futuro. "Le costruzioni in cui la fede si esprime sono per così dire speranza resa presente e affermazione fiduciosa di ciò che essa può divenire già ora nel presente" (ivi, p. 110). Alla luce di questi insegnamenti è ancora possibile attribuire alla chiesa costruita il solo valore di un involucro neutrale? Agostino definisce l'edificio ecclesiale mater ecclesia in quanto rappresenta il popolo di Dio, ne esprime l'identità e come luogo dell'azione liturgica è un appello ai cristiani a far accadere anche nella loro coscienza ciò che vedono e ascoltano nello spazio sacro. "Il tempio è innanzitutto il luogo dove abita Dio, lo spazio della sua presenza nel mondo. È perciò il luogo dell'adunanza, lo spazio in cui il patto di alleanza ha luogo sempre di nuovo. È il luogo dell'incontro di Dio con il suo popolo, il quale così ritrova se stesso. È il luogo da cui promana la parola di Dio, la sede visibile cui è orientato il modello della sua istruzione" (ivi, p. 200). Se le considerazioni qui riportate incoraggiano chi deve progettare una chiesa a impegnarsi in profondità a dar forma allo spazio ecclesiale che può e forse deve rispecchiare il senso e la vita della Chiesa spirituale e rafforzare nei fedeli la coesione e la speranza, "giacché la costruzione degli uomini mira alla durata, alla tranquillità, alla familiarità, alla libertà. È una dichiarazione di guerra contro la morte, contro la solitudine, contro la paura. Per questo la volontà di costruire degli uomini si adempie nella costruzione del tempio, in quella costruzione in cui si invita Dio a entrare" (ivi, p. 100). Altre considerazioni ancora più specifiche del Papa possono chiarire quanto di insoddisfacente è avvenuto negli ultimi decenni segnalando come obbiettive carenze alcuni orientamenti prevalsi sia nelle indicazioni dei liturgisti che nelle concrete operazioni progettuali degli architetti.

Tre in particolare queste carenze: la perdita della dimensione cosmica della liturgia, la perdita del suo carattere dinamico, la mancata accettazione della sfida imposta dalla dimensione epocale. La dimensione cosmica era la ragione profonda che suggeriva la preghiera rivolta verso Oriente, luogo di origine della Luce e simbolo del Cristo veniente. L'orientamento dei fedeli verso il sacerdote, non prescritto dal concilio, ma adottato poi come regola, se ha favorito l'auspicata actuosa partecipatio e la comprensione dell'evento liturgico ha però involontariamente messo in ombra che "Il vero spazio e la vera cornice della celebrazione eucaristica è tutto il cosmo" (La festa della fede, p. 112). Il rapporto di avvolgimento da parte dei fedeli nei confronti dell'altare e dell'ambone mettono sacerdote e comunità in un rapporto dialogico che esalta la dimensione comunitaria riferendosi all'interpretazione dell'Eucarestia come rievocazione dell'ultima cena. Una conseguenza negativa è stata però l'aver messo in ombra l'aspetto sacrificale del sacramento. "È troppo poco - scrive il Papa in La festa della fede (p. 120) - definire l'Eucarestia come banchetto della comunità. Essa ha costato la morte del Signore e solo perciò può essere il dono della Resurrezione". Saggiamente il rimedio a queste carenze non viene indicato in una ulteriore rivoluzione liturgica ma in una più consapevole interpretazione dei dettami del concilio al quale il Papa riconosce il merito di aver liberato la liturgia "dai veli in cui l'aveva avvolta la storia" così che "ci si è nuovamente presentata nella sua semplicità e grandezza". Il suggerimento semplice ed essenziale è che nel momento della consacrazione il sacerdote adotti, volgendosi a Oriente, lo stesso orientamento dei fedeli. Principalmente rivolto agli architetti sembra essere l'altra carenza indicata, quella della perdita del valore dinamico della liturgia che chiaramente si esprimeva nel rapporto tra la naos e l'abside come traccia del popolo di Dio in cammino verso la salvezza e il Cristo veniente.

Indubbiamente gran parte delle chiese costruite dopo il Concilio negando non solo l'impianto longitudinale ma anche il dinamismo dello spazio processionale a vantaggio di un impianto equilibrato e racchiuso, hanno ridotto la chiesa a luogo di intrattenimento dimenticando due costanti dello sviluppo tipologico che splendidamente si svolse dall'età paleocristiana, al gotico, al rinascimento e al barocco: la profondità prospettica che esprimeva un percorso infinito, l'esodo "dai nostri poveri raggruppamenti per entrare nella grande comunità che abbraccia cielo e terra" (Cantate al Signore un canto nuovo, p. 208) e la vertigine verso l'alto che nelle cupole e nei tiburi in modo così eloquente esprimeva il fatto che come la Chiesa spirituale la chiesa costruita può esprimere "la forza di gravità che spinge verso l'alto esemplificata dal fuoco". Le case degli uomini - si legge in Popolo e casa di Dio in sant'Agostino - le pietre delle quali son trascinate da una spinta interna verso il basso, hanno bisogno di un fondamento che stia in basso e dal basso le sostenga, se non si vuole che tutto traballi e precipiti nell'abisso. Ma cosa avviene nella casa di Dio, nella chiesa? La sua spinta per forza di peso si dirige verso l'alto. Infatti là è il luogo delle sue pietre, gli uomini credenti. Così essa giustamente non ha il suo fondamento sotto di sé, bensì sopra di sé e quindi il suo fondamento è anche il suo capo" (p. 255). L'ultima e la più radicale delle critiche è rivolta agli artisti che credono. "La furia iconoclasta, i cui primi segni in Germania risalgono comunque già agli anni Venti, ha portato ad accantonare molto kitsch e molte opere indegne, ma, in definitiva, si è anche lasciata dietro un vuoto, di cui noi oggi torniamo a percepire con chiarezza tutta la miseria. Come si andrà avanti? Noi, oggi, non sperimentiamo solo una crisi dell'arte sacra, ma una crisi dell'arte in quanto tale, e con un'intensità finora sconosciuta. La crisi dell'arte è un altro sintomo della crisi dell'umanità, che proprio nell'estrema esasperazione del dominio materiale del mondo è precipitata nell'accecamento di fronte alle grandi questioni dell'uomo, a quelle domande sul destino ultimo dell'uomo che vanno oltre la dimensione materiale. Questa situazione può essere certamente definita come un accecamento dello spirito. Alla domanda su come dobbiamo vivere, su come dobbiamo affrontare la morte, se la nostra esistenza abbia un fine e quale, a tutte queste domande non ci sono più risposte comuni. Il positivismo, formulato in nome della serietà scientifica, restringe l'orizzonte a ciò che è dimostrabile, a ciò che può essere verificato nell'esperimento; esso rende il mondo opaco. Contiene ancora la matematica, ma il Lògos, che è il presupposto di questa matematica e della sua applicabilità, non vi compare più. Allora il nostro mondo delle immagini non supera più l'apparenza sensibile e lo scorrere delle immagini che ci circondano significa, allo stesso tempo, anche la fine dell'immagine: oltre ciò che può essere fotografato non c'è più nulla da vedere. A questo punto, però, non è impossibile solamente l'arte delle icone, l'arte sacra, che si fonda su uno sguardo che si apre in profondità; l'arte stessa, che in un primo momento aveva sperimentato nell'impressionismo e nell'espressionismo le possibilità estreme della visione sensibile, resta priva di un oggetto, in senso letterale. L'arte diventa sperimentazione con mondi che si crea da sé, una vuota "creatività", che non percepisce più lo Spirito Creatore. Essa tenta di prendere il suo posto e non riesce a fare altro che produrre l'arbitrario e il vuoto, che rendere l'uomo cosciente dell'assurdità della sua pretesa creatrice" (Introduzione allo spirito della liturgia, pp. 126-127). Con queste parole, dure e precise si chiede, agli artisti che credono, di impegnarsi in una sfida contro quella "vuota creatività" che non percepisce più lo "Spirito Creatore". "La chiesa - si legge nella Costituzione conciliare sulla sacra liturgia - non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico, ma secondo l'indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca". È giusto, sulla base di questa considerazione ineccepibile, accontentarsi di cantare in coro lo "spirito del tempo"? Di un tempo che celebra la "morte di Dio" annunciata da Nietzsche, come un destino universale al quale non ci si può sottrarre? All'alba del cristianesimo quale era lo spirito del tempo? Quello dei martiri e degli apostoli o quello dell'edonismo della Roma imperiale? L'impegno per un'arte sacra del nostro tempo ha precedenti di straordinaria qualità e rigore, da Rouault a Manzù, da Gaudí ad Aalto, da Schwarz a Michelucci. Per chi accetta la sfida c'è una strada maestra su cui procedere in avanti. "Anche oggi - si legge nell'Introduzione allo spirito della liturgia - la gioia in Dio e l'incontro con la sua presenza nella liturgia sono una forza inesauribile di ispirazione. Gli artisti che si sottopongono a questo compito non devono davvero sentirsi come la retroguardia della cultura, la libertà vuota da cui escono diventerà per essi motivo di disgusto. L'umile sottomissione a ciò che li precede è origine della libertà reale e li conduce alla vera altezza della nostra vocazione di uomini".

(©L'Osservatore Romano - 19-20 ottobre 2009)

Dell'Arch. Portoghesi e della sua chiesa a Calcata ci siamo occupati qui.

Un commento a questo articolo è su Fides et Forma.

mercoledì 28 ottobre 2009

Ecco perché non si riesce più a costruire chiese come Dio comanda

di Camillo Langone

Tratto da Il Foglio del 27 ottobre 2009

Cambia il vento sulle pietre di Dio: fra pochi giorni, all’Università Europea di Roma, comincerà il master in “Architettura, arti sacre e liturgia” diretto da padre Uwe Michael Lang, una garanzia (il suo libro “Rivolti al Signore” è un inno alla messa teocentrica).

Padre Lang mi aiuterà a rendere giustizia a Giuseppe, il mio amico Giuseppe Canali morto a nemmeno quarant’anni e a cui non è stato concesso un funerale in una chiesa nettamente cattolica. L’avevo visto una volta sola, avevamo cenato insieme a Ferragosto a casa di Bianca, amica comune.

Mio punto d’onore a Ferragosto è non mescolarmi ai dromomaniaci, salvo cause di forza maggiore resto sempre in città. Il giorno dell’Assunta ci tengo ad andare a messa nel mio santuario abituale, farlo in altra chiesa di altra località mi sembrerebbe un piccolo tradimento, un cedimento alle smanie per la villeggiatura, e comunque non voglio abbandonare la Madonna della Steccata ai turisti, che il diavolo se li porti. Se a messa posso andarci benissimo da solo, nelle festività mangiare da solo mi rattrista, così nei giorni precedenti avevo cercato di organizzare una compagnia ma nonostante la crisi erano tutti al mare, in montagna, al sud, all’estero, su Marte, boh. Alla fine Bianca, rimasta in sede causa gravidanza, era riuscita ad arruolare qualcuno fra cui Giuseppe.

Subito dopo le presentazioni avevo cominciato a lagnarmi del suo gelato. Mi ero tanto raccomandato con Bianca che chiunque si fosse preso l’impegno di portare il gelato avrebbe dovuto comprarlo da Grom: in città, a disdoro dei gelatai locali, l’unico gelato commestibile viene venduto dalla nota catena. Poi Giuseppe mi aveva detto di essere un mio lettore e questo era riuscito a rabbonirmi ma solo fino al momento del maledetto sorbetto, cattivo come da facile previsione.

Insomma ero stato sgradevole e perciò ho provato rimorso quando Bianca mi ha detto che Giuseppe era morto, di una malattia che ignoravo avesse e che da tempo lo affliggeva. I funerali sono stati celebrati nella sua parrocchia: una chiesa cattoprotestante, di quelle chiese che sembrano parcheggi seminterrati, senza uno straccio di campanile e con l’interno a conchiglia ottimo per conferenze. Non solo tocca morire, ho pensato, c’è pure il rischio che l’ultimo atto si svolga nello squallore del cemento più sordo. E come fai a ribellarti se hanno già inchiodato la bara? Giuseppe era un “cattolico tradizionalista”, proprio così aveva scritto nel suo profilo su Facebook, a tutt’oggi ancora aperto e chissà fino a quando (non ho capito se questo è un bene oppure un male, ci rifletterò un’altra volta). Giuseppe quindi amava le chiese cattoliche.

Che cos’è una chiesa cattolica? E’ una chiesa in cui tutto parla di Dio incarnato, a cominciare da un crocifisso ben visibile e da un tabernacolo altrettanto evidente. Non indispensabile ma senza dubbio utile è la pianta a croce che, lo spiega Onorio di Autun, realizza l’idea della chiesa come Corpo mistico di Cristo: il coro è la testa, il transetto le braccia, la navata il busto, l’altare il cuore. In Italia da alcuni decenni non si costruiscono più chiese cattoliche: per colpa di quella specie di sindacato vescovi che è la Cei, la Conferenza episcopale italiana, le periferie pullulano di edifici ambigui, in cui si celebrano messe cattoliche senza che i muri lo siano. In Italia, insisto, perché negli Stati Uniti e in Inghilterra, per dire due nazioni importanti che tengo sott’occhio, non si è mai smesso di costruire chiese coerenti e anzi negli ultimi anni aumentano i templi visibilmente cristiani, firmati da architetti come Duncan Stroik e Thomas Gordon Smith. In Italia, a mia scienza, le uniche due recenti eccezioni alla regola sono una chiesa a Roma dell’Opus Dei, progettata da un architetto spagnolo, e una chiesa in Calabria, a Palmi, opera dello studio Isola di Torino.

Nessuna delle due è un capolavoro, sia chiaro, e hanno campanili alquanto timidi, ma certo non si possono confondere con la Kaaba islamica come la chiesa di Fuksas a Foligno, o con un cinema multisala come la chiesa di Meier a Tor Tre Teste, o con una centrale elettrica come la chiesa di Botta a Torino, o con un hangar aeroportuale come la chiesa di Piano a San Giovanni Rotondo.

Detto questo, è possibile essere fiduciosi? Solo per il master all’Università Europea? Non solo. In Italia – ve ne siete accorti? – sta rinascendo la liturgia, “fonte e culmine della vita cristiana”. Penso all’esplosione di interesse verso la messa tridentina, al restauro della messa di Paolo VI (il cui messale originale non è per nulla malvagio), al rilancio del gregoriano… Grazie a Papa Benedetto XVI e nonostante le resistenze di un clero mondano, ideologico e nostalgico, ogni domenica diminuisce (lentamente ma diminuisce) il numero di coloro che prendono l’ostia con le zampe anteriori, la cosiddetta comunione sulla mano, e aumentano le comunioni sulla lingua, aumentano le genuflessioni.

Declina perciò la messa antropocentrica, il rito clericale e assembleare che mette al centro il prete (non a caso definito presidente), per lasciar spazio alla messa teocentrica scesa direttamente dal “fate questo in memoria di me” dell’Ultima Cena. L’architettura, come l’intendenza, seguirà: sarà evidente a tutti, persino nelle curie più ottuse, che una liturgia capace di fare incontrare Cristo merita un’architettura che favorisca l’incontro. “Il luogo in cui ci troviamo determina ciò che crediamo” ha scritto Alain de Botton. Risorgerà un sacro verticale composto di campanili e inginocchiatoi, immagini e ostensori, crocifissi e candele, per incidere nei nostri sensi le parole di Cristo: “Che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Giuseppe resusciterà, l’architetto della chiesa dove si è celebrato il suo funerale non so.


Grazie a Il Mascellaro

Sposa una "donna" nata uomo, l'arcivescovo di Firenze lo solleva dall'incarico


Diamo questa notizia rilevando, felicemente, la solerzia e la velocità dell'Arcivescovo di Firenze Betori nel prendere provvedimenti disciplinari nei confronti del parroco, protagonista di questo sciagurato e quasi surreale episodio.


L’arcivescovo di Firenze monsignor Giuseppe Betori ha «sollevato don Santoro dalla cura pastorale della comunità delle Piagge» e gli ha chiesto di «vivere un periodo di riflessione e di preghiera». Lo rende noto un comunicato diffuso dall’arcidiocesi. Il sacerdote, durante la messa celebrata domenica alla presenza della comunità, ha celebrato le nozze di Sandra Alvino 64 anni, nata uomo e ora donna, e Fortunato Talotta, 58 anni, nonostante lo stesso Betori, in una lettera indirizzata ad Alvino il primo ottobre scorso, avesse ribadito il precetto, ossia l’ingiunzione a non celebrare il matrimonio, già disposta due anni fa dal suo predecessore, il cardinale Ennio Antonelli.

Fonte: Corriere della Sera 26-10-2009

Due suppliche al Santo Padre

Come sappiamo, uno dei rarissimi vescovi favorevoli - se non addirittura il più favorevole - al motuproprio Summorum Pontificum è il vescovo di Roma. Ironie a parte, gli dobbiamo la massima gratitudine per quanto ha scritto e fatto in difesa della liturgia tradizionale, dalla promulgazione del motuproprio all'istituzione della prima parrocchia personale della Ss.Trinità dei Pellegrini, per non parlare dei numerosi interventi fatti quando era cardinale in periodi certamente più difficili di ora, quando l'idea di riaprire la cella di isolamento in cui gli antichi riti erano stati segregati o anche solo di riflettere sulla giusta interpretazione del Concilio - poiché l'unica giusta sembrava quella "di rottura" - era qualificabile tra i "reati d'opinione" ecclesiali...Se il clima è in parte cambiato lo dobbiamo soprattutto al card. Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI.
Confidando nella sensibilità del Santo Padre osiamo fargli, con umiltà e insieme filiale fiducia, due richieste:

1) una messa domenicale vespertina in rito straordinario a Santa Maria Maggiore: Roma è una metropoli, con tempi lunghissimi di spostamento da una parte all'altra e non sempre è agevole recarsi a Trinità dei Pellegrini, unica possibilità per la domenica pomeriggio. Tanto più che i "pellegrini" in arrivo o in partenza, transitano sempre nei pressi della stazione Termini. Fino a qualche tempo fa c'era una messa celebrata nella vicina chiesa di Sant'Antonio, ora soppressa per il trasferimento del celebrante, dovuto a ragioni familiari. Inoltre nella basilica liberiana (dove riposano le spoglie di San Pio V) sarebbe un'aggiunta abbastanza indolore, sia per la presenza dei Francescani dell'Immacolata, sia perché già vi viene celebrata la forma straordinaria (sebbene in giorno feriale)...

2) una celebrazione pubblica, o almeno assistenza da parte del Papa alla liturgia straordinaria: potrebbe avvenire in occasione di una visita alla parrocchia di Trinità dei Pellegrini. Il vescovo di Roma visita le parrocchie della sua diocesi, perché non visita anche questa? Darebbe inoltre un'ulteriore "scossa" alle persistenti resistenze degli ordinari locali.
Se a qualcuno le nostre richieste sembreranno irrealizzabili, confidiamo nell'efficacia della preghiera. Chi avrebbe immaginato anche solo pochi anni fa il motuproprio Summorum Pontificum con tutti i frutti di grazia che continuamente scaturiscono da esso?


Oremus pro Pontifice nostro Benedicto
Dominus conservet eum et vivificet eum
et beatum faciat eum in terra
et non tradat eum in animam inimicorum eius.

martedì 27 ottobre 2009

Incontri bimestrali, non bimensili

''Nel comunicato della Commissione Ecclesia Dei di oggi si diceva che i colloqui proseguiranno a scadenza probabilmente a scadenza bimensile', invece bisogna leggere 'probabilmente a scadenza bimestrale', cioe' circa ogni due mesi''. Lo precisa il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. ''In particolare - aggiunge - la prossima riunione e' prevedibile nel mese di gennaio, dopo l'avvento e il periodo natalizio''.

Copyright (AGI), via Papa Ratzinger blog


Bimensile: agg., che avviene, si ripete, due volte al mese. Comp. di bis, due volte, e mensile (dal latino mensis, mese)

Bimestrale: agg., che dura un bimestre o che ricorre ogni due mesi. Comp. di bis, due volte, e mestris, corradicale di mensis, mese

Mons. Fellay parla nuovamente. E ipotizza soluzioni giuridiche.

Mons. Fellay, dopo aver rilasciato un'intervista in Cile e un'altra in Argentina, ha pensato questa volta al Brasile. Domenica 25 ottobre, trovandosi a San Paolo del Brasile per l'inaugurazione di una cappella della Fraternità, ha avuto questo scambio sugli aspetti canonistici della sperata riconciliazione (ns. traduz. dal portoghese):

- I giornalisti spesso chiedono quale sarà la forma preferita dalla fraternità: Amministrazione apostolica come Campos, una Prelatura personale come l'Opus dei o un ordinariato personale come gli anglicani?
Il Vaticano ha detto molto chiaramente che non farà nessuna erezione canonica della FSSPX prima dei colloqui dottrinali. Siccome non c'è niente di ufficiale e niente di noto, non posso dire nulla. L'unica cosa che posso dire è che Roma vuole stabilire per noi qualcosa di utile per la Fraternità.

- Si dice che la Santa sede potrebbe riconoscere pubblicamente facoltà per tutti i sacramenti celebrati dalla FSSPX. Eccellenza, ritiene che ciò possa avvenire in tempi brevi?
Non ne ho idea. Semplicemente non si sa.

- E un'ultima questione è se la Fraternità accetterebbe temporaneamente una struttura canonica provvisoria nel corso della discussione dottrinale.
C'è questa idea, ma è un problema all'interno della Chiesa. Ci sono molti, molti vescovi che davvero ci odiano. Nemici della FSSPX, davvero. E farebbero tutto il possibile per distruggerci. E questo accordo temporaneo non risolverebbe il problema dei sacerdoti e dei fedeli. I vescovi porrebbero immensi ostacoli e sarebbe un caos. Quindi una soluzione canonica deve essere definitiva. Potrebbero essere fatte solo piccole cose. Ad esempio, riconoscere i sacramenti della Fraternità, cose di questo genere.

Fonte: Veritatis splendor

L'interesse di questa intervista è che mons. Fellay abborda gli aspetti giuridici di una futura, auspicata riconciliazione. Sappiamo che il problema si porrà solo una volta definite le divergenze dottrinali; ma siamo ottimisti e pensiamo già al dopo. Anche perché l'aspetto dei diritti e dei doveri di una Fraternità riconciliata attira, riconosciamolo, più interesse di complesse disquisizioni teologiche.

Inevitabilmente la Fraternità, dal giorno del suo rientro, non godrà più di una indipendenza assoluta. Anche nei confronti dei vescovi diocesani. O meglio: se è pur vero (e lo vedremo) che sono possibili soluzioni canoniche che le consentano di operare liberamente senza l’impiccio malevolente dei vescovi, è anche vero che insorgeranno obblighi, se non altro di bon ton, che al momento non la astringono. Ora, se la Fraternità vuole aprire una cappella, un priorato, un seminario, non chiede niente a nessuno. Domani, per quanto libera sarà la situazione canonica, almeno una visita di cortesia al vescovo del luogo dovrà farla. E si sa come funzionano queste cose in una struttura come la Chiesa: il vescovo si lamenta, il nunzio interviene, il cardinale raccomanda e chiede il favore...
 
Ma vediamo dunque quale potrebbe essere la soluzione canonica adottabile. Il termine "ordinariato", di recente proposto agli anglicani, di per sé non vuol dire molto, a parte il richiamo agli ordinariati castrensi (ossia militari), che peraltro hanno regole proprie, spesso concordatarie; l'elemento comune è che si tratta di giurisdizione determinata su base personale e non territoriale. Ma il codice di diritto canonico non prevede quell'istituto (infatti è disciplinato, per quanto concerne i militari, da una costituzione apostolica extracodicistica, la Spirituali militum cura di Giovanni Paolo II), sicché volendo restare nel diritto comune non restano che le figure di cui ora si dirà.

Nei giornali si fa gran parlare di una Prelatura personale e si osserva come al momento ne esista una soltanto, quella dell’Opus Dei (che, si aggiunge pure, m non vediamo su quali basi, vedrebbe di cattivo occhio la perdita dell’uso esclusivo di questo strumento giuridico). Chi ha maggior dimestichezza col diritto canonico menziona invece la figura dell’amministrazione apostolica come più adatta al caso, anche in forza di un precedente (i tradizionalisti della diocesi di Campos, in Brasile, eretti in Amministrazione apostolica S. Giovanni Vianney, con vescovo proprio: sicché nella stessa diocesi v’è il vescovo ‘territoriale’ come dappertutto e l’altro vescovo tradizionalista, con proprio clero, parrocchie e fedeli di rito tridentino) e del fatto che, anni addietro, mons. Fellay fece riferimento a tale soluzione, propostagli da Roma, dicendo che sarebbe stata una "Rolls Royce" ma che nondimeno non poteva accettarsi finché fossero rimasti i problemi dottrinali di fondo.

Vediamo allora, nel sistema del diritto canonico, come funzionano i due istituti.

Il can 368 c.j.c. equipara la "amministrazione apostolica eretta stabilmente" alle altre chiese particolari, che sono le diocesi (innanzitutto), le prelature ed abbazie territoriali, il vicariato apostolico e la prefettura apostolica.

Il can. 371 § 2 c.j.c. così definisce l'istituto: "L'amministrazione apostolica è una determinata porzione del popolo di Dio che, per ragioni speciali e particolarmente gravi, non viene eretta come diocesi dal Sommo Pontefice e la cura pastorale della quale viene affidata ad un Amministratore apostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice".

Il can. 372 c.j.c., dopo aver al primo par. stabilito che "di regola" la chiesa particolare deve avere una circoscrizione territoriale, aggiunge al § 2: "Tuttavia, dove a giudizio della suprema autorità della chiesa, sentite le Conferenze episcopali interessate (auditis Episcoporum conferentiis quarum interest), l'utilità lo suggerisca, nello stesso territorio possono essere erette chiese particolari distinte sulla base del rito dei fedeli o per altri simili motivi".

L’Amministrazione apostolica territoriale, quindi, non è altro che una diocesi con un altro nome (e, magari, con alla guida un presule non ordinato vescovo): vi si ricorre allorché difficoltà politiche sconsigliano la creazione di una vera diocesi, oppure in caso di assenza di strutture o di un numero congruo di fedeli, ecc. Ma quel che interessa è invece quanto previsto al secondo paragrafo del can. 372, ossia l’Amministrazione apostolica creata su base personale che dà origine, sullo stesso territorio, a chiese particolari distinte per ragioni di rito o similari (può ben rientrare tra queste "ragioni similari" l’uso esclusivo della forma straordinaria del rito romano). L’istituto giuridico consente dunque la creazione di strutture parallele sullo stesso territorio, qualcosa che si avvicina non poco alla coesistenza di differenti "chiese sorelle" pur dipendenti egualmente dal Papa (come si verifica laddove la chiesa latina convive con quelle cattoliche-orientali: le quale non sono Amministrazioni apostoliche bensì strutture sui iuris aventi un livello ancor maggiore di indipendenza, tanto da non soggiacere nemmeno al codice di diritto canonico dei latini bensì all’apposito codice per le chiese orientali).

Le Prelature personali sono invece definite così dal canone 294 c.j.c.: "Al fine di promuovere un'adeguata distribuzione dei presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse ragioni o per le diverse categorie sociali, la Sede Apostolica può erigere prelature personali formate da presbiteri e da diaconi del clero secolare, udite le conferenze dei Vescovi interessate (auditis quarum interest Episcoporum conferentiis)"

Il can. 295 c.j. prevede che la prelatura personale è retta da un Prelato come ordinario proprio, il quale ha diritto di erigere "nationale vel internationale seminarium necnon alumnos incardinare".


Il can. 297 poi statuisce: "Parimenti gli statuti definiscano i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui chiese particolari la prelatura esercita o intende esercitare, praevio consensu Episcopi diocesani, le sue opere pastorali o missionarie".

Ecco qui, tutto l’inghippo (il diavolo è nei cavilli, si sa): in quelle quattro parole del canone 297: per esercitare le sue opere pastorali o missionarie, la prelatura necessita del "previo consenso del vescovo diocesano". Il che basta, e avanza, ad escludere in radice l’utilizzabilità dello strumento per la Fraternità S. Pio X, che come noto è vista come una brutta malattia infettiva da un buon numero di vescovi all over the world.

La Prelatura personale, in altri termini, consente la massima indipendenza dai vescovi diocesani per quanto concerne l’organizzazione interna (ossia per i rapporti tra i chierici che ne fanno parte). Ma quando vuole assumere iniziative esterne di apostolato, deve passare per le forche caudine episcopali. Un po’ come gli Ordini monastici (di diritto pontificio): possono aprire case e conventi, ma per l’esercizio pubblico del culto devono pur sempre avere il placet dell’Ordinario.

Non solo: la Prelatura comprende solo presbiteri e diaconi secolari; resterebbero scoperti da quell’ombrello giuridico tutti i fedeli laici della FSSPX (suore comprese!) e perfino i chierici regolari, ossia i religiosi.
L’Amministrazione apostolica, invece, non prevede quelle limitazioni. Per questo appare l’unica accettabile per la Fraternità S. Pio X. Anche se, data la diffusione di questa, si dovrebbe avere una diffusione su scala mondiale, o quasi, dell’Amministrazione apostolica: cosa che avvicinerebbe ancor più la Fraternità ad una sorta di chiesa uniate come quelle orientali. Se invece si optasse per la Prelatura personale, essa dovrebbe avere necessariamente caretteri sui iuris, ossia in deroga al codice di diritto canonica: tanto da avere, della prelatura, soltanto il nome.

Come si è visto dai canoni, per costituire sia una Amministrazione apostolica non territoriale (e quindi personale), sia una Prelatura personale, il codice richiede di "sentire le Conferenze episcopali" interessate (rispettivamente ai canoni 372 e 294 c.j.c.). Ma questo è un vincolo che il codice pone alla Curia papale e il Papa può in tutta legalità decidere di derogare alla legge canonica (è il bello degli ordinamenti assolutistici, no?); oppure, se vuole rispettare il codice, questo gli chiede solo di raccogliere un parere non vincolante, e poi può fare di testa propria; ma visti gli umori episcopali in giro, si farebbe meglio a seguire l’altra strada: regola sempre valida allorché si vuole seguire una certa strada e si sa che i pareri che si otterrebbero sarebbero contrari; inoltre per i lefebvriani, diffusi ovunque, sarebbero troppo le conferenze episcopali da sentire.

Vi è infine, una ulteriore soluzione, interinale e provvisoria, cui mons. Fellay fa riferimento (ma si sa che poche cose sono altrettanto durature di quelle provvisorie e ad experimentum). Lasciare la Fraternità in uno stato di limbo giuridico, ma nondimeno riconoscere il carattere cattolico e la legittimazione ad amministrare tutti i sacramenti, togliendo ogni dubbio di sospensione a divinis dei suoi sacerdoti. Il riconoscimento comporterebbe anche il consolidamento e il riconoscimento de facto dello stato attuale (statuti, apostolati, comunità religiose connesse). Tutta l’attività della Fraternità perderebbe ogni carattere illecito dal punto di vista del diritto canonico, pur restando la stessa di fatto indipendente e non ancora inquadrata in una struttura canonica.

Si tratta, beninteso, di una forzatura al diritto canonico, sicché per giustificarla si parlerebbe di concessione di "facoltà temporanee" (sacramentali e disciplinari). La soluzione non obbligherebbe le parti in questione: né la Fraternità, che potrebbe continuare ad emettere le sue "riserve dottrinali" (evitando tra l’altro il rischio, almeno nell’immediato, di una scissione della sua ala più oltranzista e contraria ad accordi con Roma), né la Santa Sede, che potrebbe continuare a prendere le distanze dalla Fraternità, evitando così di esporre troppo il fianco agli alti lai dei progressisti.
La Fraternità resterebbe come è ora; ma liberata di ogni stigma di scomunica, di scisma, di illiceità, potrebbe con ben maggiore efficacia raggiungere fedeli finora restii proprio per quegli stigmi. E quindi rafforzarsi ulteriormente.

Iniziati i colloqui Santa Sede-FSSPX

Gianni Cardinale ha scritto su Avvenire di domenica questo articolo che si distingue per profondità di analisi. Cardinale (nomen omen) è un giornalista in gamba che non è insensibile al fascino della liturgia tradizionale; almeno così appariva allorché scriveva su 30Giorni. Oggi, ad Avvenire, supponiamo che su certi temi la prudenza sia di rigore; ma al tempo stesso constatiamo, nell'articolo che segue, una libertà non solo di giudizio del giornalista (la conoscevamo già) ma soprattuto di pubblicazione; la cosa, trattandosi del quotidiano ufficiale della C.E.I., non può non farci piacere.


Vent’anni dopo ricominciano i colloqui dottrinali tra Santa Sede e comunità le­febvriana. Nel 1988 non ebbero un e­sito felice, questa volta c’è la forte speranza da ambo le parti che i risultati possano essere po­sitivi. Domattina, nell’austero palazzo del Sant’Uffi­zio, dove ha sede la Pontificia Commissione Ec­clesia Dei, si incontreranno le due delegazioni. Da parte vaticana ci saranno l’arcivescovo Luis Francisco Ladaria, gesuita, segretario della Con­gregazione per la dottrina della fede (Cdf), il pa­dre Karl I. Becker, anche lui gesuita, professore emerito della Gregoriana, padre Charles More­rod, domenicano, rettore dell’Angelicum e se­gretario della Pontificia Commissione teologi­ca internazionale, monsignor Fernando Oca­riz, vicario generale dell’Opus Dei. Tutti e tre questi ecclesiastici sono consultori della Cdf, e sono noti per non avere preclusioni 'ideologi­che' nei confronti della controparte, anche se coscienti della complessità dei problemi che verranno trattati. Da parte della Fraternità sa­cerdotale di san Pio X ci saranno invece il ve­scovo Alfonso de Galarreta, direttore del semi­nario argentino della Fraternità e i sacerdoti Pa­trick de La Rocque, Jean-Michel Gleize e Benoit de Jorna. Quest’ultimo è autore di alcuni scrit­ti dai toni piuttosto accesi, ma questo non do­vrebbe essere un problema se un certo estre­mismo sarà circoscritto al linguaggio e non ai contenuti. Comunque la presenza di Galarreta dovrebbe, almeno nelle intenzioni, essere ga­ranzia di equilibrio e misura. I sei partecipanti al dialogo saranno moderati da monsignor Gui­do Pozzo, segretario di Ecclesia Dei. I temi dei colloqui, come annunciato dallo stes­so Benedetto XVI nella lettera del 10 marzo scor­so in cui ne aveva preannunciato l’inizio, sono «di natura essenzialmente dottrinale e riguar­dano soprattutto l’accettazione del Concilio Va­ticano II e del magistero post-conciliare dei Pa­pi». In discussione quindi non c’è l’ultimo Con­cilio. E in questo senso hanno suscitato una buo­na impressione le recenti dichiarazioni del su­periore dei lefebvriani, il vescovo Bernard Fel­lay, per il quale le «serie obiezioni» della Frater­nità sono «circa» e quindi non «sul» Concilio in sé. Il dialogo quindi potrà esserci solo sull’in­terpretazione autentica del Concilio e di alcuni suoi documenti in particolare, come quelli riguardanti la collegialità episcopale, la libertà re­ligiosa, l’ecumenismo e i rapporti con le altre re­ligioni. A questo riguardo hanno suscitato una impressione meno positiva le dichiarazioni di Fellay, che sembravano auspicare un allarga­mento dei temi di dialogo a questioni inerenti, ad esempio, «l’influenza della filosofia moder­na » nella Chiesa del post-Concilio. Temi inte­ressanti che però non dovrebbero costituire di per sé oggetto di discussione dirimente per l’ac­coglimento dei lefebvriani e che rischiano di al­lungare indefinitamente i tempi dei colloqui.
In sostanza si tratterà di vedere se la Frater­nità fondata da monsignor Marcel Lefebvre è disposta ad accettare il Concilio Vaticano II al­la luce di tre principi. Innanzitutto nel segno dell’ «ermeneutica della continuità» e non di «rottura» con la tradizione come affermato da Benedetto XVI nel celebre discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi del 2005. Det­to questo per la Santa Sede è imprescindibile il fatto che il deposito della fede sia conside­rato «un tutto», nella sua integrità e organicità, e che non è possibile estrapolarvi arbitraria­mente dottrine gradite a scapito di altre che non piacciono. In questo caso il testo di riferi­mento sarà il Catechismo della Chiesa catto­lica. Questo secondo principio sarà forse quel­lo su cui potrebbero registrarsi le maggiori dif­ficoltà, poiché in campo lefebvriano si tende a volte a non dare il giusto peso ai diversi gra­di di importanza dei pronunciamenti magi­steriali (ad esempio la dottrina dello 'stato cat­tolico', ancorché teoricamente legittima, non può essere invocata come l’unica vincolante per la Chiesa...). Terzo principio che guiderà i colloqui sarà quello di discutere della lettera au­tentica del Concilio e non delle di­scutibili interpretazioni, anche nel caso godessero di un certo seguito all’interno della Chiesa cattolica. Come si noterà di materia da discu­tere ce n’è in abbondanza. E per non allungare troppo i tempi si prevede che le discussioni proseguiranno a scadenze ravvicinate. Quanti mesi occorreranno è ancora presto per dirlo. E comunque alla fine le con­clusioni dovranno essere sottopo­ste alle istanze superiori (Congre­gazione per la dottrina della fede e Papa per la Santa Sede, Fellay e Ca­pitolo della Fraternità per i lefeb­vriani). Solo dopo potrà essere cer­tificata la piena comunione. Le mo­dalità canoniche con cui questo po­trà avvenire (prelatura personale o altro) è un’altra storia.

Fonte: Avvenire 25 ottobre 2009, via Papa Ratzinger blog

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Ed ora riportiamo un dispaccio di agenzia inerente la dichiarazione di P. Lombardi, Direttore della Sala Stampa della S. Sede, circa l'avvenuto inizio dei colloqui:

Si è svolto in un clima "fiducioso" il primo incontro tra il Vaticano e i lefebvriani in vista del pieno rientro della comunità tradizionalista nella Chiesa cattolica: lo rende noto il portavoce vaticano, padre Federico Lmobardi. Il prossimo incontro dovrebbe svolgersi tra due settimane, poiché - si legge in una nota della Santa Sede - i colloqui dottrinali "proseguiranno nei prossimi mesi probabilmente a scadenza bimensile". "Lunedì 26 ottobre 2009 si è tenuto nel Palazzo del Sant'Uffizio, sede della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il primo incontro della Commissione di studio, formata da esperti della medesima Commissione e della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, allo scopo di esaminare le difficoltà dottrinali che ancora sussistono tra la Fraternità e la Sede Apostolica", afferma la nota della Pontificia commissione Ecclesia dei. "In un clima cordiale, rispettoso e costruttivo - sottolinea il comunicato - si sono evidenziate le maggiori questioni di carattere dottrinale che saranno trattate e discusse nel corso dei colloqui che proseguiranno nei prossimi mesi probabilmente a scadenza bimensile". "In particolare - mette in chiaro la nota del dicastero vaticano responsabile dei rapporti con i tradizionalisti - si esamineranno le questioni relative al concetto di Tradizione, al Messale di Paolo VI, all'interpretazione del Concilio Vaticano II in continuità con la Tradizione dottrinale cattolica, ai temi dell'unità della Chiesa e dei principi cattolici dell'ecumenismo, del rapporto tra il Cristianesimo e le religioni non cristiane e della libertà religiosa. Nel corso dell'incontro si è anche precisato il metodo e l'organizzazione del lavoro". Il portavoce della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, non ha voluto commentare le recenti previsioni del superiore dei lefebvriani, monsignor Bernard Fellay, secondo il quale i colloqui dottrinali durerebbero "un anno". "Il comunicato è questo, non ho nulla da aggiungere, non credo che sarebbe appropriato aggiungere adesso altre previsioni. Il clima - ha detto il gesuita - è fiducioso". I membri della delegazione lefebvriana - Alfonso de Galarreta, Benoit de Jorna, don Jean-Michel Gleize e don Patrick de La Rocque - sono arrivati ieri sera in Vaticano e ripartiranno nel pomeriggio, dopo aver pranzato insieme ai membri della delegazione vaticana. I lefebvriani hanno pernottato nella Domus Santa Marta, all'interno delle Mura leonine della Città del Vaticano.

Copyright Apcom, via Papa Ratzinger blog

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Anche la Commissione Ecclesia Dei, che gestisce e segue questi importanti colloqui nell'ambito della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha emesso un comunicato:

Lunedì 26 ottobre 2009 si è tenuto nel Palazzo del Sant’Uffizio, sede della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il primo incontro della Commissione di studio, formata da esperti della medesima Commissione e della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, allo scopo di esaminare le difficoltà dottrinali che ancora sussistono tra la Fraternità e la Sede Apostolica.In un clima cordiale, rispettoso e costruttivo si sono evidenziate le maggiori questioni di carattere dottrinale che saranno trattate e discusse nel corso dei colloqui che proseguiranno nei prossimi mesi probabilmente a scadenza bimensile. In particolare si esamineranno le questioni relative al concetto di Tradizione, al Messale di Paolo VI, all’interpretazione del Concilio Vaticano II in continuità con la Tradizione dottrinale cattolica, ai temi dell’unità della Chiesa e dei principi cattolici dell’ecumenismo, del rapporto tra il Cristianesimo e le religioni non cristiane e della libertà religiosa. Nel corso dell’incontro si è anche precisato il metodo e l’organizzazione del lavoro.

Fonte: Bollettino Ufficiale Santa Sede

lunedì 26 ottobre 2009

Echi tridentini: Thomas Stearns Eliot (e Ildebrando Pizzetti)

Thomas S. Eliot
«(Entra il Terzo Sacerdote, preceduto da un accolito che porta lo stendardo di Santo Stefano) 

Il Terzo Sacerdote Un giorno da Natale, il dì di Santo Stefano, Stefano Primo Martire... 

Il Coro dei Sacerdoti – Sederunt principes, et adversum me loquebantur, et iniqui persecuti sunt me. – Beati immaculati in via, qui ambulant in lege Domini... 
(Entra il Secondo Sacerdote, preceduto da un accolito che porta lo stendardo di San Giovanni Apostolo.)

Il Secondo Sacerdote Dal dì di Santo Stefano, un altro giorno, il giorno di San Giovanni Apostolo.

Il Coro dei Sacerdoti – In medio Ecclesiae aperuit os ejus, et implevit eum Domini spiritu sapientiae et intellectu. – Bonum est confiteri Domino: et psallere nomini Tuo, Altissime...

(Entra il Primo Sacerdote, preceduto da un accolito che porta lo stendardo dei Santi Innocenti.) 

Il Primo Sacerdote Da San Giovanni Apostolo, un giorno, il giorno dei Santi Innocenti... 

Il Coro dei Sacerdoti Ex ore infantium, Deus, perfecisti laudem propter inimicos Tuos... 

Il Secondo Sacerdote Dal dì degli Innocenti, un altro giorno: oggi, dopo Natale, il quarto giorno... 

Il Coro dei Sacerdoti Gaudeamus omnes in Domino, diem festum celebrantes...» 

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San Tommaso di Canterbury (Thomas Becket) fu sgozzato nella sua cattedrale, fra le grida di terrore del clero e dei fedeli, il 29 dicembre 1170, a opera di quattro sicari inviati dal re d’Inghilterra Enrico II: il santo arcivescovo era colpevole di non essersi piegato alle pretese cesaropapiste del sovrano. Il grande Thomas Stearns Eliot (1888-1965), americano ma naturalizzato inglese, convertito all’anglo-cattolicesimo, si ispirò alla vicenda per uno dei capolavori della letteratura novecentesca, il dramma “Murder in the Cathedral”, rappresentato per la prima volta nel 1935. Il compositore Ildebrando Pizzetti ne trasse il libretto per l’opera “Assassinio nella cattedrale” e lo musicò con intensa emozione (1958), attingendo a esiti di forte spiritualità. 
 A me sembra idea davvero originale scandire il trascorrere dei giorni dopo Natale, in attesa di un esito drammatico che tutti temono e che su tutto incombe, utilizzando antifona e versetto dell’Introito delle messe del 26, 27, 28 e 29 dicembre. Ma gli “echi tridentini” nel dramma di Eliot non finiscono qui. Due altri esempi vorrei presentare. 
L’emozione si fa angosciosa nel momento in cui – nella scena che precede immediatamente il martirio – un coro di preti dietro le quinte intona la sequenza dei morti, il “Dies irae”; e intanto il Coro femminile in scena si abbandona a immagini (della morte e dell’inferno) che fanno davvero tremare: 
 «(...) Gli agenti dell’inferno scompaiono, le presenze umane si ritraggono e si dissolvono in polvere nel vento, dimenticate, immemorabili. Rimane soltanto il bianco volto piatto della Morte, silenziosa serva di Dio. E dietro il volto della Morte il Giudizio e dietro il Giudizio il Vuoto, più orrido delle frenetiche forme dell’inferno; inesistenza, assenza, separazione da Dio; l’orrore del viaggio senza sforzo verso il territorio deserto che non è territorio, ma solo assenza, inesistenza, il Vuoto (...) Non è la cosa chiamata morte che temiamo, ma ciò che oltre la morte non è morte. Chi allora potrà implorare per me, chi allora ci sarà a intercedere per me, nell’estrema mia angustia?». “Quid sum, miser, tunc dicturus, quem patronum rogaturus cum vix iustus sit securus?” «Morto sul legno, mio Salvatore, non fare che sia vano il tuo dolore» “Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus: tantus labor non sit cassus” «Salvami dalla paura a cui mi arrendo: polvere sono e alla polvere tendo» “Oro supplex et acclinis, cor contritum quasi cinis: gere curam mei finis”. - Nel finale del dramma il canto in sottofondo del “Te Deum” sostiene ed illumina la trepidazione del Coro femminile, che contemplando il cadavere insanguinato di Becket si volge a Dio con accenti palesemente ispirati al “Cantico” di Francesco d’Assisi: «Noi ti lodiamo, Dio, per la tua gloria che si dispiega in tutte le creature della terra, nella neve, nella pioggia, nel vento, nella tempesta; in tutte le tue creature, nei cacciatori come nelle prede. Perché tutte le cose esistono solo in quanto Tu le vedi, solo in quanto Tu le conosci; tutte le cose esistono solo nella Tua luce e la Tua gloria è proclamata anche da colui che Ti nega; le tenebre proclamano la gloria della luce. (...)» [Per il primo esempio ho preferito riportare il testo del libretto d’opera; ma l’idea di utilizzare l’introito della Messa per scandire i giorni che passano è già nel dramma originale. Il secondo e il terzo esempio sono tratti dalla traduzione italiana del dramma di Eliot, a cura di Tommaso Giglio e Raffaele La Capria, edita da Bompiani (Milano, 1985). (Nel secondo esempio, l’accostamento fra i versi di Eliot e alcune particolari strofe del “Dies irae” è iniziativa mia). Fra le esecuzioni discografiche dell’opera, straordinaria mi sembra quella della Deutsche Grammophon diretta nel 1960 da Karajan, con un cast assolutamente meraviglioso, ma in lingua tedesca. In Internet si trovano riferimenti a esecuzioni (anche in dvd) molto più recenti. Io consiglio di partire da qui:

Giuseppe