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mercoledì 25 marzo 2009

Un commento sulla revoca della scomunica

Pubblichiamo l'analisi che segue di Marco Respinti ed apparsa su Il Domenicale, messaci molto cortesemente a disposizione. Si può discutere su qualcuna delle affermazioni dell'Autore (ad esempio la sussistenza di uno 'scisma' lefebvriano, dato che i termini prescelti dal Papa nella sua lettera ai vescovi sono attenti a non utilizzare tale concetto), ma è lodevole la chiarezza, il nitore espositivo e l'anelito per un felice esito della riconciliazione, in cui tutti noi speriamo.

LA GRANDEZZA DEL PAPA, IL RITORNO A CASA DEI "LEFEBVRIANI" E LA LINGUA DI MONS. WILLIAMSON

* Revocata la scomunica, ora la palla passa alla Fraternità Sacerdotale San Pio X. Le risposte che noi e loro attendevamo sono infatti giunte *

Quello ufficializzato da Papa Benedetto XVI il 24 gennaio è un grande gesto: di magnanimità e di governo ecclesiastico. Come si sa, in quella data il pontefice ha revocato la scomunica comminata a suo tempo a Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta, i quattro sacerdoti "tradizionalisti" che nel 1988 furono ordinati vescovi, con gesto intrinsecamente scismatico, da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), fondatore e superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX). A norma di diritto canonico, la loro ordinazione fu infatti valida ma illecita poiché amministrata senza permesso pontificio. La scomunica scattò dunque automaticamente, latae sententiae, venendo formalizzata dalla Commissione [Congregazione] per i Vescovi il 1° luglio 1988. Colpì loro, l’ordinante (mons. Lefebvre) e, a causa del suo endorsement, anche mons. Antonio de Castro Mayer (1904-1991), vescovo di Campos in Brasile.

- L’ultima sponda -

Ritirando la scomunica, il Papa ha iniziato, per parte propria, a sanare nel migliore dei modi possibili una ferita grave che da tempo insanguina il costato della Chiesa Cattolica. Il pontefice ha infatti annullato la più grave condanna che, da questa parte dell’eternità, possa colpire un cattolico.Il gesto di Benedetto XVI non è stato peraltro quello che una retorica di moda ma decisamente bolsa chiamerebbe "dialogo", né un tentative transigente (quindi compromissorio) di "salvare capra e cavoli", ancora meno un’"ammissione di colpa", un autodafè o l’"enciclica" delle scuse (tipo: "avevano ragione loro, finalmente da Papa ho capito"). Tutto infatti quel gesto significa tranne che un’indulgenza tardiva verso gli errori e le intemperanze dei "lefebvriani". Quanto fatto dal Sommo Pontefice è infatti l’offerta agli scismatici di una possibilità reale e concreta (l’ultima?) di chiedere loro scusa al Vicario di Pietro: la richiesta esplicita di una prova inconfutabile della loro buona fede, della loro cattolicità, della purezza della loro battaglia per la verità. Come ha detto pubblicamente lo stesso Benedetto XVI il 28 gennaio, il suo è stato un atto di "paterna misericordia perché ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare" e s’inquadra solo nel suo infaticabile impegno per cercare e per ottenere l’unità fra tutti i credenti in Cristo. Tant’è che la revoca della scomunica è stata ufficializzata nel corso della settimana di preghiera che la Chiesa indice da tempo per impetrare l’unità dei cristiani. E peraltro non annulla la sospensione a divinis degli ex scomunicati.

- Sì, no, forse –

Il pontefice, insomma, ri-accoglie come figli suoi anche i "lefebvriani" se i "lefebvriani" si riconoscono suoi figli: per questo Benedetto XVI auspica "il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa" in nome della "vera fedeltà e [del] vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II". Ora la palla passa ai "lefebvriani". Del resto, una caparra preziosa da considerare (e il Papa in persona lo ha fatto proprio con le parole succitate) sono alcuni atti pubblici fondamentali: il pellegrinaggio compiuto dagli scismatici a Roma nel 2000 per il Giubileo "wojtyliano" e la richiesta di revoca della scomunica avanzata da mons. Fellay, superiore generale della FSSPX, con l’appoggio di quella "Crociata del Rosario" che egli ha lanciato l’ottobre scorso durante un pellegrinaggio a Lourdes nella Solennità di Cristo Re allo scopo di ottenere l’intercessione della Vergine Maria e che ha totalizzato la recita (anche via Internet) di un milione e 703mila rosari "lefebvriani". Nel "mezzo" si situano certamente segni inequivocabili quali la promulgazione del motu proprio "Summorum Pontificum" con cui nel luglio 2007 Benedetto XVI ha liberalizzato l’uso della liturgia latina "preconciliare" e la mano tesa alla FSSPX dalla Pontifica Commissione "Ecclesia Dei", quella istituita il giorno dopo la scomunica ai "lefebvriani", cioè il 2 luglio 1988, per "incontrare" i "tradizionalisti" che non avevano seguito gli scismatici. In giugno infatti il suo presidente, il cardinale Darío Castrillón Hoyos, ha proposto agli scismatici una linea d’intesa che di fatto ricalca il famoso protocollo preparato nel fatidico 1988 dal cardinal Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della fede, protocollo che mons. Lefebvre firmò il 5 maggio 1988 benemeritamente ricucendo in quell’attimo la frattura, ma che, certamente anche circondato da pessimi consiglieri, il prelato rinnegò completamente dopo sole 24 ore. Ebbene, dallo scisma a oggi, il flusso dei "lefebvriani" pentiti che hanno riguadagnato la comunione con Roma è stato del resto costante e per loro la Santa Sede ha eretto ad hoc la Fraternità Sacerdotale San Pietro. Ma anche prima dello scisma diversi tra sacerdoti, religiosi (è il caso della Fraternità San Vincenzo Ferrer, domenicana) e membri di gruppi laicali (non solo uti singuli, cioè rompendo con i propri ambienti, ma anche associativamente) avevano felicemente abbandonato il "lefebvrismo" senza peraltro rinunciare alle proprie battaglie antiprogressiste. Esiste un vasto mondo "tradizionalista", cioè, oltre il "lefebvrismo". E questo è importante ricordarlo per almeno tre ragioni.

- Pentiti e born-again -

La prima è evitare che la revoca della scomunica ai vescovi "lefebvriani" venga percepita da qualche commentatore distratto, o persino malevolo, come una "sanatoria" che fa di ogni erba un fascio e di ogni "tradizionalista" un born-again. Vi sono cioè "tradizionalisti" che per tempo son tornati sui propri passi e persino altri che non hanno mai dovuto farlo. La seconda ragione è che la disubbidienza di mons. Lefebvre prima e lo scisma dopo hanno oggettivamente creato le condizioni per un’ulteriore ferita nella Chiesa: quella aperta dai "sedevacantisti", una famiglia eterogenea di credenze paracattoliche o di origine cattolica che al proprio interno conosce diverse "obbedienze". Il "sedevacantismo" giudica eretica la Chiesa Cattolica dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II ed eretico il "lefebvrismo" che non considera eretica la Chiesa. La distinzione andrà sempre fatta, anzi gridata: ma sui propri concorsi di colpa il "lefebvrismo" un pensierino dovrà farlo, e magari comunicarlo a Pietro prima e al mondo poi.

- Risposte. E chiare -

E la terza ragione è questa. Originariamente – storicamente – il "lefebvrismo" è nato come una filiale domanda di chiarimenti al Pastore di Roma affinché egli rendesse ragione al proprio gregge di alcune mosse percepite da molti fedeli, spesso i più fedeli, come incomprensibili. Ebbene, se il "lefebvrismo" ha pensato di dover bruciarele tappe, i tempi della Chiesa Cattolica hanno invece adeguatamente risposto a quelle suppliche. Il monumentale magistero di Papa Giovanni Paolo II, la pubblicazione dell’imponente "Catechismo della Chiesa Cattolica" nel 1997 e l’intero insegnamento di Papa Benedetto XVI (già "teologo di Giovanni Paolo II") hanno sancito autorevolmente la fallacia e la sconfitta di quella "ermeneutica della discontinuità e della rottura" (Benedetto XVI, "Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi", del 22-12-2005) con cui il progressismo neomodernista ha preteso malevolmente d’interpetare il Vaticano II, causa prossima anche se non motore unico della rivolta "lefebvriana". Se insomma una funzione storica, anche importante, il "lefebvrismo" l’ha certamente avuta, oggi la sua attesa paramessianica, che con i decenni si è trasformata in mera attesa di se stesso, non ha più senso. Oggi la risposta alla sua fondamentale domanda si chiama Chiesa Cattolica. Come sempre. Più chiaro di così, il Papa non può rispondere.

- Ebrei e dintorni -

C’è altro da dire? Sì, commentare breviter, come merita, l’incresciosa lingua lunga del vescovo Williamson sui campi di sterminio nazionalsocialisti. Premesso che il punto nodale della Shoah non sono i numeri, cioè che se non fossero 6 ma solo 5, 4, 3, 2 o anche 1 solo i milioni di ebrei criminalmente sterminati dal Terzo Reich non cambierebbe alcunché, Williamson parla evidentemente solo per sé, la FSSPX ha chiarito bene e subito di non avere alcunché a che spartire con le sue parole e il Papa pure. Del resto la scomunica che il Papa ha levato dal suo capo non fu certo comminata, come nessuna scomunica lo può essere, per le opinioni di un vescovo sui numeri dello sterminio ebraico, per bislacche che siano. Eppoi, eppoi c’è che mons. Williamson i suoi numeri li ha dati nel novembre scorso, ma che solo nella Giornata della Memoria 2009, in pendenza di revoca di scomunica, sono state passate in tivù. Forse pure, come puntualmente scrive il bravo Andrea Tornielli, su "il Giornale" del 3 febbraio con lo zampino, o la zampata, di due giornaliste francesi, lesbiche, "fidanzate", filoabortiste e massone, Fiammetta Venner e Caroline Fourest. Che le due ce l’abbiano con il pontefice e con la sua paterna grandezza?


CRONISTORIA DI UN DRAMMA
  • Marcel Lefebvre nasce il 29 novembre 1905 a Turcoing, in Francia.
  • Sacerdote dal 1929, dal 1932 è membro della Congregazione dello Spirito Santo.
  • Nel 1947 è vescovo, nel 1948 arcivescovo.
  • Vicario apostolico, primo vescovo di Dakar (Senegal), delegato per le missioni nell’Africa francese, nel 1962 è creato vescovo di Tulle (Francia) [per la precisione, arcivescovo di Dakar: in effetti la successiva nomina a Tulle, diocesi secondaria e pur con diritto a conservare l'appellativo di arcivescovile, fu una deminutio]
  • Dal 1962 al 1968 è superiore generale della Congregazione dello Spirito Santo.
  • Già membro della sua commissione preparatoria, partecipa al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965).
  • Di quell’assise critica le prospettate riforme in tema di liturgia, libertà religiosa, ecumenismo e collegialità episcopale. Nel post-Concilio saranno questi i punti forti del progressismo.
  • Lefebvre diviene così il punto di riferimento non unico ma eminente, almeno dal punto di vista mass-mediatico, del "tradizionalismo".
  • Con il permesso della Santa Sede, nel 1970 fonda la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) a Friburgo, in Svizzera, da cui dipende il seminario di Ecône.
  • Rifiutata la "Messa nuova", la comunità di Lefebvre si attira l’astio di numerosi settori dell’episcopato cattolico.
  • Nel 1975 il Vaticano ordina la chiusura di Ecône. Lefebvre rifiuta e nel 1976 viene sospeso a divinis.
  • Quando Lefebvre pensa a ordinazioni episcopali che garantiscano il futuro di Ecône,il cardinale Joseph Ratzinger prepara un protocollo d’intesa per evitare lo scisma.
  • È il 1988. Tra Lefebvre da una parte e Papa Giovanni Paolo II e alcuni legati pontifici dall’altra intercorrono scambi epistolari e incontri privati.
  • Lefebvre firma il protocollo, ci ripensa, ordina quattro vescovi e incappa nella scomunica.
  • Lefebvre muore a Martigny (Francia) il 25 febbraio 1991.
  • Visti alcuni segnali di disponibilità della FSSPX, Papa Benedetto XVI revoca la scomunica ai vescovi irregolari il 24 gennaio 2009.
  • Straparlando di ebrei, uno dei vescovi "lefebvriani", Richard Williamson, diviene il nuovo casus belli.
  • C’è chi dice che a mons. Lefebvre, il cui padre morì in un lager nazista, sia stata tolta la scomunica in articulo mortis dal Nunzio Apostolico in Svizzera
Mario Respinti
Da "il Domenicale. Settimanale di cultura", anno 8, n.6, Milano 07-02-2009.

7 commenti:

  1. Una lettura equilibrata, che aiuta a ristabilire nell'analisi i giusti rapporti gerarchici, anche se il tema del rapporto con la Tradizione - che è poi il cuore del problema - è appena sfiorato (ma Respinti accenna, molto opportunamente, all'ermeneutica della continuità come chiave risolutiva dello scacco a re - o a papa - rappresentato dalle fughe in "avanti" del dopo V2).

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  2. Non condivido molto l'analisi di Respinti. Non tanto per il contenuto quanto per il... tono saccente ed autocompiaciuto.
    E' vero che il cattolico deve sempre difendere il Papa ma quì non si tratta di questioni relative all'infallibilità quanto valutare se una certa linea politica, seguita dalla Curia Romana, negli ultimi decenni sia o meno da considerare positiva. Nelle prese di posizione di Respinti, come in quelle del suo maestro Massimo Introvigne, emerge ancora, put se in modo malcelato, l'astio nei confronti della FSSPX. Anche l'utilizzo del termine "lefebvrismo" tende ad accreditare la Fraternità San Pio X come un gruppo portatore di una ideologia.
    Io penso invece che il ruolo storico della FSSPX sia stato davvero provvidenziale. Ecco in tal senso alcuni brevissimi spunti di riflessione:

    1 - Se si è giunti al Motu Proprio "Summorum Pontificum", oltre che ovviamente per il coraggio di Benedetto XVI, lo si deve anche alla determinazione della FSSPX. Le altre congregazioni "Ecclesia Dei" hanno sempre solo richiesto per loro l'uso dell'antico Messale. Solo la FSSPX, nonostante che questa opportunità le fosse sempre stata offerta, si è battuta strenuamente affinchè questo tesoro fosse restituito a tutti i sacerdoti cattolici.
    "Noi la S. Messa ce l'abbiamo sempre avuta" - diceva mons. Fellay - "Noi vogliamo però che essa venga restituita a tutta la Chiesa".

    2 - Identico discorso lo si può fare per i documenti del Concilio Vaticano II. I gruppi "Ecclesia Dei" dovevano sempre solo accettare "tout court" il Concilio. Forse solo l'Istituto Buon Pastore ottenne una qualche limitata possibilità di critica. La FSSPX invece ha sempre rifiutato soluzioni pratiche (più volte offertele) ma ha mirato sempre sul punto vero del problema: le ambiguità del CVII. Oggi con l'apertura delle attesissime "discussioni" dottrinali tutti abbiamo la possibilità di presentare le nostre perplessità.

    3 - In realtà, diversamente a quanto appare dall'articolo, il "rientro" dal 1988 ad oggi, è sempre stato un flusso limitato di sacerdoti e fedeli. Nonostante le difficoltà e le bufere connesse alla sua situazione canonica irregolare, la FSSPX ha saputo mantenere la sua forza e la sua unità. I gruppi "Ecclesia Dei", a parte forse la FSSP anch'essa comunque in serie difficoltà, sono stati divisi ed incapaci di coordinarsi in una azione comune. Il peso politico della FSSPX le ha consentito di esercitare un "ruolo-guida" anche a favore di altri Istituti che ufficialmente non ne condividevano le posizioni.

    4 - A favore dei movimenti "Ecclesia Dei" va però riconosciuto onestamente un elemento a loro favore: nonostante le aspettative di molti cardinali di Curia, quasi tutte sono riuscite a mantenersi sostanzialmente fedeli all'antico Rito per oltre venti anni. La Commissione "Ecclesia Dei" non è riuscita, come molti speravano, a traghettare gradualmente questi tradizionalisti verso il Novus Ordo. Nel conseguimento di questo innegabile risultato però ha, anche quì, inciso in qualche modo la FSSPX che ha fatto costantemente da "contrappeso". Se infatti le Congregazioni Vaticane avessero troppo "tirato la corda" probabilmente parecchi elementi di questi Istituti Religiosi si sarebbero nuovamente avvicinati alla FSSPX.

    In conclusione bisogna dire che l'analisi di Respinti mi sembra fortemente "schierata" e poco obiettiva.
    D'altra parte mi sembra che fosse stato proprio lui, o Introvigne, a scrivere all'indomani del Motu Proprio:

    "I tradizionalisti lefebvriani hanno ottenuto il massimo. Non possono aspettarsi nulla di più. Se non si muoveranno saranno dichiarati ufficialmente scismatici". A distanza di nemmeno due anni la sua previsione si è rivelata sbagliata. Adesso la ripete con il suo "la palla passa ai lefebvriani".
    Non credo che si tratti di una partita di calcio. Le discussioni che si apriranno sono con almeno due protagonisti. Tutti dovranno fare la loro parte, non solo, come li chiama Respinti, i "lefebvristi"!

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  3. Ora mons. Lefebvre è anche il responsabile del sedevacantismo.
    Questo Respinti, evidentemente, non ha neppure fatto una rapida ricerca in internet, dove credo, o almeno suppongo, dato che non me ne sono occupato si dovrebbero trovar notizie al riguardo. La mia memoria è ancora discreta e ricordo che già prima del concilio, negli anni 50, ed anche dopo, ma prima che si aprisse il seminario di Econe, gruppi sedevacantisti erano apparsi in varie regioni e con varia consistenza.
    Mons. Lefebvre allontanò da Econe il p. Guerard de Lauriers perché faceva presa su alcuni seminaristi con le sue tesi di Cassiciacum, e successivamente allontanò anche preti e seminaristi che tali tesi o altre ancora più radicali perseguivano, come il Kelly che poi formò un suo gruppo (Istituto S. Pio V) in USA. Costui seppe ben bene raggirare, per farsi consacrar vescovo, un santo presule portoricano, il Mendez ultranovantenne, come da testimonianza della sorella.
    La girandola di vescovi sedevacantisti, un esercito di vescovi senza truppe, si deve a mons. Thuc che era un isolato e che forse, se a Roma non l'avessero tenuto pressoché prigioniero, e gli avessero offerto un incarico in qualche basilica dopo la tragedia che s'abbatté sulla sua famiglia con la caduta del fratello dittatore del Vietnam del Sud, non avrebbe combinato i guai che ha combinato, per poi chieder perdono a Roma e morir in seno alla Chiesa: era stato un saggio vescovo di Huè, ed uomo di sicura ortodossìa.
    Anche a Giovanni Paolo II Lefebvre scrisse che aveva "ripulito" il seminario espellendo coloro che negavano la liceità delle elezioni dei pontefici post-conciliari.
    Ha ragione Bongi: l'acredine di certi membri o ex-membri non so di Alleanza Cattolica contro mons. Lefebvre può raggiungere il parossismo. Forse Lefebvre si sarà rifiutato di recitar le littanie di dona Lucila, come i suoi fedeli italiani si rifiutarono, e giustamente, di aderire al "male minore" del Movimento per la Vita cui si accodò Alleanza Cattolica.

    Credo che dati da allora la definizione di setta data da Introvigne alla Fraternità S. Pio X: termine che nessun uomo di Chiesa mai ha utilizzato neppure dopo la condanna.

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  4. Mi trovo sostanzialmente d'accordo con l'analisi tratta da Marco Bongi; mi permetterei solamente di aggiungere una breve notazione "di colore".

    Dopo aver per lunghi anni frequentato e sostenuto la Fraternità San Pio X, Introvigne pubblicò un opuscolo sulle "sette" di origine cristiana e, fra i vari Testimoni di Geova, Pentecostali Tremolantie e quant'altro, unì a quell'elenco anche la Fraternità San Pio X ...

    Che mai dire? A mio sommesso avviso, si trattò di una caduta di stile davvero inescusabile e faziosa, soprattutto in considerazione del fatto che l'estensore non poteva certo giustificarsi, affermando di essersi limitato a riportare quanto aveva appreso "de relato", ma, al contrario, aveva avuto il modo di frequentare assiduamente e di ben conoscere quella realtà.

    Cordialmente.

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  5. Caro Imerio, come al solito sei un gran signore. Ti sei limitato a parlar di "caduta di stile".

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  6. Se non sapete cos'è lo scisma lefebvriano, non avete capito molto di tutta la faccenda. Meglio così, vi rivelate per quel che siete veramente.

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  7. Caro Anonimo,
    perché non ci illumini tu?

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