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Elenchi dei Vescovi (e non solo) pro e contro Fiducia Supplicans #fiduciasupplicans #fernández

Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

lunedì 31 agosto 2009

Oportet ut scandala eveniant?

Sì, dice il Vangelo, che però aggiunge anche: "ma guai a colui attraverso il quale gli scandali arrivano". E questa ci sembra la frase evangelica più adatta a commentare lo scabroso caso Boffo, il direttore di Avvenire condannato, a quanto pare con decreto penale (ossia con provvedimento assunto senza processo, ma non opposto dall'imputato, come avrebbe potuto per legge entro 15 giorni, e quindi definitivo), per molestie alla moglie dell'amante. Apprendiamo ora che la voce circolava da tempo ed era nota negli ambienti; anzi Panorama aveva dato un'informativa, parziale, della cosa. Opportuno, dunque, che la cosa non restasse un'arma di ricatto ma venisse alla luce. Al tempo stesso, non possiamo nascondere il senso di fastidio per le finalità e le motivazioni per cui quella torbida vicenda è stata acclarata: come ritorsione per le critiche al comportamento come minimo discutibile del Presidente del Consiglio, per avventura anche proprietario proprio del giornale che ha dato la notizia.
Ma non è di questo che vogliamo parlare: come sapete, la politica, e pure i temi morali, non interessano di regola questo blog. Semmai vogliamo condividere e fare nostra un'osservazione di Raffaella del Papa Ratzinger blog, che in margine alla vicenda stigmatizza come l'attuale gara di solidarietà a Boffo da parte di prelati, istituzioni ecclesiali e movimenti, abbia fatto invece difetto quando oggetto di attacco (e con accuse, se permettete, assai meno giustificate e contro un bersaglio infinitamente più nobile e degno di difesa) era il nostro Pontefice. Ma lasciamo parlare Raffaella:


Cari amici, sono francamente un po' confusa.
C'e' qualcosa che non afferro o, meglio, lo inquadro ma non voglio ancora metterlo a fuoco (come direbbe Verdone).
Pare sia scattata una gara di solidarieta' intorno al direttore di "Avvenire". Fin qui nulla di male, ma l'atteggiamento dei vescovi mi lascia perplessa.
Ieri si e' esposto il cardinale Bagnasco, oggi si espone il cardinale Ruini e di Mons. Betori, in due dichiarazioni riportate dal Corriere.
Perche' tutta questa fretta non usuale per la Chiesa? Perche'? E perche' nessuno entra nel merito della questione "limitandosi" a rimproverare Feltri? Non mi piace l'insinuazione di qualche giornale secondo cui il governo e' pronto a ricucire con i vescovi sulla base di "garanzie su leggi e fondi". Ma a che punto siamo arrivati? Quante domande, ma la piu' importante e' un'altra!Perche' i vescovi non sono mai stati tanto solleciti quando si e' trattato di sostenere il Santo Padre? Non ricordo una reazione cosi' unitaria e cosi' celere in occasione della lectio di Ratisbona, della revoca della scomunica ai Lefebvriani, della cacciata dalla Sapienza, delle polemiche sul preservativo in Africa e via discorrendo...Per non parlare del motu proprio "Summorum Pontificum" che ha visto proprio i vescovi in prima linea nell'opposizione alla volonta' del Santo Padre.
Questo blog e' stato sempre attento nel sollecitare i vescovi a stringersi intorno a Benedetto XVI in questa o quella occasione, senza mai ottenere mezza risposta in tempi ragionevoli.
Idem per quanto riguarda i movimenti che, invece, si sono stretti immediatamente intorno a Dino Boffo.
Idem per la stampa cattolica. Il blog lancio' addirittura un appello ai direttori delle testate cattoliche (fra cui anche Avvenire) affinche' si decidessero a difendere il Papa dai continui attacchi. Non ci fu alcuna risposta. Abbiamo dovuto attendere che il Papa facesse tutto da solo (come al solito!) con la lettera ai vescovi (guarda caso!) del marzo scorso. Va bene la solidarieta' al direttore di Avvenire, ma vescovi e cardinali, media cattolici e movimenti riflettano sul fatto che per il Papa non si e' mai vista una mobilitazione del genere.
E' questo atteggiamento che mi infastidisce: la politica dei due pesi e delle due misure. La barca di Pietro veleggia sulla bellezza dell'oceano. La maggiorparte dei fedeli e' a bordo estasiata dalla parola del Successore dell'Apostolo. Molti vescovi (non tutti per fortuna) sono ancora al porto, sui canotti, seguiti da ben pochi mozzi...
Sia chiaro: non accettavo prima, e, a maggior ragione, non accettero' mai piu' alcuna dissobedienza dei vescovi al Papa.
Raffaella

Precisazione sul ruolo di mons. de Galarreta nei colloqui con Roma


Dal sito ufficiale della FSSPX, DICI:

Il sito internet argentino Panorama catolico internacional ha pubblicato l'informazione [v. link]secondo cui Mons. Alfonso de Galarreta sarebbe incaricato di "coordinare e dirigere gli incontri con la commissione designata dalla S. Sede" nel quadro delle discussioni teologiche tra la FSSPX e il Vaticano. E' precisato, al condizionale, che mons. de Galarreta "sarebbe stato nominato presidente della Commissione di teologi della Fraternità in carica delle discussioni dottrinali con la S. Sede".

In realtà mons. Alfonso de Galarreta è presidente della Commissione che deve preparare i dossier che saranno studiati durante le discussioni teologiche con i rappresentanti della S. Sede. Questa commissione interna alla FSSPX, costituita nell'aprile scorso, non è una commissione unilaterale. Fino a ulteriori dichiarazioni, resta ferma la dichiarazione di mons. Bernard Fellay all'agenzia italiana Apcom del 31 luglio:

- Monsignor Fellay, è previsto un suo viaggio a Roma prossimamente? E' stato fissata la data d'inizio dei colloqui? E la vostra commissione, avete già pensato da chi sarà composta? Quante persone la formano?Non c'è ancora una data fissata per l'inizio del dialogo, ma possiamo presumere che sarà in autunno. Verrò a Roma per quel periodo, ma non c'è ancora niente di preciso. La Commissione è già formata da 3-4 persone, ma non possiamo ancora fornire i nomi, anche per evitare qualsiasi pressione.

domenica 30 agosto 2009

Tornielli smentisce la smentita sulla riforma della riforma

Dal blog di Tornielli:

Cari amici, torno sull’argomento del post che avevo dedicato lo scorso 22 agosto alle questioni discusse dalla plenaria della Congregazione del culto divino riguardanti il recupero di un maggior senso di sacralità nella liturgia. Come saprete e come è stato ricordato, nel pomeriggio di lunedì 24 agosto il vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Ciro Benedettini (che stimo molto) ha diffuso attraverso la Radio Vaticana una dichiarazione verbale riguardante il tema del mio articolo. Queste le sue parole, misuratissime e studiate: “Al momento non esistono proposte istituzionali riguardanti una modifica dei libri liturgici attualmente in uso”. Questa presunta smentita ha fatto il giro dei blog: più di qualcuno non ha nascosto un pizzico di soddisfazione per il fatto che il sottoscritto sia stato colto il castagna. Inoltre, nell’intervista concessa ieri all’Osservatore Romano, il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone ha fatto un riferimento alle fantasiose ricostruzioni su documenti “di retromarcia” rispetto al Concilio, parole che l’agenzia Zenit ha prontamente collegato al mio articolo. Vorrei dirvi che la smentita di padre Benedettini più che dal mio articolo, è stata provocata dalla sua ripresa in molti blog (dopo il caso Williamson, i blog e i siti Internet vengono ora costantemente monitorati dalla Santa Sede) che davano per imminente la “riforma della riforma” e modifiche alla messa in senso più tradizionale. Innanzitutto nel mio articolo non ho mai parlato di riforme imminenti o di documenti già preparati, e nel finale dicevo chiaramente che si trattava dell’inizio di un lavoro. Un lavoro lungo, che non vuole calare le cose dall’alto per imposizione, ma coinvolgere gli episcopati. Parlavo della votazione fatta dalla plenaria della Congregazione , del fatto che il cardinale Canizares ne ha portato i risultati al Papa, del fatto che si sono cominciate a studiare non “proposte istituzionali di modifica dei libri liturgici” quanto indicazioni più precise e rigorose riguardanti la modalità di celebrare con i libri esistenti e in alcuni casi appena pubblicati. Tutto questo per dirvi di non credere a chi oggi scrive che non è in atto nulla, che il Papa e la Congregazione del culto non stanno pensando a nulla, che la “riforma della riforma” e il recupero di una maggiore sacralità della liturgia è una notizia fasulla pubblicata dal sottoscritto. Da quando faccio il vaticanista ho commesso molti errori e molti ne commetterò, ma l’articolo in questione, credetemi, non è tra questi. Del resto il fatto che “al momento” non esistano “proposte istituzionali” di riforma non smentisce che già oggi esistano proposte allo studio non ancora diventate “istituzionali”. E basta leggere ciò che a suo tempo ha scritto il cardinale Ratzinger e ciò che ha scritto Papa Benedetto XVI nella lettera di accompagnamento al motu proprio Summorum Pontificum per rendersi conto di quanto questo tema gli stia a cuore.


Riportiamo un pezzo di un commento della nostra Luisa al post di Tornielli e la relativa replica di quest'ultimo:

[..] nei due articoli usciti sul Giornale, uno scritto da lei e uno firmato redazione, si parla chiaramente di un documento consegnato al Papa e da lui approvato. Credo fermamente che quel documento con le sue proposte esiste, che lei non ha inventato nulla, non sono di certo le dichiarazioni di Benedettini o del cardinal Bertone a convincermi del contrario. Il linguaggio curiale mi infastidice assai e questo ne è un esempio. Lei è stato più che chiaro. La buona notizia è che il Papa e la Congregazione competente stanno occupandosi e riflettendo per ridare alla Liturgia la sua dignità e sacralità, nessuno si illude, purtroppo, che una decisione rapida intervenga, anche se sarebbe auspicabile, visto le derive e gli abusi. Ma c`è una frase nel suo post di oggi che non c`era nei suoi articoli, anche se si poteva dedurla e cioè che non si vuole calare le cose dall`alto per imposizione ma “coinvolgere gli episcopati”. Ebbene allora io mi dico che a forza di non far prova di autorità, a forza di tollerare ogni sorta di disobbedienza, contestazione, opposizione da parte degli episcopati nel mondo, siamo arrivati al punto che l`autorità del Successore di Pietro e l`obbedienza a lui dovuta sembrano diventate un optional e tant pis per i voti pronunciati. Se è logico consultare i vescovi , non posso non ricordare con quale rapidità, dopo il Concilio Vaticano II, le conferenze episcopali hanno introdotto riforme e indulti imponendoli come se fossero la norma, come i vescovi hanno taciuto e tacciono sugli abusi che pur conoscevano e conoscono, quando non vi hanno partecipato legittimandoli, non posso far finta di non sapere come oggi molti vescovi si oppongono al Summorum Pontificum, disobbedendo al Successore di Pietro. Non posso ignorare che i vescovi sono altrettanti elettroni liberi e le conferenze episcopali altrettanti minivaticani. In queste condizioni se il Papa non farà prova di autorità ad un momento o l`altro, piuttosto prima che dopo, niente cambierà. Dopotutto il Novus Ordo è calato dall`alto, è stato imposto con autorità. Perchè non si potrebbe calare dall`alto con autorità le correzioni che si impongono, che si stanno rivelando urgenti?


Ecco la replica di Tornielli:

Gentile Luisa, lei ha ragione: con il termine “documento” io intendevo l’esito scritto della votazione fatta dai padri della plenaria del Culto divino, ai quali sono state poste delle domande precise sulla sacralità della liturgia e sull’adorazione. Non sto certo dicendo che l’articolo non contenesse imprecisioni, ma siccome dalla smentita molti hanno concluso che non vi fosse nulla di vero, intendevo rassicurarli che non è così.

sabato 29 agosto 2009

Il card. Caffarra e il canto liturgico

Chi canta prega due volte, diceva Sant'Agostino, ma chi canta male non prega e non fa pregare neanche gli altri. Succede più o meno ogni domenica nelle numerose parrocchie in cui il canto di cherubini e serafini - cui la liturgia terrena dovrebbe tendere sempre di più (cfr. Sacrosantum Concilium n.8) - è oscurato da schitarrate e canzonette che riducono sistematicamente la liturgia a intrattenimento infantile. Il risultato di questa liturgia devirilizzata è che coloro che dopo la pubertà crescono (la maggior parte) smettono di andare ogni domenica a farsi trattare da infanti a suon di filastrocche, battimani e girotondi. E in chiesa restano solo le "pie donne" (categoria a parte, ma non è questa la sede) e i vari "peter pan" che dagli anni 1970 si tramandano la fiaccola del bricolage liturgico... Finalmente a Bologna si muove qualcosa:

Gli affezionati rimarranno forse delusi ma canti come “Osanna eh” e “Alleluia la nostra festa” in quanto teologicamente errati potrebbero presto scomparire dalle Messe celebrate nell’Arcidiocesi di Bologna. Con essi rischiano di essere banditi dai piedi dell’altare anche una serie di canti appartenenti a quella categoria definita dal cardinale Carlo Caffarra “ canzoni sciatte che in Chiesa non devono più esserci” nel libro intervista di Alessandra Borghese”. Canzoni contenute in un repertorio fatto compilare all’ufficio liturgico della diocesi accanto al quale il cardinale ha scritto le parole “mai più”. “ L’obiettivo del Cardinale – ha spiegato il provicario generale, mons. Gabriele Cavina, non è quello di modificare i canti liturgici ma quello di escludere i canti che liturgici non sono e che spesso finiscono all’interno della liturgia”.
Non tutti i classici verranno esclusi. Se infatti finiranno all’indice canzoni che trovano le loro origini nella musica leggera o in quella rock, potranno continuare ad essere intonati quelli che pongono le loro radici nei salmi come “ Su ali d’Aquila”. Attenzione verrà posta anche alle musiche visto che, come spiega sempre mons. Cavina “i testi vanno cantati e devono avere una melodia in sintonia con la celebrazione e il ritmo della celebrazione non è certo quello rock o metallico”.
Nel repertorio dovrebbero trovare posto anche canti come “Scende la sera” purché non utilizzato per accompagnare la messa mattutina e “Dove è carità e amore”. E se qualche dubbio potrebbe riguardare il testo di “Stella Polare”, i fedeli non dovranno rinunciare ai canti dedicati alla Madonna di San Luca e a “Gesù Signore” scritta dal cardinale Giacomo Biffi in occasione del congresso eucaristico del 1997.

(Fonte: Telesanterno, 27 agosto 2009)


venerdì 28 agosto 2009

28 agosto, Sant'Agostino


Per cortese concessione del prof. Massimo Introvigne, continuiamo la pubblicazione di una serie di vite di Santi, argomento di meditazioni del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, tradotte dallo stesso Introvigne mantenendo lo stile parlato originale.



Leggere le opere di Sant’Agostino (354-430) è uno dei più grandi piaceri che un uomo può avere. Il libro delle “Confessioni” è meraviglioso e altamente edificante da molti punti di vista. Sant’Agostino vi descrive gli abissi morali di orgoglio e sensualità in cui era caduto, e ci narra come riuscì a uscire dai suoi numerosi peccati. Quindi racconta i suoi primi contatti con Sant’Ambrogio (340-397), e come la luce della religione cattolica cominciò a entrare nella sua anima attraverso la presenza del santo vescovo di Milano. Esprime il suo entusiasmo per il vescovo di Milano e per le sue visite presso di lui. Sant’Agostino non poteva parlare spesso con Sant’Ambrogio, perché il vescovo normalmente aveva molto da fare – oltre a esercitare il suo ufficio pastorale, leggeva e studiava – ma rimaneva volentieri solo per guardare Sant’Ambrogio al lavoro. E il vescovo sapeva che l’esempio costituiva nei confronti di Sant’Agostino un apostolato migliore di qualunque discorso.
Potete immaginare la scena. Sant’Ambrogio, il grande dottore della Chiesa, mentre scrive su un grande “infolio”. Il suo volto è quello di un vecchio venerabile e placido, illuminato dalla grazia di Dio, saggio, meditabondo, sublime nei suoi giudizi. Ogni tanto si ferma per una rapida preghiera interiore, quindi ritorna ai suoi pensieri prima di trarne una conclusione finale. A osservarlo c’è Sant’Agostino, il cui volto riflette ancora la turbolenza della crisi per cui sta passando. Ma la grazia di Dio sta entrando nell’anima di Sant’Agostino e ne sta trasformando la personalità attraverso la sua ammirazione per Sant’Ambrogio.
E così continua a raccontarci della sua crisi interiore, della pace che ha sperimentato entrando in una chiesa e ascoltando la musica sacra, i salmi, la bellezza della liturgia. Quindi le mozioni forti del pentimento e la voce misteriosa che sente e che gli ordina: “Tolle et lege”, “Prendi e leggi”. Prende in mano le Sacre Scritture. e queste si aprono su un versetto che si applica perfettamente alla sua vita passata – Romani 13, 13-14: “Non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri”. Riceve così una grazia decisiva, che completa la sua conversione.
Ancora, descrive il famoso colloquio di Ostia con sua madre, Santa Monica (331-387). Era una donna molto santa, e lui era stato un figlio molto cattivo. Mentre erano a Cartagine e si preparavano per un viaggio a Roma, Santa Monica era andata in chiesa e aveva passato la notte in preghiera. Agostino ne aveva approfittato per abbandonarla e imbarcarsi per Roma senza di lei, lasciandola sola. Ma lei lo aveva seguito, sempre piangendo e pregando per la sua conversione. Una volta andò dal vescovo di Milano, Sant’Ambrogio, per chiedergli se il figlio si sarebbe mai convertito. Il vescovo rispose con queste parole famose: “Donna, il figlio di così tante lacrime non potrà mai perire”. Voleva dire che avrebbe visto la rinascita di Agostino grazie alle sue sofferenze intense e profonde.
E potete immaginare la sua gioia quando il figlio si convertì. San Agostino e la madre passarono diversi mesi insieme mentre si preparava per il battesimo. Quindi si prepararono a tornare in Africa. Prima d’imbarcarsi si fermarono in un albergo a Ostia, la città portuale sul Mediterraneo vicino a Roma. Stando alla finestra e guardando il mare, cominciarono a conversare delle cose di Dio.
Chi legge oggi di questa conversazione fra la santa madre il figlio si convince che in realtà stavano sperimentando un fenomeno soprannaturale, un’estasi. Questo diede ad Agostino la forza per i combattimenti che presto avrebbe dovuto affrontare. Per Monica fu un anticipo di Paradiso, perché sarebbe morta lì a Ostia, prima che la nave partisse. Sant’Agostino ci descrive in modo commovente il suo funerale. Quindi parte per l’Africa, dove nel 395 diventa vescovo d’Ippona.
A Ippona scrive un altro dei suoi grandi libri, “La Città di Dio”. Il tema di quest’opera straordinaria è la lotta perpetua e inconciliabile che si svolge nella storia fra due città – “città”, qui, viene dal latino “civitas” ed è più di una singola città: è piuttosto uno Stato, una civiltà. Queste due città sono la Città di Dio e la Città del Diavolo. Concepisce tutta la storia come una battaglia tra la Chiesa Cattolica e i poteri delle tenebre. La lotta nasce da due diversi amori. Nella Città di Dio c’è l’amore per Dio e l’oblio di se stessi, nella Città del Diavolo c’è l’amore per se stessi e l’oblio di Dio. Vivere per se stessi significa considerarsi il minuscolo centro dell’universo, e vedere ogni cosa come orientata verso i propri piaceri e interessi. Questo egocentrismo è il punto di partenza per ogni cosa cattiva. Al contrario, amare Dio significa orientarsi interamente verso le realtà trascendenti di cui ci parla la Rivelazione. Significa avere uno spirito metafisico, uno spirito religioso rivolto alle cose più alte. Questo è vivere per Dio. Con questi due principi, Sant’Agostino riassume tutta la storia.

Secoli dopo, una filosofia della storia analoga sarà insegnata da San Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716). Egli spiegherà che tutto quanto viene da Dio è buono. Dunque, siccome l’inimicizia fra la Madonna e il serpente, e tra la progenie di Maria e quella del serpente, è stata voluta da Dio, questa inimicizia in quanto tale non può che essere buona. È in fondo la stessa tesi di Sant’Agostino, presentata con uno stile più combattivo tipico di un’altra epoca.
A causa della sua presentazione molto vivace del bene e del male, qualche progressista di oggi attacca Sant’Agostino e “La Città di Dio” sostenendo che ci presentano una visione del mondo “manichea”. Ma secondo questa stupida accusa chiunque sostiene che c’è un bene e che c’è un male sarebbe manicheo. Sarebbero manichei il Magistero della Chiesa e tutti i santi, il che è assurdo. Il manicheismo è una dottrina dualista di derivazione gnostica apparsa nel terzo secolo dell’era cristiana. Insegnava che c’erano due divinità uguali in origine e potere, una buona e una cattiva, in continua lotta tra loro. La dottrina cattolica è completamente diversa. Insegna che c’è un solo Dio, eterno e onnipotente, e che una sua semplice creatura, il Diavolo, si è rivoltata contro di lui e lo combatte nella storia. Il manicheismo è un’eresia perché sposta il combattimento in un diverso ordine dell’essere. Per i manichei la lotta è ontologica; per i cattolici si situa nella sfera morale. Inoltre per i manichei la lotta non finirà mai; per i cattolici finirà con il Giudizio Universale quando Dio trionferà su un nemico che non gli è uguale, ma infinitamente inferiore. Naturalmente i progressisti conoscono queste differenze, ma fa loro comodo sostenere che chiunque non sostenga la loro visione irenica ed “ecumenica” della storia è un manicheo. È un’affermazione assurda e una manifestazione di malafede.
C’è un punto molto bello da considerare quando si medita su Sant’Agostino. Scrisse i suoi grandi libri mentre l’Impero Romano d’Occidente stava cadendo, quando tutto lasciava pensare che probabilmente la religione cattolica sarebbe stata spazzata via dalle invasioni barbariche. In effetti Ippona e Cartagine furono così devastate che quasi nulla rimase in piedi di queste città, e la religione cattolica non si ristabilì mai in queste regioni nel passato splendore. E tuttavia mentre il futuro era incerto Sant’Agostino continuava serenamente a scrivere i suoi libri. Morì mentre i Vandali stavano entrando nella sua città.

Il mondo così come il santo lo conosceva cadde: e venne il Medioevo. E allora furono le opere di Sant’Agostino che ispirarono la concezione medievale dello Stato, dell’Impero, della Cristianità. Carlo Magno (742-814) usava farsi leggere “La Città di Dio” mentre pranzava, e l’impero che egli fondò s’ispirava alle idee di Sant’Agostino. In un certo senso, il Medioevo è un giglio nato sulla tomba di Sant’Agostino. Secoli dopo la sua morte, la sua fiducia fu premiata.
In tutto questo c’è una lezione per noi. Oggi ci sono nuovi Vandali impegnati a distruggere sia i valori culturali sia gli edifici materiali della civiltà cristiana. Come Sant’Agostino, dobbiamo continuare a operare serenamente con fede e fiducia, sapendo che il nostro lavoro darà frutti e fiorirà in un Regno di Maria quando Dio lo vorrà.

Card. Lehmann: la FSSPX è un richiamo per ogni genere di delusi e frustrati.

Estratto di un'intervista al cardinale Lehmann, ex presidente della Conferenza Episcopale germanica e prelato tra i più influenti dell’area tedesca. L'intervista e la foto (eloquente!) del cardinale sono tratti dal grande sito tedesco Kreuz.net, via Cathcon.


- [..] In tempi economicamente difficili, cresce la tendenza al risparmo non pagando la tassa ecclesiastica [nei paesi tedeschi si deve dichiarare la confessione di appartenenza cui, in conseguenza, si paga una tassa ad hoc. In Italia saremmo tutti ufficialmente atei, con quel sistema...]
E’ corretto che per esempio la tassa abbia portato gente a lasciare la Chiesa, in parte per la cattiva politica informativa delle banche. Ma defezioni dalla Chiesa hanno anche molte altre ragioni. La controversia sulla FSSPX, ad esempio, ci ha urtato molto. Inoltre molte persone lasciano con una lunga storia precedente di estraniamento. Spesso una esperienza davvero brutta è sufficiente perché facciano l’ultimo passo e se ne vadano via. Per questo ritengo sia importante prendersi cura dei ‘fedeli che si sono distanziati dalla Chiesa’ ed esprimere il nostro apprezzamento per loro, come io faccio alla fine di ogni anno.

[..]

- Nella Chiesa il conflitto con la FSSPX non è in alcun modo risolto. All’inizio dell’estate, la comunità ha illecitamente ordinato preti. Roma non può tollerarlo.Sostanzialmente, penso esattamente lo stesso. Da una parte io capisco molto bene il Papa che ha risposto alle ripetute richieste di riconciliazione della FSSPX. Egli è obbligato a fare così, come supremo pastore della Chiesa. Ma dall’altro lato la FSSPX non deve ripetere le sue provocazioni in parole e fatti. Lo fanno continuamente.
Uno deve distinguere. La FSSPX è fortemente frammentata, un punto di richiamo per ogni tipo di gente delusa e frustrata. Alcuni non riescono ad accettare la modernità, altri la Rivoluzione francese, l’altro ancora la libertà di religione, infine altri le riforme liturgiche degli anni Sessanta. Alcuni di loro potranno essere recuperati. Ma ci sono quello non istruibili, come mostra il caso del negazionista dell’olocausto Richard Williamson. Per loro, c’è solo una forma. Forse dovremmo aver fatto più rapide e più chiare distinzioni.

- E poi scomunicare di nuovo quella gente?Questo è già degno di nota: nel mondo di oggi, non c’è nulla così oscuro e arretrato come la scomunica. Ma quando certa gente come la FSSPX non rientra nello schema, la richiesta di una scomunica viene sicuramente. Poi subito una nuova Inquisizione, che non è così male dopo tutto. Questo non è generalmente il mio stile. Se la FSSPX continua a comportarsi in modo folle e prende in giro il Papa e la Curia, dovremmo veramente dire che quelli non appartengono alla nostra comunità. Ma sicuramente non con i vecchi strumenti.

giovedì 27 agosto 2009

Professione Solenne delle Francescane dell'Immacolata, in Cornovaglia


Riportiamo brevemente l'importante notizia della solenne professione di due Suore Francescane dell’Immacolata, nell’antica forma del rito Romano-Serafico, che ha avuto luogo l’11 agosto, solennità di S. Chiara, a Lanherne in Cornovaglia.
Per il resoconto della celebrazione e per altre foto, si veda qui

Due suore hanno emesso i loro voti perpetui nelle mani del Celebrante, Padre Stefano M. Manelli, fondatore dei Francescani dell’Immacolata. La celebrazione ha avuto luogo nella cappella pubblica di S. Giuseppe ed Anna.

Dopo la processione del celebrante, sono state accompagnate le due suore con una candela in mano, accompagnate dalla Madre Generale.

Dopo i riti introduttivi, le due suore si sono inginocchiate davanti al celebrante, mentre era cantata l’antifona delle vergini prudenti.
Al termine del canto, seduto in cornu Evangelii, P. Manelli, ha interrogato le due suore secondo quanto prevede il rito.
Il Momento più suggestivo e di intenso significato è senz’altro il canto delle litanie dell’ordine Serafico, durante il quale le due suore si sono prostate davanti all’altare, e son state coperte da un velo azzurro, simbolo del manto della Beata Vergine.
Le suore son rimaste coperte così, anche durante il successivo canto dell’Inno Veni Creator.
Il rito poi ha proseguito more solito con la preghiera di intercessione, la dichiarazione del voto, la promessa della vita eterna la consegna dell’anello e della corona e la speciale benedizione.
Al termine del rito, la S. Messa ha proseguito come normale.
Per grazia di Dio, altre due vocazioni hanno arricchito la Chiesa, ed è significativo che mentre gli ordini religiosi "ordinari" si svuotano, rischiando l'estinzione, gli ordini "tradizionali" sono sempre più centri fecondi di vocazioni alla vita consacrata e sacerdotale.
Ma questo si sa già ed è cosa nota, ma scomoda e per questo ignorata e sminuita dagli avversari della tradizione. Anche questo rappresenta un fallimento della loro ideologia riformista.

mercoledì 26 agosto 2009

26 agosto a Barletta: 60° Settimana Liturgica Nazionale - Mons. Piero Marini e la "Liturgia della riconciliazione". Come?

Un amico lettore ci segnala un appuntamento che sta avendo luogo in questi giorni a Barletta (24-28 agosto): la Sessantesima Settimana Liturgica Nazionale.
Quest'anno il tema è il sacramento della Riconciliazione (la buona e cara vecchia Confessione).
Ne abbiamo analizzato il programma, e vi proponiamo qualche elemento di riflessione.
Il tema è molto importante , il progamma è ricco, molte ed eterogenee sono le tematiche trattate ed eminenti i relatori (ex plurimis si citano Mons. Bertello, Nunzio Apostolico in Italia; le LL. EE. Mons. Monterisi, Segretario della Congregazione per i Vescovi; Mons. C. Ghidelli, Vescovo di Lanciano-Ortona, firmario, all'epoca, dell'opposizione episcopale italiana contro il Motu Proprio "Summorum Pontificum"; Mons. Brandolini, "in lutto" dopo il 17 luglio 2007, e strettissimo collaboratore di Mons. Bugnini di cui indossa l'anello episcopale, etc.).
Se solo pochi sono i temi che trattano l'aspetto teologico e dottrinale della confessione, come ad es. "Vie della riconciliazione nei Padri e nel Magistero della Chiesa", (Mons. P. Tamburrino, Arcivescovo Metropolita di Foggia) o "Linee per una comprensione teologica del sacramento della Penitenza" di Mons. A. Catella, Vescovo di Casale Monferrato) molto più tempo è però riservato ad altri aspetti del sacramento, validi ma forse meno importanti e troppo antropologici, troppo "umani". (Bè ma forse è normale, vista la dimensione antopocentrica, secolarizzata e dissacrata della Liturgia, dei Sacramenti e della Chiesa).
Gli "Aspetti antropologici di una relazione" (trattati da Mons. C. Maniago, Vescovo Ausiliario di Firenze) e il "Perdono e riconciliazione: gli scenari del tempo, gli scenari del cuore" (illustrati da una nostra vecchia conoscenza: Mons. B. Forte, Vescovo di Chieti-Vasto) sono solo due esempi.
Molta perplessità suscitano anche altri interventi. Uno è quello di Fr. Boselli (Liturgista -?- del Monastero di Bose) circa il "Perdono e riconciliazione nei riti della celebrazione eucaristica". Se svolta con superficialità e omessi i necessari "distinguo", questa relazione corre il rischio di far intendere che per la rimessione dei peccati sia sufficiente recitare l'atto penitenziale ad inizio della S. Messa, (errore ormai molto diffuso). E si teme che ciò sia avvenuto, anche per il fatto che a Bose non si celebrano Ss. Messe cattoliche. Ma sicuramente il frate è competente, molto più di un liturgista cattolico.
Altrettanto strano è l'intervento di Fr. E. Bianchi, Priore del Monastero di Bose "Effusione dello Spirito Santo e remissione dei peccati". Il titolo dell'intervento non è chiaro e rischia di generare confusioni ed errori (la remissione dei peccati non avviene per o con l'effusione dello Spirito Santo). Fr. Bianchi forse è preparatissimo al riguardo, ma ci stupisce che egli sia stato chiamato a dissertare su un sacramento peculiarmente cattolico, e che egli non sia sacerdote. Si sa che unico ministro della confessione è proprio il sacerdote cattolico.
Maggior sconcerto è leggere il programma previsto per oggi 26 agosto.
Non solo interverrà Mons.Brandolini, come già detto, stretto collaboratore di Mons. Bugnini (e tutti conoscono quale fu la sua ferma volontà di eliminare quanto di cattolico fosse nella Messa: link), nel pomeriggio inoltre è prevista la Celebrazione Eucaristica (ore 12) PRIMA della Liturgia della Riconciliazione (ore 17).
Questa scelta conferma ulteriormente la serietà degli organizzatori, e il loro convincimento sull'importante significato e sulla serissima funzione della Confessione sacramentale. Ma probabilmente per esigenze del celebrante o per la santità di tutti i partecipanti, gli organizzatori hanno pensato bene di poter invertire l'ordine dei due sacramenti.
E sconcerto nello sconcerto è leggere che vi sarà una "Liturgia della Riconciliazione". (?) Non è chiaro in cosa essa consista, ma si spera che essa sia una "celebrazione comunitaria del sacramento della Penitenza" (durante la quale comunitarie sono solo la preparazione alla confessione con la lettura della Parola di Dio e la resa di grazie finale, ma la confessione dei peccati e l'assoluzione restano individuali, come sancito dal Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1482) e non una "celebrazione comunitaria della Riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale" a cui si può ricorrere solo per gravi necessità o stati di pericolo (ibidem, n. 1483; can. 961 C.I.C.) secondo quanto ribadito con fermezza dal Prefetto della Congregazione della Disciplina dei Sacramenti, come abbiamo riportato in un nostro precedente post poco tempo fa).
Non si sa cosa avverrà: il "presidente" della Liturgia della Riconciliazione è Mons. Piero Marini. Ognuno effettui i propri pronostici.
Sicuramente i frutti di questi incontri saranno molti e positivi, e in linea con il magistero del Papa e della Chiesa, ma sulla carta ... ci sono non pochi motivi per rimanere un po' scettici.
Il nostro non è pessimismo gratuito, ma solo esperienza. Speriamo però di sbagliare.
Per il programma e i relatrori della Settimana Liturgica Nazionale si veda il link al sito ufficiale, e si clicchi su PROGRAMMA, oppure si cerchi su

http://www.60settimanaliturgicanazionale.it/inde.html

Commentario giuridico al motu proprio



E’ nota a tutti noi l’opposizione accanita, dai tratti che spesso rasentano il fanatismo, nei confronti dell’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum; ostilità e avversione che ne limita enormemente il naturale sviluppo, con il ricorso a tutti i mezzi, specialmente illeciti (ossia: la minaccia e la denigrazione sistematica dei fedeli e soprattutto dei sacerdoti aperti al desiderio del Papa). Mentre in Italia la guerra si svolge, appunto, all’italiana, ossia mediante intimidazioni e manovre ben poco onorevoli, coperte da ipocrite proteste di stima e adesione al documento pontificio, in Germania la Conferenza Episcopale, intrisa di progressisti old style (i cui capifila sono il precedente e l’attuale presidente della conferenza episcopale, Lehmann e Zollitsch) ha emanato un corpus normativo di "interpretazione" del motu proprio, con l’evidente fine di ostacolarne al massimo l’applicazione, introducendo condizioni e limitazioni.

Noi siamo giunti da tempo all’amara ma veridica conclusione che la Chiesa non sa minimamente che cosa sia il rule of law, quello che in termini laici si traduce come ‘Stato di diritto’. L’adagio ricorrente nelle sacrestie è semmai: il codice di diritto canonico non è che carta stampata; il vescovo (o il collega, o il monsignore, o il cardinale) è una persona, e come tale conta molto di più perché può nuocermi o favorirmi. Forse questa situazione deriva dall’inesistenza nella Chiesa di tribunali indipendenti; e qui si apprezza appieno (lo diciamo per i laudatores incondizionali dell’ancien régime) il principio illuminista della separazione dei poteri... Ma non divaghiamo.

Basta dare un’occhiata alla situazione, diocesi per diocesi, raccolta nella nostra pagina con l’elenco delle messe, per verificare la violazione delle norme, anche le più chiare, del motu proprio. L’impressione potrebbe allora essere che è inutile approfondire il discorso giuridico sulla loro interpretazione, poiché tanto ci si fa beffe allegramente delle stesse. La premessa è giusta, ma la conclusione sbagliata. Come dice Giulio Andreotti, la legge per gli amici si interpreta, per i nemici si applica... E noi siamo i nemici: quindi le cancellerie episcopali sono pronte a sfoderare argomenti giuridici, cavilli e fallacie, sperando di respingerci in quel modo, il più onorevole e ‘pulito’, per loro. Nostro compito è impedirglielo e costringerli così a ricorrere ad altri mezzi, molto più obliqui e disonorevoli, ma proprio per quello denunziabili alla pubblica opinione e all’Ecclesia Dei.

E così, se davanti alla vostra richiesta di ottenere la celebrazione della S. Messa in forma straordinaria, trovaste un don Bartolo che, come il personaggio mozartiano, pur di impedirvelo giurasse a se stesso "se tutto l’indice dovessi leggere, se tutto il codice dovessi volgere, con un equivoco, con un sinonimo qualche garbuglio si troverà"; ebbene, l’arma di difesa ideale è l’agile volume che il Dott. Wolfgang Rothe ha appena pubblicato ad Augusta, in Germania, dal titolo Liturgische Versöhnung. Ein kirchenrechtlicher Kommentar zum Motu Proprio "Summorum Pontificum" für Studium und Praxis (Riconciliazione liturgica. Un commentario canonistico sul Motu Proprio Summorum Pontificum per lo studio e la pratica), Dominus Verlag, 2009. Con prefazione di Mons. Perl, vicepresidente emerito dell'Ecclesia Dei. Il libro fornisce un’analisi dettagliata del dettato normativo e consente agevolmente di confutare i paralogismi giuridici che possono essere opposti ai richiedenti: ad esempio sulla modalità di costituzione del gruppo stabile (che può formarsi ad hoc e non essere preesistente). Sotto questo profilo, è da segnalare che anche per questo Autore il numero sufficiente a formare il gruppo è da identificarsi in quello di tre persone; conclusione già raggiunta da altro canonista, di cui avevamo dato notizia in un nostro post. Di molte di queste obiezioni semigiuridiche ci siamo occupati anche noi in una pagina specifica del sito (LINK).

Rothe chiarisce che il motu proprio ha cambiato dalle fondamenta la posizione della liturgia tradizionale e il ruolo dell’Ordinario diocesano. Con il vecchio indulto, pur con tutte le sue invocazioni per una "ampia e generosa applicazione", l’esistenza della Messa di sempre restava una graziosa concessione. Era una deroga alla legge universale, rimessa alla completa discrezione (il che vuol dire: al mero arbitrio) di Sua Eccellenza. Ora invece le forme ordinaria e straordinaria godono di status formalmente equiparato. Ogni prete può celebrare come meglio crede le sue messe private (anche con assistenza di laici), senza la minima autorizzazione. E i fedeli a livello di parrocchia hanno diritto di ottenere la forma straordinaria: diritto, tanto vero che se il parroco rifiuta, è previsto un mezzo di appello al vescovo e, dopo questo, alla Commissione Ecclesia Dei. Ne consegue che tanto il parroco, quanto il vescovo, sono soggetti all’obbligo di legge di provvedere al soddisfacimento dell’esigenza spirituale dei richiedenti.

Rothe precisa anche perché l’asserito pericolo di conflitto o confusione dei fedeli (pericolo assolutamente irreale, ma spesso strumentalmente agitato da prelati recalcitranti) non può rappresentare valida ragione per rifiutare la Messa tradizionale.

Altro aspetto degno di rilievo, è la parte in cui si sottolinea l’esigenza di evitare commistioni tra le due forme del rito: non si possono introdurre nel messale di S. Pio V (rectius, del B. Giovanni XXIII) letture tratte dal novus ordo, o la comunione in mano, o le chierichette.

Su un piano più accademico e definitorio, l’Autore appare non convinto circa la passata non abrogazione del vecchio rito, che di fatto fu reso indisponibile; è chiaro peraltro che la questione, dopo il 2007 e la reintroduzione dell’antico messale, ha perso risvolto pratico.

Il testo è stato pubblicato per ora solo in tedesco. Il Dott. Rothe ci scrive per saggiare se vi sia una casa editrice e magari un traduttore disposti a collaborare per un’edizione italiana. Ne saremmo ben lieti, per porre nelle mani dei fedeli di casa nostra uno strumento di indubbia utilità pratica e anche di approfondimento dottrinale. Una casa editrice od un traduttore che fossero interessati possono scrivere a noi, che provvederemo ad inoltrare la comunicazione.

martedì 25 agosto 2009

Don Georg celebra ad orientem

Ecco un'immagine della Messa celebrata domenica da don Georg Gaenswein, segretario del Papa, per festeggiare il 25° della sua ordinazione. La Messa (novus ordo in latino) è stata celebrata in Bonndorf. L'immagine mostra un momento del rito ripresa da un maxi schermo montato sotto un tendone all'aperto, dato il gran numero di presenti. All'interno non erano ammessi fotografi.

Fonte: Cathcon

Un filmato che, tra l'altro, mostra l'elevazione versus Deum:



Peccato per le chierichette. Riusciremo a liberarcene una buona volta?


Dei commenti.

Stimatissimi lettori,

se c'è una cosa di cui Messainlatino.it è fiera è del gran numero di commenti che ci fate l'onore di scrivere in questo blog. Il discorso raggiunge spesso una profondità di pensiero, anche liturgico o teologico (campi, quindi, certo non facilissimi), ammirevole e in fin dei conti stupefacente, per un mezzo di comunicazione così diretto e 'democratico'. Molto si può imparare proprio dallo scambio di opinioni tra lettori; con discussioni spesso ben più sugose ed istruttive rispetto ai nostri post.

Al tempo stesso, tutto si può dire tranne che lo scambio tra i commentatori sia noiosamente accademico o rarefatto: la passione, l'ironia, la stessa polemica tengono desta l'attenzione e l'interesse del lettore, e suscitano nuovi commenti e contributi.

Se un merito di questo felice incontro di penne 'ispirate' (comprese quelle anonime o con pseudonimo), è ascrivibile a chi gestisce questo sito, esso è, crediamo, quello di aver voluto evitare nei limiti del possibile censure e controlli. La parresìa, la libertà di parola cara ai Greci, è - ne siamo convinti- la premessa essenziale per una discussione non solo più viva e divertente, ma in fin dei conti anche più interessante e sostanziosa. Siamo inoltre assolutamente allergici e insofferenti a quella ipocrisia, così diffusa in ambito ecclesiale, che impedisce di chiamare le cose, anche le più evidenti, col loro nome; e se un prelato si comporta da filibustiere, ci piace dirlo e lasciarlo dire, senza tirar fuori quelle untuose tiritere da sacrestia per cui "un-successore-degli-Apostoli-sa-quel-che-fa-e-non-ci-si-può-permettere-di-criticarlo"; "si-deve-obbedienza-al-prete-al-vescovo-al-sacrestano"; "non-si-può-parlare-che-bene-dei-riti-che-la Chiesa-pratica"; e via beghineggiando.

Occorre però aggiungere che da più parti (e parti 'amiche', ben inteso) ci viene richiesto un più attento controllo su alcuni commenti che, ci dicono, possono mettere in cattiva luce proprio coloro che si sentono legati alla Tradizione della Chiesa. Spieghiamo meglio: certe reazioni, più umorali che razionali, in cui noi tradizionalisti ci sfoghiamo un po' qualunquisticamente contro tutto e tutti della Chiesa d'oggi, rischiano di farci apparire settari o irragionevoli, con danno e perdita di credibilità per noi stessi fedeli legati alla Tradizione.

Siamo in effetti arrivati al punto di non pubblicare notizie, ad esempio immagini di certi abusi liturgici, per timore che la santa collera e il giusto sdegno dei lettori possa trascendere in commenti eccessivi e fuori luogo.

E' certo difficilissimo, in una temperie spirituale così grave e soprattutto dopo decenni di odiose prevaricazioni modernistiche, di dissennata, se non preordinata, demolizione di elementi della Fede, mantenersi pacati. Tutti noi abbiamo i nostri momenti di eccesso atrabiliare. Ma dobbiamo evitarli a tutti i costi: sia perché lo zelo amaro è esplicitamente condannato da San Paolo; sia perché, utilitaristicamente, essi ci nuocciono. E' una ben conosciuta regola eristica, ossia del confronto polemico, che un concetto espresso in toni sopra le righe perde buona parte della sua persuasività: questo perché chi legge è portato a ritenere che esso sia frutto più di disordinata passione che di matura riflessione.

E se a qualcosa serve un blog come questo, è presentare a chi non la pensa come noi, o semplicemente non conosce la Tradizione della Chiesa, la bellezza di questa e la necessità del suo recupero. La forza tranquilla ma sicura degli argomenti, il semplice e incomprimibile buon senso, sono sicuramente dalla nostra parte: non intorbidiamoli con la violenza verbale che allontana, anziché convincere.

Per questo ribadiamo le tre regole già da tempo stabilite per i commenti (niente insulti, non impugnare la verità conosciuta, ossia i dogmi; evitare il più possibile gli off topic). A questi aggiungiamo un ulteriore criterio: evitare lo zelo amaro, l'acidità gratuita e l'invettiva qualunquistica che fa di tutta l'erba un fascio.

Grazie

lunedì 24 agosto 2009

La riforma della riforma: si fa o non si fa?

Dal Papa Ratzinger blog riportiamo questo dispaccio dell'AGI. Segnaliamo però che fino alle 17 di oggi 24 agosto non è stato ancora pubblicato on line il bollettino della Sala Stampa della S. Sede, cui l'Agenzia di stampa AGI fa riferimento.

"Al momento non esistono proposte istituzionali riguardanti una modifica dei Libri Liturgici in uso". Lo precisa la Sala Stampa della Santa Sede in merito ad alcune notizie circolate nei giorni scorsi a commento delle pubblicazione, in un volume dell'editore Cantagalli di Siena, di una lettera inedita al filologo Heinz-Lothar Barth, esponente del tradizionalismo tedesco, nella quale Joseph Ratzinger ipotizzo' nel 2003 una "riforma della riforma liturgica", da attuare "per gradi" al fine di riportare piu' senso del sacro e piu' adorazione nel nuovo rito, facendo si' che l'antico e il nuovo si compenetrino a vicenda, prendendo il meglio da entrambi.
Ovviamente, il prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede non immaginava che due anni dopo sarebbe stato eletto Papa e non intendeva stilare un progetto di riforma ma semplicemente esprimere alcune considerazioni riguardo al fatto che verso l'antico rito "e' ancora troppo grande l'avversione di molti cattolici" e alla "difficolta' di gestire" la coabitazione di due riti - quello antico, oggi liberalizzato come forma straordinaria, e quello post-conciliare, confermato come forma ordinaria - che e' stata pero' la soluzione scelta da Benedetto XVI nel 2007 con il motu proprio "Summorum Pontificum".E' evidente che le decisione assunta come Capo della Chiesa supera le considerazioni che lo stesso Ratzinger aveva fatto da cardinale, anche se nella lettera ai vescovi che due anni fa ha accompagnato il Motu Proprio, lo stesso Pontefice scrive: "le due forme dell'uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potra' manifestarsi, in maniera piu' forte di quanto non lo e' spesso finora, quella sacralita' che attrae molti all'antico uso. La garanzia piu' sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunita' parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformita' alle prescrizioni; cio' rende visibile la ricchezza spirituale e la profondita' teologica di questo Messale". E in ogni caso, scrive ancora Benedetto XVI in quel testo, "non c'e' nessuna contraddizione tra l'una e l'altra edizione del Missale Romanum". Per il Papa, infatti, "nella storia della Liturgia c'e' crescita e progresso, ma nessuna rottura. Cio' che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non puo' essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso".
Le proposte di modifica al Messale di Paolo VI che sarebbero state elaborate dalla Congregazione del Culto Divino sembrano ispirate proprio a questa visione: "Si intende rivedere - scrive il Giornale che ne ha dato conto - la parte introduttiva del messale mettendo molti piu' paletti alla creativita', e sottolineando il senso del sacro e l'importanza dell'adorazione. Si prevede in futuro la ripubblicazione di tutti i messali bilingui, con testo latino a fronte. Si vuole contenere l'usanza, ormai diffusissima, di dare la comunione sulla mano, ricordando che si tratta di una concessione straordinaria, ma che il modo normale di ricevere l'ostia e' in bocca. Si chiede che nelle solennita' si torni a celebrare in latino, anche se secondo il nuovo rito. E si sottolinea l'importanza per il celebrante di rivolgersi verso Oriente, almeno durante la consacrazione eucaristica, come accadeva di prassi prima della riforma, quando sia fedeli che il prete guardavano verso la croce e il sacerdote dava dunque le spalle all'Assemblea". Nel volume di Cantagalli - che ha originato la polemica in corso anche la fuga di notizie sulle proposte che ha provocato la precisazione odierna - trova spazio anche un altro testo di Ratzinger finora mai pubblicato [inesattezza: il testo gira in internet da qualche anno] ma che sembra scritto apposta per il difficile passagguo in corso, nel quale il futuro Papa ribadisce come la liturgia non debba "essere il terreno di sperimentazione per ipotesi teologiche". "In questi ultimi decenni - afferma Ratzinger - congetture di esperti sono entrate troppo rapidamente nella pratica liturgica, spesso anche passando a lato dell'autorita' ecclesiastica, tramite il canale di commissioni che seppero divulgare a livello internazionale il loro consenso del momento e nella pratica seppero trasformarlo in legge liturgica. La liturgia trae la sua grandezza da cio' che essa e' e non da cio' che noi ne facciamo".


Per contro, proprio oggi Il Giornale ha pubblicato uno schema con le modifiche al Messale paolino che il quotidiano afferma essere state approvate lo scorso 4 aprile:


Il documento consegnato al Papa il 4 aprile scorso contiene 5 novità che sono passate ora al vaglio di vescovi e cardinali della Congregazione per il Culto Divino. Ecco i punti discussi:

A Si intende rivedere la parte introduttiva del messale mettendo molti più paletti alla creatività, e sottolineando il senso del sacro e l'importanza dell'adorazione.

B Si prevede in futuro la ripubblicazione di tutti i messali bilingui, con testo latino a fronte.

C Si vuole contenere l'usanza, ormai diffusissima, di dare la comunione sulla mano, ricordando che si tratta di una concessione straordinaria, ma che il modo normale di ricevere l'ostia è in bocca.

D Si chiede che nelle solennità si torni a celebrare in latino, anche se secondo il nuovo rito.

E Si sottolinea l'importanza per il celebrante di rivolgersi verso Oriente, almeno durante la consacrazione eucaristica, come accadeva di prassi prima della riforma, quando sia fedeli che il prete guardavano verso la croce e il sacerdote dava dunque le spalle all’assemblea.


I casi sono due. O la smentita della sala stampa (che, ripetiamo, non abbiamo ancora visto; ma fidiamoci dell'AGI) è solo un trucco per depistare polemiche di parte 'bugniniana' prima che il documento papale sia stato debitamente perfezionato (cosa che, secondo i criteri romani, prende al minimo molti mesi, per non dire anni); oppure il documento - che esiste, di questo siamo ragionevolmente certi - è davvero destinato a languire in perpetuum sulla scrivania del S. Padre, come le famose istruzioni applicative del motu proprio redatte dall'Ecclesia Dei nel... febbraio 2008. In questo caso, la riforma della riforma (assolutamente ineludibile, pena la riduzione del cattolicesimo ad un pusillus grex!) resterà nel cassetto delle buone intenzioni e ogni speranza di rinnovamento liturgico rimarrà riposta esclusivamente nella sempre maggior diffusione della Messa di sempre: elemento certo importantissimo allo scopo di influire indirettamente sul novus ordo (come lievito ed esempi0), ma difficilmente sufficiente per rivoluzionare col necessario tempismo l'andazzo celebrativo ordinario.

Il Prelato dell'Opus Dei: al Papa sta molto a cuore il recupero del senso autentico della liturgia

Il Prelato dell'Opus Dei mons. Javier Echevarria (la prelatura personale dell'Opus Dei è appunto presieduta da un ordinario che ha la carica di prelato), in un recentissimo discorso a Porto Rico, ha chiesto di pregare intensamente per il Papa e per il suo gravoso incarico, ed ha aggiunto queste illuminanti parole sull'intenzione di Benedetto XVI.
Sappiate che il Papa ha molto a cuore che si recuperi il senso autentico della liturgia; desidera molto che trattiamo il Signore con delicatezza, che sappiamo fare una genuflessione con devozione quando passiamo davanti a un tabernacolo, che sappiamo adorare l'Ostia Santa quando è esposta, che sappiamo farLe compagnia in tutti i tabernacoli del mondo.
Il discorso da cui abbiamo tratto queste parole può essere ascoltato a questo LINK.

Ricordiamo, come riportato in un nostro post, che è provato che il fondatore dell'Opus Dei, san Josemaria Escrivà de Balaguer, manifestò, se non avversione al nuovo rito, grande attaccamento al vecchio, tanto da ottenere dispensa per celebrare privatamente secondo il messale tridentino.


Grazie ad Eugenio per la segnalazione

domenica 23 agosto 2009

Le recenti nomine in Segreteria di Stato viste dai progressisti

Il sito poco catto- e molto progressista Golias delinea un'analisi delle ultime nomine in Segreteria di Stato, che si iscrivono in un progressivo smantellamento degli organigrammi ereditati dalla gestione Sodano, Segretario di Stato all'epoca di Papa Giovanni Paolo II. Traduciamo il brano, ricordando che, dal punto di vista di Golias, può definirsi tradizionalista (anzi, integrista) chiunque, ad es., creda alla verginità perpetua della Madonna, o sia contrario all'aborto e all'eutanasia, e simili.



RIVOLUZIONE DI PALAZZO


Di alcuni ‘valzer’ di nomine romane il grande pubblico non si accorge, benché siano decisive. Quest’estate Benedetto XVI ha in effetti designato due nuovi funzionari di alto rango nella Segreteria di Stato dopo aver preliminarmente allontanato i loro predecessori, che non erano dello stesso orientamento. Mons. Gabriele Caccia, 51 anni, e mons. Pietro Parolin, 54 anni, diventano certo arcivescovi e Nunzi Apostolici. Occuperanno delle nunziature prestigiose per un inizio a questo rango, Beirut e Caracas, che sono considerato inoltre come trampolini verso una bella carriera. In tre o quattro anni potrebbero entrambi essere promossi a posti di fiducia della Curia, o a una Nunziatura di primo piano. E’ la legge del cursus honorum del corpo diplomatico, e più generalmente della Curia romana.

A parte le evoluzioni naturali di carriera, la partenza di questi due uomini, il primo – Caccia – vicinissimo del card. Giovanni Battista Re e il secondo – Parolin – protetto di Sodano, segna una svolta. Cessa senza dubbio l’influenza incrociata dei due porporati che hanno governato di fatto la Chiesa durante gli ultimi quindici anni del pontificato di Karol Woityla. Una pagina si gira.

Di maniera molto significativa, il loro successore mons. Peter Wells, un americano, e mons. Ettore Balestrero, un prete romano di 43 anni, si iscrivono in un’altra linea, più tradizionale, meno sensibile alla mentalità contemporanea. Ratzingeriani puri, ancora giovani, incarnano a perfezione un nuovo profilo di diplomatici del Vaticano, molto lontano da quello dei liberali montiniani (nella linea Casaroli / Silvestrini) ma anche dei pragmatici (nella linea Sodano / Re). Preoccupati di coltivare un senso molto forte e molto vivo dell’autorità del Papa, sono gli uomini del pontificato Ratzinger.

Il nuovo Sottosegretario della S. Sede per i rapporti con gli Stati, mons. Ettore Balestrero, è un uomo della struttura che conosce bene i fascicoli. Sono 8 anni che mons. Balestrero lavora come consigliere di nunziatura presso la Segreteria di Stato, in seno a questa stessa sezione per i rapporti con gli Stati, che è presentata spesso come il ministero degli esteri della S. Sede.

Il nuovo Sottosegretario, in altri termini il più vicino collaboratore di mons. Dominique Mamberti, un arcivescovo corso, ha fatto studi di diritto, poi ha ottenuto la sua laurea in teologia e il suo dottorato in diritto canonico all’Università pontificia Gregoriana. Di sensibilità tradizionale, è particolarmente apprezzato dal card. Tarcisio Bertone. In questi ultimi anni, si è distinto per la sua gestione degli affari europei e in particolare concernenti la presenza della Chiesa nella società europea secolarizzata. Si sa che la sua analisi della secolarizzazione, tutta negativa, è esattamente quella di Joseph Ratzinger.

Mons Peter Brian Wells, 46 anni, è il nuovo assessore per gli affari generali. Iscrivendosi in una linea molto conservatrice era prima capo della sezione anglofona della Segreteria di Stato. Lo si presenta come legato al card. americano Justin F. Rigali e come difensore d’una linea d’intransigenza.

Riforma della riforma

Abbiamo letto con grande interesse le anticipazioni di Tornielli circa ipotesi di riforma del rito di Paolo VI. Dedichiamo quindi al tema una divertente, vecchia vignetta di http://www.creativeminorityreport.com/, che fa il verso ai corn flakes di marca Uncle Ben's. Eccola (cliccate per allargarla):



Per i non angolofoni, una traduzione:

*Nuovo & migliorato*
Ora con il 50% in meno di Bugnini
[giustamente equiparato ad un ingrediente
cancerogeno o ricco di colesterolo]

[Sotto la foto del Papa:]
Privo di deformazioni arbitrarie


PAPA BEN'S
NOVUS ORDO 2.0
sviluppato organicamente


Tutte le riforme che vi piacciono ma senza quel retrogusto spiacevole



DATI NUTRIZIONALI

Quantità: 60 minuti
Razioni quotidiane: 1
Grazia: dipende dalla disposizione
Istruzioni: dire il nero, fare il rosso
[in riferimento al Messale: le parti in nero da dire, quelle in rosso, ossia le rubriche, da eseguire]


Porzione - Percentuale sulla quantità raccomandata giornaliera

Reverenza (*) 100%
Latino 50%
Inginocchiamento 50%
-per ricever la comunione
-per la consacrazione
Ad orientem 25%
Canone romano 100%

Non contiene alcuno dei seguenti elementi:

Applausi 0%
Chitarre 0%
Ministri straordinari 0%
Comunione in mano 0%

(*) Contiene la razione giornaliera raccomandata di canto gregoriano, adorazione in silenzio, rubriche più strette, traduzioni più corrette. Anche se questo prodotto contiene il 50% in meno di Bugnini rispetto all'originale, può ancora dare reazioni allergiche ad alcuni tradizionalisti. Consultare un liturgista prima dell'uso.

sabato 22 agosto 2009

Ratzinger riforma la messa. Basta con l’ostia sulla mano

di Andrea Tornielli

Roma. Il documento è stato consegnato nelle mani di Benedetto XVI la mattina del 4 aprile scorso dal cardinale spagnolo Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino. È l’esito di una votazione riservata, avvenuta il 12 marzo, nel corso della riunione «plenaria» del dicastero che si occupa di liturgia e rappresenta il primo passo concreto verso quella «riforma della riforma» più volte auspicata da Papa Ratzinger. Quasi all’unanimità i cardinali e vescovi membri della Congregazione hanno votato in favore di una maggiore sacralità del rito, di un recupero del senso dell’adorazione eucaristica, di un recupero della lingua latina nella celebrazione e del rifacimento delle parti introduttive del messale per porre un freno ad abusi, sperimentazioni selvagge e inopportune creatività. Si sono anche detti favorevoli a ribadire che il modo usuale di ricevere la comunione secondo le norme non è sulla mano, ma in bocca. C’è, è vero, un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire l’ostia anche sul palmo della mano, ma questo deve rimanere un fatto straordinario. Il «ministro della liturgia» di Papa Ratzinger, Cañizares, sta anche facendo studiare la possibilità di recuperare l’orientamento verso Oriente del celebrante almeno al momento della consacrazione eucaristica, come accadeva di prassi prima della riforma, quando sia i fedeli che il prete guardavano verso la Croce e il sacerdote dava dunque le spalle all’assemblea.
Chi conosce il cardinale Cañizares, soprannominato «il piccolo Ratzinger» prima del suo trasferimento a Roma, sa che è intenzionato a portare avanti con decisione il progetto, a partire proprio da quanto stabilito dal Concilio Vaticano II nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium, che è stata in realtà superata dalla riforma post-conciliare entrata in vigore alla fine degli anni Sessanta. Il porporato, intervistato dal mensile 30Giorni, nei mesi scorsi aveva detto a questo proposito: «A volte si è cambiato per il semplice gusto di cambiare rispetto a un passato percepito come tutto negativo e superato. A volte si è concepita la riforma come una rottura e non come uno sviluppo organico della Tradizione».
Per questo le «propositiones» votate dai cardinali e vescovi alla plenaria di marzo prevedono un ritorno al senso del sacro e all’adorazione, ma anche un recupero delle celebrazioni in latino nelle diocesi, almeno durante le principali solennità, così come la pubblicazione di messali bilingui - una richiesta, questa fatta a suo tempo da Paolo VI - con il testo latino a fronte.
Le proposte della Congregazione che Cañizares ha portato al Papa, ottenendone l’approvazione, sono perfettamente in linea con l’idea più volte espressa da Jopseph Ratzinger quando ancora era cardinale, come attestano i brani inediti sulla liturgia anticipati ieri dal Giornale, che saranno pubblicati nel libro Davanti al Protagonista (Cantagalli), presentato in anteprima al Meeting di Rimini. Con un nota bene significativa: per l’attuazione della «riforma della riforma» ci vorranno molti anni. Il Papa è convinto che non serva a nulla fare passi affrettati, né calare semplicemente direttive dall’alto, con il rischio che poi rimangano lettera morta. Lo stile di Ratzinger è quello del confronto e soprattutto dell’esempio. Come dimostra il fatto che, da più di un anno, chiunque vada a fare la comunione dal Papa, si deve genuflettere sull’inginocchiatoio appositamente preparato dai cerimonieri.

(Fonte: Il Giornale 22 agosto 2009)

Mons. de Galarreta nominato presidente della Commissione teologica della FSSPX

Traduciamo dal sito sudamericano Panorama Catòlico Internacional:

Il vescovo ispano-argentino mons. Alfonso de Galarreta è stato nominato presidente della Commisione di teologi della Fraternità S. Pio x con l’incarico delle discussioni dottrinali con Roma. Suo compito sarà coordinare e dirigere gli incontri con la Commissione designata dalla Santa Sede. Poiché attualmente egli è rettore del seminario di Nostra Signora Corredentrice di La Reja, in Argentina [dopo che mons. Williamson, precedente rettore, è stato sollevato dall’incarico], dovrà dividersi tra tale incarico e in viaggi in Europa per assolvere al nuovo compito.

Di profilo discreto, si sa che sostiene posizioni dottrinali dure; tratta poco, quasi nulla con la stampa e ha uno stile pastorale che gli ha guadagnato il rispetto di clero e fedeli in tutta la Fraternità, specie per la sua abilità come persona di consiglio e per la chiarezza nell’esposizione e nel pensiero. Sebbene la sua intransigenza dottrinale sia fuori discussione, si caratterizza per le sue attitudini ragionevoli e di sperimentato realismo.

Secondo fonti vicine alla FSSPX, resterebbe destinato all’Argentina finché l’andamento delle discussioni determinino se le sue funzioni in Europa assorbano più del tempo necessario a seguire il seminario.
[..]
La attuale impossibilità pratica di mons. Williamson di svolgere incarichi di apostolato, dato il polverone mediatico e la sua situazione legale, ha provocato un maggior carico di lavoro agli altri tre vescovi coadiutori della FSSPX.

Le discussioni dottrinali cominceranno presumibilmente dopo l’estate europea, senza tuttavia data fissa definitiva.

***

Per avere un'idea più precisa circa l'attitudine di mons. de Galarreta in merito agli incipienti colloqui, è utile riportare di seguito alcuni estratti di una intervista apparsa il 21 maggio scorso su un periodico lefebvriano e ripresa e tradotta dal sito Unavox, ove troverete il testo integrale:


[..]
- Molti si chiedono per quale motivo il Papa ha pubblicato il decreto del 21 gennaio. Alcuni parlano della volontà di assorbire la Fraternità Sacerdotale San Pio X e ridurla al silenzio. Altri parlano di un semplice atto di benevolenza da parte del Papa. Lei cosa ne pensa?
È difficile conoscere le intenzioni, tuttavia, per ciò che si può dedurre dagli atti, probabilmente esistono varie distinte ragioni. A me sembra indiscutibile che da parte del Papa esista la sicura volontà di ripristino della giustizia e della benevolenza. Però, è altrettanto indubitabile che a Roma sperano che tali misure e i contatti che seguiranno permetteranno loro di incorporarci nella “dinamica ecclesiale”, e che noi smusseremo gli spigoli che secondo loro presentiamo, per esempio, nell’essere così rigidi e intransigenti, come dicono, a riguardo della dottrina. Ossia, sperano di “moderarci” un poco, incorporando anche alcune della nostre cose positive. Altro aspetto importante è la volontà di Benedetto XVI di dimostrare la continuità del Concilio Vaticano II con la Tradizione: se si vuole provare che vi è continuità, basta lasciarci esistere e vivere entro il perimetro della Chiesa ufficiale. Indubbiamente questa visione delle cose e di noi costituisce il maggior pericolo per i contatti a venire.

- Possiamo parlare di un Papa tradizionalista?
No. Disgraziatamente, no. Benedetto XVI si è preoccupato di smentire esplicitamente questa affermazione. Egli si identifica pienamente e teologicamente col Concilio Vaticano II. Il suo insegnamento e il suo governo della Chiesa si iscrivono direttamente nello spirito del Concilio. La prova sta nel fatto che vuole incorporarci nella Chiesa ufficiale, però secondo una concezione ecumenica. Egli sta praticando l’ecumenismo con noi.Tuttavia, contemporaneamente vi è un cambio di atteggiamento rispetto alla Tradizione: non si tratta più di persecuzione, ma, fino ad un certo punto, di accettazione. Questo cambio di attitudine, oggi più chiara, più aperta rispetto alla Tradizione, ci serve da base per affrontare i colloqui con Roma. Il buono, il nuovo, del Papa attuale è questo cambio di attitudine e l’accettazione che il Concilio e il magistero debbono mantenersi in continuità con la Tradizione. Questo è un punto di partenza che ci permette di discutere.

- Nella sua lettera ai vescovi del mondo, del 12 marzo, il Papa dice che «i problemi che ora debbono essere affrontati sono di natura essenzialmente dottrinale, e si riferiscono soprattutto all’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi». Quali sono i problemi dottrinali di cui parla Benedetto XVI ?
Sono precisamente le novità ispirate ai principi liberali, neomodernisti, come per esempio la libertà religiosa, la libertà di coscienza, l’ecumenismo, il democratismo introdotto nella Chiesa con la visione della “Chiesa comunione”, “Chiesa del popolo di Dio”, che, attraverso la collegialità, limita l’autorità del Papa e dei vescovi. Insomma, si tratta della svolta antropocentrica, dell’umanesimo e il personalismo che sono penetrati nella Chiesa e hanno operato una rivoluzione copernicana. Siamo passati da una visione cristocentrica, teocentrica, ad una specie di culto dell’uomo, come ebbe a rivendicarlo il Papa Paolo VI.

- Secondo il decreto del 21 gennaio si dovranno iniziare colloqui dottrinali tra la Fraternità Sacerdotale San Pio X e il Vaticano. Nella Fraternità San Pio X si è detto più volte che si vuole “studiare il Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione”. Come intendere questa espressione ?Questa espressione richiede una certa precisione. Essa intende affermare chiaramente che per noi il criterio di spiegazione di qualsivoglia dottrina nella Chiesa è la sua conformità con la Tradizione. Quindi, studiare il Concilio alla luce della Tradizione vuol dire rifiutare tutto quello che è in contraddizione con l’insegnamento e il magistero tradizionali, e accettare tutto quello che è conforme e in armonia con ciò che si è sempre creduto, ovunque e da tutti, che è la definizione della Tradizione.

- Allora si può dire che questi colloqui hanno lo scopo di “convertire Roma”? Tale desiderio non le sembra una manifestazione di superbia? Un’illusione?
L’espressione “convertire Roma” non è corretta. Si tratta piuttosto di un ritorno, di una riconversione. Peraltro è Dio che può illuminare le intelligenze e muovere i cuori perché si possa attuare questo ritorno della Chiesa alla Tradizione. Superbia sarebbe se noi, in base a idee nostre, nuove, ci erigessimo a giudici della dottrina della Chiesa. Invece si tratta proprio del contrario; di giudicare una serie di novità alla luce di ciò che si è sempre creduto e vissuto nella Chiesa. Allora in questo caso vi è fedeltà, non superbia. La superbia è giustamente l’attitudine di chi disprezza l’insegnamento di duemila anni della Chiesa sulla base di giudizi personali e propri del tutto contrari alla fede. Illusione? No. Perché non andiamo con false aspettative, cioè non abbiamo un’aspettativa fissata. Ci sembra che sia nostro dovere dare testimonianza della fede cattolica, difenderla e condannare gli errori contrari, però non sappiamo quanti frutti deriveranno da questi colloqui. Non sappiamo se poco, molto o niente. Non sappiamo se appena iniziati questi colloqui se ne pentiranno o se noi potremo continuarli. Abbiamo l’obbligo di farlo, è nostro dovere, ma è Dio che dà i frutti. Niente, trenta per cento, sessanta, cento per cento? Solo Dio lo sa e provvederà, perché a Dio niente è impossibile.

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- Che prospettive vede per la Fraternità San Pio X nel futuro? Un accordo con Roma? Un riconoscimento canonico?
No, assolutamente, né in un futuro prossimo né lontano. Precisamente noi escludiamo questa possibilità. Sappiamo che fintanto che non vi sarà un ritorno alla Tradizione da parte di Roma, qualsiasi accordo pratico o canonico è incompatibile con la confessione e la difesa pubblica della fede, sarebbe la nostra morte. Nel migliore dei casi, parlando umanamente, avremo diversi anni di colloqui.