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Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

martedì 24 marzo 2009

Un grande Messori commenta la lettera del Papa ai vescovi.

Riportiamo un articolo di Vittorio Messori che rileva, e giustamente, come il nucleo essenziale del ministero del Papa sia quello di confermare i fratelli nella fede, e come il Papa stesso sottolinei nella lettera ai vescovi l'urgenza e la drammaticità di questa esigenza, allorché in vaste parti del mondo è sul punto di spegnersi la fiammella della fede e la Chiesa è tentata di ridursi ad una sorta di ONG (Organizzazione Non Governativa) impegnata 'nel sociale'.



Chi stimava Joseph Ratzinger è stato riconfermato nell'ammirazione dalla lettera ai vescovi sulle polemiche circa la revoca della scomunica ai vescovi di Econe. Un testo forte e al contempo «sommesso», come scrive l'Autore stesso, di un'umiltà e sincerità limpidamente evangeliche. La missiva, a differenza di quanto ha detto qualcuno, rafforza il prestigio di Benedetto XVI, che sente se stesso non come un potente tra i potenti ma come il custode di una Verità che non è sua, che gli è stata affidata, che a ogni costo deve difendere.

Proprio per questo sorprende che sia stata poco rilevata la frase che, nella sua drammaticità, è il centro non solo della lettera ma dell'intero pontificato e che spiega anche questo insolito intervento. Scrive, in effetti colui cui i fedeli guardano come al Vicario di Cristo: «Oggi, in vaste zone della terra, la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento». E ancora: «Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini».Benedetto XVI ribadisce, qui, la consapevolezza che «la prima priorità per il successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu, conferma nella fede i tuoi fratelli"». Da sempre, quest'uomo — che non a caso è stato per 24 anni Prefetto delle Congregazione per la Fede — ha avuto ben chiara la successione indispensabile: prima la fede, appunto; e, poi, ma soltanto «poi», l'istituzione ecclesiale. La quale è indispensabile, nella strategia di un Dio creatore che ha voluto la collaborazione delle sue creature. Ma la Chiesa, intesa come organizzazione visibile che cammina nella storia, non è che un involucro, un guscio, una conchiglia per ospitare ciò che conta e che solo la fede può scorgere: la perla invisibile, cioè, il mistero del Cristo e i suoi sacramenti, a cominciare dall'eucaristia. Il «mondo» si occupa — e non può fare altrimenti — di Vaticano, di Santa Sede , di Sacri Palazzi, di Nomenklatura gerarchica. Ma tutto questo non è che un mezzo — sempre riformabile e spesso opaco — per l'unico, vero fine: l'annuncio che il Vangelo non è una illusione ma una verità e che su di essa è ragionevole basare la propria vita e la propria morte.

Dovrebbe essere scontato, almeno per i credenti. Eppure, in questi decenni, non sembra esserlo stato all'interno della Chiesa stessa. Quando, nell'agosto del 1984, l'allora cardinal Ratzinger e il cronista che qui scrive si rinchiusero per qualche giorno nel seminario di Bressanone, erano consapevoli di rompere, per la prima volta dopo 442 anni, il silenzio e il segreto impenetrabili del Sant'Uffizio. Come titolo al libro che doveva nascere da quel colloquio, fummo d'accordo sul termine «rapporto», ma fu lo stesso Cardinal Prefetto che suggerì «sulla fede», piuttosto che «sulla Chiesa». Mi ribadì infatti l'ovvia ma troppo spesso dimenticata verità: il prius è la fede, mentre l'istituzione ecclesiale, l'insegnamento morale, l'impegno sociale non sono che derivati, effetti, conseguenze campate in aria — se non assurde — se non avessero a monte la scommessa sulla verità del vangelo. Ed è proprio questa scommessa che «è in pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento». Parole drammatiche, lo ribadiamo. Meraviglia davvero che non abbiano trovato eco.

All'interno della Chiesa, la rissa postconciliare, tra contestazioni e restaurazioni, è divampata attorno alla riorganizzazione della istituzione, del «Vaticano», o alle conseguenze etiche e sociali da trarre dal Vangelo. Confronti violenti, dunque, su cose come la funzione del papato, il ruolo di clero, laici, donne, il celibato, i poteri delle Conferenze episcopali, l'ecumenismo o su temi come impegno politico del cristiano, divorzio, aborto, ingegneria genetica, omosessualità. Problemi importanti ma, al contempo, temi derivati, da «cristianesimo secondario». Ben pochi dei litiganti si interrogavano su quello «primario»: sulla possibilità cioè dell'uomo post-moderno di credere ancora nella verità del Vangelo, senza il quale tutto questo non avrebbe significato. Mentre ci si azzuffava sulle conseguenze del credere, ci si dimenticava di riesaminare se ci fossero ancora ragioni valide per farlo. C'è stata, e c'è, guerra tra preti sui metodi per innovare la catechesi, ma senza preoccuparsi perché dovremmo prendere ancora sul serio il catechismo, senza essere sbeffeggiati come cretini perché ancora cristiani.

Dichiarata anacronistica l'apologetica — cioè la ricerca per accordare ragione e fede, scienza e miracolo, cultura e devozione — quel che resta del popolo di Dio si è trovato disarmato davanti all'aggressione sferrata contro tutti e tre i «cerchi» del credere: l'esistenza di Dio, Gesù come Cristo annunciato dai profeti d'Israele, la Chiesa come istituzione divina. La crisi cattolica non è della «macchina»: se questa perde sempre più colpi, sin quasi a spegnersi, come in tante congregazioni religiose, è perché il carburante rischia di esaurirsi. È la caduta della fede, è la drammatica — spesso occultata — domanda «ma sarà vero? Non sarà una illusione?», che spiega l'abbandono del ministero di un terzo del clero, il rarefarsi delle vocazioni ai seminari, la scomparsa della tensione missionaria, l'allentarsi delle difese morali tra coloro che dovrebbero essere di esempio. È il credere solo al mondo presente, dubitando ormai che un aldilà esista, che ha portato all'attenzione esclusiva per l'impegno sociale e politico, relegando nel silenzio quelli che la Tradizione chiamava i Novissimi: morte, giudizio, inferno paradiso.

Benedetto XVI non pensa affatto a quel Concilio Vaticano III che qualcuno invoca, per riformare ancor più l'istituzione e per adattare la morale evangelica al politicamente corretto attuale. Preoccupazioni da clericali. Se a un Concilio papa Ratzinger pensasse, sarebbe per riportare al centro le ragioni per credere in Gesù come Dio e Redentore. Non a caso sottrae tempo ed energie ad altri impegni per dedicarsi al completamento dell'opera sulla storicità dei vangeli, messa in dubbio oggi anche nella Chiesa stessa.

Non è l'ossessione di un professore, è l'ansia del Pastore che vuol confermare che la fede, base di tutta la piramide ecclesiale, è ancora credibile, non contrasta con la ragione.

Dal Corriere della sera, 23 marzo 2009 (consultabile qui), via il Papa Ratzinger blog.

1 commento:

  1. Uno degli articoli migliori, forse il migliore, perché sposta l'attenzione dai "temi derivati, da «cristianesimo secondario»" a quello «primario», la fede che è nel pericolo di spegnersi «come una fiamma che non trova più nutrimento»!

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La Redazione