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giovedì 9 aprile 2009

Un 'chierico tridentino' sovraintenderà le nuove traduzioni in inglese del novus ordo

Dove il 'chierico tridentino' non è un tonsurato dell'arcidiocesi di Trento, bensì la definizione che la rivista catto(?)-progressista inglese The Tablet affibbia, con malcelato dispetto, ad un sacerdote inglese noto per la sua propensione verso la Messa tradizionale, Andrew Wadsworth. Il quale è stato in passato membro ufficiale della Latin Mass Society di Inghilterra e Galles e fino a tempi recenti si è occupato di seguitissimi corsi al Merton College, di approfondimento ed insegnamento a volonterosi sacerdoti della forma straordinaria.

Orbene: l'ottima notizia è che il rev. Wadsworth è stato nominato Segretario generale della Commissione Internazione sull'Inglese nella Liturgia (ICEL), un organismo che si occupa di predisporre la traduzione del testo (latino) del novus ordo per tutti i paesi anglofoni del mondo, Stati Uniti compresi (per quanto, come diceva Oscar Wilde, quel paese abbia sì parecchie affinità con la Gran Bretagna, ma certo non la lingua). E non dite che la cosa non interessa noi italiani: non pensate che avrà ripercussioni anche per noi, presto o tardi, la lex orandi di centinaia di milioni di cattolici nel mondo?

Ora, una battuta frequente in passato era che la ICEL fosse composta per metà da gente che non sa il latino, e per l'altra metà da membri che non sanno l'inglese: solo così si spiega perché i poveri fedeli anglofoni si ritrovino con testi della Messa che sono tra i peggiori del mondo. Non solo un linguaggio sciatto, colloquiale e totalmente desacralizzante (ad esempio, "E con il tuo spirito" diventa: "And also with you"= "e pure con te"; come se noi rispondessimo a "La pace sia con voi", con "Grazie altrettanto"), ma anche gravemente impreciso e fuorviante. Il consubstantialem diventa: "of one being", dello stesso essere (?); Credo diventa We believe (noi crediamo: come se qualcuno potesse attestare quel che crede il suo vicino); il pro multis (ma qui è disastro comune) diventa naturalmente for all. E così via.

Per giustificare le sconce traduzioni e, soprattutto, l'infedeltà al testo originario, è stato inventato il concetto di "equivalenza dinamica": non serve rispettare l'originale, basta renderne il senso in modo più adatto alla sensibilità del fedele ordinario (ma proprio ordinario nel senso più offensivo del termine): in altri termini, sforzo dell'ICEL di quegli anni infami appariva quello di eliminare ogni possibile palpito poetico o letterario dai testi sacri, renderli il più possibile colloquiali e gretti, politicamente corretti, vicini al linguaggio popolare.

La nomina di cui riferiamo sottolinea la positiva metamorfosi che sta trasformando in farfalla l'orrido bacherozzo ch'era in passato l'ICEL, bestia nera di ogni cattolico anglofono di buon senso liturgico. Emanazione delle conferenze episcopali delle nazioni di lingua inglese, l'ICEL cura la traduzione in inglese dei testi liturgici (in latino) ed i suoi testi, una volta approvati dalle varie conferenze episcopali, diventano i messali e libri liturgici ufficiali.

Questo organismo toccò il fondo negli anni '90, quando si fece araldo di un nuovo linguaggio "inclusivo" che voleva eliminare ogni riferimento di genere, ad esempio i pronomi maschili riferiti a Dio o il concetto di "paternità" divina, che rimanda ad un Dio di sesso maschile. Il giro di boa (fortemente osteggiato da molti episcopati, come si può immaginare) iniziò nel 2001 con l'istruzione vaticana Liturgiam Autenticam, che richiamava ad un maggiore rispetto dei testi originari; e soprattutto (perché i testi normativi, anche ottimi, non servono a niente, se non c'è chi li faccia rispettare), con l'erezione di una Commissione denominata Vox clara, incaricata proprio di controllare il lavoro dell'ICEL.

Con qualche appropriata nomina all'interno dell'ICEL e correlativo pensionamento di chiercute pasionarie cattoprogressiste (usiamo il femmile perché vogliamo essere anche noi "inclusivi"; d'altronde la famosa pasionaria spagnola era donna, possiamo mica declinarla al maschile...), l'organismo ha iniziato la sua trasformazione e gli epìscopi più liberali hanno cominciato a far la guerra a quella che fino a poco prima era un loro balocco. Ad esempio, l'anno scorso una forte minoranza di vescovi americani riuscì a bloccare la nuova traduzione (più fedele) del Proprio dell'anno, montando proteste per l'uso di termini ritenuti troppo aulici (un termine, in particolare, scatenò le loro ire: ineffable, ineffabile)

E così a settembre prenderà il comando dell'ICEL il rev. Andrew Wadsworth, prete dell'Arcidiocesi di Westminster. La sua nomina avviene con l'approvazione della Congregazione per il Culto Divino. Linguista e filologo, conosce (ed insegna) latino e greco ed è quindi la persona più qualificata per il compito di traduzione. I progressisti, naturalmente, già stanno scavando trincee.

6 commenti:

  1. Interessante e confortante questo post: In Italia la situazione può essere suscettibile di sviluppi postivi e negativi. Vi voglio presentare in proposito una discussione avvenuta sul bellissimo blog Cantuale Antonianum (http://antoniodipadova.blogspot.com/2009/03/preghiere-fedelmente-tradotte-colletta.html); la riporto così com’è e spero che non manchi la vigilanza sui pericoli che io ho intravisto. In apparenza riguarda la Messa di Paolo VI, ma nulla di ecclesiale può essere estraneo ai cattolici. Ecco la discussione,scusate la lunghezza. Felice Pasqua di Risurrezione!
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    1. Anonimo ha detto...
    Grazie di queste interessanti e precise spiegazioni! Mi chiedo e le chiedo se nel lavoro di traduzione italiana della editio tipica tertia del Missale Romanum si stia procedendo a riformulare meglio la versione letteraria italiana di queste orazioni. Se potesse avere informazioni sull'avanzamento di questi lavori (non solo sulle traduzioni... dato che è dato un margine di adattamento, che può essere molto utile e interessante, ma anche problematico e abusato) e pubblicarle in post penso che molti le sarebbero grati! Grazie. Pax.

    2. fr. A.R. ha detto...
    Per quanto riguarda le nuove traduzioni, esse devono tener presente la quinta Istruzione sull'applicazione della riforma liturgica, dal titolo Liturgiam authenticam. Questa istruzione è uscita solo nel 2001 (sì proprio nel 2001) e solo in latino. Ha lo scopo di guidare le traduzioni dei testi liturgici con criteri molto precisi (e molto combattuti in certi ambienti). Per la lingua inglese la nuova traduzione è già a buon punto e ampie parti sono già di pubblico dominio.
    Per l'Italiano, sebbene si sappia che sono già state approntate in linea di massima, questa nuove traduzioni rimangono per ora riservate e non sono state ancora approvate. Aspettiamo e speriamo. E' certo che ci saranno cambiamenti. Ma mentre quelli del proprio di ogni Messa passeranno inosservati (e speriamo invece siano di qualità e parecchi), faranno più scalpore i cambiamenti nella traduzione dell'ordinario della Messa, perchè è conosciuto a memoria anche dai fedeli. Pensiamo solo alla correzione che sicuramente sarà introdotta per le parole della consacrazione nel canone della messa.

    3. lycopodium ha detto...
    L'ultima frase mi mette in allarme. Verrà tolto l' "offerto in sacrificio per voi"? Spero proprio di no!
    Il valore teologico di quella esplicitazione è stato difeso gagliardamente dal padre Jean Galot, in un articolo della Civiltà Cattolica del 03.04.1993, che sarebbe bene fosse ripreso. Questo sarebbe un brutto segno, dal punto di vista dell' "immagine dogmatica" che la Chiesa darebbe di sè; sarebbe una conferma del grave imbarazzo nei confronti di un termine che rappresenta "l'oltre della ragione". Imbarazzo che è confermato dalla quasi-censura che del termine avviene in moltissime traduzioni in altre lingue. Forse è bene aspettare ancora molto tempo, per evitare le scivolate che si sono registrate per i nuovi lezionari. Soprattutto è bene che che i fedeli non siano costretti a subire ogni volta delle riprogrammazioni neurolinguistiche; un minimo di consenso informato non guasterebbe!

    4. Anonimo ha detto...
    Hoc est enim Corpus meum quod pro vobis tradetur
    Bisogna tradurre letteralmente sia il tradetur, come il pro multis, la teologia interpreta, ma il testo tradotto deve corrispondere. Come è meglio tradurre "per le moltitudini", così è meglio tradurre "[che sarà] dato per voi" o "consegnato per voi", senza per questo cambiare il senso del sacrificio volontario del Signore.

    5. lycopodium ha detto...
    Grazie per la cortesissima risposta, padre. Ovviamente la parafrasi è tentazione grande del traduttore; non bisogna cadere in tentazione. Ma tentare (nel senso di osare) non necessariamente nuoce. Le traduzioni non sono mai pienamente e totalmente “alla lettera”, c’è sempre un qualcosa che sfugge; e d’altra parte la lettera non è tutto, soprattutto in un testo destinato alla liturgia. Gli stessi esempi che lei porta non sfuggono ad una pluristratificazione della problematica.
    Il dilemma molti/tutti e ben noto ed ha avuto recentemente nuovo impulso. Il "moltitudini" (che lei propone e che condivido!) è però sensibilmente diverso da "molti" (peraltro accolto nel vecchio lezionario CEI): è una scelta felice che tiene conto delle problematiche teologiche.
    Allora perché non tenerne conto in altri contesti altrettanto “sensibili”? Tradurre “tradetur” semplicemente con “dare” o “consegnare” avrà molteplici effetti di banalizzazione dell’espressione.
    Il “corpo-per-voi” ha mille sfumature che la pura lettera italiana appiattisce; per raggiungere lo stesso “obiettivo” che si poneva Cristo una esplicitazione mi sembra ineludibile.
    Senza l’esplicitazione sacrificale, la frase avrebbe l’effetto di un “prendete quello che vi do/darò”, un cortocircuito di dubbia efficacia, se non a livello di battuta, utile al limite per l’omelia.
    Oltre a banalizzare la teologia soggiacente, l’eventuale nuova traduzione cancellerebbe un benefico paradosso della storia della formula italiana: in questi 40 anni, volente o nolente, anche il prete più modernista ha usato quella parola incriminata.
    Ciò a fronte del quasi sistematico attenuare l’impatto linguistico di quella pietra di inciampo (lettera per lettera: come si vorrà tradurre il “cuius voluisti immolatione placari”? come si renderà la già riprovevolmente fraintesa “super oblata” di Natale?).
    Una traduzione, nata per essere più fedele, registrerebbe l’eterogenesi dei fini di cancellare il termine “sacrificio” proprio nel momento culmine della liturgia sacrificale. Una incongruenza impossibile da imporre. Per rimanere alle formule consacratorie, altri due brevi appunti:
    - come sarà tradotto “accipite”? si sentirà dire “accogliete”, secondo la via politicamente corretta usata per il rito matrimoniale?
    - il futuro va esplicitato o no? il teologo Giraudo ha fatto un cavallo di battaglia per il "sì", ma è indubbio che la frase al futuro rischia di essere troppo verbosa, a meno di un colpo di genio.
    Non sottovaluterei, infine, la questione della “riprogrammazione neurolinguistica” implicata ed imposta nel/col mutamento delle traduzioni liturgiche: questione che non può essere rimossa, pena l’indurre ulteriore estraneità in noi semplici fedeli.

    6. lycopodium ha detto...
    Ho trovato questo link
    http://www.giuseppebarbaglio.it/Articoli/finesettimana14.pdf
    Scommettiamo che se passa la traduzione da lei proposta, la lettura antisacrificale e antirituale di Baraglio diventerà obbligatoria?

    7. lycopodium ha detto...
    E la parola "sacrificio" sparisce anche da oltrove
    http://209.85.129.132/search?q=cache:3DHvLe1fsMYJ:www.sanpaolo.org/vita06/0506vp/0506vp52.htm+traduzione+%22sacrificio+per+voi%22&cd=16&hl=it&ct=clnk&gl=it
    Il nome di Falsini è garanzia al contrario! [Brutta anche quell'espressione, falsamente ecumenica, di "evangelo"]. Come detto prima, grazie alla "lettera", si sentirà ossessivamente ripetere che l'espiazione di Gesù non ha dimensione cultuale-sacrificale (nel senso di Lv 4; 16; ecc.), ma più banalmente e a-ritualmente come mero interscambio. E' evidente che le traduzioni liturgiche sono state sequestrate da esperti di fede progressista, che impiegano il letteralismo non per correttezza formale, ma a servizio della loro ideologia.
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  2. il ritardo nella traduzione in italiano della tertia editio tipica del Messale di Paolo VI è la prova provata di quanto aveva visto giusto e visto lungo il Concilio quando prescrisse "SI CONSERVI L'USO DELLLA LINGUA LATINA". Quanto problemi in meno, quante difficoltà in meno ora avremmo se si fosse dato ascolto al Concilio! Pare impossibile che dopo nove anni dalla terta editio tipica non la si sia ancora tradotta (o voluta tradurre). Alessandro

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  3. Anche a me sempre quasi impossibile che la prima edizione fu tradotta in pochi mesi e la terza, dopo anni e anni, non è ancora disponibile.
    Ci possono essere due ragioni, una buona e una cattiva: a) Si va con i piedi di piombo per fare una traduzione quanto mai fedele e accuratamente controllata da esperti e pastori, in modo che abbia un ampio consenso e sia sicura. b) C'è un boicottaggio contro la fedeltà alla traduzione che alcuni, si sa, tenacemente combattono e stanno in ogni modo rallentando il lavoro di uscita del messale rinnovato.

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  4. con la forsennata introduzione, a tutti i costi, delle lingue nazionali in tutte le parti della liturgia, ci stiamo trasformando in una babele. Se la traduzione non è più che fedele, si finisce per introdurre nella Messa degli errori teologici che si trasformeranno poi in eresie. Saranno sicuramente contenti i difensori dello spirito del Concilio! Povero Concilio! Quanto è stato scarnificato e svuotato! In alternativa, propongo una nuova edizione del Missale Romanum, dopo l'ultima del 1962, che contenga il divieto di traduzione e che tenga conto delle nuove memorie e feste, ad esempio la festa di S. Edith Stein e la memoria obbligatoria di s. Massimiliano Kolbe. Alessandro

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  5. Intanto si potrebbe correggere la traduzione imprecisa, a dir poco, di alcune espressioni. La traduzione generale vada avanti con oculatezza. Sarebbe già tanto.

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  6. All'ICEI scrivono in latino scorretto? Avviene la stesssa cosa in qualche commissione pontificia.
    Errori di tal gravità che alla III media dei miei tempi determinava la bocciatura più sonora.

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